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    "Il più delle volte non vi chiedo altro che la buona volontà" - Gesù a Bossis


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    Rito ambrosiano

    Da Evangelizo.org:

    Gi 9 Mag : Atti degli Apostoli 1,6-13a.
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    Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: "Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?". Ma egli rispose: "Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra". Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo". Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano.

    C'erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelòta e Giuda di Giacomo.

    Gi 9 Mag : Salmi 47(46),2-3.6-9.
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    Applaudite, popoli tutti, acclamate Dio con voci di gioia; perché terribile è il Signore, l'Altissimo, re grande su tutta la terra. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni; cantate inni al nostro re, cantate inni; perché Dio è re di tutta la terra, cantate inni con arte. Dio regna sui popoli, Dio siede sul suo trono santo.

    Gi 9 Mag : Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 4,7-13.
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    A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo sta scritto: Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini. Ma che significa la parola "ascese", se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose. È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.

    Gi 9 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 24,36b-53.
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    Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

    Gi 9 Mag : San Pietro Crisologo
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    Dopo la risurrezione, poiché il Signore era entrato a porte chiuse (Gv 20,19), i discepoli non credevano che egli avesse ripreso un corpo reale, ma supponevano che solo la sua anima fosse tornata sotto un'apparenza corporea, come le immagini che si presentano nei sogni durante il sonno.

    «Essi credevano di vedere un fantasma»... «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi».

    Guardate, cioè: state attenti.

    Perché? Perché non è un sogno che vedete.

    Guardate le mie mani e i miei piedi, poiché, coi vostri poveri occhi, non potete ancora guardare il mio volto.

    Guardate le ferite della mia carne, poiché non vedete ancora le opere di Dio.

    Contemplate i segni lasciati dai miei nemici, poiché non percepite ancora le rivelazioni di Dio.

    Toccatemi, affinché le vostre mani vi diano la prova, poiché i vostri occhi sono ciechi fino a questo punto...

    Scoprite i fori delle mani, «frugate» nel costato, riaprite le ferite, poiché non posso rifiutare ai discepoli in vista della fede ciò che non ho rifiutato ai nemici per il supplizio.

    Toccate, toccate..., cercate fino alle ossa, per accertarvi della realtà della carne, e che le ferite ancora aperte confermino che sono io... Perché non credete che sono risorto, proprio io che ho ridato la vita a molti defunti sotto i vostri occhi? ...

    Quando ero appeso sulla croce, mi insultavano dicendo: «Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso.

    Scenda ora dalla croce e gli crederemo» (Mt 27,42).

    Cos'è più difficile, scendere dalla croce strappando i chiodi o risalire dagli inferi schiacciando la morte sotto i piedi? Ecco che ho salvato me stesso e, spezzando le catene dell'inferno, sono risalito al mondo di lassù.

    Me 8 Mag : Atti degli Apostoli 28,17-31.
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    Dopo tre giorni, egli convocò a sé i più in vista tra i Giudei e venuti che furono, disse loro: "Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo e contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato in mano dei Romani. Questi, dopo avermi interrogato, volevano rilasciarmi, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. Ma continuando i Giudei ad opporsi, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere con questo muovere accuse contro il mio popolo. Ecco perché vi ho chiamati, per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d'Israele che io sono legato da questa catena". Essi gli risposero: "Noi non abbiamo ricevuto nessuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi; di questa setta infatti sappiamo che trova dovunque opposizione". E fissatogli un giorno, vennero in molti da lui nel suo alloggio; egli dal mattino alla sera espose loro accuratamente, rendendo la sua testimonianza, il regno di Dio, cercando di convincerli riguardo a Gesù, in base alla Legge di Mosè e ai Profeti. Alcuni aderirono alle cose da lui dette, ma altri non vollero credere e se ne andavano discordi tra loro, mentre Paolo diceva questa sola frase: "Ha detto bene lo Spirito Santo, per bocca del profeta Isaia, ai nostri padri: Và da questo popolo e dì loro: Udrete con i vostri orecchi, ma non comprenderete; guarderete con i vostri occhi, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo si è indurito: e hanno ascoltato di mala voglia con gli orecchi; hanno chiuso i loro occhi per non vedere con gli occhi non ascoltare con gli orecchi, non comprendere nel loro cuore e non convertirsi, perché io li risani. Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani ed essi l'ascolteranno!". . Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.

    Me 8 Mag : Salmi 68(67),20a.21a.29-30.32-33.35ab.36c.
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    Benedetto il Signore sempre; ha cura di noi il Dio della salvezza. Il nostro Dio è un Dio che salva; il Signore Dio libera dalla morte. Dispiega, Dio, la tua potenza, conferma, Dio, quanto hai fatto per noi. Per il tuo tempio, in Gerusalemme, a te i re porteranno doni. Verranno i grandi dall'Egitto, l'Etiopia tenderà le mani a Dio. Regni della terra, cantate a Dio, cantate inni al Signore; Riconoscete a Dio la sua potenza, la sua maestà su Israele, la sua potenza sopra le nubi. Riconoscete a Dio la sua potenza, la sua maestà su Israele, la sua potenza sopra le nubi. Terribile sei, Dio, dal tuo santuario; il Dio d'Israele dà forza e vigore al suo popolo, sia benedetto Dio.

    Me 8 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 14,7-14.
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    Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre.

    Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

    Me 8 Mag : Sant'Ireneo di Lione
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    Avranno la vita coloro che vedono Dio, poiché ella è l'espressione dello splendore di Dio.

    E' questo il motivo per cui chi è inafferrabile, incomprensibile e invisibile si fa vedere, comprendere e raggiungere dagli uomini: dare la vita a coloro che lo incontrano e lo vedono.

    Infatti, se la sua grandezza è imperscrutabile, la sua bontà è pure inesprimibile, è grazie ad essa che egli si fa vedere e dona la vita a coloro che lo vedono.

    E' impossibile vivere senza la vita e non c'è vita che per partecipazione a Dio, partecipazione che consiste nel vedere Dio e gioire della sua bontà. Quindi gli uomini vedranno Dio per vivere, divenire immortali a questa vista ed arrivare a Dio.

    Ecco cosa era annunciato in modo figurato dai profeti, che Dio sarebbe stato visto dagli uomini che hanno il suo Spirito e attendono la sua venuta, secondo quanto dice Mosè nel deuteronomio: "In quel giorno vedremo Dio che parlerà con l'uomo e l'uomo resterà vivo" (cfr.

    Deut 5,24).

    (...) Chi opera tutto in tutti è invisibile e inesprimibile, quanto a potenza e grandezza, per tutti gli esseri fatti per mezzo di lui; tuttavia non è a loro completamente sconosciuto, poiché tutti comprendono attraverso il Verbo che c'è un solo Dio Padre che contiene ogni cosa e dà l'esistenza a tutti, come ha detto lo stesso Signore: "Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato." (Gv 1,18)

    Ma 7 Mag : Atti degli Apostoli 28,11-16.
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    Dopo tre mesi salpammo su una nave di Alessandria che aveva svernato nell'isola, recante l'insegna dei Diòscuri. Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio.

    Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l'indomani arrivammo a Pozzuoli. Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana.

    Partimmo quindi alla volta di Roma. I fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne.

    Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio. Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia.

    Ma 7 Mag : Salmi 148(147),1-2.11-14.
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    Alleluia.

    Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell'alto dei cieli. Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi tutte, sue schiere. I re della terra e i popoli tutti, i governanti e i giudici della terra, i giovani e le fanciulle, i vecchi insieme ai bambini lodino il nome del Signore: perché solo il suo nome è sublime, la sua gloria risplende sulla terra e nei cieli. Egli ha sollevato la potenza del suo popolo.

    È canto di lode per tutti i suoi fedeli, per i figli di Israele, popolo che egli ama.

    Alleluia.

    Ma 7 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 14,1-6.
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    «Non sia turbato il vostro cuore.

    Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti.

    Se no, ve l'avrei detto.

    Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita.

    Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

    Ma 7 Mag : Santa Caterina da Siena
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    La sovrana Bontà si manifesta in diversi modi e Cristo benedetto ha detto: "Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore" (Gv 14,2).

    Chi potrà dire la diversità dei mezzi, visite, doni e grazie si Dio, non solo nelle creature, ma in un'anima sola? Poiché, come sono varie le virtù, anche se tutte col segno della carità, il comportamento e le opere dei servi di Dio sono altrettanto diversi; non che chi ha perfettamente la virtù della carità non abbia anche tutte le altre, ma ognuno ne ha una che prevale sulle altre.

    Da ciò le diversità di vita.

    Chi ha soprattutto la carità trova la sua gioia ad esercitarla verso il prossimo; chi ha l'umiltà ricerca con passione la solitudine.

    Uno ama la giustizia, l'altro la libertà frutto di una fede viva che sembra nulla temere.

    Altri amano la penitenza e si danno alla mortificazione del corpo; altri s'impegnano ad annullare la propria volontà per una vera e perfetta obbedienza.

    Modi diversi, anche se tutti nella via della carità. I santi che gioiscono della vita eterna l'hanno tutti seguita, pur in diversi modi; infatti non ce n'è uno che assomigli all'altro.

    C'è la stessa diversità fra gli angeli, che non sono tutti uguali.

    Una delle gioie dell'anima nella vita eterna è anche vedere la grandezza di Dio nella varietà della ricompensa che dà ai suoi santi.


    Rito romano

    Da Evangelizo.org:

    Gi 9 Mag : Atti degli Apostoli 18,1-8.
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    In quei giorni, Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall'Italia con la moglie Priscilla, in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei.

    Paolo si recò da loro e poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì nella loro casa e lavorava.

    Erano infatti di mestiere fabbricatori di tende. Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere Giudei e Greci. Quando giunsero dalla Macedonia Sila e Timòteo, Paolo si dedicò tutto alla predicazione, affermando davanti ai Giudei che Gesù era il Cristo. Ma poiché essi gli si opponevano e bestemmiavano, scuotendosi le vesti, disse: "Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente; da ora in poi io andrò dai pagani". E andatosene di là, entrò nella casa di un tale chiamato Tizio Giusto, che onorava Dio, la cui abitazione era accanto alla sinagoga. Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e anche molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano e si facevano battezzare.

    Gi 9 Mag : Salmi 98(97),1.2-3ab.3cd-4.
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    Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto prodigi.

    Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo. Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia. Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa di Israele. Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio. Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia.

    Gi 9 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 16,16-20.
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    In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Ancora un poco e non mi vedrete; un po' ancora e mi vedrete». Dissero allora alcuni dei suoi discepoli tra loro: «Che cos'è questo che ci dice: Ancora un poco e non mi vedrete, e un po' ancora e mi vedrete, e questo: Perché vado al Padre?». Dicevano perciò: «Che cos'è mai questo "un poco" di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «Andate indagando tra voi perché ho detto: Ancora un poco e non mi vedrete e un po' ancora e mi vedrete? In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà.

    Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.»

    Gi 9 Mag : San Charles de Foucauld
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    "Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria.

    (...) Chi è mai questo re della gloria? Il Signore degli eserciti è il re della gloria" (Sal 24,7.10).

    Questi versetti si applicano benissimo all'ascensione di nostro Signore accolto in cielo dai cori degli angeli... Quanto sei buono, mio Dio a consolarci dalle tristezze della terra con la vista della tua beatitudine...

    Come primo dovere ci comandi di amarti...

    E se lo facciamo ne consegue immediatamente e necessariamente che siamo felicissimi infinitamente già da questo mondo.

    Partecipiamo già in qualche modo della felicità degli eletti, poiché come loro ci rallegriamo di ciò che fa la loro beatitudine, come loro siamo felici perché ti sappiamo felice...

    In verità noi non lo vediamo così chiaramente per loro, ma lo sappiamo senza dubitare (...). Quando siamo tristi, afflitti dai peccati nostri e altrui, dalle sofferenze fisiche o morali nostre o del prossimo, quando ci sentiamo scoraggiati, eleviamo il cuore, pensiamo che qualunque cosa ci capiti in questo mondo e nell'altro, qualsiasi cosa accada al mondo intero, il nostro unico bene è Gesù e Gesù è beato: è salito al cielo, siede alla destra del Padre e beato per l'eternità...

    Quando si ama, se colui che amiamo è felice, nulla ci manca...

    il nostro tutto è felice, è tutto ciò ci basta(...).

    Se lo amiamo, guardiamolo e ringraziamolo senza fine come gli angeli e come la Chiesa alla vista della sua gloria: "Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa"(...).

    Degnati, mio Dio, per la tua grande misericordia, di fare della vista della tua beatitudine il nostro sostegno quaggiù e la felicità eterna! Amen.

    Me 8 Mag : Atti degli Apostoli 17,15.22-34.18,1.
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    In quel tempo, quelli che scortavano Paolo lo accompagnarono fino ad Atene e se ne ripartirono con l'ordine per Sila e Timòteo di raggiungerlo al più presto. Allora Paolo, alzatosi in mezzo all'Areòpago, disse: "Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto.

    Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra.

    Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo. Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all'oro, all'argento e alla pietra, che porti l'impronta dell'arte e dell'immaginazione umana. Dopo esser passato sopra ai tempi dell'ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti". Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: "Ti sentiremo su questo un'altra volta". Così Paolo uscì da quella riunione. Ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell'Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro. Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto.

    Me 8 Mag : Salmi 148(147),1-2.11-12ab.12c-14a.14bcd.
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    Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell'alto dei cieli. Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi tutte, sue schiere. I re della terra e i popoli tutti, i governanti e i giudici della terra, i giovani e le fanciulle, i vecchi insieme ai bambini lodino il nome del Signore. Solo il suo nome è sublime, la sua gloria risplende sulla terra e nei cieli. Egli ha sollevato la potenza del suo popolo. È canto di lode per tutti i suoi fedeli, per i figli di Israele, popolo che egli ama. Alleluia.

    Me 8 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 16,12-15.
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    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà».

    Me 8 Mag : Santa Ildegarda di Bingen
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    La potenza divina contiene l'integralità della santità.

    Conforta in tutti i modi lo spirito interiore dell'uomo che si unisce a Dio.

    Fa gustare i doni mistici dello Spirito Santo a chi è sul punto di cadere nel torpore.

    Allora l'uomo si divincola dal torpore, si sveglia e tende con tutte le forze alla giustizia.

    Spesso quest'operazione è una lotta penosa per lo spirito poiché il corpo, pur costretto all'obbedienza dalla volontà divina, è appena capace di fare il bene.

    Troppo spesso cede ai desideri della carne, che è la sua dimora: perciò i doni di Dio si scontrano con la resistenza della volontà umana. Dio che mi ha creata, che è Signore e che ha ogni potere su di me, è la mia forza.

    Senza di lui sono incapace di qualsiasi bene, poiché è lui che mi comunica lo spirito di vita, sorgente della mia vita, del movimento che mi anima, ed è lui che mi orienta sulle vie che prendo: quando lo invoco in verità, come un cervo che desidera l'acqua viva, lui, Dio e Signore, si affretta a condurre i miei passi nei suoi comandamenti.

    Mi condurrà verso le vette che m'insegnano i suoi precetti, sottometterà i miei desideri terrestri con la sua forza vittoriosa ed io canterò senza fine le sue lodi nella beatitudine celeste.

    Ma 7 Mag : Atti degli Apostoli 16,22-34.
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    In quei giorni, la folla degli abitanti di Filippi insorse contro Paolo et Sila, mentre i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli e dopo averli caricati di colpi, li gettarono in prigione e ordinarono al carceriere di far buona guardia. Egli, ricevuto quest'ordine, li gettò nella cella più interna della prigione e strinse i loro piedi nei ceppi. Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli. D'improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito tutte le porte si aprirono e si sciolsero le catene di tutti. Il carceriere si svegliò e vedendo aperte le porte della prigione, tirò fuori la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. Ma Paolo gli gridò forte: "Non farti del male, siamo tutti qui". Quegli allora chiese un lume, si precipitò dentro e tremando si gettò ai piedi di Paolo e Sila; poi li condusse fuori e disse: "Signori, cosa devo fare per esser salvato?". Risposero: "Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia". E annunziarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa. Egli li prese allora in disparte a quella medesima ora della notte, ne lavò le piaghe e subito si fece battezzare con tutti i suoi; poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio.

    Ma 7 Mag : Salmi 138(137),1-2a.2bc-3.7c-8.
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    Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore: hai ascoltato le parole della mia bocca.

    A te voglio cantare davanti agli angeli, mi prostro verso il tuo tempio santo. Rendo grazie al tuo nome per la tua fedeltà e la tua misericordia. Nel giorno in cui t'ho invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza. La tua destra mi salva. Il Signore completerà per me l'opera sua.

    Signore, la tua bontà dura per sempre: non abbandonare l'opera delle tue mani.

    Ma 7 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 16,5-11.
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    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato».

    Ma 7 Mag : San [Padre] Pio da Pietrelcina
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    Vi prego, resti tranquillo e sia rassegnato in tutto.

    Gesù è con lei ed è contento di lei.

    Non smetto mai d'importunare il divin cuore in suo favore, affinché le dia ancora più grazie per sostenere e combattere il buon combattimento.

    Non dubiti, la vittoria verrà e sarà sua senza alcun dubbio. Non si affanni a cercare Dio fuori di lei, è con lei, è nella sua ricerca.

    La esorto ad agire in conformità alla volontà divina per tutta la durata di questa prova e ad imitare Isacco fra le mani di Abramo, a sperare con loro contro ogni speranza.

    Non tema, mio caro padre, e mi creda, le ho parlato da parte di Gesù.

    Coraggio, quindi, mio caro padre.

    Gesù è con lei e certamente le arriverà la vittoria.

    (...) La primavera non è più bella e sorprendente quando l'inverno è duro e tempestoso? Di grazia! Mio buon padre, dimentichi paure e lasci il medico divino agire anche da chirurgo.

    Viva tranquillo per quanto concerne il suo spirito.

    Continui a offrire al Signore il sacrificio della vita e di tutto quanto sopporta, e Gesù continuerà a regnare nel suo cuore, da vero sovrano quale è.

    E per renderla sempre più degno della gloria dei beati, offra a Dio tutto quanto sopporta cento volte e più al giorno.

    Sia a lui unito con volontà amorevole.


    Santa Marta

    Omelie di Papa Francesco da Santa Marta, via 'cosa resta del giorno':

    Lo Spirito Santo ci ricorda l’accesso al Padre (17 maggio 2020)

    Discorsi e omelie di Papa Francesco

    Udienza Generale dell'8 Mag 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 18. La speranza
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    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    18. La speranza

    Cari fratelli e sorelle!

    Nell’ultima catechesi abbiamo cominciato a riflettere sulle virtù teologali.

    Sono tre: fede, speranza e carità.

    La volta scorsa abbiamo riflettuto sulla fede, oggi tocca alla speranza.

    «La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.

    1817).

    Queste parole ci confermano che la speranza è la risposta offerta al nostro cuore, quando nasce in noi la domanda assoluta: “Che ne sarà di me? Qual è la meta del viaggio? Che ne è del destino del mondo?”.

    Tutti ci accorgiamo che una risposta negativa a queste domande produce tristezza.

    Se non c’è un senso al viaggio della vita, se all’inizio e alla fine c’è il nulla, allora ci domandiamo perché mai dovremmo camminare: da qui nasce la disperazione dell’uomo, la sensazione della inutilità di tutto.

    E molti potrebbero ribellarsi: mi sono sforzato di essere virtuoso, di essere prudente, giusto, forte, temperante.

    Sono stato anche un uomo o una donna di fede...

    A che cosa è servito il mio combattimento se tutto finisce qui?.

    Se manca la speranza, tutte le altre virtù rischiano di sgretolarsi e di finire in cenere.

    Se non esistesse un domani affidabile, un orizzonte luminoso, non resterebbe che concludere che la virtù sia una fatica inutile.

    «Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente», diceva Benedetto XVI (Lett.

    enc.

    Spe salvi, 2).

    Il cristiano ha speranza non per merito proprio.

    Se crede nel futuro è perché Cristo è morto e risorto e ci ha donato il suo Spirito.

    «La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente» (ivi, 1).

    In questo senso, ancora una volta, noi diciamo che la speranza è una virtù teologale: non promana da noi, non è una ostinazione di cui vogliamo autoconvincerci, ma è un regalo che viene direttamente da Dio.

    A tanti cristiani dubbiosi, che non erano completamente rinati alla speranza, l’apostolo Paolo pone davanti la logica nuova dell’esperienza cristiana: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.

    Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.

    Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (1 Cor 15,17-19).

    È come se dicesse: se credi nella risurrezione di Cristo, allora sai con certezza che nessuna sconfitta e nessuna morte è per sempre.

    Ma se non credi nella risurrezione di Cristo, allora tutto diventa vuoto, perfino la predicazione degli Apostoli.

    La speranza è una virtù contro cui pecchiamo spesso: nelle nostre cattive nostalgie, nelle nostre malinconie, quando pensiamo che le felicità del passato siano sepolte per sempre.

    Pecchiamo contro la speranza quando ci abbattiamo davanti ai nostri peccati, dimenticando che Dio è misericordioso ed è più grande del nostro cuore.

    Non dimentichiamo questo, fratelli e sorelle: Dio perdona tutto, Dio perdona sempre.

    Siamo noi a stancarci di chiedere perdono.

    Ma non dimentichiamo questa verità: Dio perdona tutto, Dio perdona sempre.

    Pecchiamo contro la speranza quando ci abbattiamo davanti ai nostri peccati; pecchiamo contro la speranza quando in noi l’autunno cancella la primavera; quando l’amore di Dio cessa di essere un fuoco eterno e non abbiamo il coraggio di prendere decisioni che ci impegnano per tutta la vita.

    Di questa virtù cristiana, il mondo oggi ha tanto bisogno! Il mondo ha bisogno della speranza, come ha tanto bisogno della pazienza, una virtù che cammina a stretto contatto con la speranza.

    Gli uomini pazienti sono tessitori di bene.

    Desiderano ostinatamente la pace, e anche se alcuni hanno fretta e vorrebbero tutto e subito, la pazienza ha la capacità dell’attesa.

    Anche quando intorno a sé molti hanno ceduto alla disillusione, chi è animato dalla speranza ed è paziente è in grado di attraversare le notti più buie.

    Speranza e pazienza vanno insieme.

    La speranza è la virtù di chi ha il cuore giovane; e qui non conta l’età anagrafica.

    Perché ci sono anche vecchi con gli occhi pieni di luce, che vivono una tensione permanente verso il futuro.

    Pensiamo a quei due grandi vecchi del Vangelo, Simeone e Anna: non si stancarono mai di attendere e videro l’ultimo tratto del loro cammino benedetto dall’incontro con il Messia, che riconobbero in Gesù, portato al Tempio dai suoi genitori.

    Che grazia se fosse così per tutti noi! Se dopo un lungo peregrinare, deponendo bisaccia e bastone, il nostro cuore si colmasse di una gioia mai provata prima e anche noi potessimo esclamare: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo / vada in pace, secondo la tua parola, / perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli: / luce per rivelarti alle genti / e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,29-32).

    Fratelli e sorelle, andiamo avanti e chiediamo la grazia di avere la speranza, la speranza con la pazienza.

    Sempre guardare a quell’incontro definitivo; sempre pensare che il Signore è vicino a noi, che mai, mai la morte sarà vittoriosa! Andiamo avanti e chiediamo al Signore ci dia questa grande virtù della speranza, accompagnata dalla pazienza.

    Grazie.

    _________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les personnes de langue française, particulièrement les pèlerins provenant des paroisses et des établissements scolaires de France, ainsi que ceux de l’Ile de la Réunion et du Sénégal.

    Face à l’avenir qui parfois peut sembler sombre, soyons des semeurs d’espérance et des tisseurs de bien, convaincus que la vie peut être vécue autrement et que la paix est possible.

    Que Dieu vous bénisse !

    [Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua francese, in particolare ai pellegrini provenienti dalle parrocchie e dagli Istituti scolastici di Francia, e a quelli dell'Isola della Riunione e del Senegal.

    Di fronte a un futuro che a volte può sembrare buio, cerchiamo di essere seminatori di speranza e tessitori di bene, convinti che la vita può essere vissuta in modo diverso e che la pace è possibile.

    Dio vi benedica!]

    I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially those from Cameroon, India, the Philippines and the United States of America.

    As we prepare to celebrate the Solemnity of the Ascension, I invoke upon you and your families the joy and peace of our Lord Jesus Christ, risen and ascended into heaven.

    May the Lord bless you all!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Camerun, India, Filippine e Stati Uniti d’America.

    Nell’imminenza della Solennità dell’Ascensione, invoco su voi e sulle vostre famiglie la gioia e la pace del Signore Gesú, risorto e salito al cielo! Il Signore vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern, das bevorstehende Hochfest Christi Himmelfahrt, ermutigt uns, unsere Blicke zum Himmel zu erheben, wo Christus zur Rechten des Vaters sitzt und für jeden von uns einen Platz vorbereitet hat.

    Leben wir also nach dem Evangelium und richten wir unseren Sinn auf das, was oben ist (vgl.

    Kol 3,2).

    [Cari fratelli e sorelle, l’imminente solennità dell’Ascensione ci esorta ad alzare i nostri sguardi verso il Cielo, dove Cristo siede alla destra del Padre e ha preparato un posto per ciascuno di noi.

    Viviamo dunque il Vangelo e rivolgiamo il pensiero alle cose di lassù (cfr.

    Col 3,2).]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.Que el Señor acrezca nuestra esperanza y nuestra paciencia, para ser artesanos de paz y de bien en el mundo que tiene mucha necesidad de la virtud.

    Hoy en mi patria, en Argentina, se celebra la solemnidad de Nuestra Señora de Luján, cuya imagen está aquí presente.

    Pidamos por Argentina, para que el Señor la ayude en su camino.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Saúdo cordialmente os peregrinos de língua portuguesa, em particular os fiéis de Ourinhos, e vos animo a procurar sempre o olhar de Nossa Senhora que conforta todos aqueles que estão na provação e mantém aberto o horizonte da esperança.

    Enquanto vos entrego, vós e as vossas famílias, à sua proteção, invoco sobre todos a Bênção de Deus.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua portoghese, in particolare i fedeli di Ourinhos; e li incoraggio a cercare sempre lo sguardo della Madonna che conforta quanti sono nella prova e tiene aperto l’orizzonte della speranza.

    Nell’affidare voi e le vostre famiglie alla sua protezione, invoco su tutti la Benedizione di Dio.]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    المَسِيحِيُّ يَجِدُ في الرَّجاءِ العزاءَ والأمانَ والثِّقَةَ باللهِ لِمُواجَهَةِ تَحَدِّياتِ الحياةِ بِشَجاعَة.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Il cristiano trova nella speranza consolazione, sicurezza e fiducia in Dio per affrontare con coraggio le sfide della vita.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie Polaków.

    Obchodzicie dziś uroczystość św.

    Stanisława, biskupa i męczennika, patrona waszej ojczyzny.

    Św.

    Jan Paweł II napisał o nim, że z wyżyn nieba uczestniczył w cierpieniach i nadziei waszego narodu, wspierając go w zmaganiach o przetrwanie szczególnie w czasie II wojny światowej.

    Niech również i dziś wstawiennictwo św.

    Stanisława wyjedna dar pokoju w Europie i na całym świecie, zwłaszcza na Ukrainie i Bliskim Wschodzie.

    Z serca wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i polacchi.

    Oggi celebrate la solennità di San Stanislao, Vescovo e Martire, patrono della vostra Patria.

    San Giovanni Paolo II scrisse di lui che dall’alto dei cieli partecipò alle sofferenze e alle speranze della vostra Nazione, sostenendone la sopravvivenza specialmente durante la seconda guerra mondiale.

    L’intercessione di San Stanislao ottenga anche oggi il dono della pace in Europa e in tutto il mondo, specialmente in Ucraina e in Medio Oriente.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto la Guardia di Finanza di L’Aquila, l’Associazione per l’Assistenza alle Forze Armate, il Centro di riabilitazione neuromotoria di Marcianise.

    Accolgo con affetto i gruppi di studenti, con un pensiero speciale per quelli dell’Istituto Caboto di Gaeta e dell’Istituto Marconi di Penne.

    Oggi la Chiesa eleva la preghiera della “Supplica” alla Madonna del Rosario di Pompei.

    Invito tutti ad invocare l’intercessione di Maria, affinché il Signore conceda pace al mondo intero, specialmente alla cara e martoriata Ucraina, alla Palestina, e a Israele, al Myanmar.

    Affido in particolare alla nostra Madre i giovani, gli ammalati, gli anziani e gli sposi novelli che oggi sono qui presenti, ed esorto tutti a valorizzare in questo mese di maggio la preghiera del santo Rosario.

    A tutti la mia benedizione!

    Al Card. Michael Czerny, con un gruppo di giovani imprenditori e lavoratori (8 Mag 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    In occasione di questo vostro incontro, sono lieto di dare il benvenuto a voi che siete partner dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, delle Conferenze Episcopali, delle Congregazioni religiose, delle organizzazioni di ispirazione cattolica e di altre confessioni, dei sindacati e di altri gruppi di base della società civile, impegnati nel progetto «Il futuro del lavoro: il lavoro dopo la Laudato si’».

    Negli ultimi sei anni avete portato avanti riflessioni, dialoghi e ricerche, proponendo modelli d’azione innovativi per un lavoro equo, giusto, dignitoso per tutte le persone del mondo.

    E ringrazio i Superiori del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale per aver incoraggiato questo impegno.

    Allo stesso modo, ringrazio la Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni, che si è adoperata per il coordinamento e la gestione del progetto.

    Grazie, grazie tante!

    Nei prossimi giorni il vostro raduno sarà incentrato sul tema “La cura è lavoro, il lavoro è cura”.

    Per costruire una comunità trasformativa globale.

    Ciò vi permetterà di passare a una seconda fase di questo progetto, impiegando il metodo del discernimento sociale comune.

    È necessario, infatti, mettere in comune tutte le nostre risorse personali e istituzionali, per avviare una lettura adeguata del contesto sociale in cui ci muoviamo, cercando di cogliere le potenzialità e, al contempo, di riconoscere in anticipo quei mali sistemici che possono diventare delle piaghe sociali.

    Avete individuato cinque tematiche che rivestono un’importanza cruciale per l’intera società.

    Vorrei ricordarle brevemente.

    Innanzitutto il lavoro dignitoso e le industrie estrattive.

    Come ho ricordato anche nell’Enciclica Laudato si’, le esportazioni di alcune materie prime al solo scopo di soddisfare i mercati del Nord industrializzato, non sono state esenti da conseguenze anche gravi, tra cui l’inquinamento da mercurio o da diossido di zolfo nelle miniere.

    È fondamentale che le condizioni del lavoro siano connesse con gli impatti ambientali, prestando molta attenzione ai possibili effetti in termini di salute fisica e mentale delle persone coinvolte, nonché di sicurezza. 

    Un secondo tema è il lavoro dignitoso e la sicurezza alimentare.

    Il Rapporto globale sulle crisi alimentari, pubblicato di recente, ha rilevato che, nel 2023, più di 280 milioni di persone in 59 Paesi e in diversi territori hanno sofferto livelli elevati di insicurezza alimentare acuta, che richiedono un intervento assistenziale urgente; senza dimenticare che in zone come Gaza e il Sudan, devastate dalla guerra, si trova il maggior numero di persone che stanno affrontando la carestia.I disastri naturali e le condizioni meteorologiche estreme, ora intensificate dal cambiamento climatico, oltre agli shock economici, sono altri importanti fattori che determinano l’insicurezza alimentare, legati a loro volta ad alcune vulnerabilità strutturali quali la povertà, l’elevata dipendenza dalle importazioni di prodotti alimentari e le infrastrutture precarie.

    Non dobbiamo dimenticare, poi, una terza questione che riguarda la relazione tra lavoro dignitoso e migrazione.

    Per molte ragioni, sono tante le persone che emigrano in cerca di lavoro, mentre altre sono costrette a farlo per fuggire dai loro Paesi di provenienza, spesso dilaniati dalla violenza e dalla povertà.

    Queste persone, anche a causa di pregiudizi e di una informazione imprecisa o ideologica, sono spesso viste come un problema e un aggravio per i costi di una Nazione, mentre essi in realtà, lavorando, contribuiscono allo sviluppo economico e sociale del Paese che li accoglie e di quello da cui provengono.

    E su questo vorrei sottolineare la poca natalità.

    Questi Paesi ricchi non fanno figli: tutti hanno un cagnolino, un gatto, tutti, ma non fanno figli.

    La denatalità è un problema, e la migrazione viene ad aiutare la crisi che provoca la denatalità.

    Questo è un problema molto grave.

    Tuttavia, molti migranti e lavoratori vulnerabili non sono ancora pienamente integrati nella pienezza dei diritti, sono cittadini “di seconda”, restando esclusi dall’accesso ai servizi sanitari, alle cure, all’assistenza, ai piani di protezione finanziaria e ai servizi psicosociali.

    Sempre in quest’ottica, è importante mettere a fuoco il rapporto tra lavoro dignitoso e giustizia sociale.

    Questa espressione, “giustizia sociale”, che è arrivata con le Encicliche sociali dei Papi, è una parola che non è accettata dall’economia liberale, dall’economia di punta.

    La giustizia sociale.

    In effetti, un rischio che corriamo nelle nostre attuali società è quello di accettare passivamente quanto accade attorno a noi, con una certa indifferenza oppure perché non siamo nelle condizioni di inquadrare problematiche spesso complesse e di trovare ad esse risposte adeguate.

    Ma ciò significa lasciar crescere le disuguaglianze sociali e le ingiustizie anche per quanto riguarda i rapporti di lavoro e i diritti fondamentali dei lavoratori.

    E questo non va bene!

    Infine, l’ultimo aspetto che avete considerato è quello del lavoro dignitoso connesso alla giusta transizione.

    Tenendo conto dell’interdipendenza tra lavoro e ambiente, si tratta di ripensare i tipi di lavoro che conviene promuovere in ordine alla cura della casa comune, specialmente sulla base delle fonti di energia che essi richiedono.

    Carissimi fratelli e sorelle, questi cinque aspetti rappresentano delle sfide importanti.

    Vi ringrazio perché le accogliete e le affrontate con passione e competenza.

    Il mondo ha bisogno di un rinnovato impegno, di un nuovo patto sociale che ci leghi insieme – generazioni più anziane e generazioni più giovani – per la cura del creato e per la solidarietà e la protezione reciproca all’interno della comunità umana.

    Dio benedica tutti voi e il vostro lavoro di questi giorni! E per favore, non dimenticatevi di pregare per me: questo lavoro non è facile! Grazie!

    Alle Guardie Svizzere Pontificie, in occasione del giuramento (6 Mag 2024)
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    Cari membri e familiari della Guardia Svizzera,
    illustri Autorità,
    cari fratelli e sorelle, cari bambini, buongiorno e benvenuti tutti!

    Saluto il Comandante, gli Ufficiali e tutti i membri della Guardia Svizzera Pontificia, insieme ai familiari venuti per la festa.

    Saluto con riconoscenza le Autorità civili e militari.

    Questo giorno giunge per me sempre atteso e gradito, perché mi offre l’occasione di esprimere pubblicamente il mio “grazie” per la presenza e il servizio della Guardia Svizzera.

    Prima di tutto per la presenza: una presenza che si distingue per la qualità, per lo stile gentile, attento, anzi scrupoloso.

    E naturalmente poi per il servizio quotidiano, sempre generoso e solerte.

    La mia gratitudine coinvolge con affetto anche le famiglie di questi giovani, perché, se sono qui, e se sono ben educati, lo si deve anzitutto all’ambiente in cui sono cresciuti.

    Vivo apprezzamento esprimo al Comandante, Signor Christoph Graf, e ai suoi collaboratori, tra i quali ringrazio in particolare il Cappellano, un bravo benedettino!

    Care Guardie, sono contento perché i vostri Superiori mi hanno riferito diversi aspetti positivi, che mi piace condividere in questo momento.

    Tra voi c’è un ottimo spirito di Corpo, un’atmosfera positiva e di rispetto in caserma, un comportamento cortese verso i Superiori e gli ospiti, nonostante periodi a volte anche lunghi di servizio intenso e faticoso, dovuti al fatto che siete numericamente un po’ al di sotto dell’effettivo.

    Dimostrate un alto livello di motivazione e di volontà di servire, e anche – questo mi rallegra molto – buoni rapporti tra di voi: fate escursioni insieme, trascorrete insieme i giorni di vacanza, uscite spesso in compagnia.

    E questo è molto bello!

    In effetti, la relazione è l’esperienza-chiave per noi cristiani: Gesù ci ha rivelato e testimoniato che Dio è amore, è in Sé stesso relazione, e in questo mistero troviamo la meta e il compimento della nostra esistenza.

    Le buone relazioni sono la strada maestra per la nostra crescita e maturazione umana e cristiana.

    Gran parte di ciò che caratterizza la nostra personalità lo abbiamo appreso attraverso le relazioni con i genitori, i fratelli e le sorelle, i compagni di scuola, gli insegnanti, gli amici, i colleghi di lavoro, e così via.

    Ecco perché la vita nella famiglia allargata della Guardia Svizzera, per almeno due anni di servizio, è un tempo così importante e formativo per voi.

    Non si tratta solo di un periodo di lavoro, ma di un tempo di vita e di relazione, di comunione intensa in una compagnia diversificata.

    Questa diversità e intensità di comunità e relazioni tra di voi nel vostro ambiente quotidiano della caserma costituisce per voi un aspetto essenziale e qualificante.

    In questa prospettiva, la nuova caserma, attualmente in fase di progettazione, dovrebbe dare un importante contributo al ricongiungimento delle Guardie e delle loro famiglie, che attualmente sono costrette a vivere un po’ disperse per mancanza di spazio, e così anche al sostegno e al rafforzamento di questo legame e del senso di famiglia all’interno del Corpo.

    Sempre a proposito della dimensione relazionale, vi esorto a coltivare attivamente la vita comunitaria.

    Oggi è diffusa tra i giovani l’abitudine di trascorrere il tempo libero da soli con il computer o il telefonino.

    Pertanto dico anche a voi, giovani Guardie: andate controcorrente! Per favore, andate controcorrente! È meglio utilizzare il tempo libero per attività comuni, per conoscere Roma, per momenti di fraternità in cui raccontarsi e condividere, per lo sport...

    Queste esperienze costruiscono dentro e vi accompagneranno per tutta la vita.

    Carissimi, vi auguro una buona festa e vi affido alla protezione della Vergine Maria e dei vostri Santi patroni.

    So che pregate per me, lo so: vi ringrazio tanto e vi chiedo per favore di continuare a farlo.

    Grazie a tutti voi!

    Regina Caeli, 5 Mag 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi il Vangelo ci parla di Gesù che dice agli Apostoli: “Non vi chiamo più servi, ma amici” (cfr Gv 15,15).

    Cosa significa questo?

    Nella Bibbia i “servi” di Dio sono persone speciali, a cui Egli affida missioni importanti, come ad esempio Mosè (cfr Es 14,31), il re Davide (cfr 2 Sam 7,8), il profeta Elia (cfr 1 Re 18,36), fino alla Vergine Maria (cfr Lc 1,38).

    Sono persone nelle cui mani Dio pone i suoi tesori (cfr Mt 25,21).

          Ma tutto questo non basta, secondo Gesù, per dire chi siamo noi per Lui, non basta, ci vuole di più, qualcosa di più grande, che va al di là dei beni e degli stessi progetti: ci vuole l’amicizia.

    Fin da bambini impariamo quanto è bella questa esperienza: agli amici offriamo i nostri giocattoli e i doni più belli; poi crescendo, da adolescenti, confidiamo loro i primi segreti; da giovani offriamo lealtà; da adulti condividiamo soddisfazioni e preoccupazioni; da vecchi condividiamo i ricordi, le considerazioni e i silenzi di lunghe giornate.

    La Parola di Dio, nel Libro dei Proverbi, ci dice che «profumo e incenso allietano il cuore e il consiglio dell’amico addolcisce l’animo» (27,9).

    Pensiamo un momento ai nostri amici, alle nostre amiche, e ringraziamone il Signore! Uno spazio per pensare a loro…

    L’amicizia non è frutto di calcolo, e neanche di costrizione: nasce spontaneamente quando riconosciamo nell’altro qualcosa di noi.

    E, se è vera, l’amicizia è tanto forte che non viene meno neanche di fronte al tradimento.

    «Un amico vuol bene sempre» (Pr 17,17) – afferma ancora il Libro dei Proverbi –, come ci mostra Gesù quando a Giuda, che lo tradisce con un bacio, dice: «Amico, per questo sei qui!» (Mt 26,50).

    Un vero amico non ti abbandona, nemmeno quando sbagli: ti corregge, magari ti rimprovera, ma ti perdona e non ti abbandona.

    E oggi Gesù, nel Vangelo, ci dice che noi per Lui siamo proprio questo, amici: persone care al di là di ogni merito e di ogni attesa, alle quali tende la mano e offre il suo amore, la sua Grazia, la sua Parola; con le quali – con noi, amici – condivide quello che ha di più caro, tutto quello che ha udito dal Padre (cfr Gv 15,15).

    Fino a farsi fragile per noi, a mettersi nelle nostre mani senza difese e senza pretese, perché ci vuole bene.

    Il Signore ci vuole bene, come amico vuole il nostro bene e ci vuole partecipi del suo.

    E allora chiediamoci: che volto ha per me il Signore? Il volto di un amico o di un estraneo? Mi sento amato da Lui come una persona cara? E qual è il volto di Gesù che testimonio agli altri, specialmente a quelli che sbagliano e hanno bisogno di perdono?

    Maria ci aiuti a crescere nell’amicizia col suo Figlio e a diffonderla attorno a noi.
    ___________________

    DOPO REGINA CAELI

    Cari fratelli e sorelle!

    Invio con tanto affetto i miei auguri ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Ortodosse e di alcune Chiese Cattoliche Orientali che oggi, secondo il calendario giuliano, celebrano la Santa Pasqua.

    Il Signore risorto colmi di gioia e di pace tutte le comunità, e conforti quelle che sono nella prova.

    A loro, Buona Pasqua!

    Assicuro la mia preghiera per le popolazioni dello Stato di Rio Grande do Sul, in Brasile, colpite da grandi inondazioni.

    Il Signore accolga i defunti e conforti i familiari e quanti hanno dovuto lasciare le loro case.

    Saluto i fedeli di Roma e di diverse parti d’Italia e del mondo, in particolare i pellegrini provenienti dal Texas, dall’arcidiocesi di Chicago e da Berlino; gli studenti della Scuola Saint-Jean de Passy di Parigi e il gruppo Human Life International.

    Saluto i giovani di Certaldo e Lainate; i fedeli di Ancona e Rossano Cariati; i ragazzi della Cresima di Cassano D’Adda, dell’Unità pastorale del Tesino e della parrocchia S.

    Maria del Rosario in Roma.

    E saluto e ringrazio tanto le bande musicali di varie parti d’Italia: grazie a voi, che avete suonato tanto bene, e spero che continuate a suonare un po’.

    Grazie! Saluto il gruppo “Francigeni Monteviale”; come pure i cittadini di Livorno e Collesalvetti, che da tempo attendono la bonifica dei territori più inquinati, preghiamo per loro.

    Un saluto caloroso rivolgo alle nuove Guardie Svizzere e ai loro familiari, in occasione della festa di questo storico e benemerito Corpo.

    Un applauso alle Guardie Svizzere!

    Accolgo con piacere l’Associazione “Meter”, impegnata nel contrasto ad ogni forma di abuso sui minori.

    Grazie, grazie per il vostro impegno! E continuate con coraggio la vostra importante attività.

    E per favore, continuiamo a pregare per la martoriata Ucraina – soffre tanto! – e anche per Palestina e Israele, che ci sia la pace, affinché il dialogo si rafforzi e porti buoni frutti.

    No alla guerra, sì al dialogo!

    Auguro a tutti una buona domenica.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Saluto i ragazzi dell’Immacolata, così bravi.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Ai partecipanti al Colloquio Internazionale "Réparer l'irréparable" (4 Mag 2024)
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    Cari fratelli e sorelle!

    Sono contento di accogliervi e vi do il mio cordiale benvenuto.

    Ringrazio Monsignor Benoit Rivière e Padre Louis Dupont per aver preso l’iniziativa di questo incontro, nel quadro della celebrazione del 350° anniversario delle apparizioni di Gesù a Santa Margherita Maria.

    La riparazione è un concetto che troviamo spesso nelle Sacre Scritture.

    Nell’Antico Testamento essa assume una dimensione sociale di compensazione del male commesso.

    È il caso della legge mosaica che prevedeva la restituzione di ciò che era stato rubato o la riparazione del danno causato (cfr Es 22,1-15; Lv 6,1-7).

    Si trattava di un atto di giustizia volto a salvaguardare la vita sociale.

    Nel Nuovo Testamento, invece, essa si configura come un processo spirituale, nel quadro della redenzione operata da Cristo.

    La riparazione si manifesta pienamente nel sacrificio della Croce.

    La novità qui è che essa rivela la misericordia del Signore verso il peccatore.

    La riparazione contribuisce quindi alla riconciliazione degli uomini tra loro, ma anche alla riconciliazione con Dio, perché il male commesso contro il prossimo è anche un’offesa a Dio.

    Come dice Ben Sirac il Saggio, “le lacrime della vedova non scendono forse sulle guance di Dio?” (cfr Sir 35,18).

    Cari amici, quante lacrime scendono ancora sulle guance di Dio, mentre il nostro mondo sperimenta tanti abusi contro la dignità della persona, anche all’interno del Popolo di Dio!

    Il titolo del vostro convegno mette insieme due espressioni opposte: “Riparare l’irreparabile”.

    In questo modo ci invita a sperare che ogni ferita possa essere guarita, anche se è profonda.

    La riparazione completa a volte sembra impossibile, quando beni o persone care vengono persi definitivamente o quando certe situazioni sono diventate irreversibili.

    Ma l’intenzione di riparare e di farlo concretamente è essenziale per il processo di riconciliazione e il ritorno della pace nel cuore.

    La riparazione, per essere cristiana, per toccare il cuore della persona offesa e non essere un semplice atto di giustizia commutativa, presuppone due atteggiamenti impegnativi: riconoscersi colpevole e chiedere perdono.

    Riconoscersi colpevole.

    Qualsiasi riparazione, umana o spirituale, inizia con il riconoscimento del proprio peccato.

    «Accusarsi fa parte della saggezza cristiana, questo piace al Signore, perché il Signore accoglie il cuore contrito» (Omelia nella Messa a S.

    Marta, 6 marzo 2018).

    È da questo onesto riconoscimento del male arrecato al fratello, e dal sentimento profondo e sincero che l’amore è stato ferito, che nasce il desiderio di riparare.

    Chiedere perdono.

    È la confessione del male commesso, sull’esempio del figlio prodigo che dice al Padre: «Ho peccato contro il cielo e contro di te» (Lc 15,21).

    Chiedere perdono riapre il dialogo e manifesta la volontà di ristabilire il legame nella carità fraterna.

    E la riparazione – anche un inizio di riparazione o già semplicemente la volontà di riparare – garantisce l’autenticità della richiesta di perdono, manifesta la sua profondità, la sua sincerità, tocca il cuore del fratello, lo consola e suscita in lui l’accoglienza del perdono richiesto.

    Quindi, se l’irreparabile non può essere completamente riparato, l’amore può sempre rinascere, rendendo sopportabile la ferita.

    Gesù chiese a Santa Margherita Maria atti di riparazione per le offese causate dai peccati degli uomini.

    Se questi atti hanno consolato il suo cuore, ciò significa che la riparazione può consolare anche il cuore di ogni persona ferita.

    Possano i lavori del vostro convegno rinnovare e approfondire il significato di questa bella pratica della riparazione al Sacro Cuore di Gesù, pratica che oggi può essere un po’ dimenticata o a torto giudicata desueta.

    E possano anche contribuire a valorizzarne il giusto posto nel cammino penitenziale di ciascun battezzato nella Chiesa.

    Prego perché il vostro Giubileo del Sacro Cuore susciti in tanti pellegrini un più grande amore di gratitudine verso Gesù, un più grande affetto; e perché il santuario di Paray-le-Monial sia sempre luogo di consolazione e di misericordia per ogni persona in cerca di pace interiore.

    Vi do la mia Benedizione.

    E vi chiedo, per favore, di pregare per me.

    Grazie!

    Al Coro della Basilica di Amsterdam (4 Mag 2024)
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    Cari fratelli e sorelle!

    Un caloroso benvenuto a voi, pellegrini d Amsterdam: al Vescovo  Mons.

    Hendriks, a Sua Eccellenza il Signor Ed Nijpels, ai membri della Fondazione cattolica per la promozione dell’assistenza sociale di Amsterdam, alla famiglia Russel, al Rettore e al Coro della basilica di San Nicola e a tutti voi.

    L’occasione della vostra visita è il 750° anniversario della città di Amsterdam, le cui celebrazioni inizieranno quest’anno.

    Le origini e lo sviluppo di questa città sono legati anche alla fede e alla Chiesa cattolica.

    Un momento chiave della sua storia è il miracolo eucaristico avvenuto nel 1345 e ricordato ancora oggi con una processione silenziosa e l’adorazione del Santissimo Sacramento.

    Nello stesso tempo, Amsterdam è una città in cui molte persone lavorano per i poveri e per i migranti, collaborando con l’opera delle Suore di Madre Teresa, con la pastorale per i tossicodipendenti, con la comunità di Sant’Egidio e con tante altre iniziative.

    Amsterdam è una città abitata da persone di molte nazionalità, chiamate a vivere insieme come fratelli e sorelle.

    Le chiese, in particolare, sono luoghi in cui si riuniscono persone di ogni condizione sociale e culturale.

    Vi ringrazio, vi ringrazio tanto per il vostro impegno in tal senso!

    Auguro a tutti voi che possiate vivere e lavorare nella vostra bella città con la benedizione di Dio; che possiate testimoniare con gioia la fede e l’amore concreto per il prossimo, animati e sostenuti dall’Eucaristia; e che il vostro impegno continui a promuovere la fratellanza e la solidarietà tra gli abitanti di Amsterdam.

    La Vergine Maria, madre di tutti gli uomini, vi custodisca nella fede, nella speranza e nella carità.

    Vi benedico di cuore e vi accompagno con i miei migliori auguri.

    E per favore, vi chiedo di pregare per me.

    Grazie!

    Alle coppie responsabili delle Équipes Notre-Dame (4 Mag 2024)
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    Cari fratelli e sorelle! 

    Sono lieto di incontrare voi responsabili internazionali del Movimento Équipes Notre-Dame.

    Grazie di essere venuti e soprattutto grazie per il vostro impegno per le famiglie.

    Siete un movimento in espansione: migliaia di équipes sparse in tutto il mondo, tante famiglie che cercano di vivere il matrimonio cristiano come un dono.

    La famiglia cristiana sta attraversando in questo cambiamento d’epoca una vera e propria “tempesta culturale” e si trova minacciata e tentata su vari fronti.

    Il vostro lavoro, perciò, è prezioso per la Chiesa.

    Voi accompagnate da vicino gli sposi perché non si sentano soli nelle difficoltà della vita e nella loro relazione coniugale.

    In questo modo siete espressione della Chiesa “in uscita”, che si fa vicina alle situazioni e ai problemi della gente e si spende senza riserve per il bene delle famiglie di oggi e di domani.

    È una vera missione oggi accompagnare gli sposi! Custodire il matrimonio, infatti, significa custodire una famiglia intera, significa salvare tutte le relazioni che dal matrimonio sono generate: l’amore tra gli sposi, tra genitori e figli, tra nonni e nipoti; significa salvare quella testimonianza di un amore possibile e per sempre, nel quale i giovani faticano a credere.

    I bambini, infatti, hanno bisogno di ricevere dai genitori la certezza che Dio li ha creati per amore, e che un giorno anche loro potranno amare e sentirsi amati come hanno fatto mamma e papà.

    Siate certi che il seme dell’amore, deposto nel loro cuore dai genitori, prima o poi germoglierà.

    Vedo una grande urgenza oggi: aiutare i giovani a scoprire che il matrimonio cristiano è una vocazione, una chiamata specifica che Dio rivolge a un uomo e a una donna perché possano realizzarsi in pienezza facendosi generativi, diventando padre e madre, e portando la Grazia del loro Sacramento nel mondo.

    Questa Grazia è l’amore di Cristo unito a quello degli sposi, la sua presenza tra loro, è la fedeltà di Dio al loro amore: è Lui che dà loro la forza di crescere insieme ogni giorno e di rimanere uniti.

    Oggi si pensa che la buona riuscita di un matrimonio dipenda solo dalla forza di volontà delle persone.

    Non è così.

    Se fosse così sarebbe un peso, un giogo posto sulle spalle di due povere creature.

    Il matrimonio invece è un “passo a tre”, in cui la presenza di Cristo tra gli sposi rende possibile il cammino, e il giogo si trasforma in un gioco di sguardi: sguardo tra i due sposi, sguardo tra gli sposi e Cristo.

    È una partita che dura tutta la vita, in cui si vince insieme se ci si prende cura della propria relazione, se la si custodisce come un tesoro prezioso, aiutandosi a vicenda ad attraversare ogni giorno, anche nella vita coniugale, quella porta di accesso che è Cristo.

    L’ha detto Lui: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato» (Gv 10,9).

    E parlando di sguardi, una volta, in un’Udienza generale, c’era una coppia, sposati da 60 anni, lei ne aveva 18 quando si era sposata e lui 21.

    Avevano quindi 78 e 81 anni.

    E io ho domandato: “E adesso, continuate ad amarvi?”.

    E loro si sono guardati e poi sono venuti da me, con le lacrime negli occhi: “Ancora ci amiamo!”.

    Bello!

    Per questo, vorrei lasciarvi due brevi riflessioni: la prima riguarda le coppie appena sposate.

    Abbiate cura di loro! È importante che i neo-sposi possano sperimentare una mistagogia nuziale, che li aiuti a vivere la bellezza del loro Sacramento e una spiritualità di coppia.

    Nei primi anni di matrimonio, è necessario soprattutto scoprire la fede all’interno della coppia, assaporarla, gustarla imparando a pregare insieme.

    Tanti oggi si sposano senza capire cosa c’entri la fede con la loro vita coniugale, forse perché nessuno glielo ha testimoniato prima del matrimonio.

    Vi invito ad aiutarli con un percorso “catecumenale” – diciamo così – di riscoperta della fede, sia personale che di coppia, perché fin da subito imparino a fare spazio a Gesù e, con Lui, riescano a prendersi cura del loro matrimonio.

    Il vostro lavoro accanto ai sacerdoti, in questo senso, è prezioso; potete fare molto nelle parrocchie e nelle comunità, aprendovi ad accogliere le famiglie più giovani.

    Dobbiamo ripartire dalle nuove generazioni per fecondare la Chiesa: generare tante piccole Chiese domestiche in cui si vive uno stile di vita cristiano, dove ci si sente familiari con Gesù, dove si impara ad ascoltare chi ci sta accanto come ci ascolta Gesù.

    Voi potete essere come fiammelle che accendono alla fede altre fiammelle, soprattutto tra le coppie più giovani: non lasciate che accumulino sofferenze e ferite nella solitudine delle loro case.

    Aiutatele a scoprire l’ossigeno della fede con delicatezza, con pazienza e fiducia nell’azione dello Spirito Santo.

    La seconda riflessione è sull’importanza della corresponsabilità tra sposi e sacerdoti all’interno del vostro movimento.

    Avete compreso e vivete concretamente la complementarità delle due vocazioni: vi incoraggio a portarla nelle parrocchie, così che laici e sacerdoti ne scoprano la ricchezza e la necessità.

    Questo aiuta a superare quel clericalismo che rende poco feconda la Chiesa – state attenti con il clericalismo! –; e questo aiuterà anche gli sposi a scoprire che, con il matrimonio, sono chiamati a una missione.

    Anch’essi, infatti, hanno il dono e la responsabilità di costruire, insieme ai ministri ordinati, la comunità ecclesiale.

    Senza comunità cristiane, le famiglie si sentono sole e la solitudine fa tanto male! Con il vostro carisma, potete farvi soccorritori attenti nei confronti di chi ha bisogno, di chi è solo, di chi ha problemi in famiglia e non sa con chi parlarne perché si vergogna o ha perso la speranza.

    Nelle vostre diocesi, potete far comprendere alle famiglie l’importanza di aiutarsi a vicenda e di fare rete; costruire comunità dove Cristo possa “abitare” nelle case e nelle relazioni familiari.

    Cari fratelli e sorelle, a luglio prossimo avrete il vostro Raduno internazionale a Torino.

    Nel mezzo del cammino sinodale che stiamo vivendo, sia anche per voi un tempo di ascolto dello Spirito e di progettazione feconda per il Regno di Dio.

    Affidiamo la vostra missione e tutte le vostre famiglie alla Vergine Maria, perché vi protegga, vi custodisca saldi in Cristo e vi renda sempre testimoni del suo amore.

    In quest’anno dedicato alla preghiera, possiate far scoprire e riscoprire il gusto di pregare, pregare insieme a casa, con semplicità e nella vita quotidiana.

    Questa volta non dirò niente sulle suocere, perché ce ne sono qui! Vi benedico di cuore.

    E vi chiedo per favore di pregare per me.

    Grazie!

    Ai membri della Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale (CONFAP) (3 Mag 2024)
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    Signor Ministro dell’Istruzione, Signor Valditara,
    cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Do il benvenuto a tutti e saluto in particolare il Presidente della CONFAP, i formatori, gli educatori e i giovani presenti, tutti voi che siete parte attiva degli Enti di formazione professionale.

    La vostra Confederazione compie 50 anni, mentre ricordiamo anche il 25° dell’Associazione Forma FP.

    E vorrei dirvi subito “grazie”, grazie perché il vostro servizio, ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, è un contributo di vitale importanza per la società in cui viviamo.

    Col vostro impegno quotidiano, voi siete espressione della ricca e variegata spiritualità di diversi Istituti Religiosi, che hanno nel loro carisma il servizio ai giovani attraverso la formazione professionale.

    Si tratta di percorsi formativi all’avanguardia, che vantano un’alta qualità di metodologie, esperienze di laboratorio e possibilità didattiche, tanto da costituire un fiore all’occhiello nel panorama della formazione al lavoro.

    E, cosa ancora più importante, la vostra proposta formativa è integrale, perché oltre alla qualità degli strumenti e della didattica, riservate una cura e un’attenzione speciali soprattutto verso i giovani che si trovano ai margini della vita sociale ed ecclesiale.

    Grazie per quello che fate; grazie ai formatori che si dedicano con passione ai giovani.

    E con questo spirito di gratitudine, vorrei offrirvi alcune riflessioni intorno alle tre parole che caratterizzano il vostro impegno: giovani, formazione, professione.

    Innanzitutto, giovani – siete tanti qui! –.

    Sono una delle categorie più fragili del nostro tempo.

    I giovani, sempre colmi di talenti e di potenzialità, sono anche particolarmente vulnerabili, sia per alcune condizioni antropologiche che per diversi aspetti culturali del tempo in cui viviamo.

    Alludo non solo ai NEET che non sono né in formazione né in attività, ma ad alcune scelte sociali che li espongono ai venti della dispersione e del degrado.

    Molti giovani, infatti, abbandonano i loro territori di origine per cercare occupazione altrove, spesso non trovando opportunità all’altezza dei loro sogni; alcuni, poi, intendono lavorare ma si devono accontentare di contratti precari e sottopagati; altri ancora, in questo contesto di fragilità sociale e di sfruttamento, vivono nell’insoddisfazione e si dimettono dal lavoro.

    Dinanzi a queste e ad altre situazioni simili, tutti noi dobbiamo prendere consapevolezza di una cosa: l’abbandono educativo e formativo è una tragedia! Sentite bene, è una tragedia.

    E, se occorre promuovere una legislazione che favorisca il riconoscimento sociale dei giovani, ancora più importante è costruire un ricambio generazionale dove le competenze di chi è in uscita siano al servizio di chi entra nel mercato del lavoro.

    In altre parole, gli adulti condividano i sogni e i desideri dei giovani, li introducano, li sostengano, li incoraggino senza giudicarli.

    A questo proposito, vorrei dire a voi, che con creatività spendete in questo campo il vostro essere cristiani: non perdete di vista nessuno, siate attenti ai giovani, abbiate cura di quelli che non hanno avuto opportunità o che provengono da situazioni sociali svantaggiate.

    Non tutti hanno ricevuto il supporto indispensabile della famiglia e della comunità cristiana e noi siamo chiamati a farcene carico, perché nessuno di loro può essere messo alla porta, soprattutto i più poveri ed emarginati, che rischiano gravi forme di esclusione, compresi i migranti.

    Chi si sente scartato può finire in forme di disagio sociale umanamente degradanti, e questo non dobbiamo accettarlo!

    La seconda parola è formazione, che indica un impegno indispensabile per generare futuro.

    Le trasformazioni del lavoro sono sempre più complesse, anche a motivo delle nuove tecnologie e degli sviluppi dell’intelligenza artificiale.

    E qui siamo chiamati a respingere due tentazioni: da un lato la tecnofobia, cioè la paura della tecnologia che porta a rifiutarla; dall’altro lato la tecnocrazia, cioè l’illusione che la tecnologia possa risolvere tutti i problemi.

    Si tratta invece di investire risorse ed energie, perché la trasformazione del lavoro esige una formazione continua, creativa e sempre aggiornata.

    E nello stesso tempo occorre anche impegnarsi a ridare dignità ad alcuni lavori, soprattutto manuali, che sono ancora oggi socialmente poco riconosciuti.

    Una valida formazione professionale è un antidoto alla dispersione scolastica e una risposta alla domanda di lavoro in diversi settori dell’economia.

    Ma – voi me lo insegnate – una buona formazione professionale non si improvvisa.

    Serve un legame con le famiglie, come in ogni tipo di esperienza educativa; e serve un sano ed efficace rapporto con le imprese, disposte a inserire giovani al proprio interno.

    Questi per voi sono i due poli di riferimento, perché insieme alle competenze tecniche sono importanti le virtù umane: una tecnica senza umanità diventa ambigua, rischiosa e non è veramente umana, non è veramente formativa.

    La formazione deve offrire ai giovani strumenti per discernere tra le offerte di lavoro e le forme di sfruttamento.

    La prima parola “giovani”.

    La seconda parola “formazione”.

    La terza parola professione.

    Giovani, formazione e professione.

    La professione ci definisce.

    “Che lavoro fai?”, si chiede a una persona per conoscerla.

    “Come ti chiami? Che lavoro fai?”: presentiamo gli altri attraverso il loro lavoro.

    È stato così anche per Gesù, riconosciuto come il «figlio del falegname» (Mt 13,55) o semplicemente come «il falegname» (Mc 6,3).

    Il lavoro è un aspetto fondamentale della nostra vita e della nostra vocazione.

    Eppure, oggi assistiamo a un degrado del senso del lavoro, che viene sempre più interpretato in relazione al guadagno piuttosto che come espressione della propria dignità e apporto al bene comune.

    Pertanto, è importante che i percorsi di formazione siano al servizio della crescita globale della persona, nelle sue dimensioni spirituale, culturale, lavorativa.

    «Quando uno scopre che Dio lo chiama a qualcosa, che è fatto per questo – può essere l’infermieristica, la falegnameria, la comunicazione, l’ingegneria, l’insegnamento, l’arte o qualsiasi altro lavoro – allora sarà capace di far sbocciare le sue migliori capacità di sacrificio, generosità e dedizione.

    Sapere che non si fanno le cose tanto per farle, ma con un significato, […] fa sì che queste attività offrano al proprio cuore un’esperienza speciale di pienezza» (Esort.

    ap.

    postsin.

    Christus vivit, 273).

    Tre parole: giovani, formazione, professione.

    Non dimenticatele! Vi incoraggio a continuare ad avere a cuore i giovani, la formazione e la professione.

    E vi ringrazio, perché attraverso la vostra creatività dimostrate che è possibile coniugare il lavoro e la vocazione della persona.

    Perché una buona formazione professionale abilita a compiere un lavoro e, nel contempo, a scoprire il senso del proprio essere al mondo e nella società.

    Vi accompagno con la preghiera.

    Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie.

    E vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Ai Membri della Fondazione Blanquerna, dell’Arcidiocesi Metropolitana di Barcelona (Spagna) (3 Mag 2024)
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    Caro fratello,
    cari amici
    ,

    Sono contento di salutarvi di nuovo, alcuni di voi sono già stati qui per l’incontro con la Federazione delle Università Cattoliche, conoscono già la strada, sono quasi di casa.  Ha richiamato molto la mia attenzione il nome: Blanquerna, l’illustre personaggio letterario di cui si serve il beato Ramón Llull per fare una precisa descrizione della società del suo tempo.

    Al tempo stesso il filosofo cerca di dare, in forma pedagogica, alcuni modelli di vita cristiana che possano servire a qualsiasi persona per seguire Cristo, ovunque Egli la chiami.

    E tutto questo è come una lezione di una attualità sorprendente, perché ci parla di un linguaggio nuovo e accessibile, di un modo di comunicare forse inusuale per l’epoca, ma gradevole e chiaro per i suoi contemporanei.

    Una pedagogia che si allontana dagli eroi fantastici che cercano di farci evadere dalla nostra realtà, come erano allora i personaggi cavallereschi, e, al contrario, ci propone modelli di vita semplici, e modelli di vita naturali, nei quali poter servire il Signore ed essere felici.

    Quanto dolore e frustrazione provocano oggi, persino più che ai tempi del beato, gli stereotipi irraggiungibili che i mercati e i gruppi di pressione pretendono di imporci.

    Che grande compito far scoprire ai giovani il progetto di Dio per ognuno di loro.

    La vostra fondazione, e l’intera Università Ramón Llull, assumendo questo nome, ha accettato questo entusiasmante compito.

    In primo luogo, lavorando per ridare alla famiglia la sua vocazione primigenia nella società, sull’esempio dei genitori del nostro protagonista.

    Poi offrendo ai giovani diversi cammini di vita, che, come le tappe che il nostro personaggio completa, li aiutino a superare le sfide che la vita presenta loro.

    Anche creando la certezza che i passi dell’eroe cristiano non sono segnati dall’ansia di carrierismo, ma sono una risposta a una chiamata.

    Il carrierismo reca tanto danno, tanto danno, perché non è comunitario, è individualista, e questo reca danno.

    Presentando con coraggio che l’essere richiesti per incarichi di sempre maggiore responsabilità deve essere il risultato di un’eccellenza nel servizio finora svolto.

    E, soprattutto, insegnando loro che, una volta portato a termine il proprio compito, come il nostro protagonista, anche se si è giunti al Supremo Pontificato, il cristiano, deve tendere all’incontro con il Signore, alla dedizione piena al servizio divino.

    Ossia, alla base c’è sempre il battesimo che ti ha fatto cristiano e, ovunque tu sia, sei un battezzato, sei una battezzata che deve rispondere da lì e non dai gradini che uno può scalare nella vita.

    È questa l’idea che vorrei che portaste con voi al ritorno alla vostra Università e agli altri progetti educativi che promuovete.

    Formare, sì, con un linguaggio attuale, moderno, agile, pedagogico, con un’analisi accurata della realtà; ma — c’è sempre un “ma” nella vita — tenendo sempre conto che formiamo uomini e donne completi, non repliche illusorie di ideali impossibili.

    Mi permetto, per esempio, di menzionare alcune università che ho conosciuto in America troppo liberali, che cercano solo di formare tecnici e specialisti.

    Si dimenticano che devono formare uomini e donne, persone integre che cercano di dare il meglio di sé nel servizio a cui Dio le chiama, sapendo che sono pellegrini, che in realtà tutto è cammino verso una meta che supera questa realtà, l’incontro dell’amico con l’amato, in quell’amore che, riversato nei nostri cuori, ci dà la forza di andare avanti.

    Alla fine del libro, il beato Llull ci propone una meditazione quotidiana; ho scelto la numero 124 che, essendo bisestile, corrisponderebbe idealmente alla giornata odierna.

    Dice così: «Chiesero all’Amico quali fossero le tenebre più grandi.

    Rispose l’assenza del suo Amato; e alla domanda quale fosse lo splendore più grande, disse la presenza del suo Amato».

    È questo il mio auspicio per voi, che possiate illuminare le vite dei vostri studenti con la presenza di Gesù, che questa certezza li renda consapevoli della loro dignità di amici, di Dio e degli uomini, e che siano capaci di dissipare le tenebre che ricoprono questo mondo che si è allontanato dalla sua vera essenza.

    Che Gesù vi benedica, che la Vergine santa  vi custodisca, e per favore non dimenticatevi di pregare per me, ma a favore, non contro.

    _________________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    100, venerdì 3 maggio 2024, p.

    o.

    Mandato del Santo Padre Francesco ai Parroci in occasione dell’Incontro Internazionale “I Parroci per il Sinodo” (2 Mag 2024)
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    Ho qualcosa da chiedere a voi che siete venuti qui in rappresentanza dei parroci di tutto il mondo: abbiamo bisogno del vostro aiuto per continuare ad ascoltare la voce dei parroci in vista della Seconda Sessione dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi.

    Questo incontro è stato molto importante, ma non basta: dobbiamo fare di più se vogliamo far entrare nel dinamismo sinodale un numero più grande di sacerdoti.

    E questo non lo possono fare soltanto la Segreteria Generale del Sinodo e i Dicasteri della Curia romana che hanno organizzato questo incontro.

    Per questo vi chiedo oggi di diventare missionari di sinodalità con i vostri fratelli parroci, una volta rientrati a casa: animando la riflessione sul rinnovamento del ministero di parroco in chiave sinodale e missionaria, promuovendo momenti di conversazione nello Spirito tra parroci, in presenza oppure online, sfruttando l’occasione di qualche incontro già organizzato, o organizzandone uno apposta.

    E poi vi chiedo di informare la Segreteria del Sinodo dei frutti di questi incontri, seguendo le indicazioni che vi saranno date.

    Rientrando a casa parlate di questa idea con i vostri vescovi e con le Conferenze episcopali, e dite pure loro che è un incarico che vi ha dato il Papa.

    Da parte mia, ho scritto una lettera a tutti i parroci del mondo per informarli di questa iniziativa e per presentarvi come missionari di sinodalità presso di loro.

    Ora la firmo e poi una copia sarà consegnata a ciascuno di voi, perché la diffondiate una volta rientrati a casa.

    Grazie per la vostra collaborazione.

    Vi accompagnerò con la mia preghiera e anche voi non dimenticatevi di pregare per me.                                                                              

    FRANCESCO

    Ai Partecipanti all'Assemblea dei Primati della Comunione Anglicana (2 Mag 2024)
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    Dear brothers and sisters, peace to you!

    Vi saluto con gioia, con le parole del Risorto: esse sono foriere di quella speranza che scaturisce dalla Risurrezione e che non delude.

    Così fu per i discepoli, mentre stavano chiusi e intimoriti nel Cenacolo: nel pieno dello smarrimento Gesù guarì la loro paure, mostrando le piaghe e il fianco ed effondendo su di loro il suo Spirito (cfr Gv 20,19-23).

    Anche oggi, quando i capi del popolo di Dio si riuniscono, potrebbero sentirsi impauriti come i discepoli: potrebbero lasciarsi tentare dallo sconforto, manifestando gli uni agli altri le delusioni e le aspettative non soddisfatte, facendosi dominare dalle preoccupazioni, senza riuscire a impedire che le rispettive divergenze si inaspriscano.

    Ma pure oggi, se volgiamo lo sguardo a Cristo anziché a noi stessi, ci accorgeremo che il Risorto sta in mezzo a noi e desidera donarci la sua pace e il suo Spirito.

    Sono riconoscente a Sua Grazia Justin Welby per le parole fraterne che mi ha rivolto: ha iniziato il suo servizio come Arcivescovo di Canterbury nello stesso periodo in cui cominciavo il mio come Vescovo di Roma.

    Da allora abbiamo avuto molte occasioni per incontrarci, per pregare insieme, per testimoniare la fede nel Signore.

    Quest’anno, durante la celebrazione dei Vespri nella Solennità della Conversione di San Paolo, abbiamo conferito il mandato ad alcune coppie di vescovi cattolici e anglicani perché svolgano insieme il loro ministero, in modo da «essere per il mondo un’anticipazione della riconciliazione di tutti i cristiani nell’unità dell’unica e sola Chiesa di Cristo» [1].

    Caro Fratello Justin, grazie per questa collaborazione fraterna a favore del Vangelo! E non dimentico il Sud Sudan: è stato meraviglioso; con tua moglie, che lavora lì.

    Molto bello.

    Il Signore chiama ciascuno di noi ad essere costruttore di unità e, anche se non siamo ancora una cosa sola, la nostra comunione imperfetta non deve impedirci di camminare insieme.

    Infatti «le relazioni tra i cristiani […] prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo» [2].

    Le divergenze non diminuiscono la portata di ciò che ci accomuna: esse «non possono impedirci di riconoscerci reciprocamente fratelli e sorelle in Cristo in ragione del nostro comune Battesimo» [3].

    Sono grato in questo senso per il lavoro svolto negli ultimi cinquant’anni dalla Commissione internazionale anglicano-cattolica, che si è impegnata con dedizione nel superamento di diversi ostacoli che si frappongono sul camminodell’unità, riconoscendo anzitutto come «la comunione che ci unisce si fonda sulla fede in Dio nostro Padre, in nostro Signore Gesù Cristo e nello Spirito Santo; sul nostro comune battesimo in Cristo; sulla condivisione delle Sacre Scritture, del Credo degli Apostoli e del Credo Niceno-Costantinopolitano; sulla formula calcedoniana e sull’insegnamento dei Padri; sulla nostra comune eredità cristiana di molti secoli» [4].

    Fratelli e sorelle, il tempo pasquale ci fa tornare alle origini attraverso la lettura degli Atti degli Apostoli.

    Tra tante pagine gloriose di fede e fraternità, coraggio dinanzi alla persecuzione, diffusione gioiosa del Vangelo e apertura ai pagani, l’autore sacro non nasconde momenti di tensione e di incomprensione, nati spesso dalle fragilità dei discepoli, oppure da differenti interpretazioni del rapporto con la tradizione passata.

    Ma in tutto il racconto emerge come il vero protagonista sia lo Spirito Santo: gli Apostoli giungono a conciliazioni e soluzioni lasciando il primato a Lui.

    Talora dimentichiamo che le discussioni hanno animato anche la prima comunità cristiana, quella di coloro che avevano conosciuto il Signore e lo avevano incontrato Risorto; non dobbiamo avere paura delle discussioni, ma viverle lasciando il primato al Paraclito.

    A me piace tanto quella formula degli Atti degli Apostoli: “È parso allo Spirito Santo e a noi”.

    È una cosa molto, molto bella.

    Pregare e ascoltarci, cercando di comprendere l’animo altrui e domandando a noi stessi – prima che chiederne conto agli altri – se siamo stati docili alle ispirazioni dello Spirito Santo o succubi delle nostre opinioni personali o di gruppo.

    Di certo, la prospettiva divina non sarà mai quella della divisione, mai, quella della separazione, dell’interruzione del dialogo, mai.

    La via di Dio ci porta invece a stringerci sempre più vitalmente al Signore Gesù, perché solo in comunione con Lui ritroveremo la piena comunione tra noi.

    Il mondo lacerato di oggi ha bisogno della manifestazione del Signore Gesù! Ha bisogno di conoscere Cristo! Alcuni di voi provengono da regioni in cui la guerra, la violenza e l’ingiustizia sono l’avariato pane quotidiano dei fedeli, ma anche nei Paesi ritenuti benestanti e pacifici non mancano sofferenze, come la povertà di tanti.

    Cosa possiamo proporre noi di fronte a tutto questo, se non Gesù, il Salvatore? Farlo conoscere è la nostra missione.

    Sulla scia di quanto disse Pietro allo storpio presso la porta del tempio, ciò che dobbiamo offrire al nostro tempo fragile e bisognoso non sono argento e oro, ma Cristo e il sorprendente annuncio del suo Regno (cfr At 3,6).

    Cari Primati della Comunione anglicana, grazie per aver scelto di incontrarvi quest’anno nella città degli Apostoli Pietro e Paolo.

    È un dono per me sentirmi vicino alle comunità che rappresentate.

    So che il ruolo del Vescovo di Roma rappresenta tra i cristiani una questione ancora controversa e divisiva.

    Ma secondo la bella espressione di Papa Gregorio Magno, che inviò Sant’Agostino come missionario in Inghilterra, il Vescovo di Roma è servus servorum Dei – servo dei servi di Dio.

    Come ha scritto Giovanni Paolo II, «tale definizione salvaguarda nel modo migliore dal rischio di separare la potestà (ed in particolare il primato) dal ministero, ciò che sarebbe in contraddizione con il significato di potestà secondo il Vangelo: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve”( Lc 22,27)» [5].

    Occorre dunque impegnarsi in «un dialogo fraterno, paziente […] lasciando alle spalle inutili controversie» [6], al fine di comprendere come il ministero petrino possa svolgersi quale servizio d’amore per tutti.

    Grazie a Dio, nei vari dialoghi ecumenici sono stati conseguiti risultati positivi sulla questione del primato come «dono da condividere» [7].

    Come sapete, la Chiesa cattolica è impegnata in un percorso sinodale.

    Mi rallegro che tanti delegati fraterni, tra cui un vescovo della Comunione anglicana, abbiano preso parte alla prima sessione dell’Assemblea generale tenutasi lo scorso anno e attendo con gioia un’ulteriore partecipazione ecumenica nella sessione di quest’autunno.

    Prego affinché una migliore comprensione del ruolo del Vescovo di Roma sia tra i frutti del Sinodo.

    La Relazione di sintesi al termine della prima sessione ha chiesto di studiare più a fondo il legame tra sinodalità e primato ai vari livelli (locale, regionale, universale) [8].

    Il più recente lavoro della Commissione internazionale anglicano-cattolica può essere un’utile risorsa in questo senso [9].

    Perciò preghiamo, preghiamo, camminiamo e lavoriamo insieme, con fiducia e speranza.

    Nella Dichiarazione comune del 2016 abbiamo affermato: «Mentre, come i nostri predecessori, anche noi non vediamo ancora soluzioni agli ostacoli dinanzi a noi, non siamo scoraggiati.

    Con fiducia e gioia nello Spirito Santo confidiamo che il dialogo e il mutuo impegno renderanno più profonda la nostra comprensione e ci aiuteranno a discernere la volontà di Cristo per la sua Chiesa.

    Siamo fiduciosi nella grazia di Dio e nella Provvidenza, sapendo che lo Spirito Santo aprirà nuove porte e ci guiderà a tutta la verità» [10].

    Sarebbe uno scandalo se, a causa delle divisioni, non realizzassimo la nostra comune vocazione di far conoscere Cristo.

    Invece, se al di là delle rispettive visioni saremo in grado di testimoniare Cristo con umiltà e amore, sarà Lui ad avvicinarci gli uni agli altri; perché, lo ribadisco, «solo questo amore, che non torna sul passato per prendere le distanze o puntare il dito, solo questo amore che in nome di Dio antepone il fratello alla ferrea difesa del proprio sistema religioso, solo questo amore ci unirà.

    Prima il fratello, dopo il sistema» [11].

    Prima il fratello e dopo il sistema.

    Fratelli e sorelle, grazie ancora per questa visita, che ci permette di crescere nella comunione.

    Sono felice ora di ascoltare ciò che volete dirmi e di pregare con voi. 

     

     __________________________________________

    [1] Conferimento del mandato ai Vescovi della Commissione internazionale anglicano-cattolica per l’unità e la missione, 25 gennaio 2024 (cfr  Unitatis redintegratio 24).

    [2] S.

    Giovanni Paolo II, Lett.

    enc.  Ut unum sint, 40.

    [3] Dichiarazione comune di Sua Santità Papa Francesco e di Sua Grazia Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury, 5 ottobre 2016.

    [4] ARCIC II, La Chiesa come comunione, 50.

    [5] Ut unum sint, 88.

    [6] Ibid., 96.

    [7] ARCIC II, The Gift of Authority, 60.

    [8] Cfr  XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Una Chiesa sinodale in missione: Relazione di sintesi, I.7.h.

    [9] Cfr ARCIC III, Walking Together on the Way.

    [10] Dichiarazione comunecit.

    [11] Omelia durante i Vespri nella Solennità della Conversione di San Paolo, 25 gennaio 2024.

    Lettera del Santo Padre ai Parroci in occasione dell'Incontro internazionale I Parroci per il Sinodo (2 Mag 2024)
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    Carissimi fratelli Parroci!

    L’Incontro internazionale “I Parroci per il Sinodo” e il dialogo con quanti vi hanno preso parte, sono l’occasione per ricordare nella mia preghiera tutti i Parroci del mondo, ai quali rivolgo con grande affetto queste parole.

    È talmente ovvio che dirlo suona quasi banale, ma questo non lo rende meno vero: la Chiesa non potrebbe andare avanti senza il vostro impegno e servizio.

    Per questo voglio anzitutto esprimere gratitudine e stima per il generoso lavoro che fate ogni giorno, seminando il Vangelo in ogni tipo di terreno (cfr Mc 4,1-25).

    Come state sperimentando in questi giorni di condivisione, le parrocchie in cui svolgete il vostro ministero si trovano in contesti molto differenti: da quelle delle periferie delle megalopoli – le ho conosciute direttamente a Buenos Aires – a quelle vaste come province nelle regioni meno densamente popolate; da quelle dei centri urbani di molti Paesi europei, in cui antiche basiliche ospitano comunità sempre più piccole e più anziane, a quelle in cui si celebra sotto un grande albero e il canto degli uccelli si mescola alla voce dei tanti bambini.

    I Parroci conoscono tutto questo molto bene, conoscono dal di dentro la vita del Popolo di Dio, le sue fatiche e le sue gioie, i suoi bisogni e le sue ricchezze.

    Per questo una Chiesa sinodale ha bisogno dei suoi Parroci: senza di loro non potremo mai imparare a camminare insieme, non potremo mai intraprendere quel cammino della sinodalità che «è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»  [1].

    Non diventeremo mai Chiesa sinodale missionaria se le comunità parrocchiali non faranno della partecipazione di tutti i battezzati all’unica missione di annunciare il Vangelo il tratto caratteristico della loro vita.

    Se non sono sinodali e missionarie le parrocchie, non lo sarà neanche la Chiesa.

    La Relazione di Sintesi della Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi è molto chiara a tale riguardo: le parrocchie, a partire dalle loro strutture e dall’organizzazione della loro vita, sono chiamate a concepirsi «principalmente a servizio della missione che i fedeli portano avanti all’interno della società, nella vita familiare e lavorativa, senza concentrarsi esclusivamente sulle attività che si svolgono al loro interno e sulle loro necessità organizzative» (8, l).

    Occorre perciò che le comunità parrocchiali diventino sempre più luoghi da cui i battezzati partono come discepoli missionari e a cui fanno ritorno, pieni di gioia, per condividere le meraviglie operate dal Signore attraverso la loro testimonianza (cfr Lc 10,17).

    Come pastori, siamo chiamati ad accompagnare in questo percorso le comunità che serviamo e, al tempo stesso, a impegnarci con la preghiera, il discernimento e lo zelo apostolico affinché il nostro ministero sia adeguato alle esigenze di una Chiesa sinodale missionaria.

    Questa sfida riguarda il Papa, i Vescovi e la Curia Romana, e riguarda anche voi Parroci.

    Colui che ci ha chiamati e consacrati ci invita oggi a metterci in ascolto della voce del suo Spirito e a muoverci nella direzione che ci indica.

    Di una cosa possiamo essere certi: non ci farà mancare la sua grazia.

    Lungo il cammino scopriremo anche il modo per liberare il nostro servizio da quegli aspetti che lo rendono più faticoso e riscoprire il suo nucleo più vero: annunciare la Parola e riunire la comunità spezzando il pane.

    Vi esorto quindi ad accogliere questa chiamata del Signore a essere, come Parroci, costruttori di una Chiesa sinodale missionaria e a impegnarvi con entusiasmo in questo cammino.

    A tale scopo, mi sento di formulare tre suggerimenti che potranno ispirare lo stile di vita e di azione dei pastori.

    1.

    Vi invito a vivere il vostro specifico carisma ministeriale sempre più al servizio dei multiformi doni disseminati dallo Spirito nel Popolo di Dio.

    Urge, infatti, scoprire, incoraggiare e valorizzare «con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici» (Conc.

    Ecum.

    Vat.

    II, Decr.

    Presbyterorum Ordinis, 9) e che sono indispensabili per poter evangelizzare le realtà umane.

    Sono convinto che in questo modo farete emergere tanti tesori nascosti e vi troverete meno soli nel grande compito di evangelizzare, sperimentando la gioia di una genuina paternità che non primeggia, bensì fa emergere negli altri, uomini e donne, tante potenzialità preziose.

    2.

    Con tutto il cuore vi suggerisco di apprendere e praticare l’arte del discernimento comunitario, avvalendovi per questo del metodo della “conversazione nello Spirito”, che ci ha tanto aiutato nel percorso sinodale e nello svolgimento della stessa Assemblea.

    Sono certo che ne potrete raccogliere numerosi frutti non solo nelle strutture di comunione, come il Consiglio pastorale parrocchiale, ma anche in molti altri campi.

    Come ricorda la Relazione di Sintesi, il discernimento è un elemento chiave dell’azione pastorale di una Chiesa sinodale: «È importante che la pratica del discernimento sia attuata anche nell’ambito pastorale, in modo adeguato ai contesti, per illuminare la concretezza della vita ecclesiale.

    Essa consentirà di riconoscere meglio i carismi presenti nella comunità, di affidare con saggezza compiti e ministeri, di progettare nella luce dello Spirito i cammini pastorali, andando oltre la semplice programmazione di attività» (2, l).

    3.

    Infine, vorrei raccomandarvi di porre alla base di tutto la condivisione e la fraternità fra voi e con i vostri Vescovi.

    Tale istanza è emersa con forza dal Convegno internazionale per la formazione permanente dei sacerdoti, sul tema «Ravviva il dono di Dio che è in te» (2 Tm 1,6), svoltosi nello scorso febbraio qui a Roma, con oltre ottocento Vescovi, sacerdoti, consacrati e laici, uomini e donne, impegnati in questo campo, in rappresentanza di ottanta Paesi.

    Non possiamo essere autentici padri se non siamo anzitutto figli e fratelli.

    E non siamo in grado di suscitare comunione e partecipazione nelle comunità a noi affidate se prima di tutto non le viviamo tra noi.

    So bene che, nel susseguirsi delle incombenze pastorali, tale impegno potrebbe sembrare un sovrappiù o persino tempo perso, ma in realtà è vero il contrario: infatti, solo così siamo credibili e la nostra azione non disperde ciò che altri hanno già costruito.

    Non è solo la Chiesa sinodale missionaria ad aver bisogno dei Parroci, ma anche il cammino specifico del Sinodo 2021-2024, “Per una Chiesa sinodale.

    Comunione, partecipazione, missione”, in vista della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà nel prossimo mese di ottobre.

    Per prepararla abbiamo bisogno di ascoltare la vostra voce.

    Per questo, invito coloro che hanno preso parte all’Incontro internazionale “I Parroci per il Sinodo” ad essere missionari di sinodalità anche con voi, loro fratelli Parroci, una volta rientrati a casa, animando la riflessione sul rinnovamento del ministero di parroco in chiave sinodale e missionaria, e al tempo stesso permettendo alla Segreteria Generale del Sinodo di raccogliere il vostro contributo insostituibile in vista della redazione dell’Instrumentum laboris.

    Ascoltare i Parroci era lo scopo di questo Incontro internazionale, ma ciò non può finire oggi: abbiamo bisogno di continuare ad ascoltarvi.

    Carissimi fratelli, sono al vostro fianco in questo cammino che anch’io cerco di percorrere.

    Vi benedico tutti di cuore e a mia volta ho bisogno di sentire la vostra vicinanza e il sostegno della vostra preghiera.

    Affidiamoci alla Beata Vergine Maria Odighitria: colei che indica la strada, colei che conduce alla Via, alla Verità e alla Vita.

    Roma, San Giovanni in Laterano, 2 maggio 2024

    FRANCESCO

     __________________________________________________

    [1]  Discorso per la Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015.

    Udienza Generale del 1° Mag 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 17. La fede
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    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    17.

    La fede

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi vorrei parlare della virtù della fede.

    Insieme con la carità e la speranza, questa virtù è detta “teologale”.

    Le virtù teologali sono tre: fede, speranza e carità.

    Perché sono teologali? Perché le si può vivere solo grazie al dono di Dio.

    Le tre virtù teologali sono i grandi doni che Dio fa alla nostra capacità morale.

    Senza di esse noi potremmo essere prudenti, giusti, forti e temperanti, ma non avremmo occhi che vedono anche nel buio, non avremmo un cuore che ama anche quando non è amato, non avremmo una speranza che osa contro ogni speranza.

    Che cos’è la fede? Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci spiega che la fede è l’atto con cui l’essere umano si abbandona liberamente a Dio (n.

    1814).

    In questa fede, Abramo è stato il grande padre.

    Quando accettò di lasciare la terra dei suoi antenati per dirigersi verso la terra che Dio gli avrebbe indicato, probabilmente sarà stato giudicato folle: perché lasciare il noto per l’ignoto, il certo per l’incerto? Ma perché fare quello? È pazzo? Ma Abramo parte, come se vedesse l’invisibile.

    Questo dice la Bibbia di Abramo: “Andò come se vedesse l’invisibile”.

    È bello questo.

    E sarà ancora questo invisibile a farlo salire sul monte con il figlio Isacco, l’unico figlio della promessa, che solo all’ultimo momento sarà risparmiato dal sacrificio.

    In questa fede, Abramo diventa padre di una lunga schiera di figli.

    La fede lo ha reso fecondo.

    Uomo di fede sarà Mosè, il quale, accogliendo la voce di Dio anche quando più di un dubbio poteva scuoterlo, continuò a restare saldo e a fidarsi del Signore, e persino a difendere il popolo che invece tante volte mancava di fede.

    Donna di fede sarà la Vergine Maria, la quale, ricevendo l’annuncio dell’Angelo, che molti avrebbero liquidato perché troppo impegnativo e rischioso, risponde: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

    E con il cuore pieno di fede, con il cuore pieno di fiducia in Dio, Maria parte per una strada di cui non conosce né il tracciato né i pericoli.

    La fede è la virtù che fa il cristiano.

    Perché essere cristiani non è anzitutto accettare una cultura, con i valori che l’accompagnano, ma essere cristiano è accogliere e custodire un legame, un legame con Dio: io e Dio; la mia persona e il volto amabile di Gesù.

    Questo legame è quello che ci fa cristiani.

    A proposito della fede, viene in mente un episodio del Vangelo.

    I discepoli di Gesù stanno attraversando il lago e vengono sorpresi dalla tempesta.

    Pensano di cavarsela con la forza delle loro braccia, con le risorse dell’esperienza, ma la barca comincia a riempirsi d’acqua e vengono presi dal panico (cfr Mc 4,35-41).

    Non si rendono conto di avere la soluzione sotto gli occhi: Gesù è lì con loro sulla barca, in mezzo alla tempesta, e Gesù dorme, dice il Vangelo.

    Quando finalmente lo svegliano, impauriti e anche arrabbiati perché Lui li lascia morire, Gesù li rimprovera: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (Mc 4,40).

    Ecco, dunque, la grande nemica della fede: non è l’intelligenza, non è la ragione, come, ahimè, qualcuno continua ossessivamente a ripetere, ma la grande nemica della fede è la paura.

    Per questo motivo la fede è il primo dono da accogliere nella vita cristiana: un dono che va accolto e chiesto quotidianamente, perché si rinnovi in noi.

    Apparentemente è un dono da poco, eppure è quello essenziale.

    Quando ci hanno portato al fonte battesimale, i nostri genitori, dopo aver annunciato il nome che avevano scelto per noi, si sono sentiti interrogare dal sacerdote – questo è successo nel nostro Battesimo –: «Che cosa chiedete alla Chiesa di Dio?».

    E i genitori hanno risposto: «La fede, il battesimo!».

    Per un genitore cristiano, consapevole della grazia che gli è stata regalata, quello è il dono da chiedere anche per suo figlio: la fede.

    Con essa un genitore sa che, pur in mezzo alle prove della vita, suo figlio non annegherà nella paura.

    Ecco, il nemico è la paura.

    Sa anche che, quando cesserà di avere un genitore su questa terra, continuerà ad avere un Dio Padre nei cieli, che non lo abbandonerà mai.

    Il nostro amore è così fragile, e solo l’amore di Dio vince la morte.

    Certo, come dice l’Apostolo, la fede non è di tutti (cfr 2 Ts 3,2), e anche noi, che siamo credenti, spesso ci accorgiamo di averne solo una piccola scorta.

    Spesso Gesù ci può rimproverare, come fece coi suoi discepoli, di essere “uomini di poca fede”.

    Però è il dono più felice, l’unica virtù che ci è concesso di invidiare.

    Perché chi ha fede è abitato da una forza che non è solo umana; infatti, la fede “innesca” la grazia in noi e dischiude la mente al mistero di Dio.

    Come disse una volta Gesù: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sradicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe» (Lc 17,6).

    Perciò anche noi, come i discepoli, gli ripetiamo: Signore, aumenta la nostra fede! (cfr Lc 17,5) È una bella preghiera! La diciamo tutti insieme? “Signore, aumenta la nostra fede”.

    La diciamo insieme: [tutti] “Signore, aumenta la nostra fede”.

    Troppo debole, un po’ più forte: [tutti] “Signore, aumenta la nostra fede!”.

    Grazie.

    _________________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins francophones, en particulier les paroisses et les jeunes venus de France.

    Alors que nous sommes encore, en ce temps de Pâques, dans la mémoire et la joie de la résurrection du Seigneur, demandons-lui la grâce d’adhérer toujours plus à ce mystère et de nous attacher avec tendresse à sa personne pour le suivre là où il nous conduit.

    Que Dieu vous bénisse !

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare le parrocchie e i giovani venuti dalla Francia.

    Mentre siamo ancora, in questo tempo pasquale, nel ricordo e nella gioia della risurrezione del Signore, chiediamogli la grazia di aderire sempre più strettamente a questo mistero e di aderire con tenerezza alla sua persona per seguirlo ovunque ci conduca.

    Dio vi benedica!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from Finland, Malta, the Netherlands, Norway, Uganda, India, Malaysia, Canada and the United States of America.

    I also wish to express to the people of Kenya my spiritual closeness at this time as severe flooding has tragically taken the lives of many of our brothers and sisters, injured others and caused widespread destruction.

    I invite you to pray for all those affected by this natural disaster.

    Even amidst adversity, we remember the joy of the risen Christ, and I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

    May the Lord bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Finlandia, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Uganda, India, Malesia, Canada e Stati Uniti d'America.

    Desidero inoltre trasmettere al popolo del Kenya la mia vicinanza spirituale in questo momento in cui una grave alluvione ha tragicamente tolto la vita a molti nostri fratelli e sorelle, ferendone altri e causando una diffusa distruzione.

    Vi invito a pregare per tutti coloro che stanno subendo gli effetti di questo disastro naturale.

    Anche in mezzo alle avversità, ricordiamo la gioia di Cristo risorto.

    Invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre.

    Il Signore vi benedica!]

    Liebe Gläubige deutscher Sprache, heute gedenken wir besonders des heiligen Josef, der in seinem Leben für die Pläne Gottes offen und bereit war.

    Sein Vorbild helfe auch uns, im Glauben festzustehen, der uns die Gewissheit gibt, dass der Herr uns immer begleitet.

    [Cari fedeli di lingua tedesca, oggi ricordiamo in modo particolare San Giuseppe, che ha accolto prontamente i piani di Dio nella sua vita.

    Il suo esempio ci aiuti ad essere saldi nella fede, che ci da la certezza che il Signore ci accompagna sempre.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a la FederaciónRegnum Christi, a los Legionarios de Cristo que han recibido en estos días la ordenación sacerdotal y a sus familiares, así como a los formadores y alumnos de los diferentes Centros de Estudios.Que el Señor, por intercesión de san José obrero, padre en la obediencia, nos aumente el don de la fe y nos permita abrir la mente a su misterio divino.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Queridos peregrinos de língua portuguesa, sede bem-vindos.

    Que São José Operário vos inspire a ritmar cada dia com um trabalho especial: a oração.

    Nela, antes de mais, peçamos ao Senhor que renove e aumente em nós a fé, para que toda a nossa atividade por Ele comece e n’Ele acabe.

    Deus vos abençoe!

    [Cari pellegrini di lingua portoghese, benvenuti.

    San Giuseppe Lavoratore vi ispiri a cadenzare ogni giornata con uno speciale impegno: la preghiera.

    In essa, chiediamo anzitutto al Signore che rinnovi e aumenti in noi la fede, affinché ogni nostro lavoro abbia in Lui il suo inizio e il suo compimento.

    Dio vi benedica!]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    المَسِيحِيُّ مَدعُوٌ إلى أنْ يَثِقَ باللهِ وأنْ يُسَلِّمَ نفسَهُ له بِحُرِّيَّة، لأنَّنا مَعَهُ نحن في سلامٍ وأمان.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Il cristiano è chiamato a fidarsi di Dio e ad abbandonarsi a Lui liberamente, perché con Lui siamo nella pace e nella sicurezza.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie Polaków.

    Podczas majowych nabożeństw zwierzajcie Matce Bożej sprawy osobiste, rodzinne, a także cierpienia ludzi, którzy są ofiarami wojen.

    Módlcie się za Kościół i Ojczyznę, o pokój na Ukrainie i na Bliskim Wschodzie.

    Niech Maryja, którą sto lat temu Pius XI ustanowił Królową dla całej Polski, wspiera was i prowadzi.

    Z serca wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i polacchi.

    Durante le preghiere del mese di maggio, confidate alla Madonna le vostre vicende personali e familiari, così come le sofferenze di quanti sono vittime delle guerre.

    Pregate per la Chiesa, per la Patria, per la pace in Ucraina e in Medio Oriente.

    Maria, che cento anni fa Pio XI istituì come Regina per tutta la Polonia, vi sostenga e vi guidi.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto le Suore Mercedarie che celebrano il Capitolo Generale, incoraggiandole a perseverare nel servizio al Vangelo e alla Chiesa, sulle orme della fondatrice la Serva di Dio Madre Teresa di Gesù.

    Saluto altresì i chierici dell’Istituto Teologico don Orione di Roma e li esorto a vivere con intensità questo tempo di formazione, rinnovando giorno per giorno la disponibilità a rispondere alla chiamata del Signore.

    Accolgo con affetto i fedeli di Frisa e di Panni, auspicando che la visita alla tomba degli Apostoli, rafforzi in essi la fede e la testimonianza cristiana.

    Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli.

    Oggi, primo maggio, con tutta la Chiesa facciamo memoria di san Giuseppe Lavoratore ed iniziamo il mese mariano.

    Pertanto, a ciascuno di voi vorrei riproporre la santa Famiglia di Nazaret come modello di comunità domestica: comunità di vita, di lavoro e di amore.

    E poi non dimentichiamo di pregare per la pace: preghiamo per i popoli che sono vittime della guerra.

    La guerra sempre è una sconfitta, sempre.

    Pensiamo alla martoriata Ucraina che soffre tanto.

    Pensiamo agli abitanti della Palestina e di Israele, che sono in guerra.

    Pensiamo ai Rohingya, al Myanmar, e chiediamo la pace.

    Chiediamo la vera pace per questi popoli e per tutto il mondo.

    Purtroppo oggi gli investimenti che danno più reddito sono le fabbriche delle armi.

    Terribile, guadagnare con la morte.

    Chiediamo la pace, che vada avanti la pace.

    A tutti la mia benedizione!

    Ai Partecipanti ai Capitoli Generali dei Figli della Carità "Canossiani" e dei Fratelli dell’Istruzione Cristiana di San Gabriele (29 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

    Saluto con gioia tutti voi, Figli della Carità “Canossiani” e Fratelli di San Gabriele, e in particolare i Superiori Generali.

    Mi fa piacere incontrarvi in occasione dei vostri Capitoli, che sono eventi sinodali fondamentali per ogni Congregazione religiosa.

    Soprattutto ad essi è affidata la tutela del patrimonio di intenzioni e di progetti che lo Spirito ha ispirato ai vostri Fondatori, e di tutto il bene che ne è scaturito (cfr CIC 578; 631).

    Si tratta dunque di momenti di grazia – un Capitolo è un momento di grazia –, da vivere prima di tutto nella docilità all’azione dello Spirito Santo, facendo memoria grata del passato, ponendo attenzione al presente – nell’ascolto reciproco e nella lettura dei segni dei tempi (cfr Gaudium et spes, 4) – e guardando con cuore aperto e fiducioso al futuro, per una verifica e un rinnovamento personale e comunitario.

    Passato, presente e futuro entrano in un Capitolo, per ricordare, per valutare e per andare avanti nello sviluppo della Congregazione.

    Cari amici Canossiani, è molto bello vedervi qui, uomini impegnati a seguire Cristo più da vicino (cfr Perfectae caritatis, 1; Catechismo della Chiesa Cattolica, 916) sulle orme di una donna, Maddalena di Canossa, di cui ricorrono i duecentocinquant’anni dalla nascita.

    Questa Santa coraggiosa, in un mondo non meno difficile del nostro, si propose di  “far conoscere e amare Gesù, che non è amato perché non è conosciuto”.

    E voi, che volete continuare la sua opera missionaria, avete scelto come tema per i vostri lavori questa frase: “Chi non arde non incendia”.

    A me dà tristezza quando vedo religiosi che sembrano più vigili del fuoco che uomini e donne con ardore per incendiare.

    Per favore, non vigili del fuoco! Ne abbiamo già tanti.

    Vi impegnate dunque ad ardere per incendiare, ravvivando e alimentando “il dono di Dio che è in voi” per “dare testimonianza al Signore” (cfr 2 Tm 1,6).

    E lo fate in una famiglia che, in oltre due secoli di storia, si è arricchita di tanti doni: presente in sette Paesi e composta da membri di dieci diverse nazionalità, sorretta dalla comunione e dalla collaborazione con le sorelle Canossiane e con una realtà laicale sempre più attiva e coinvolta.

    È importante questo, avere i laici coinvolti nella spiritualità di un istituto e che collaborano nel suo lavoro apostolico.

    Certo, si tratta di un’eredità che porta con sé anche delle sfide, ma Santa Maddalena vi ha mostrato come si superano le difficoltà: con gli occhi rivolti al Crocifisso e le braccia aperte verso gli ultimi, i piccoli, i poveri e gli ammalati, per curare, educare e servire i fratelli con gioia e semplicità.

    Quando il cammino si fa difficile, allora, fate come lei: guardate Gesù Crocifisso e guardate gli occhi e le piaghe dei poveri, e vedrete che lentamente le risposte si faranno strada nei vostri cuori con sempre maggiore chiarezza.

    Come ci hanno insegnato anche San Luigi Maria Grignion de Montfort e Padre Gabriele Deshayes, alla cui opera si deve la fondazione dei Fratelli di San Gabriele, voi pure, cari fratelli, siete impegnati in questi giorni a discernere la volontà di Dio per il vostro cammino, in prossimità di un importante anniversario: trecentocinquant’anni dalla nascita di San Luigi Maria.

    La vostra famiglia, nata da un piccolo gruppo di collaboratori laici del grande predicatore, oggi conta più di mille religiosi, impegnati nell’assistenza pastorale, nella promozione  umana e sociale e nell’educazione – specialmente in favore dei ciechi e dei sordomuti – in trentaquattro Paesi diversi.

    Per mantenere viva la vostra presenza, che è una presenza profetica, avete scelto di riflettere sul tema “Ascoltare e agire con coraggio”.

    “Coraggio”: quella parresia apostolica, il coraggio che noi leggiamo, per esempio, nel Libro degli Atti degli Apostoli.

    Quel coraggio.

    È lo Spirito a darci quel coraggio, e noi dobbiamo chiederlo.

    Sono due atteggiamenti – l’ascolto e il coraggio – che richiedono umiltà e fede, e che ben rispecchiano lo spirito e l’azione di San Luigi Maria e del padre Deshayes, che pure vi hanno lasciato un trittico prezioso come bussola per le vostre decisioni: “Dio solo”, la “Croce” – scolpita nel cuore – e “Maria”.

    Anche a voi, poi, la Provvidenza ha donato la ricchezza di una variegata internazionalità: essa farà tanto bene alla vostra crescita e al vostro apostolato, se la saprete vivere accogliendo e condividendo costruttivamente, tra voi e con tutti, le diversità.

    Questo è un messaggio importante, specialmente nel nostro mondo, spesso diviso da egoismi e particolarismi: le diversità sono doni da condividere, le diversità sono doni preziosi! Siate profeti di questo, con la vostra vita.

    E Colui che fa l’armonia fra le diversità è lo Spirito Santo, che è il maestro dell’armonia.

    L’uniformità in un istituto religioso, in una diocesi, in un gruppo laicale, uccide! La diversità in armonia fa crescere.

    Non dimenticatevi di questo.

    Diversità in armonia.

    Cari amici, un Capitolo è un «avvenimento di famiglia, ma anche un evento di Chiesa e un avvenimento salvifico»  (Beato E.F.

    Pironio, Discorso al Capitolo Generale dei Salesiani, 14 gennaio 1984).

    Vi ringrazio per questo che state facendo, e per il lavoro che svolgete ogni giorno in tanti luoghi e condizioni diverse.

    Vi benedico e vi affido a Maria; e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.

    Grazie!

    Visita a Venezia: Regina Caeli - Piazza San Marco, 28 Apr 2024
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    Cari fratelli e sorelle!

    Prima di concludere la nostra celebrazione, desidero salutare tutti voi che avete partecipato.

    Ringrazio di cuore il Patriarca, Francesco Moraglia, e con lui i collaboratori e i volontari.

    Sono grato alle Autorità civili e alle Forze dell’ordine che hanno facilitato lo svolgimento di questa visita.

    Grazie a tutti!

    Anche da qui, come ogni domenica, vogliamo invocare l’intercessione della Vergine Maria per le tante situazioni di sofferenza nel mondo.

    Penso ad Haiti, dove è in vigore lo stato di emergenza e la popolazione è disperata per il collasso del sistema sanitario, la scarsità di cibo e le violenze che spingono alla fuga.

    Affidiamo al Signore i lavori e le decisioni del nuovo Consiglio Presidenziale di Transizione, insediatosi giovedì scorso a Port-au-Prince, affinché, con il rinnovato sostegno della Comunità internazionale, possa condurre il Paese a raggiungere la pace e la stabilità di cui tanto ha bisogno.

    Penso alla martoriata Ucraina, alla Palestina e a Israele, ai Rohingya e a tante popolazioni che soffrono a causa di guerre e violenze.

    Il Dio della pace illumini i cuori perché cresca in tutti la volontà di dialogo e di riconciliazione.

    Cari fratelli e sorelle, grazie ancora per la vostra accoglienza! Grazie al Patriarca.

    Vi porto con me nella preghiera; e anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me, perché questo lavoro non è facile!

    Visita a Venezia: Celebrazione della Santa Messa (Piazza San Marco, 28 Apr 2024)
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    Gesù è la vite, noi siamo i tralci.

    E Dio, il Padre misericordioso e buono, come un agricoltore paziente ci lavora con premura perché la nostra vita sia ricolma di frutti.

    Per questo, Gesù ci raccomanda di custodire il dono inestimabile che è il legame con Lui, da cui dipende la nostra vita e la nostra fecondità.

    Egli ripete con insistenza: «Rimanete in me e io in voi.

    […] Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto» (Gv 15,4).

    Solo chi rimane unito a Gesù porta frutto.

    Soffermiamoci su questo.

    Gesù sta per concludere la sua missione terrena.

    Nell’Ultima Cena con quelli che saranno i suoi apostoli, Egli consegna loro, insieme con l’Eucaristia, alcune parole-chiave.

    Una di esse è proprio questa: «rimanete», mantenete vivo il legame con me, restate uniti a me come i tralci alla vite.

    Usando questa immagine, Gesù riprende una metafora biblica che il popolo conosceva bene e che incontrava anche nella preghiera, come nel salmo che dice: «Dio degli eserciti, ritorna! / Guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna» (Sal 80,15).

    Israele è la vigna che il Signore ha piantato e di cui si è preso cura.

    E quando il popolo non porta i frutti d’amore che il Signore si attende, il profeta Isaia formula un atto di accusa utilizzando proprio la parabola di un agricoltore che ha dissodato la sua vigna, l’ha ripulita dai sassi, vi ha piantato viti pregiate aspettandosi che producesse vino buono, ma essa, invece, dà soltanto acini acerbi.

    E il profeta conclude: «Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti / è la casa d’Israele; / gli abitanti di Giuda / sono la sua piantagione preferita.

    / Egli si aspettava giustizia / ed ecco spargimento di sangue, / attendeva rettitudine / ed ecco grida di oppressi» (Is 5,7).

    Gesù stesso, riprendendo Isaia, racconta la drammatica parabola dei vignaioli omicidi, mettendo in risalto il contrasto tra il lavoro paziente di Dio e il rifiuto del suo popolo (cfr Mt 21,33-44).

    Dunque, la metafora della vite, mentre esprime la cura amorevole di Dio per noi, d’altra parte ci mette in guardia, perché, se spezziamo questo legame con il Signore, non possiamo generare frutti di vita buona e noi stessi rischiamo di diventare rami secchi.

    È brutto, questo, diventare rami secchi, quei rami che vengono gettati via.

    Fratelli e sorelle, sullo sfondo dell’immagine usata da Gesù, penso anche alla lunga storia che lega Venezia al lavoro delle vigne e alla produzione del vino, alla cura di tanti viticoltori e ai numerosi vigneti sorti nelle isole della Laguna e nei giardini tra le calli della città, e a quelli che impegnavano i monaci a produrre vino per le loro comunità.

    Dentro questa memoria, non è difficile cogliere il messaggio della parabola della vite e dei tralci: la fede in Gesù, il legame con Lui non imprigiona la nostra libertà ma, al contrario, ci apre ad accogliere la linfa dell’amore di Dio, il quale moltiplica la nostra gioia, si prende cura di noi con la premura di un bravo vignaiolo e fa nascere germogli anche quando il terreno della nostra vita diventa arido.

    E tante volte il nostro cuore diventa arido.

    Ma la metafora uscita dal cuore di Gesù può essere letta anche pensando a questa città costruita sulle acque, e riconosciuta per questa sua unicità come uno dei luoghi più suggestivi al mondo.

    Venezia è un tutt’uno con le acque su cui sorge, e senza la cura e la salvaguardia di questo scenario naturale potrebbe perfino cessare di esistere.

    Così è pure la nostra vita: anche noi, immersi da sempre nelle sorgenti dell’amore di Dio, siamo stati rigenerati nel Battesimo, siamo rinati a vita nuova dall’acqua e dallo Spirito Santo e inseriti in Cristo come i tralci nella vite.

    In noi scorre la linfa di questo amore, senza il quale diventiamo rami secchi, che non portano frutto.

    Il Beato Giovanni Paolo I, quando era Patriarca di questa città, disse una volta che Gesù «è venuto a portare agli uomini la vita eterna […]». E continuava: «Quella vita sta in lui e da lui passa ai suoi discepoli, come la linfa sale dal tronco ai tralci della vite.

    Essa è un’acqua fresca, che egli dà, una fonte sempre zampillante» (A.

    Luciani, Venezia 1975-1976.

    Opera Omnia.

    Discorsi, scritti, articoli, vol.

    VII, Padova 2011, 158).

    Fratelli e sorelle, questo è ciò che conta: rimanere nel Signore, dimorare in Lui.

    Pensiamo a questo, un minuto: rimanere nel Signore, dimorare in Lui.

    E questo verbo – rimanere – non va interpretato come qualcosa di statico, come se volesse dirci di stare fermi, parcheggiati nella passività; in realtà, ci invita a metterci in movimento, perché rimanere nel Signore significa crescere; sempre rimanere nel Signore significa crescere, crescere nella relazione con Lui, dialogare con Lui, accogliere la sua Parola, seguirlo sulla strada del Regno di Dio.

    Perciò si tratta di metterci in cammino dietro a Lui: rimanere nel Signore e camminare, metterci in cammino dietro a Lui, lasciarci provocare dal suo Vangelo e diventare testimoni del suo amore.

    Per questo Gesù dice che chi rimane in Lui porta frutto.

    E non si tratta di un frutto qualsiasi! Il frutto dei tralci in cui scorre la linfa è l’uva, e dall’uva proviene il vino, che è un segno messianico per eccellenza.

    Gesù, infatti, il Messia inviato dal Padre, porta il vino dell’amore di Dio nel cuore dell’uomo e lo riempie di gioia, lo riempie di speranza.

    Cari fratelli e sorelle, questo è il frutto che siamo chiamati a portare nella nostra vita, nelle nostre relazioni, nei luoghi che frequentiamo ogni giorno, nella nostra società, nel nostro lavoro.

    Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano: i cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine.

    E noi cristiani, che siamo tralci uniti alla vite, vigna del Dio che ha cura dell’umanità e ha creato il mondo come un giardino perché noi possiamo fiorirvi e farlo fiorire, noi cristiani, come rispondiamo? Restando uniti a Cristo potremo portare i frutti del Vangelo dentro la realtà che abitiamo: frutti di giustizia e di pace, frutti di solidarietà e di cura vicendevole; scelte di attenzione per la salvaguardia del patrimonio ambientale ma anche di quello umano: non dimentichiamo il patrimonio umano, la grande umanità nostra, quella che ha preso Dio per camminare con noi; abbiamo bisogno che le nostre comunità cristiane, i nostri quartieri, le città, diventino luoghi ospitali, accoglienti, inclusivi.

    E Venezia, che da sempre è luogo di incontro e di scambio culturale, è chiamata ad essere segno di bellezza accessibile a tutti, a partire dagli ultimi, segno di fraternità e di cura per la nostra casa comune.

    Venezia, terra che fa fratelli.

    Grazie.

    Visita a Venezia: Incontro con i giovani (Piazzale antistante la Basilica della Salute, 28 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Anche il sole sorride!

    È bello vedervi! Trovarci insieme ci permette di condividere, anche solo attraverso una preghiera, uno sguardo e un sorriso, la meraviglia che siamo.

    Infatti tutti noi abbiamo ricevuto un dono grande, quello di essere figli di Dio amati, e siamo chiamati a realizzare il sogno del Signore: testimoniare e vivere la sua gioia.

    Non c’è cosa più bella.

    Non so se vi è capitato di vivere alcune esperienze così belle da non riuscire a tenerle per voi, ma da sentire il bisogno di condividerle.

    Tutti noi abbiamo questa esperienza, una esperienza tanto bella che uno sente il bisogno di condividerla.

    Noi siamo qui oggi per questo: per riscoprire nel Signore la bellezza che siamo e rallegrarci nel nome di Gesù, Dio giovane che ama i giovani e che sempre sorprende.

    Il nostro Dio ci sorprende sempre.

    Avete capito questo? È molto importante, essere preparati alle sorprese di Dio!

    Amici, qui a Venezia, città della bellezza, viviamo insieme un bel momento di incontro, ma stasera, quando ciascuno sarà a casa, e poi domani e nei giorni a venire, da dove ripartire per accogliere la bellezza che siamo e alimentare, da dove ripartiamo per cogliere questa bellezza? Vi suggerisco due verbi, per ripartire, due verbi pratici perché materni: due verbi di movimento che animavano il cuore giovane di Maria, Madre di Dio e nostra.

    Lei, per diffondere la gioia del Signore e aiutare chi era nel bisogno, «si alzò e andò» (Lc 1,39).

    Alzarsi e andare.

    Non dimenticare questi due verbi che la Madonna ha vissuto prima di noi.

    Prima di tutto, alzarsi.

    Alzarsi da terra, perché siamo fatti per il Cielo.

    Alzarsi dalle tristezze per levare lo sguardo in alto.

    Alzarsi per stare in piedi di fronte alla vita, non seduti sul divano.

    Avete pensato, immaginato, cos’è un giovane per tutta la vita seduto sul divano? L’avete immaginato questo? Immaginate questo; e ci sono divani diversi che ci prendono e non ci lasciano alzare.

    Alzarsi per dire “eccomi!” al Signore, che crede in noi.

    Alzarsi per accogliere il dono che siamo, per riconoscere, prima di ogni altra cosa, che siamo preziosi e insostituibili.

    “Ma padre, Papa o signor Papa, no, non è vero, io sono brutto, io sono brutta…”.

    No, no, nessuno è brutto e ognuno di noi è bello, è bella e ha un tesoro dentro di sé, un bel tesoro da condividere e dare agli altri.

    Siete d’accordo su questo o no? Sì? E questo, sentite bene, non è autostima, no, è realtà! Riconoscere questo è il primo passo da fare al mattino quando ti svegli: scendi dal letto e ti accogli in dono.

    Ti alzi e, prima di tuffarti nelle cose da fare, riconosci chi sei ringraziando il Signore.

    Gli puoi dire: “Mio Dio, grazie per la vita.

    Mio Dio, fammi innamorare della mia vita”.

    Riconosci chi sei tu e ringrazi il Signore.

    Gli puoi dire: “Mio Dio, grazie per la vita.

    Mio Dio, fammi innamorare della vita, della mia vita.

    Mio Dio, Tu sei la mia vita.

    Mio Dio, aiutami oggi per questo, per quest’altro… Tu sai, mio Dio, sono innamorata, sono innamorato, aiutami, aiutami a far crescere questo amore e poi finire in una coppia felice”.

    Tante cose belle si possono dire sempre al Signore.

    Poi preghi il Padre Nostro, dove la prima parola è la chiave della gioia: dici “Padre” e ti riconosci figlio amato, figlia amata.

    Ti ricordi che per Dio non sei un profilo digitale, ma un figlio, che hai un Padre nei cieli e che dunque sei figlio del cielo.

    “Ma, padre, questo è troppo romantico!”.

    No, è la realtà, caro o cara, ma dobbiamo scoprirla nella nostra vita, non nei libri, nella vita, la vita nostra.

    Eppure spesso ci si trova a lottare contro una forza di gravità negativa che butta giù, un’inerzia opprimente che vuole farci vedere tutto grigio.

    A volte ci succede questo.

    Come fare? Per alzarci – non dimentichiamolo – anzitutto bisogna lasciarci rialzare: farci prendere per mano dal Signore, che non delude mai chi confida in Lui, che sempre risolleva e perdona.

    “Ma io – potresti dire – non sono all’altezza: mi percepisco fragile, debole, peccatore, cado spesso!”.

    Ma quando ti senti così, per favore, cambia “inquadratura”: non guardarti con i tuoi occhi, ma pensa allo sguardo con cui ti guarda Dio.

    Quando sbagli e cadi, Lui cosa fa? Sta lì, accanto a te e ti sorride, pronto a prenderti per mano e alzarti.

    Questa è una cosa molto bella: sempre sta lì per alzarti.

    Vi dirò una cosa che questo mi suggerisce.

    È bello guardare una persona dall’alto in basso? È bello o non è bello? No, non è bello.

    Ma quando si può guardare una persona dall’alto in basso, quando? Per aiutarla a sollevarsi.

    L’unica volta che noi possiamo guardare una persona dall’alto in basso con bellezza è quando la aiutiamo a sollevarsi.

    E così fa Gesù con noi, quando siamo caduti.

    Ci guarda dall’alto in basso.

    Questo è bello.

    Non ci credi? Apri il Vangelo e guarda cos’ha fatto con Pietro, con Maria Maddalena, con Zaccheo, con tanti altri: meraviglie con le loro fragilità.

    Il Signore con la nostra fragilità fa delle meraviglie.

    E un po’ en passant: voi leggete il Vangelo? Vi do un consiglio.

    Avete un piccolo Vangelo tascabile? Portatelo sempre con voi e, in qualsiasi momento, apritelo e leggete un piccolo brano.

    Sempre con voi il piccolo Vangelo tascabile.

    D’accordo? [rispondono: “Sì!”] Avanti, coraggio!

    Dio sa che, oltre a essere belli, siamo fragili, e le due cose vanno insieme: un po’ come Venezia, che è splendida e delicata al tempo stesso.

    È bella e delicata, ha qualche fragilità che dev’essere curata.

    Dio non si lega al dito i nostri errori: “Hai fatto così, hai fatto…”.

    Lui non si lega a questo ma ci tende la mano.

    “Ma, padre, io ne ho tanti, tante cose di cui mi vergogno”.

    Ma non guardare te, guarda la mano che Dio ti tende per alzarti! Non dimenticare questo: se tu ti senti con il peso della coscienza, guarda il Signore e lasciati prendere per mano da Lui.

    Quando siamo a terra, Lui vede figli da rialzare, non malfattori da punire.

    Per favore, fidiamoci del Signore! Sta diventando un po’ lungo questo, vi siete annoiati? [rispondono: “No!”] Siete educati, va bene!

    E, una volta rialzati, tocca a noi restare in piedi.

    Prima rialzarsi poi stare in piedi, “rimanere” quando viene voglia di sedersi, di lasciarsi andare, di lasciar perdere.

    Non è facile, ma è il segreto.

    Sì, il segreto di grandi conquiste è la costanza.

    È vero che a volte c’è questa fragilità che ti tira giù, ma la costanza è quello che ti porta avanti, è il segreto.

    Oggi si vive di emozioni veloci, di sensazioni momentanee, di istinti che durano istanti.

    Ma così non si va lontano.

    I campioni dello sport, come pure gli artisti, gli scienziati, mostrano che i grandi traguardi non si raggiungono in un attimo, tutto e subito.

    E se questo vale per lo sport, l’arte e la cultura, vale a maggior ragione per ciò che più conta nella vita.

    Che cosa conta nella vita? L’amore, la fede.

    E per crescere nella fede e nell’amore dobbiamo avere costanza e andare avanti sempre.

    Invece qui il rischio è lasciare tutto all’improvvisazione: prego se mi va, vado a Messa quando ho voglia, faccio del bene se me la sento… Questo non dà risultati: occorre perseverare, giorno dopo giorno.

    E farlo insieme, perché l’insieme ci aiuta sempre ad andare avanti.

    Insieme: il “fai da te” nelle grandi cose non funziona.

    Per questo vi dico: non isolatevi, cercate gli altri, fate esperienza di Dio assieme, seguite cammini di gruppo senza stancarvi.

    Tu potresti dire: “Ma attorno a me stanno tutti per conto loro con il cellulare, attaccati ai social e ai videogiochi”.

    E tu senza paura vai controcorrente: prendi la vita tra le mani, mettiti in gioco; spegni la tv e apri il Vangelo – è troppo questo? –, lascia il cellulare e incontra le persone! Il cellulare è molto utile, per comunicare, è utile, ma state attenti quando il cellulare ti impedisce di incontrare le persone.

    Usa il cellulare, va bene, ma incontra le persone! Sai cos’è un abbraccio, un bacio, una stretta di mano: le persone.

    Non dimenticare questo: usa il cellulare, ma incontra le persone.

    Mi sembra di sentire la vostra obiezione: “Non è facile, padre, sembra di andare controcorrente!”.

    Ma voi non potete dire questo qui a Venezia, perché Venezia ci dice che solo remando con costanza si va lontano.

    Se voi siete cittadini veneziani, imparate a remare con costanza per andare lontano! Certo, per remare occorre regolarità; ma la costanza premia, anche se costa fatica.

    Dunque, ragazzi e ragazze, questo è alzarsi: lasciarsi prendere per mano da Dio per camminare insieme!

    E dopo l’alzarsi, andare.

    Andare è farsi dono, donarsi agli altri, capacità di innamorarsi; e questa è una cosa bella: una giovane, un giovane che non sente la capacità di innamorarsi o di essere amorevole con gli altri, qualcosa gli manca.

    Andare incontro, camminare, andare avanti.

    Cari fratelli, care sorelle, sto finendo, state tranquilli!

    Pensiamo al nostro Padre, che ha creato tutto per noi, Dio ci ha dato tutto: e noi che siamo suoi figli, per chi creiamo qualcosa di bello? Viviamo immersi in prodotti fatti dall’uomo, che ci fanno perdere lo stupore per la bellezza che ci circonda, eppure il creato ci invita a essere a nostra volta creatori di bellezza.

    Per favore, non dimenticate questo: essere creatori di bellezza, e fare qualcosa che prima non c’era.

    Questo è bello! E quando voi sarete sposati e avrete un figlio, una figlia, avrete fatto una cosa che prima non c’era! E questa è la bellezza della gioventù, quando diventa maternità o paternità: fare una cosa che prima non c’era.

    È bello questo.

    Pensate dentro di voi ai figli che avrete, e questo deve spingerci in avanti, non siate professionisti del digitare compulsivo, ma creatori di novità! Una preghiera fatta col cuore, una pagina che scrivi, un sogno che realizzi, un gesto d’amore per qualcuno che non può ricambiare: questo è creare, imitare lo stile di Dio che crea.

    È lo stile della gratuità, che fa uscire dalla logica nichilista del “faccio per avere” e “lavoro per guadagnare”.

    Questo si deve fare – faccio per avere e lavoro per guadagnare –, ma non dev’essere il centro della tua vita.

    Il centro è la gratuità: date vita a una sinfonia di gratuità in un mondo che cerca l’utile! Allora sarete rivoluzionari.

    Andate, donatevi senza paura!

    Giovane che vuoi prendere in mano la tua vita, alzati! Apri il cuore a Dio, ringrazialo, abbraccia la bellezza che sei; innamorati della tua vita.

    E poi vai! Alzati, innamorati e vai! Esci, cammina con gli altri, cerca chi è solo, colora il mondo con la tua creatività, dipingi di Vangelo le strade della vita.

    Per favore, dipingi di Vangelo le strade della vita! Alzati e vai.

    Lo diciamo tutti insieme, gli uni per gli altri! [ripetono: “Alzati e vai!”] Non ho sentito… [ripetono forte: “Alzati e vai!”] Mi piace! Gesù ti rivolge quest’invito.

    Lui, a tante persone che aiutava e guariva, diceva: “Alzati e vai” (cfr Lc 17,19).

    Ascolta questa chiamata, ripetila dentro di te, custodiscila nel cuore.

    E com’era la cosa? [ripetono: “Alzati e vai!”] Grazie!

    ***

    Finito il discorso, alcuni giovani portano al Papa un dono.

    Sacerdote:

    La mia voce, Santo Padre, credo sia ben poca cosa confronto all’emozione di questi giovani…

    Papa Francesco

    Grazie! E, ho dimenticato: com’era la cosa?

    Giovani:

    Alzati e vai!

    Papa Francesco

    Bravi!

    Sacerdote

    Lei ci chiede sempre di pregare per Lei, Santo Padre.

    Questi giovani hanno chiesto di farlo per Lei anche quest’oggi, e quindi chiediamo quel tempo per chiedere a Dio Padre di benedire la Sua vita, il Suo ministero di padre e di lasciare che noi possiamo essere pecore docili alla Sua guida.

    Per l’intercessione della Vergine che custodisce questa nostra diocesi e che Lei ci insegna a pregare, questo minuto di silenzio.

    [Ave Maria]
    [Benedizione]

    Sacerdote

    Il gesto che Le viene porto è questa forcola, un elemento fondamentale per un’imbarcazione a remi: è la congiunzione tra la barca e il remo, vuole simboleggiare i nostri giovani, la dinamicità di guidare, di mettere la loro energia, la loro forza, ma anche di lasciarsi guidare da Lei.

    Sono una rappresentanza di tutte le diocesi.

    Visita a Venezia: Incontro con gli artisti nella Chiesa della Maddalena (Isola della Giudecca, 28 Apr 2024)
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    Signor Cardinale, Eccellenze,
    Signor Ministro,
    Signor Presidente,
    Illustri Curatori,
    Care Artiste e cari Artisti!

    Ho molto desiderato venire alla Biennale d’Arte di Venezia per contraccambiare una visita, com’è buona abitudine tra amici.

    Nel giugno scorso, infatti, ho avuto la gioia di accogliere un folto gruppo di artisti nella Cappella Sistina.

    Ora sono io a venire “a casa vostra” per incontrarvi personalmente, per sentirmi ancora più vicino a voi e, in questo modo, ringraziarvi di quello che siete e che fate.

    E nello stesso tempo da qui vorrei mandare a tutti questo messaggio: il mondo ha bisogno di artisti.

    Lo dimostra la moltitudine di persone di ogni età che frequentano luoghi ed eventi d’arte; mi piace ricordare tra questi le Vatican Chapels, primo Padiglione della Santa Sede realizzato sei anni fa sull’Isola di San Giorgio, in collaborazione con la Fondazione Cini, nell’ambito della Biennale di Architettura.

    Vi confesso che accanto a voi non mi sento un estraneo: mi sento a casa.

    E penso che in realtà questo valga per ogni essere umano, perché, a tutti gli effetti, l’arte riveste lo statuto di “città rifugio”, un’entità che disobbedisce al regime di violenza e discriminazione per creare forme di appartenenza umana capaci di riconoscere, includere, proteggere, abbracciare tutti.

    Tutti, a cominciare dagli ultimi.

    Le città rifugio sono un’istituzione biblica, menzionata già nel codice deuteronomico (cfr Dt 4,41), destinata a prevenire lo spargimento di sangue innocente e a moderare il cieco desiderio di vendetta, per garantire la tutela dei diritti umani e cercare forme di riconciliazione.

    Sarebbe importante se le varie pratiche artistiche potessero costituirsi ovunque come una sorta di rete di città rifugio, collaborando per liberare il mondo da antinomie insensate e ormai svuotate, ma che cercano di prendere il sopravvento nel razzismo, nella xenofobia, nella disuguaglianza, nello squilibrio ecologico e dell’aporofobia, questo terribile neologismo che significa “fobia dei poveri”.

    Dietro a queste antinomie c’è sempre il rifiuto dell’altro.

    C’è l’egoismo che ci fa funzionare come isole solitarie invece che come arcipelaghi collaborativi.

    Vi imploro, amici artisti, immaginate città che ancora non esistono sulla carta geografica: città in cui nessun essere umano è considerato un estraneo.

    È per questo che quando diciamo “stranieri ovunque”, stiamo proponendo “fratelli ovunque”.

    Il titolo del padiglione in cui ci troviamo è “Con i miei occhi”.

    Abbiamo tutti bisogno di essere guardati e di osare guardare noi stessi.

    In questo, Gesù è il Maestro perenne: Egli guarda tutti con l’intensità di un amore che non giudica, ma sa essere vicino e incoraggiare.

    E direi che l’arte ci educa a questo tipo di sguardo, non possessivo, non oggettivante, ma nemmeno indifferente, superficiale; ci educa a uno sguardo contemplativo.

    Gli artisti sono nel mondo, ma sono chiamati ad andare oltre.

    Ad esempio, oggi più che mai è urgente che sappiano distinguere chiaramente l’arte dal mercato.

    Certo, il mercato promuove e canonizza, ma c’è sempre il rischio che “vampirizzi” la creatività, rubi l’innocenza e, infine, istruisca freddamente sul da farsi.

    Oggi abbiamo scelto di ritrovarci tutti insieme qui, nel carcere femminile della Giudecca.

    È vero che nessuno ha il monopolio del dolore umano.

    Ma ci sono una gioia e una sofferenza che si uniscono nel femminile in una forma unica e di cui dobbiamo metterci in ascolto, perché hanno qualcosa di importante da insegnarci.

    Penso ad artiste come Frida Khalo, Corita Kent o Louise Bourgeois e tante altre.

    Mi auguro con tutto il cuore che l’arte contemporanea possa aprire il nostro sguardo, aiutandoci a valorizzare adeguatamente il contributo delle donne, come coprotagoniste dell’avventura umana.

    Care Artiste e cari Artisti, ricordo l’interrogativo indirizzato da Gesù alle folle, a proposito di Giovanni il Battista: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere?» (Mt 11,7-8).

    Conserviamo questa domanda nel cuore, nel nostro cuore.

    Essa ci spinge verso il futuro.

    Grazie! Vi porto nella preghiera.

    E per favore, pregate per me.

    Grazie.

    Visita a Venezia: Incontro con le detenute (Casa di Reclusione Donne Venezia all’Isola della Giudecca, 28 Apr 2024)
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    Care sorelle, cari fratelli! Tutti siamo fratelli, tutti, e nessuno può rinnegare l’altro, nessuno!

    Saluto con affetto tutti, e specialmente voi sorelle, detenute della Casa di Reclusione della Giudecca.

    Ho desiderato incontrarvi all’inizio della mia visita a Venezia per dirvi che avete un posto speciale nel mio cuore.

    Vorrei, perciò, che vivessimo questo momento non tanto come una “visita ufficiale”, quanto come un incontro in cui, per grazia di Dio, ci doniamo a vicenda tempo, preghiera, vicinanza e affetto fraterno.

    Oggi tutti usciremo più ricchi da questo cortile – forse chi uscirà più ricco sarò io –, e il bene che ci scambieremo sarà prezioso.

    È il Signore che ci vuole insieme in questo momento, arrivati per vie diverse, alcune molto dolorose, anche a causa di errori di cui, in vari modi, ogni persona porta ferite e cicatrici, ogni persona porta delle cicatrici.

    E Dio ci vuole insieme perché sa che ognuno di noi, qui, oggi, ha qualcosa di unico da dare e da ricevere, e che tutti ne abbiamo bisogno.

    Ognuno di noi ha la propria singolarità, ha un dono e questo è per offrirlo, per condividerlo.

    Il carcere è una realtà dura, e problemi come il sovraffollamento, la carenza di strutture e di risorse, gli episodi di violenza, vi generano tanta sofferenza.

    Però può anche diventare un luogo di rinascita, rinascita morale e materiale, in cui la dignità di donne e uomini non è “messa in isolamento”, ma promossa attraverso il rispetto reciproco e la cura di talenti e capacità, magari rimaste sopite o imprigionate dalle vicende della vita, ma che possono riemergere per il bene di tutti e che meritano attenzione e fiducia.

    Nessuno toglie la dignità di una persona, nessuno!

    Allora, paradossalmente, la permanenza in una casa di reclusione può segnare l’inizio di qualcosa di nuovo, attraverso la riscoperta di bellezze insospettate in noi e negli altri, come simboleggia l’evento artistico che state ospitando e al cui progetto contribuite attivamente; può diventare come un cantiere di ricostruzione, in cui guardare e valutare con coraggio la propria vita, rimuoverne ciò che non serve, che è di ingombro, dannoso o pericoloso, elaborare un progetto, e poi ripartire scavando fondamenta e tornando, alla luce delle esperienze fatte, a mettere mattone su mattone, insieme, con determinazione.  Per questo è fondamentale che anche il sistema carcerario offra ai detenuti e alle detenute strumenti e spazi di crescita umana, di crescita spirituale, culturale e professionale, creando le premesse per un loro sano reinserimento.

    Per favore, non “isolare la dignità”, non isolare la dignità ma dare nuove possibilità!

    Non dimentichiamo che tutti abbiamo errori di cui farci perdonare e ferite da curare, io anche, e che tutti possiamo diventare guariti che portano guarigione, perdonati che portano perdono, rinati che portano rinascita.

    Cari amici e amiche, rinnoviamo oggi, io e voi, insieme, la nostra fiducia nel futuro: non chiudere la finestra, per favore, sempre guardare l’orizzonte, sempre guardare il futuro, con la speranza.

    A me piace pensare la speranza come un’ancora, sai, che è ancorata nel futuro, e noi abbiamo nelle mani la corda e andiamo avanti con la corda ancorata nel futuro.

    Proponiamoci di cominciare ogni giornata dicendo: “oggi è il momento adatto”, oggi, “oggi è il giorno giusto”, oggi (cfr 2Cor 6,2), “oggi ricomincio”, sempre, per tutta la vita!

    Vi ringrazio di questo incontro e vi assicuro la mia preghiera per ognuna di voi.

    E voi, pregate per me, ma a favore non contro!

    E questo è il dono che vi lascio.

    Guardate, è un po’ la tenerezza della mamma, e questa tenerezza Maria l’ha con tutti noi, con tutti noi, è la madre della tenerezza.

    Grazie.

    [scambio doni e saluti detenute]

    E adesso mi cacciano via! Grazie, grazie tante, vi ricorderò! E avanti e coraggio, non mollare, coraggio e avanti!

    Visita del Santo Padre a Venezia (domenica, 28 Apr 2024)
    Visita il link

     

  • Multimedia
  • 6:30 Decollo dall’eliporto del Vaticano.
    8:00 Atterraggio nel Piazzale interno della Casa di Reclusione Donne Venezia, all’Isola della Giudecca.

    Il Santo Padre è accolto da:

    - S.E.

    Mons.

    Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia
    - Maria Milano Franco D’Aragona, Provveditore
    - Mariagrazia Felicita Bregoli, Direttore
    - Lara Boco, Comandante della Polizia Penitenziaria

    8:15 Cortile interno della Casa di Reclusione:
    INCONTRO CON LE DETENUTE
    Discorso del Santo Padre

    Sono presenti anche: Personale amministrativo, Agenti della Polizia Penitenziaria, Volontari.

    Il Santo Padre saluta personalmente le Detenute (80 circa).

    8:45 Terminato l’incontro nel Cortile, il Santo Padre raggiunge la chiesa della Maddalena (Cappella del Carcere), dove è accolto dall’Em.mo Card.

    José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, Curatore del Padiglione della Santa Sede alla Biennale d’Arte di Venezia.

    9:00 Chiesa della Maddalena:
    INCONTRO CON GLI ARTISTI

    Saluto del Cardinale José Tolentino de Mendonça

    Discorso del Santo Padre

    Il Santo Padre saluta le Autorità e gli Artisti che partecipano all’Esposizione.
    9:30 Il Santo Padre lascia l’Isola della Giudecca e raggiunge in motovedetta la Basilica di Santa Maria della Salute.
    10:00 Piazzale antistante la Basilica della Salute:
    INCONTRO CON I GIOVANI
    Discorso del Santo Padre

    Sono presenti giovani di Venezia e delle Diocesi del Veneto.

    10:30 Al termine del discorso, accompagnato da una delegazione di giovani, il Santo Padre attraversa il ponte di barche che collega con Piazza San Marco.

    All’imbocco di Piazza San Marco il Santo Padre è accolto da:

    -On.

    Luca Zaia, Presidente della Regione Veneto
    -Dott.

    Darco Pellos, Prefetto di Venezia
    -Dott.

    Luigi Brugnaro, Sindaco di Venezia

    11:00 Piazza San Marco:
    CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA
    Omelia del Santo Padre
     
    Regina caeli

    Al termine della Santa Messa, ringraziamento di S.E.

    Mons.

    Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia.

    12:30 Terminata la Celebrazione Eucaristica, il Santo Padre entra in forma privata nella Basilica di San Marco per venerare le Reliquie del Santo; quindi sale sulla motovedetta e raggiunge l’eliporto del Collegio Navale “F.

    Morosini” a Sant’Elena.

    Il Santo Padre si congeda dalle Autorità civili e religiose che Lo hanno accolto.

    13:00 Decollo da Venezia
    14:30 Atterraggio all’eliporto del Vaticano

     

    Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede,  25 marzo 2024

    "La carezza e il sorriso": Incontro con nonni, anziani e nipoti promosso dalla Fondazione Età Grande (27 Apr 2024)
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    Cari nonni e cari nipoti, buongiorno e benvenuti!

    Saluto Mons.

    Vincenzo Paglia e tutti coloro che hanno collaborato per organizzare questo momento di festa.

    E un  particolare ringraziamento va ai numerosi personaggi dello spettacolo che hanno voluto partecipare.

    Grazie! Poi, tutti noi abbiamo un nonno o una nonna, due nonni due nonne.

    È un’esperienza bella avere un nonno.

    Ma anche l’Italia ha un “nonno”, e per questo voglio salutare “il nonno d’Italia” [Lino Banfi], che è qui presente.

    È bello accogliervi qui, nonni e nipoti, giovani e meno giovani.

    Oggi vediamo, come dice il Salmo, quanto è bello stare insieme (cfr Sal 133).

    Basta guardarvi per capirlo, perchè tra voi c’è amore.

    E proprio su questo vorrei che riflettessimo un momento: sul fatto che l’amore ci rende migliori, ci rende più ricchi e ci rende più saggi ad ogni età.

    Primo: l’amore ci rende migliori.

    Lo mostrate anche voi, che vi migliorate a vicenda volendovi bene.

    E ve lo dico da “nonno”, col desiderio di condividere la fede sempre giovane che unisce tutte le generazioni.

    Anch’io l’ho ricevuta da mia nonna, dalla quale per prima ho imparato a conoscere Gesù, che ci ama, che non ci lascia mai soli, e che ci sprona a farci anche noi vicini gli uni agli altri e a non escludere mai nessuno.

    Io ricordo ancora oggi le prime preghiere che mi ha insegnato la nonna.

    È da lei che ho sentito la storia di quella famiglia dove c’era il nonno che, siccome a tavola non mangiava più bene e si sporcava, era stato allontanato, messo a mangiare da solo.

    E non era una cosa bella – la nonna mi ha raccontato questa storia –, non era una cosa bella anzi, era molto brutta! Allora il nipotino – continua la storia che mi aveva raccontato la nonna – il nipotino si è messo a trafficare per qualche giorno con martello e chiodi e, quando il papà gli ha chiesto cosa stesse facendo, ha risposto: “Costruisco un tavolo per te, per farti mangiare da solo quando diventi vecchio!”.

    Questo mi ha insegnato la mia nonna, e io non ho dimenticato mai questa storia.

    Non dimenticatela neanche voi, perché è solo stando insieme con amore, non escludendo nessuno, che si diventa migliori, si diventa più umani!

    Non solo, ma si diventa anche più ricchi.

    Come mai? La nostra società è piena di persone specializzate in tante cose, ricca di conoscenze e di mezzi utili per tutti.

    Se però non c’è condivisione e ognuno pensa solo a sé, tutta la ricchezza va perduta, anzi si trasforma in un impoverimento di umanità.

    E questo è un grande rischio per il nostro tempo: la povertà della frammentazione e dell’egoismo.

    La persona egoista pensa di essere più importante se si mette al centro e se ha più cose, più cose… Ma la persona egoista è la più povera, perché l’egoismo impoverisce.

    Pensiamo, ad esempio, ad alcune espressioni che usiamo: quando parliamo di “mondo dei giovani”, di “mondo dei vecchi”, di “mondo di questo e di quello”...

    Ma il mondo è uno solo! Ed è composto di tante realtà che sono diverse proprio per potersi aiutare e completare a vicenda: le generazioni, i popoli, e tutte le differenze, se armonizzate, possono rivelare, come le facce di un grande diamante, lo splendore meraviglioso dell’uomo e del creato.

    Anche questo ci insegna il vostro stare insieme: a non lasciare che le diversità creino spaccature tra noi! A non polverizzare il diamante dell’amore, il tesoro più bello che Dio ci ha donato.

    A volte sentiamo frasi come “pensa a te stesso!”, “non aver bisogno di nessuno!”.

    Sono frasi false, che ingannano le persone, facendo credere che sia bello non dipendere dagli altri, fare da sé, vivere come isole, mentre questi sono atteggiamenti che creano solo tanta solitudine.

    Come ad esempio quando, per la cultura dello scarto, gli anziani vengono lasciati soli e devono trascorrere gli ultimi anni della vita lontano da casa e dai propri cari.

    Cosa ne pensate? È bello questo o non è bello? No! Gli anziani non devono essere lasciati soli, devono vivere in famiglia, in comunità, con l’affetto di tutti.

    E se non possono vivere in famiglia, noi dobbiamo andare a cercarli e stare loro vicino.

    Pensiamoci un momento: non è molto meglio un mondo in cui nessuno deve aver paura di finire i suoi giorni da solo? Chiaramente sì.

    E allora costruiamolo questo mondo, insieme, non solo elaborando programmi di assistenza, quanto coltivando progetti diversi di esistenza, in cui gli anni che passano non siano considerati una perdita che sminuisce qualcuno, ma un bene che cresce e arricchisce tutti: e come tali siano apprezzati e non temuti.

    E questo ci porta all’ultimo aspetto: l’amore che rende più saggi.

    È curioso: l’amore ci rende più saggi.

    Cari nipoti, i vostri nonni sono la memoria di un mondo senza memoria, e «quando una società perde la memoria, è finita» (Discorso alla Comunità di Sant’Egidio, 15 giugno 2014).

    Domando: com’è una società che perde la memoria? [rispondono in coro: “finita”] Finita.

    Non dobbiamo perdere la memoria.

    Ascoltate i nonni, specialmente quando vi insegnano col loro amore e con la loro testimonianza a coltivare gli affetti più importanti, che non si ottengono con la forza, non appaiono con il successo, ma riempiono la vita.

    Non è un caso che siano stati due anziani, mi piace pensare due nonni, Simeone e Anna, a riconoscere Gesù quando è stato portato al Tempio da Maria e Giuseppe (cfr Lc 2,22-38).

    Sono stati questi due nonni a riconoscere Gesù, prima di tutti.

    L’hanno accolto, preso tra le braccia e hanno compreso – solo loro l’hanno compreso – quello che stava succedendo: che cioè Dio era lì, presente, e che li guardava con gli occhi di un Bambino.

    Capite? Questi due anziani, solo loro si sono accorti, vedendo il piccolo Gesù, che era arrivato il Messia, il Salvatore che tutti aspettavano.

    Sono stati i vecchi a capire il Mistero.

    Gli anziani usano gli occhiali – quasi tutti – ma vedono lontano.

    Come mai? Vedono lontano perché hanno vissuto tanti anni, e hanno tante cose da insegnare: ad esempio quanto è brutta la guerra.

    Io, tanto tempo fa, l’ho imparato proprio da mio nonno, che aveva vissuto il ’14, al Piave, la prima guerra mondiale, e che con i suoi racconti mi ha fatto capire che la guerra è una cosa orribile, da non fare mai.

    Mi ha insegnato anche una bella canzone, che ancora ricordo.

    Volete che ve la dica? [rispondono: “Sì!”].

    Pensate bene, questo cantavano i soldati al Piave: “Il general Cadorna scrisse alla Regina: se vuol guardar Trieste, la guardi in cartolina!” È bello! Lo cantavano i soldati.

    Cercate i vostri nonni e non emarginateli, per il vostro bene: «L’emarginazione degli anziani […] corrompe tutte le stagioni della vita, non solo quella dell’anzianità» (Catechesi, 1° giugno 2022).

    Nell’altra diocesi io visitavo le case di riposo degli anziani, e sempre domandavo: “Quanti figli ha?” – “Tanti, tanti!” – “E vengono a trovarla?” – “Sì, sì, sempre – ricordo un caso – vengono sempre”.

    E quando uscivo, l’infermiera mi diceva: “Che buona quella donna, come copre i figli: vengono due volte all’anno, non di più”.

    I nonni sono generosi, sanno coprire le cose brutte.

    Per favore, cercate i vostri nonni, non emarginateli, è per il vostro bene.

    L’emarginazione degli anziani corrompe tutte le stagioni della vita, non solo quella dell’anzianità.

    Mi piace ripetere questo.

    Voi invece imparate la saggezza dal loro amore forte, e anche dalla loro fragilità, che è un “magistero” capace di insegnare senza bisogno di parole, un vero antidoto contro l’indurimento del cuore: vi aiuterà a non appiattirvi sul presente e a gustare la vita come relazione (cfr Benedetto XVI, Saluto nella casa-famiglia “Viva gli anziani”, 12 novembre 2012).

    Ma non solo: quando voi, nonni e nipoti, anziani e giovani, state insieme, quando vi vedete e vi sentite spesso, quando vi prendete cura gli uni degli altri, il vostro amore è un soffio di aria pulita che rinfresca il mondo e la società e ci rende tutti più forti, al di là dei legami di parentela.

    È il messaggio che ci ha dato anche Gesù sulla croce, quando «vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco tua madre! E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19,26-27).

    Con quelle parole ci ha affidato un miracolo da realizzare: quello di amarci tutti come una grande famiglia.

    Carissimi amici, grazie per essere qui, e grazie per quello che fate con la Fondazione “Età Grande”! Insieme, uniti, siete un esempio e un dono per tutti.

    Vi ricordo nella preghiera, vi benedico, e vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie, grazie tante!

    Alla Comunità del Seminario di Burgos (Spagna) (27 Apr 2024)
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    Cari fratelli vescovi,
    cari sacerdoti e seminaristi
    ,

    Sono lieto di accogliervi oggi qui, nella casa di Pietro, e ringrazio in modo particolare Dio perché vedo in voi due cose.

    La prima, un mosaico di razze, culture, età che si sono incontrate per rispondere insieme alla chiamata di Gesù al sacerdozio ministeriale.

    La seconda, il fatto che vi state formando in un luogo del mondo che forse per molti era impensabile; una terra ricca di storia e tradizione, di gente vigorosa “per il clima e i costumi”, ma che ora voi definite come “la España vaciada”, la Spagna svuotata.

    Mi viene in mente il bel Cantar de mio Cid quando parla di Burgos: «Il Cid Ruy Díaz a Burgos entrava; al seguito aveva sessanta pennoni.

    Uscivano a vederlo, gli uomini e le donne: le genti di Burgos alle finestre stanno piangendo dagli occhi».

    Mi viene sempre in mente questo quando parlo di Burgos.

    Sono stato lì, nel Settanta in visita all’arcivescovo di allora, che era parente di un mio zio politico.

    Per questo mi ricordo di Burgos.

    Nel riflettere sul motivo per cui Dio ci ha portati nel luogo in cui siamo è bene ricordare il brano di san Luca in cui Gesù invia i suoi discepoli «dove [lui] stava per recarsi» (Lc 10, 1).

    È un buon criterio di discernimento e di esame, perché lo possiamo tradurre nella nostra realtà con poche semplici parole: “Gesù mi vuole in questa terra svuotata per riempirla di Dio”, ossia, perché lo renda presente tra i miei fratelli, affinché costruisca comunità, costruisca Chiesa, Popolo.

    Prima di tutto, questo proposito si realizza se si è un gruppo eterogeneo che conosce l’accoglienza e l’arricchimento reciproco.

    Senza carità verso Dio e i fratelli, senza camminare “a due a due” — come dice ancora l’evangelista —, non possiamo portare Dio.

    Poi, mostrare al Signore una disponibilità assoluta, “pregandolo” di mandare noi, anche se sembriamo poco rispetto a un lavoro — la messe — tanto grande.  E questo è molto importante.

    E dopo l’atteggiamento di abbandono e fiducia, che il vuoto si faccia solo nel nostro cuore per accogliere Dio e il fratello.

    Sarebbe questa la terza cosa.

    Liberandoci dalle false sicurezze umane.

    Avere Dio in noi ci riempie di pace, una pace che possiamo comunicare, che possiamo portare a tutti i popoli e città, desiderare per ogni luogo.

    In tal modo colmerete con la vostra luce i campi che ora sembrano sterili, fecondandoli di speranza.

    Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa vi custodisca.

    ___________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    96, sabato 27 aprile 2024, p.

    11.

    Ai Membri della Federazione Italiana Dama (26 Apr 2024)
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    Cari amiche e amici, benvenuti!

    Sono contento di incontrarvi, a cento anni dalla nascita della vostra Federazione.

    Saluto il Presidente e tutti voi.

    Il gioco della dama ha due belle caratteristiche: stimola la mente ed è accessibile a tutti.

    Infatti richiede intelligenza, abilità e attenzione, ma non grandi mezzi e strutture.

    È uno di quei giochi con cui, ovunque ci si trovi, si può facilmente creare un momento di incontro e di divertimento: bastano una scacchiera e le pedine, due giocatori, ed è un modo simpatico di stare insieme.

    Questo fa sì che la dama sia un gioco per tutti, praticato in varie parti del mondo.

    Ad esempio, risulta che sia uno degli svaghi più comuni tra i migranti che approdano sulle nostre coste: tanti di questi fratelli e sorelle, in situazioni di grande incertezza e apprensione, trovano sollievo giocando a dama, a volte anche insieme alla gente che li accoglie, nella semplicità e nella condivisione.

    E inoltre è un gioco che fa esercitare la capacità logica, e ce n’è bisogno, perché l’abuso dei nuovi media invece la fa addormentare!

    Cari amici, è bello il vostro incontrarvi con gioia, per conoscervi e sfidarvi sportivamente: in un mondo caratterizzato dall’individualismo, che a volte rischia di diventare isolamento, questo fa circolare aria pulita , aria fresca, il vostro gioco.

    Perciò auguro ogni bene per la vostra attività; e vi incoraggio anche a tenere vivi i momenti di spiritualità che abitualmente associate agli eventi più importanti organizzati dalla Federazione.

    Vi ringrazio della vostra visita e vi benedico.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    E portate sempre i bambini, che sono una promessa! Grazie.

    Ai Membri dell'Azione Cattolica Italiana (25 Apr 2024)
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    Cari amiche e amici dell’Azione Cattolica, buongiorno e benvenuti!

    Grazie per la vostra presenza.

    Vi saluto con affetto, in particolare il Presidente nazionale e l’Assistente generale.

    Poco fa, passando in mezzo a voi, ho incrociato sguardi pieni di gioia , pieni di speranza.

    Grazie per questo abbraccio così intenso e bello, che da qui vuole allargarsi a tutta l’umanità, specialmente a chi soffre.

    Mai dobbiamo dimenticare le persone che soffrono.

    Il titolo che avete scelto per il vostro incontro è infatti “A braccia aperte”.

    L’abbraccio è una delle espressioni più spontanee dell’esperienza umana.

    La vita dell’uomo si apre con un abbraccio, quello dei genitori, primo gesto di accoglienza, a cui ne seguono tanti altri, che danno senso e valore ai giorni e agli anni, fino all’ultimo, quello del congedo dal cammino terreno.

    E soprattutto è avvolta dal grande abbraccio di Dio, che ci ama, ci ama per primo e non smette mai di stringerci a sé, specialmente quando ritorniamo dopo esserci perduti, come ci mostra la parabola del Padre misericordioso (cfr Lc 15,1-3.11-32).

    Cosa sarebbe la nostra vita, e come potrebbe realizzarsi la missione della Chiesa senza questi abbracci? Perciò vorrei proporvi, come spunti di riflessione, tre tipi di abbraccio: l’abbraccio che manca, l’abbraccio che salva e l’abbraccio che cambia la vita.

    Primo: l’abbraccio che manca.

    Lo slancio che oggi esprimete in modo così festoso non è sempre accolto con favore nel nostro mondo: a volte incontra chiusure , a volte incontra resistenze, per cui le braccia si irrigidiscono e le mani si serrano minacciose, divenendo non più veicoli di fraternità, ma di rifiuto, di contrapposizione, anche violenta a volte, un segno di diffidenza nei confronti degli altri, vicini e lontani, fino a portare al conflitto.

    Quando l’abbraccio si trasfroma in un pugno è molto pericoloso.

    All’origine delle guerre ci sono spesso abbracci mancati o abbracci rifiutati, a cui seguono pregiudizi, incomprensioni, sospetti, fino a vedere l’altro un nemico.

    E tutto ciò purtroppo, in questi giorni, è sotto i nostri occhi, in troppe parti del mondo! Con la vostra presenza e con il vostro lavoro, invece, voi potete testimoniare a tutti che la via dell’abbraccio è la via della vita.

    Il che ci porta al secondo passaggio.

    Il primo era l’abbraccio che manca, adesso vediamo l’abbraccio che salva.

    Già umanamente abbracciarsi significa esprimere valori positivi e fondamentali come l’affetto, la stima, la fiducia, l’incoraggiamento, la riconciliazione.

    Ma diventa ancora più  vitale quando lo si vive nella dimensione della fede.

    Al centro della nostra esistenza, infatti, c’è proprio l’abbraccio misericordioso di Dio che salva, l’abbraccio del Padre buono che si è rivelato in Cristo, e il cui volto è riflesso in ogni suo gesto – di perdono, di guarigione, di liberazione, di servizio (cfr Gv 13,1-15) – e il cui svelarsi raggiunge il suo culmine nell’Eucaristia e sulla Croce, quando Cristo offre la sua vita per la salvezza del mondo, per il bene di chiunque lo accolga con cuore sincero, perdonando anche ai suoi crocifissori (cfr Lc 23,34).

    E tutto questo ci è mostrato perché anche noi impariamo a fare lo stesso.

    Perciò, non perdiamo mai di vista l’abbraccio del Padre che salva, paradigma della vita e cuore del Vangelo, modello di radicalità dell’amore, che si nutre e si ispira al dono gratuito e sempre sovrabbondante di Dio (cfr Mt 5,44-48).

    Fratelli e sorelle, lasciamoci abbracciare da Lui, come bambini (cfr Mt 18,2-3; Mc 10,13-16), lasciamoci abbracciare da Lui come bambini.

    Ognuno di noi ha nel cuore qualcosa di bambino che ha bisogno di un abbraccio.

    Lasciamoci abbracciare dal Signore.

    Così, nell’abbraccio del Signore impariamo ad abbracciare gli altri.

    Andiamo al terzo passo.

    Primo, l’abbraccio che manca; secondo, l’abbraccio che salva; terzo, l’abbraccio che cambia la vita.Un abbraccio può cambiare la vita, mostrare strade nuove, strade di speranza.

    Sono molti i santi nella cui esistenza un abbraccio ha segnato una svolta decisiva, come San Francesco, che lasciò tutto per seguire il Signore dopo aver stretto a sé un lebbroso, come lui stesso ricorda nel suo testamento (cfr FF 110, 1407-1408).

    E se questo è stato valido per loro, lo è anche per noi.

    Ad esempio per la vostra vita associativa, che è multiforme e trova il denominatore comune proprio nell’abbraccio della carità (cfr Col 3,14; Rm 13,10), unico contrassegno essenziale dei discepoli di Cristo (cfr Lumen gentium, 42), regola, forma e fine di ogni mezzo di santificazione e di apostolato.

    Lasciate che sia essa a plasmare ogni vostro sforzo e servizio, perché possiate vivere fedeli alla vostra vocazione e alla vostra storia (cfr Discorso all’Azione Cattolica30 aprile 2017).

    Amici, voi sarete tanto più presenza di Cristo quanto più saprete stringere a voi e sorreggere ogni fratello bisognoso con braccia misericordiose e compassionevoli, da laici impegnati nelle vicende del mondo e della storia, ricchi di una grande tradizione, formati e competenti in ciò che riguarda le vostre responsabilità, e al tempo stesso umili e ferventi nella vita dello spirito.

    Così potrete porre segni concreti di cambiamento secondo il Vangelo a livello sociale, culturale, politico ed economico nei contesti in cui operate.

    Allora, fratelli e sorelle, la “cultura dell’abbraccio”, attraverso i vostri cammini personali e comunitari, crescerà nella Chiesa e nella società,  rinnovando le relazioni familiari ed educative, rinnovando i processi di riconciliazione e di giustizia, rinnovando gli sforzi di comunione e di corresponsabilità, costruendo legami per un futuro di pace (cfr Discorso al Consiglio Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, 30 aprile 2021).

    E in proposito vorrei aggiungere un ultimo pensiero.

    Vedervi qui tutti insieme – ragazzi, famiglie, uomini e donne, studenti, lavoratori, giovani, adulti e “adultissimi” (come chiamate quelli della mia generazione) – mi fa venire in mente il Sinodo.

    E penso al Sinodo in corso, che giunge alla sua terza tappa, la più impegnativa e importante, quella profetica.

    Ora si tratta di tradurre il lavoro delle fasi precedenti in scelte che diano slancio e vita nuova alla missione della Chiesa nel nostro tempo.

    Ma la cosa più improtante di questo Sinodo è la sinodalità.

    Gli argomenti, i temi, sono per portare avanti questa espressione della Chiesa, che è sinodalità.

    Per questo c’è bisogno di uomini e donne sinodali, che sappiano dialogare, interloquire, cercare insieme.

    C’è bisogno di gente forgiata dallo Spirito, di “pellegrini di speranza”, come dice il tema del Giubileo ormai vicino, uomini e donne capaci di tracciare e percorrere sentieri nuovi e impegnativi.

    Vi invito dunque ad essere “atleti e portabandiera di sinodalità” (cfr ibid.), nelle diocesi e nelle parrocchie di cui fate parte, per una piena attuazione del cammino fatto fino ad oggi.

    Nei mesi scorsi avete vissuto, nelle vostre comunità, momenti di intensa esperienza associativa, con il rinnovo dei responsabili a livello diocesano e parrocchiale, e questa sera inizierà la XVIII Assemblea nazionale.

    Vi auguro di vivere anche queste esperienze non come adempimenti formali, no, ma come  momenti di comunione , momenti di corresponsabilità, momenti ecclesiali, in cui contagiarsi a vicenda con abbracci di affetto e di stima fraterna (cfr Rm 12,10).

    Carissimi, grazie per quello che siete, grazie per quello che fate! La Madonna vi accompagni sempre.

    Prego per voi.

    E vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me, a favore, non contro! Grazie.

    Ai Pellegrini dall'Ungheria (25 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti! Isten hozott!

    Saluto tutti voi, che siete venuti a confermare il vostro legame con il Successore di Pietro e a fare la vostra professione di fede, in questo tempo pasquale nel quale il Signore Risorto ci illumina e ci dona la speranza che non delude.

    Saluto il Cardinale Péter Erdő, Primate d’Ungheria.

    Saluto il Presidente della Conferenza Episcopale Ungherese, Mons.

    András Veres, tutti i Vescovi presenti, i sacerdoti, i consacrati, i fedeli laici.

    Saluto le Autorità civili, in particolare sono lieto di dare il benvenuto al nuovo Presidente d’Ungheria, il Signor Tamás Sulyok.

    Il vostro pellegrinaggio avviene un anno dopo il mio Viaggio Apostolico in Ungheria, che porto nel cuore con tanta gratitudine.

    Per questo mi piace oggi farne memoria, ricordando che sono venuto in mezzo a voi come pellegrino, come fratello e come amico.

    A Budapest, bella città di ponti e di santi, sono stato pellegrino per pregare insieme con voi.

    Pregare per l’Europa, per «il desiderio di costruire la pace, di dare alle giovani generazioni un futuro di speranza, non di guerra; un avvenire pieno di culle, non di tombe; un mondo di fratelli, non di muri» (Regina Caeli, 30 aprile 2023).

    Ho pregato per la vostra cara Nazione, che da un millennio abita quella terra e la feconda col Vangelo di Cristo.

    Nella preghiera possiate sempre ritrovare la forza, la determinazione per seguire, anche nel contesto storico attuale, l’esempio dei Santi e dei Beati germogliati dal vostro popolo.

    Il Risorto, apparendo in mezzo ai suoi discepoli, ha donato loro la pace.

    Non dimentichiamo, fratelli e sorelle, che la realizzazione di questo grande dono inizia nel cuore di ognuno di noi; inizia davanti alla porta di casa mia quando, prima di uscire, decido se voglio vivere quel giorno come un uomo o una donna di pace, cioè di vivere in pace con gli altri.

    La pace nasce quando decido di perdonare, anche se è difficile, e questo riempie il cuore di gioia.

    Nuovamente affido la Chiesa nel vostro Paese all’intercessione della Magna Domina Hungarorum, di Santo Stefano, San Ladislao, Santa Elisabetta, Sant’Emerico e di tutti i Santi e Beati: che essa si fortifichi nell’ardore della testimonianza e nella gioia dell’annuncio.

    Oltre che come pellegrino, ho voluto venire tra voi da fratello.

    Specialmente nell’incontro con voi, cari Vescovi, cari sacerdoti, religiose e religiosi.

    Vi ho incoraggiato ad assumere come atteggiamento e stile di vita lo “stile di Dio”, che è fatto di tenerezza, vicinanza e compassione.

    Non dimenticare questo: lo stile di Dio è tenerezza, vicinanza e compassione.

    In questo vi aiutano gli esempi recenti del tempo della persecuzione, come quello del Beato Vilmos Apor, che per la sua vicinanza e la difesa delle donne rifugiate ha dovuto pagare con la vita.

    Oppure quello di Zoltán Meszlényi, che ha compiuto con tanta dedizione il suo servizio fino all’ultimo momento della vita.

    E come non ricordare il giovane sacerdote János Brenner? Spinto dalla tenerezza e dello zelo pastorale, andò a confortare un presunto malato portandogli la Comunione, senza sospettare che era una trappola e che sarebbe stato barbaramente ucciso.

    O anche Sára Salkaházi, che durante la deportazione nazista degli ebrei ebbe compassione delle vittime, tanto che subì il martirio sotto il Ponte della Libertà a Pest.

    Questi esempi vi spingano ad avere gli stessi atteggiamenti verso coloro che sono affidati alla vostre cure.

    E poi ho voluto stare insieme a voi come un amico.

    In particolare, ricordo con tanta gioia l’incontro con voi, cari giovani.

    Voglio ancora incoraggiarvi a camminare nel dialogo con le generazioni che vi hanno preceduto.

    A parlare con i nonni, con gli anziani del vostro popolo; a cercare le radici, perché così metterete basi solide per il futuro.

    Custodendo le radici potrete guardare avanti con fiducia, rafforzandovi nei valori che danno vita: la famiglia, l’unità, la pace.

    Mi piace quel vostro proverbio molto evangelico: “Meglio dare che ricevere” – Jobb adni mind kapni.

    È proprio così: donandosi uno si ritrova e la sua vita non rimane vuota.

    Come amico ho incontrato anche persone in condizioni di sofferenza: profughi, poveri, emarginati.

    Vi ringrazio perché avete il cuore aperto verso i profughi ucraini che hanno lasciato il loro Paese a causa della guerra.

    E apprezzo anche i vostri sforzi di integrare coloro che vivono nelle periferie della società.

    Cari fratelli e sorelle, grazie per la vostra vicinanza e il vostro affetto! Camminiamo insieme sulla via del Signore come uomini e donne “pasquali”, e riconosciamolo nello spezzare il pane, alla mensa eucaristica e a quella degli affamati; nella sua Parola e nell’incontro con gli altri.

    Grazie per la vostra fedeltà a Cristo, manifestata nella testimonianza della fede e nell’ecumenismo vissuto, nei rapporti con i vostri vicini, nella carità accogliente anche di chi è diverso, nel rispetto di ogni vita umana e nella cura responsabile per l’ambiente.

    Vi benedico di cuore, e la Madonna vi custodisca.

    Isten áld meg a magyart! – Dio benedica gli ungheresi! E per favore, continuate a pregare per me.

    Grazie!

    Udienza Generale del 24 Apr 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 16. La vita di grazia secondo lo Spirito
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    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    16. La vita di grazia secondo lo Spirito


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nelle scorse settimane abbiamo riflettuto sulle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.

    Sono le quattro virtù cardinali.

    Come abbiamo sottolineato più volte, queste quattro virtù appartengono a una sapienza molto antica, che precede anche il cristianesimo.

    Già prima di Cristo si predicava l’onestà come dovere civile, la sapienza come regola delle azioni, il coraggio come ingrediente fondamentale per una vita che tende verso il bene, la moderazione come misura necessaria per non essere travolti dagli eccessi.

    Questo patrimonio tanto antico, patrimonio dell’umanità, non è stato sostituito dal cristianesimo, ma messo bene a fuoco, valorizzato, purificato e integrato nella fede.

    C’è dunque nel cuore di ogni uomo e donna la capacità di ricercare il bene.

    Lo Spirito Santo è donato perché chi lo accoglie possa distinguere chiaramente il bene dal male, avere la forza per aderire al bene rifuggendo dal male e, così facendo, raggiungere la piena realizzazione di sé.

    Ma nel cammino che tutti stiamo facendo verso la pienezza della vita, che appartiene al destino di ogni persona – il destino di ogni persona è la pienezza, essere piena di vita –, il cristiano gode di una particolare assistenza dello Spirito Santo, lo Spirito di Gesù.

    Essa si attua con il dono di altre tre virtù, prettamente cristiane, che spesso vengono nominate insieme negli scritti del Nuovo Testamento.

    Questi atteggiamenti fondamentali, che caratterizzano la vita del cristiano, sono tre virtù che noi diremo adesso insieme: la fede, la speranza e la carità.

    Diciamolo insieme: [insieme] la fede, la speranza… non sento niente, più forte! [insieme] La fede, la speranza e la carità.

    Siete stati bravi! Gli scrittori cristiani le hanno ben presto chiamate virtù “teologali”, in quanto si ricevono e si vivono nella relazione con Dio, per differenziarle dalle altre quattro chiamate “cardinali”, in quanto costituiscono il “cardine” di una vita buona.

    Queste tre sono ricevute nel Battesimo e vengono dallo Spirito Santo.

    Le une e le altre, sia le teologali sia le cardinali, accostate in tante riflessioni sistematiche, hanno così composto un meraviglioso settenario, che spesso viene contrapposto all’elenco dei sette vizi capitali.

    Così il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce l’azione delle virtù teologali: «Fondano, animano e caratterizzano l’agire morale del cristiano.

    Esse informano e vivificano tutte le virtù morali.

    Sono infuse da Dio nell’anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna.

    Sono il pegno della presenza e dell’azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell’essere umano» (n.

    1813).

    Mentre il rischio delle virtù cardinali è quello di generare uomini e donne eroici nel compiere il bene, ma tutto sommato soli, isolati, il grande dono delle virtù teologali è l’esistenza vissuta nello Spirito Santo.

    Il cristiano non è mai solo.

    Compie il bene non per un titanico sforzo di impegno personale, ma perché, come umile discepolo, cammina dietro al Maestro Gesù.

    Lui va avanti nella via.

    Il cristiano ha le virtù teologali che sono il grande antidoto all’autosufficienza.

    Quante volte certi uomini e donne moralmente ineccepibili corrono il rischio di diventare, agli occhi di chi li conosce, presuntuosi e arroganti! È un pericolo davanti al quale il Vangelo ci mette bene in guardia, là dove Gesù raccomanda ai discepoli: «Anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili.

    Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,10).

    La superbia è un veleno, è un veleno potente: ne basta una goccia per guastare tutta una vita improntata al bene.

    Una persona può avere compiuto anche una montagna di opere benefiche, può aver mietuto riconoscimenti ed encomi, ma se tutto ciò l’ha fatto solo per sé stesso, per esaltare sé stessa, può dirsi ancora una persona virtuosa? No!

    Il bene non è solo un fine, ma anche un modo.

    Il bene ha bisogno di tanta discrezione, di molta gentilezza.

    Il bene ha bisogno soprattutto di spogliarsi di quella presenza a volte troppo ingombrante che è il nostro io.

    Quando il nostro “io” è al centro di tutto, si rovina tutto.

    Se ogni azione che compiamo nella vita la compiamo solo per noi stessi, è davvero così importante questa motivazione? Il povero “io” si impadronisce di tutto e così nasce la superbia.

    Per correggere tutte queste situazioni che a volte diventano penose, le virtù teologali sono di grande aiuto.

    Lo sono soprattutto nei momenti di caduta, perché anche coloro che hanno buoni propositi morali a volte cadono.

    Tutti cadiamo, nella vita, perché tutti siamo peccatori.

    Come anche chi si esercita quotidianamente nella virtù a volte sbaglia – tutti sbagliamo nella vita –: non sempre l’intelligenza è lucida, non sempre la volontà è ferma, non sempre le passioni sono governate, non sempre il coraggio sovrasta la paura.

    Ma se apriamo il cuore allo Spirito Santo – il Maestro interiore –, Egli ravviva in noi le virtù teologali: allora, se abbiamo perso la fiducia, Dio ci riapre alla fede – con la forza dello Spirito, se abbiamo perso la fiducia, Dio ci riapre alla fede –; se siamo scoraggiati, Dio risveglia in noi la speranza; e se il nostro cuore è indurito, Dio lo intenerisce col suo amore.

    Grazie.

    ____________________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier les diverses paroisses et écoles venues de France, et venues également de Côte d’Ivoire et de République démocratique du Congo.

    Implorons l’Esprit Saint de nous remplir de toujours plus de foi, d’espérance et de charité pour nous aider à marcher à la suite de Jésus en faisant le bien.

    Que Dieu vous bénisse.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare le diverse parrocchie e scuole venute dalla Francia, e venute anche dalla Costa d'Avorio e dalla Repubblica Democratica del Congo.

    Imploriamo lo Spirito Santo di colmarci di sempre più fede, speranza e carità per aiutarci a camminare nella sequela di Gesù facendo il bene.

    Dio vi benedica.]

    I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially those coming from England, Finland, India, Indonesia, Tanzania and the United States of America.

    In the joy of the Risen Christ, I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

    May the Lord bless you all!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Finlandia, India, Indonesia, Tanzania e Stati Uniti d’America.

    Nella gioia del Cristo Risorto, invoco su voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre! Il Signore vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, rufen wir oft den Heiligen Geist an: Er möge in uns den Glauben, die Hoffnung und die Liebe vermehren, damit wir den Vater im Himmel durch ein evangeliumsgemäßes Leben verherrlichen.

    [Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, invochiamo frequentemente lo Spirito Santo: Egli accresca in noi la fede, la speranza e la carità affinché possiamo glorificare il Padre che è nei cieli con una vita secondo lo stile del Vangelo.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Pidamos al Espíritu Santo que nos conceda la gracia de creer, esperar y amar a imitación del Corazón de Cristo, siendo sus testigos en toda circunstancia.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Saúdo cordialmente todos os fiéis de língua portuguesa, especialmente os grupos vindos de Belo Horizonte e de Braga.

    Abramos os nossos corações à ação do Espírito Santo, para que faça crescer em nós a fé, a esperança e o amor.

    Deus abençoe a todos!

    [Saluto cordialmente tutti i fedeli di lingua portoghese, specialmente i gruppi venuti da Belo Horizonte e da Braga.

    Apriamo i nostri cuori all’azione dello Spirito Santo, perché faccia crescere in noi la fede, la speranza e l’amore.

    Dio benedica tutti!]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    الفضائِلُ الإلهِيَّة، الإيمانُ والرَّجاءُ والمَحَبَّة، هي نِعَمٌ تَشفِينا وتَجعَلُنا نَشفي الآخرين، وهي نِعَمٌ تَفتَحُ أمامَنا آفاقًا جديدة، حتَّى عندما نُبحِرُ في مياهِ زَمَنِنا الصَّعبَة.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Le virtù teologali, fede, speranza e carità, sono doni che ci guariscono e che ci rendono guaritori, doni che ci aprono a orizzonti nuovi, anche mentre navighiamo nelle difficili acque del nostro tempo.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie Polaków.

    W przyszłą sobotę przypada 10.

    rocznica kanonizacji św.

    Jana Pawła II.

    Patrząc na jego życie widzimy, do czego może dojść człowiek, kiedy przyjmie i rozwinie w sobie Boże dary: wiary, nadziei i miłości.

    Pozostańcie wierni jego dziedzictwu.

    Promujcie życie i nie dajcie się zwieść kulturze śmierci.

    Za jego wstawiennictwem prośmy Boga o dar pokoju, o który on jako Papież tak bardzo zabiegał.

    Z serca wam błogosławię.]

    [Saluto cordialmente i polacchi.

    Sabato prossimo ricorre il decimo anniversario della canonizzazione di San Giovanni Paolo II.

    Guardando la sua vita, possiamo vedere che cosa può raggiungere l'uomo accettando e sviluppando in sé i doni di Dio: fede, speranza e carità.

    Rimanete fedeli alla sua eredità.

    Promuovete la vita e non lasciatevi ingannare dalla cultura della morte.

    Per sua intercessione, chiediamo a Dio il dono della pace per la quale egli, come Papa, si è tanto impegnato.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto le Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino, che celebrano il Capitolo Generale, e i Fratelli Maristi.

    Accolgo con affetto i fedeli di Borgo Faiti di Latina, Mondragone e Gragnano, affidando ciascuno alla materna protezione della Vergine Maria, protettrice delle rispettive comunità.

    Saluto, inoltre, la Rete dei Comitati di San Calogero provenienti dalla Sicilia, la Scuola Militare “Nunziatella” di Napoli e la Banda di Galati Mamertino.

    Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli.

    Domani celebreremo la festa liturgica di san Marco, l’Evangelista che ha descritto con vivacità e concretezza il mistero della persona di Gesù di Nazaret.

    Invito tutti voi a lasciarvi affascinare da Cristo, per collaborare con entusiasmo e fedeltà alla costruzione del Regno di Dio.

    E poi il pensiero va alla martoriata Ucraina, alla Palestina, a Israele, al Myanmar che sono in guerra, e a tanti altri Paesi.

    La guerra sempre è una sconfitta, e quelli che guadagnano di più sono i fabbricatori di armi.

    Per favore, preghiamo per la pace! Preghiamo per la martoriata Ucraina: soffre tanto, tanto.

    I soldati giovani vanno a morire.

    Preghiamo.

    E preghiamo anche per il Medio Oriente, per Gaza: si soffre tanto lì, nella guerra.

    Per la pace tra Palestina e Israele, che siano due Stati, liberi e con buoni rapporti.

    Preghiamo per la pace.

    A tutti la mia benedizione!

    Ai partecipanti al Capitolo Generale dei Fratelli dell'Istruzione Cristiana (22 Apr 2024)
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    Cari fratelli,

    vi do il benvenuto in occasione del vostro Capitolo Generale.

    Saluto il Superiore e ognuno di voi ed esprimo la mia vicinanza a tutti i vostri fratelli sparsi nel mondo.Rendo grazie al Signore per l’opera del suo Spirito che si manifesta nel vostro carisma, cioè l’evangelizzazione dei bambini e dei giovani attraverso l’educazione.

    Questo vostro Capitolo si colloca nella scia delle celebrazioni del bicentenario dell’Istituto, e vi offre l’occasione per tornare alle intuizioni fondamentali che hanno guidato il Venerabile Jean-Marie de La Mennais e Padre Gabriel Dashayes.

    Oggi la loro opera è presente in diversi Paesi del mondo, perché hanno creduto che tutto è possibile a chi si affida totalmente al Signore e si mette al servizio dello sviluppo umano integrale di ogni persona.

    Non dobbiamo mai dimenticare da dove proveniamo e conservare sempre la memoria delle motivazioni del nostro agire.

    Cari fratelli, voi lavorate in regioni del mondo dove imperversano la povertà, la disoccupazione dei giovani, crisi sociali di ogni genere.

    Vi esorto pertanto a essere padri per coloro a cui siete inviati, padri che riflettono il volto amorevole e compassionevole di Dio.

    In un mondo in continuo cambiamento, vi ponete generosamente al servizio dei giovani, attenti alle loro aspirazioni e nello stesso tempo sempre rivolti a Cristo, regola suprema della vostra vita.

    La vostra vocazione vi spinge ad andare là dove altri non vanno, in periferia, verso le persone che formano la categoria dei rifiutati, dei feriti dalla vita e delle vittime.

    Che la vostra presenza sia sorgente di speranza per molti.

    Nel vostro spirito di fraternità e di accoglienza riconoscano un altro volto dell’umanità sfigurata dalle guerre, dall’indifferenza e dallo scarto dei più deboli.

    Quei bambini, quei giovani, quelle persone hanno anch’essi dei sogni, ma oggi, per tanti motivi, sono sogni frantumati.

    Possiate aiutarli a rivivere i loro sogni, a credere in essi e a realizzarli!

    I bambini giocano, anche sotto le bombe, nei Paesi in guerra.

    Quando vediamo le fotografie di questi Paesi, ci sono bambini che giocano.

    Ma una cosa che mi colpisce, quando vengono qui a Roma bambini dell’Ucraina che sono trasferiti qui e vivono qui, questi bambini non sorridono: hanno perso il sorriso.

    La guerra fa questo: fa perdere il sorriso dei bambini.

    Lavorate perché loro riprendano la capacità di sorridere!

    Cari fratelli, la Chiesa è una famiglia e tutti noi, nella varietà dei carismi e delle vocazioni, cooperiamo per la salvezza dell’uomo.

    In questo stupendo mistero di comunione, posso contare sulla vostra fiducia filiale e sul vostro attaccamento al ministero del Successore di Pietro.

    Vi incoraggio a lavorare in stretta collaborazione con le diocesi dove siete in missione e con il Popolo fedele di Dio; a tenere lontano dalla vostra vita ogni spirito di orgoglio, di chiusura, di divisione e di pettegolezzo.

    Il pettegolezzo fa tanto male alle comunità religiose.

    Un bel proposito per un religioso e una religiosa sarebbe mordersi la lingua ogni volta che viene voglia di sparlare dell’altro.

    Sarebbe un bel proposito, no? Infatti, «essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre.

    Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità» (Esort.

    ap.

    Evangelii gaudium, 114).

    Al termine del vostro Capitolo, rinnoverete la consacrazione dell’Istituto al Cuore Immacolato di Maria.

    La vostra pedagogia sia sempre ispirata a colei che, col suo “sì” totale, ha acconsentito che si compisse nella sua persona il progetto salvifico di Dio per l’umanità.

    Ella vi aiuti a coltivare lo zelo di mettervi in strada per servire, a coltivare l’umiltà, la fiducia in Dio e la gioia di essere servitori della sua tenerezza e della sua misericordia.

    Per favore, non perdere la gioia, per favore!

    Di cuore benedico voi e tutti i vostri confratelli in ogni parte del mondo, come pure i giovani che accompagnate.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Regina Caeli, 21 Apr 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

    Questa domenica è dedicata a Gesù Buon Pastore.

    Nel Vangelo odierno (cfr Gv 10,11-18) Gesù dice: «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore» (v. 11) e insiste su questo aspetto, tanto da ripeterlo per ben tre volte (cfr vv. 11.15.17).

    Ma in che senso, mi domando, il pastore dà la vita per le pecore?

    Essere pastore, specialmente al tempo di Cristo, non era solo un mestiere, era tutta una vita: non si trattava di avere un’occupazione a tempo, ma di condividere le intere giornate, e pure le nottate, con le pecore, di vivere – vorrei dire –  in simbiosi con loro.

    Gesù infatti spiega di non essere un mercenario, a cui non importa delle pecore (cfr v.

    13), ma colui che le conosce (cfr v. 14): Lui conosce le pecore.

    È così, Lui, il Signore, pastore di tutti noi, ci conosce, ognuno di noi, ci chiama per nome e, quando ci smarriamo, ci cerca finché ci ritrova (cfr Lc 15,4-5).

    Di più: Gesù non è solo un bravo pastore che condivide la vita del gregge; Gesù è il Buon Pastore, che per noi ha sacrificato la vita e, risorto, ci ha dato il suo Spirito.

    Ecco cosa vuole dirci il Signore con l’immagine del Buon Pastore: non solo che Lui è la guida, il Capo del gregge, ma soprattutto che pensa a ciascuno di noi, e ci pensa come all’amore della sua vita.

    Pensiamo a questo: io per Cristo sono importante, Lui mi pensa, sono insostituibile, valgo il prezzo infinito della sua vita.

    E questo non è un modo di dire: Lui ha dato veramente la vita per me, è morto e risorto per me.

    Perché? Perché mi ama e trova in me una bellezza che io spesso non vedo.

    Fratelli e sorelle, quante persone oggi si ritengono inadeguate o persino sbagliate! Quante volte si pensa che il nostro valore dipenda dagli obiettivi che riusciamo a raggiungere, dal successo agli occhi del mondo, dai giudizi degli altri! E quante volte si finisce per buttarsi via per cose da poco! Oggi Gesù ci dice che noi per Lui valiamo tanto e sempre.

    E allora, per ritrovare noi stessi, la prima cosa da fare è metterci alla sua presenza, lasciarci accogliere e sollevare dalle braccia amorevoli del nostro Buon Pastore.

    Fratelli, sorelle, chiediamoci dunque: so trovare ogni giorno un momento per abbracciare la certezza che dà valore della mia vita? So trovare un momento di preghiera, di adorazione, di lode, per stare alla presenza di Cristo e lasciarmi accarezzare da Lui? Fratello, sorella, il Buon Pastore ci dice che se lo fai, riscoprirai il segreto della vita: ricorderai che Lui ha dato la vita per te, per me, per tutti noi.

    E che per Lui siamo tutti importanti, ognuno di noi e tutti.

    La Madonna ci aiuti a trovare in Gesù l’essenziale per vivere.

    ____________________________________

    Dopo il Regina Caeli

    Cari fratelli e sorelle!

    Si celebra oggi la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che ha per tema “Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace”.

    È una bella occasione per riscoprire la Chiesa quale comunità caratterizzata da una polifonia di carismi e di vocazioni al servizio del Vangelo.

    In tale contesto rivolgo di cuore il mio saluto ai nuovi presbiteri della diocesi di Roma, che sono stati ordinati ieri pomeriggio nella Basilica di San Pietro.

    Preghiamo per loro!

    Continuo a seguire con preoccupazione, e anche con dolore, la situazione in Medio Oriente.

    Rinnovo l’appello a non cedere alla logica della rivendicazione e della guerra; prevalgano invece le vie del dialogo e della diplomazia, che può fare tanto.

    Prego ogni giorno per la pace in Palestina e in Israele e spero che quei due popoli possano presto smettere di soffrire.

    E non dimentichiamo la martoriata Ucraina, la martoriata Ucraina che soffre tanto per la guerra.

    Con dolore ho appreso la notizia della morte, in un incidente, di padre Matteo Pettinari, giovane missionario della Consolata in Costa d’Avorio, conosciuto come il “missionario instancabile”, che ha lasciato una grande testimonianza di generoso servizio.

    Preghiamo per la sua anima.

    Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti voi, romani e pellegrini dell’Italia e di tanti Paesi.

    Accolgo con affetto le Suore Apostoline: grazie per il vostro gioioso servizio alla pastorale delle vocazioni! Saluto i fedeli di Viterbo, Brescia, Alba Adriatica e Arezzo; come pure il Rotary Club Galatina Maglie e Terre d’Otranto, i giovani di Capocroce, i ragazzi della Cresima di Azzano Mella e della parrocchia di Sant’Agnese in Roma.

    Auguro a tutti voi una buona domenica.

    E saluto i ragazzi dell’Immacolata, bravi! Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Ai Pellegrini delle Diocesi di Cesena-Sarsina, Tivoli, Savona-Noli e Imola, in occasione del bicentenario della morte del Papa Pio VII (20 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Saluto il Cardinale, i Vescovi presenti, gli Abati, i monaci e tutti voi, amici delle diocesi di Cesena-Sarsina, Savona, Imola e Tivoli.

    A Cesena sono stato.

    Papa Chiaramonti è stato ed è per tutti noi un grande esempio di buon pastore che dà la vita per il suo gregge (cfr Gv 10,11).

    Era un uomo di notevole cultura e pietà, era pio.

    Monaco, Abate, Vescovo e Papa, in tutti questi ruoli ha sempre mantenuto intatta, anche a costo di grandi sacrifici, la sua dedizione a Dio e alla Chiesa.

    Come nel drammatico momento del suo arresto quando, a chi gli offriva una via di fuga dalla prigionia in cambio di compromessi circa le sue responsabilità pastorali, rispondeva: «Non debemus, non possumus, non volumus» - «non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo», confermando, a prezzo della sua libertà personale, quanto aveva promesso di fare, con l’aiuto di Dio, il giorno della sua elezione (cfr Pio VII, Alloc.

    Ad supremum, 6).

    Vorrei sottolineare, pensando alla sua vita, tre valori-cardine di cui è stato testimone, essenziali anche per i nostri cammini personali e comunitari: la comunione, la testimonianza e la misericordia.

    Primo: la comunione.

    Papa Pio VII ne è stato un convinto sostenitore e difensore in tempi di lotte e divisioni feroci.

    I disordini causati dalla rivoluzione francese e dalle invasioni napoleoniche avevano prodotto e continuavano a fomentare spaccature dolorose, sia all’interno del popolo di Dio che nelle sue relazioni col mondo circostante: ferite sanguinanti sia morali che fisiche.

    Anche il Papa pareva dovesse esserne travolto.

    E invece, con la sua pacata e tenace perseveranza nel difendere l’unità, Pio VII seppe trasformare le prepotenze di chi voleva isolarlo e allontanarlo, spogliandolo pubblicamente di ogni dignità, in occasioni per rilanciare un messaggio di dedizione e di amore alla Chiesa, al quale il popolo di Dio rispose con entusiasmo.

    Ne emerse una comunità materialmente più povera, ma moralmente più coesa, forte e credibile.

    E il suo esempio sprona noi ad essere, nel nostro tempo, anche a costo di rinunce, costruttori di unità nella Chiesa universale, in quella locale, nelle parrocchie e nelle famiglie: a fare comunione, a favorire la riconciliazione, a promuovere la pace, fedeli alla verità nella carità!

    Una cosa che aiuta tanto la comunione è il saper parlare bene.

    Cosa vuol dire? Dico il contrario: parlare male, il chiacchiericcio, distrugge la comunione.

    Non so se nelle vostre diocesi c’è il chiacchiericcio, credo di no, perché tutti voi dalla faccia siete buonissimi… Ma nel caso che ci fosse qualche chiacchiericcio, c’è un rimedio molto buono: mordersi la lingua.

    Quando ti viene voglia di sparlare o “spellare” l’altro, morditi la lingua e farai un bel lavoro di comunità, di unità nella comunità.

    E tutto questo – la comunione, il cercare l’unità della Chiesa – ci porta al secondo punto: la testimonianza.

    Uomo di indole mite, Papa Chiaramonti è stato un annunciatore coraggioso del Vangelo, con la parola e con la vita.

    Diceva ai Cardinali elettori all’inizio del suo pontificato: «La Chiesa […] ha bisogno dei Nostri buoni esempi […]; così che tutti comprendano che non […] nel fasto […], ma piuttosto nel disprezzo delle ricchezze, nell’umiltà, nella modestia, nella pazienza, nella carità e infine in ogni dovere sacerdotale è raffigurata l’immagine del Nostro Creatore e si conserva l’autentica dimensione della Chiesa» (ivi, 8-9).

    È bello questo che diceva! E di fatto egli ha realizzato questo suo ideale di profezia cristiana (cfr San Leone Magno, Sermo 21,3), vivendolo e promuovendolo con dignità nella buona e nella cattiva sorte, sia a livello personale che ecclesiale, anche quando ciò lo ha portato a scontrarsi con i potenti del suo tempo.

    E veniamo infine all’ultimo aspetto: la misericordia.

    Nonostante i pesanti ostacoli posti alla sua opera dalle vicende napoleoniche, Papa Pio VII concretizzò la sua attenzione per i bisognosi distinguendosi per alcune riforme e iniziative sociali di ampia portata, innovative nel suo tempo, come la revisione dei rapporti di “vassallaggio”, con conseguente emancipazione dei contadini poveri, l’abolizione di molti privilegi nobiliari, delle “angherie”, delle regalie, dell’uso della tortura (cfr Pio VII, Motu proprio Quando per ammirabile disposizione, 6 luglio 1816) e l’istituzione di una cattedra di chirurgia presso l’Università La Sapienza per il miglioramento dell’assistenza medica e l’incremento della ricerca.

    Era un uomo molto intelligente, molto pio e furbo.

    Sapeva portare avanti anche la sua prigionia con furbizia.

    A volte mandava dei messaggi nascosti nella biancheria; e così riusciva a guidare la Chiesa, tramite la biancheria! Ed è una cosa bella: è un uomo intelligente, furbo e che vuole portare avanti il compito di governare che il Signore gli aveva dato, questo è bello.

    Era anche un uomo di carità, come dimostrò poi, in ambito diverso, nei confronti dei suoi persecutori: pur denunciandone senza mezzi termini gli errori e i soprusi, cercò di mantenere aperto con loro un canale di dialogo e soprattutto offrì sempre il suo perdono.

    Fino a concedere ospitalità negli stati della Chiesa, dopo la restaurazione, proprio ai familiari di quel Napoleone che pochi anni prima lo aveva fatto incarcerare e chiedendo per lui, ormai sconfitto, un trattamento mite nella prigionia.

    Grande!

    Cari fratelli e sorelle, sono molti i valori a cui ci richiama la memoria del Servo di Dio Pio VII: l’amore per la verità, l’unità, il dialogo, l’attenzione agli ultimi, il perdono, la ricerca tenace della pace, e quella furbizia evangelica che il Signore ci raccomanda.

    Ci farà bene meditarli, farli nostri e testimoniarli, perché in noi e nelle nostre comunità crescano lo stile di mansuetudine e la disponibilità al sacrificio.

    Ma questo non vuol dire che siamo stupidi, no, quella non è mansuetudine.

    Mansuetudine sì, ma furbi come il Signore ci raccomanda.

    Semplici come la colomba ma furbi come il serpente.

    Vi ringrazio di essere venuti e vi accompagno con la mia preghiera.

    Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie.

    E vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Alla Comunità del Seminario di Sevilla (Spagna) (20 Apr 2024)
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    Cari fratelli,

    Sono lieto di accogliere, voi membri delle comunità del Seminario Metropolitano e del Seminario “Redemptoris Mater” di Sevilla che, insieme al vostro arcivescovo, mons.

    Josep Ángel Saiz Meneses, siete venuti in pellegrinaggio presso la tomba dell’apostolo Pietro.

    Vi ringrazio per questa visita e vi incoraggio a vivere questi giorni con stupore e gratitudine per il dono della fede che ci hanno trasmesso gli apostoli.

    Il nostro incontro si svolge alla vigilia di un giorno molto importante: la domenica del Buon Pastore, che celebriamo domani.

    Voi, seminaristi, avete ricevuto una chiamata dal Signore e, con l’aiuto dei vostri formatori, vi state preparando per essere pastori secondo il Cuore di Cristo.

    In altre occasioni ho detto ai seminaristi che questo cammino di configurazione con Gesù buon pastore va fatto curando quattro aspetti: la vita spirituale, lo studio, la vita comunitaria e l’attività ap ostolica.

    Questa integrazione è necessaria, direi che è urgente, per diventare sacerdoti completi e rispondere alla vocazione ricevuta, nel dono totale di sé a Dio e ai fratelli, specialmente a quelli più sofferenti.

    A tale proposito, vorrei sottolineare la figura di uno tra i tanti santi pastori che ha avuto la terra andalusa nel corso della storia, quella del beato cardinale Marcelo Spínola y Maestre, che voi conoscete bene.

    Questo beato, maestro di sacerdoti, diceva: «Virtù e scienza sono le due cose che si devono insegnare con preferenza agli aspiranti al sacerdozio, perché la scienza senza virtù gonfia e non edifica e la virtù senza scienza edifica ma non istruisce».

    Ciò significa, come dicevamo, che tutto nel sacerdote — preghiera, studio, fraternità, missione — va unito.

    Cari seminaristi, approfittate bene di questo intenso tempo di formazione, con il cuore rivolto a Dio, con le mani aperte e un grande sorriso per trasmettere la gioia del Vangelo a tutti quelli che incontrate.

    Che Gesù vi benedica e la Virgen de los Reyes vi accompagni.

    Grazie.

    ______________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    91, sabato 20 aprile 2024 p.

    12.

    Ai membri del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (20 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno, e benvenuti!

    Sono contento di darvi il benvenuto in occasione della vostra adunanza plenaria, nell’ambito della quale celebrate il 70° anniversario dell’istituzione del Pontificio Comitato.

    Saluto il Presidente, Padre Marek Inglot, e saluto ciascuno di voi, grato per il vostro incontro e per il vostro servizio.

    Provenite da diversi Paesi e da tre continenti, ognuno con le proprie, apprezzate competenze specialistiche.

    Così garantite la dimensione internazionale e il carattere pluridisciplinare del Comitato, la cui attività di ricerca, convegnistica ed editoriale si inscrive in una dinamica multiculturale feconda e propositiva.

    La bella Collana «Atti e Documenti», diretta dal Segretario del Pontificio Comitato, festeggia quest’anno anch’essa un settantesimo: il 70° volume edito.

    Ciò testimonia un impegno nella ricerca della verità storica su scala mondiale, in uno spirito di dialogo con differenti sensibilità storiografiche e con molteplici tradizioni di studi.

    È bene che collaboriate con altri, espandendo le vostre relazioni scientifiche e umane, ed evitando forme di chiusura mentale e istituzionale.

    Vi incoraggio a mantenere questo approccio arricchente, fatto di ascolto costante e attento, libero da ogni ideologia – le ideologie uccidono – e rispettoso della verità.

    Ribadisco quanto vi dissi in occasione del vostro 60° anniversario: «Nell’incontro e nella collaborazione con ricercatori di ogni cultura e religione, voi potete offrire un contributo specifico al dialogo tra la Chiesa e il mondo contemporaneo» (Discorso, 12 aprile 2014).

    Questo stile concorre a sviluppare quella che chiamerei “diplomazia della cultura”.

    È molto attuale, e oggi tanto più necessaria nel contesto del pericoloso conflitto globale a pezzi in atto, al quale non possiamo assistere inerti.

    Vi invito pertanto a proseguire nel lavoro di ricerca storica aprendo orizzonti di dialogo, dove portare la luce della speranza del Vangelo, quella speranza che non delude (cfr Rm 5,5).

    Mi piace pensare al rapporto tra la Chiesa e gli storici nei termini di prossimità.

    C’è infatti una relazione vitale tra la Chiesa e la storia.

    Su tale aspetto San Paolo VI ha sviluppato un’intensa riflessione, ravvisando il punto di incontro privilegiato tra la Chiesa e gli storici nella comune ricerca della verità e nel comune servizio alla verità.

    Ricerca e servizio.

    Ecco le parole che rivolse agli storici, nel 1967: «Può essere qui che si trovi il principale punto di incontro tra voi e noi […], tra la verità religiosa della quale la Chiesa è depositaria e la verità storica, della quale voi siete i buoni e devoti servitori: tutto l’edificio del cristianesimo, della sua dottrina, della sua morale e del suo culto, tutto riposa in definitiva sulla testimonianza.

    Gli Apostoli di Cristo hanno testimoniato ciò che hanno visto e ascoltato.

    […] Ciò lascia comprendere quanto un organismo di natura spirituale e religiosa come la Chiesa cattolica sia interessato alla ricerca e all’affermazione della verità storica […] Essa pure ha una storia, e il carattere storico delle sue origini ha in particolare per essa un’importanza decisiva» (Discorso ai partecipanti all’Assemblea generale del Comitato internazionale di scienze storiche, 3 giugno 1967).

    La Chiesa cammina nella storia, accanto alle donne e agli uomini di ogni tempo, e non appartiene a nessuna cultura particolare, ma desidera vivificare con la testimonianza mite e coraggiosa del Vangelo il cuore di ogni cultura, così da costruire insieme la civiltà dell’incontro.

    Invece, le tentazioni dell’autoreferenzialità individualistica e dell’affermazione ideologica del proprio punto di vista alimentano l’inciviltà dello scontro.

    La civiltà dell’incontro e l’inciviltà dello scontro.

    È bello che voi, a settant’anni dalla nascita, testimoniate di saper resistere a tali tentazioni, vivendo con passione, attraverso gli studi, l’esperienza rigenerante del servizio all’unità, a quell’unità composita e armonica che lo Spirito Santo ci mostra a Pentecoste.

    Sessant’anni fa, in quell’evento benedetto dallo Spirito che è stato il Concilio Vaticano II, San Paolo VI pronunciò parole che suonano come monito a ogni lusinga di compiaciuta autoreferenzialità ecclesiale, dalla quale occorre proteggere il vostro servizio: «Nessuno […] pensi che la Chiesa […] si soffermi su se stessa per compiacersene e dimentichi sia Cristo, dal quale tutto riceve, a cui tutto deve, sia il genere umano, per servire il quale è nata.

    La Chiesa sta nel mezzo tra Cristo e la comunità umana, non ripiegata su di sé, non come un velo opaco che impedisce la vista, non fine a se stessa, ma al contrario costantemente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo, per Cristo, di essere tutta degli uomini, tra gli uomini, per gli uomini, tramite veramente umile ed eccellente tra il Divin Salvatore e l’umanità» (Discorso per l’inaugurazione della III Sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 14 settembre 1964, 17).

    Per i vostri settant’anni, vi auguro di conformare il vostro operato a queste parole: gli studi storici vi rendano maestri in umanità e servitori dell’umanità.

    A voi e ai vostri cari imparto di cuore la mia benedizione, chiedendovi, per favore, di pregare per me.

    Grazie.

    Agli Studenti della Rete Nazionale delle Scuole di Pace (19 Apr 2024)
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    Cari ragazzi, care ragazze, cari insegnanti, buongiorno a tutti!

    Sono contento di incontrare ancora una volta la rete nazionale delle “Scuole per la Pace”.

    Saluto il Dottor Lotti e do il benvenuto a tutti voi.

    Voglio prima di tutto ringraziarvi.

    Grazie per questo cammino ricco di idee, di iniziative, di percorsi formativi e di attività, che intendono promuovere una nuova visione del mondo.

    Grazie per essere pieni di entusiasmo nell’inseguire obiettivi di bellezza e di bontà, in mezzo a situazioni drammatiche, ingiustizie e violenze che sfigurano la dignità umana.

    Grazie perché con passione e generosità vi impegnate a lavorare nel “cantiere del futuro”, vincendo la tentazione di una vita appiattita soltanto sull’oggi, che rischia di perdere la capacità di sognare in grande.

    Oggi più che mai, invece, c’è bisogno di vivere con responsabilità, allargando gli orizzonti, guardando avanti e seminando giorno per giorno quei semi di pace che domani potranno germogliare e portare frutto.

    Grazie ragazzi e ragazze!

    Nel prossimo mese di settembre si svolgerà a New York il Summit del Futuro, convocato dall’ONU per affrontare le grandi sfide globali di questo momento storico e firmare un “Patto per il Futuro” e una “Dichiarazione sulle generazioni future”.

    Si tratta di un evento importante, e c’è bisogno anche del vostro contributo perché non rimanga soltanto “sulla carta”, ma diventi concreto e si realizzi attraverso percorsi e azioni di cambiamento.

    Voi portate nel cuore questo grande sogno: “Trasformiamo il futuro.

    Per la pace, con la cura”.

    E proprio su questo vorrei brevemente soffermarmi per dirvi una cosa in cui credo molto: che voi siete chiamati – ascoltate bene – voi siete chiamati ad essere protagonisti e non spettatori del futuro.

    Vi domando: a che cosa voi siete chiamati? Ad essere che? [rispondono i ragazzi] Non ho sentito bene!... [rispondono a gran voce i ragazzi] Coraggio! Avanti! La convocazione di questo Summit mondiale, infatti, ci ricorda che tutti siamo interpellati dalla costruzione di un avvenire migliore e, soprattutto, che dobbiamo costruirlo insieme! Vi domando: il futuro si può costruire da soli? [I ragazzi rispondono “no”].

    Non sento… [un “no” a gran voce].

    Dobbiamo costruirlo? [“Sì!”] Bravi! Non possiamo solo delegare le preoccupazioni per il “mondo che verrà” e per la risoluzione dei suoi problemi alle istituzioni deputate e a coloro che hanno particolari responsabilità sociali e politiche.

    È vero che queste sfide richiedono competenze specifiche, ma è altrettanto vero che esse ci riguardano da vicino, toccano la vita di tutti e chiedono a ciascuno di noi partecipazione attiva e impegno personale.

    In un mondo globalizzato, come questo, dove siamo tutti interdipendenti, non è possibile procedere come singoli individui che si prendono cura soltanto del proprio “orto”, per coltivare i propri interessi: occorre invece mettersi in rete e fare rete.

    Cosa occorre? Mettersi in rete e fare rete.

    Cosa occorre? Mettersi in rete e fare rete.

    Tutti insieme! [i ragazzi rispondono] Ecco, sì bravi, e questo è importante, bisogna entrare in connessione, lavorare in sinergia e in armonia.

    Questo significa passare dall’io al noi: non “io lavoro per il mio bene”, ma “noi lavoriamo per il bene comune, per il bene di tutti”.

    Noi lavoriamo per il bene di tutti.

    Insieme! [i ragazzi ripetono] Bravi!

    In effetti, le sfide odierne, e soprattutto i rischi che, come nubi oscure, si addensano su di noi minacciando il nostro futuro, sono anch’essi diventati globali.

    Ci riguardano tutti, interrogano l’intera comunità umana, richiedono il coraggio e la creatività di un sogno collettivo che animi un impegno costante, per affrontare insieme le crisi ambientali, le crisi economiche, le crisi politiche e sociali che il nostro pianeta sta attraversando.

    Cari ragazzi, care ragazze, cari insegnanti, si tratta di un sogno che richiede di essere svegli e non addormentati! Sì, perché lo si porta avanti lavorando, non dormendo; camminando per le strade, non sdraiati sul divano; usando bene i mezzi informatici, non perdendo tempo sui social; e poi – ascoltate bene – questo tipo di sogno si realizza anche con la preghiera, cioè insieme con Dio, e non con le nostre sole forze.

    Cari studenti, cari insegnanti, voi avete messo al cuore del vostro impegno due parole-chiave: la pace e la cura.

    Sono due realtà legate tra loro: la pace, infatti, non è soltanto silenzio delle armi e assenza di guerra; è un clima di benevolenza, di fiducia e di amore che può maturare in una società fondata su relazioni di cura, in cui l’individualismo, la distrazione e l’indifferenza cedono il passo alla capacità di prestare attenzione all’altro, di ascoltarlo nei suoi bisogni fondamentali, di curare le sue ferite, di essere per lui o lei strumenti di compassione e di guarigione.

    Questa è la cura che Gesù ha verso l’umanità, in particolare verso i più fragili, e di cui il Vangelo ci parla spesso.

    Dal “prendersi cura” reciproco nasce una società inclusiva, fondata sulla pace e sul dialogo.

    In questo tempo ancora segnato dalla guerra, vi chiedo di essere artigiani della pace; in una società ancora prigioniera della cultura dello scarto, vi chiedo di essere protagonisti di inclusione; in un mondo attraversato da crisi globali, vi chiedo di essere costruttori di futuro, perché la nostra casa comune diventi luogo di fraternità.

    Vorrei parlarvi due minuti sulla guerra.

    Pensate ai bambini che sono in guerra, pensate ai bambini ucraini che hanno dimenticato di sorridere.

    Pregate per questi bambini, metteteli nel cuore i bambini che sono in guerra.

    Pensate ai bambini di Gaza, mitragliati, che hanno fame.

    Pensate ai bambini.

    Adesso un piccolo silenzio, e ognuno di noi pensi ai bambini ucraini e ai bambini di Gaza.

    Vi auguro di essere sempre appassionati del sogno della pace.

    Lo dico con il motto di Don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, che al “non mi importa”, tipico dell’indifferenza menefreghista, opponeva l’“I care”, cioè il “mi sta a cuore”, “mi interessa”.

    Che tutto questo stia a cuore a voi.

    Che vi stia sempre a cuore la sorte del nostro pianeta e dei vostri simili; vi stia a cuore il futuro che si apre davanti a noi, perché possa essere davvero come Dio lo sogna per tutti: un futuro di pace e di bellezza per l’umanità intera.

    E vi siano a cuore i bambini ucraini, che dimenticano di sorridere; i bambini di Gaza, che soffrono sotto le mitraglie.

    Vi benedico di cuore.

    Buona scuola e buon cammino! E, per favore, ricordatevi di pregare per me.

    Grazie tante!

    Messaggio del Santo Padre per il IV Raduno Mondiale organizzato dal Global Christian Forum (18 Apr 2024)
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    Porgo i miei cordiali saluti a tutti i presenti al IV Raduno Mondiale del Global Christian Forum.

    La vostra assemblea vede partecipanti da tutto il mondo, il che rispecchia un bel mosaico del cristianesimo contemporaneo con la sua ricca diversità, pur rimanendo fondato sulla nostra comune identità di seguaci di Gesù Cristo.

    Il tema di quest’anno, «perché il mondo sappia» (cfr.

    Giovanni 17, 23b) esorta i cristiani a incarnare l’unità e l’amore del Dio Uno e Trino nella loro vita personale ed ecclesiale, così da dare testimonianza a un mondo ferito da divisione e rivalità.

    L’unità è un elemento indispensabile per abbracciare la visione del Regno di Dio.

    Pertanto, c’è un legame intrinseco tra ecumenismo e missione cristiana.

    Durante tutta la sua storia, il Global Christian Forum ha contribuito in modo significativo alla promozione di tale legame, offrendo uno spazio in cui i membri, specialmente quelli provenienti da espressioni storiche differenti della fede cristiana, crescono nel rispetto reciproco e nella fratellanza incontrandosi gli uni gli altri in Cristo.

    Possa questo raduno, nell’anniversario d’argento del forum, rendere più profonda la vostra fede e ravvivare il vostro amore fraterno mentre pregate insieme, vi raccontate le vostre storie personali e affrontate le sfide che si pongono alla comunità cristiana globale.

    Su tutti voi invoco le benedizioni di Dio Onnipotente e prego perché il raduno accresca l’unità visibile tra tutti i cristiani.

    FRANCESCO

    __________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    90, venerdì 19 aprile 2024, p.

    7.

    A Superiore e Delegate delle Carmelitane Scalze (18 Apr 2024)
    Visita il link

    Buongiorno, benvenute!

    Parlerò in castigliano.

    Sono contento di incontrarvi mentre siete riunite per riflettere insieme e lavorare alla revisione delle vostre Costituzioni, quelle del ’90, o quelle precedenti, non so, lavorate tra voi.

    È un appuntamento importante, perché non risponde soltanto a una necessità umana, alle contingenze della vita comunitaria: si tratta invece di un “tempo dello Spirito”, che siete chiamate a vivere come occasione di preghiera e di discernimento.

    Restando interiormente aperte a ciò che lo Spirito Santo vuole suggerirvi, avete il compito di trovare nuovi linguaggi, nuove vie e nuovi strumenti per dare ancora maggiore slancio alla vita contemplativa che il Signore vi ha chiamato ad abbracciare, perché il carisma si conservi – il carisma è lo stesso – e che possa essere compreso e attirare tanti cuori, per la gloria di Dio e per il bene della Chiesa.

    Quando un Carmelo funziona bene attira, attira, non è vero? È come la luce con le mosche, attira, attira.

    Rivedere le Costituzioni significa proprio questo: raccogliere la memoria del passato – non bisogna rinnegarlo – per guardare al futuro.

    In effetti, voi mi insegnate che la vocazione contemplativa non porta a custodire delle ceneri, ma ad alimentare un fuoco che arda in maniera sempre nuova e riscaldi la Chiesa e il mondo.

    Perciò, la memoria della vostra storia e di quanto negli anni è maturato nelle Costituzioni è una ricchezza che deve restare aperta alle suggestioni dello Spirito Santo, alla perenne novità del Vangelo, ai segni che il Signore ci dona attraverso la vita e le sfide umane.

    Così si conserva un carisma.

    Non cambia, ascolta e si apre a ciò che il Signore vuole in ogni momento.

    Questo vale in generale per tutti gli istituti di vita consacrata, ma voi claustrali lo sperimentate in modo particolare, perché vivete in pieno la tensione tra la separazione dal mondo e l’immersione in esso.

    Voi infatti non vi rifugiate in una consolazione spirituale intimistica o in una preghiera avulsa dalla realtà; al contrario, il vostro è un cammino in cui ci si lascia coinvolgere dall’amore di Cristo fino ad unirsi a Lui, perché questo amore pervada tutta l’esistenza e si esprima in ogni gesto e in ogni azione quotidiana.

    Il dinamismo della contemplazione è sempre un dinamismo d’amore, è sempre una scala che ci eleva a Dio non per staccarci dalla terra, ma per farcela abitare in profondità, come testimoni dell’amore ricevuto.

    Con la sua sapienza e la sua fede ardente, la santa madre ve lo insegna.

    Ella è convinta che l’unione mistica e interiore con la quale Dio lega l’anima a sé, quasi “sigillandola” col suo amore, pervade e trasforma tutta la vita, senza staccare dalle occupazioni quotidiane o suggerire una fuga nelle cose dello spirito.

    Teresa afferma che è necessario un tempo consacrato al silenzio e all’orazione, ma bisogna intenderlo come la sorgente dell’apostolato e di tutte quelle mansioni quotidiane che il Signore ci chiede per servire la Chiesa.

    Ella infatti afferma: «Marta e Maria devono offrire insieme ospitalità al Signore, trattenerlo sempre presso di loro, e non fargli cattiva accoglienza non dandogli da mangiare.

    Come lo nutrirebbe Maria, sempre seduta ai suoi piedi, se la sorella non la aiutasse? Il suo nutrimento è lo sforzo che facciamo di avvicinare le anime a Lui in tutti i modi possibili, perché esse si salvino e non cessino di lodarlo» (S.

    Teresa d’Avila, Mansioni, VII, IV, 14).

    Fin qui la citazione, che conoscete meglio di me.

    In questo modo, la vita contemplativa non rischia di ridursi a un’inerzia spirituale, che distoglie dalle incombenze della vita quotidiana.

    Un prete che non conosceva questo tipo di mistica le chiamava “le monache sonnolente”, che vivono dormendo.

    Ma la vita contemplativa continua a fornire la luce interiore per il discernimento.

    E di quale luce avete bisogno per rivedere le Costituzioni, affrontando i tanti problemi concreti dei monasteri e della vita comunitaria? La luce è questa: la speranza nel Vangelo.

     Ma sempre radicato nei padri fondatori, nella madre fondatrice e in san Giovanni.

    La speranza del Vangelo è diversa dalle illusioni fondate sui calcoli umani.

    Significa abbandonarsi a Dio, imparare a leggere i segni che ci dona per discernere il futuro, saper fare qualche scelta audace e rischiosa anche se sul momento rimane ignota la meta verso cui ci condurrà.

    Significa non affidarci soltanto alle strategie umane, alle strategie difensive quando si tratta di riflettere su un monastero da salvare o da lasciare, sulle forme della vita comunitaria, sulle vocazioni.

    Le strategie difensive sono frutto di un nostalgico ritorno al passato; questo non funziona, la nostalgia non funziona, la speranza evangelica va in un’altra direzione: ci dona la gioia della storia vissuta fino ad oggi ma ci rende capaci di guardare avanti, con quelle radici che abbiamo ricevuto.

    Questo si chiama conservare il carisma, la voglia di andare avanti, e questo sì che funziona.

    Guardate avanti.

    Questo voglio augurarvi.

    Guardate avanti con la speranza evangelica e con i piedi scalzi, cioè con la libertà dell’abbandono in Dio.

    Guardate al futuro con le radici nel passato.

    E questo essere totalmente immerse nella presenza del Signore vi dia sempre anche la gioia della fraternità e dell’amore vicendevole.

    La Madonna vi accompagni.

    Di cuore benedico tutte voi, benedico il vostro lavoro di questi giorni, benedico le vostre comunità, benedico le monache del monastero.

    E vi chiedo di continuare a pregare per me.

    A favore, non contro! Grazie.

    Udienza Generale del 17 Apr 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza
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    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    15. La temperanza

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza.

    Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani.

    Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità.

    Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere.

    Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda.

    Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza.

    Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”.

    La temperanza è un potere su sé stessi.

    Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

    Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati».

    «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà.

    La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n.

    1809).

    Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura.

    In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili.

    Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili.

    In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice.

    Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire.

    Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

    Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio.

    Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia.

    Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato.

    Tutti sappiamo questo.

    La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole.

    Pensa a quello che dice.

    Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite.

    Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature.

    C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura.

    E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

    Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente.

    Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera.

    Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera.

    Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso.

    Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male.

    In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse.

    Dimostra empatia.

    Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara.

    Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso.

    Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza.

    Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola.

    È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso.

    Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre.

    Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

    Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie.

    Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato.

    La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita.

    Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale.

    Il dono della temperanza.

    _________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les personnes de langue française, particulièrement les pèlerins provenant des paroisses et des établissements scolaires de France.

    Apprenons à cultiver la vertu de la tempérance pour savoir contrôler nos paroles et nos actes, afin d’éviter des situations de conflits inutiles, et promouvoir la paix dans notre société.

    Que Dieu vous bénisse !

    [Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua francese, in particolare ai pellegrini provenienti dalle parrocchie e dagli Istituti scolastici di Francia.

    Impariamo a coltivare la virtù della temperanza, in modo da poter controllare le nostre parole e le nostre azioni per evitare conflitti inutili e promuovere la pace nella nostra società.

    Dio vi benedica!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Ireland, Finland, Indonesia, Malaysia, the Philippines, Korea and the United States of America.

    In the joy of the Risen Christ, I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

    May the Lord bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Irlanda, Finlandia, Indonesia, Malaysia, Filippine, Corea e Stati Uniti d’America.

    Nella gioia del Cristo Risorto, invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre.

    Il Signore vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, indem wir versuchen, die Tugenden zu leben, legen wir die Gewohnheiten des alten Menschen ab, um den neuen Menschen anzuziehen, der nach dem Bild Gottes geschaffen ist (vgl.

    Eph 4,22-24).

    Auf diese Weise dürfen wir schon jetzt von dem neuen Leben kosten, an dem der Auferstandene uns Anteil gibt.

    [Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, cercando di vivere le virtù, abbandoniamo le abitudini dell’uomo vecchio per rivestirci dell’uomo nuovo, creato secondo Dio (cfr.

    Ef 4,22-24).

    In questo modo, possiamo già pregustare la nuova vita di cui il Risorto ci rende partecipi.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Pidamos a Cristo resucitado que nos enseñe a vivir con sobriedad y en acción de gracias por tantos dones que recibimos de su generosidad.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Dirijo uma cordial saudação aos peregrinos de língua portuguesa, especialmente a quantos vieram do Brasil, convidando todos a permanecer fiéis a Cristo Jesus.

    Vele sobre o vosso caminho a Virgem Maria e vos ajude a ser sinal de confiança e esperança no meio dos outros.

    Sobre vós e vossas famílias desça a Bênção de Deus.

    [Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare a quanti sono venuti dal Brasile, invitando tutti a rimanere fedeli a Cristo Gesù.

    Vegli sul vostro cammino la Vergine Maria e vi aiuti ad essere segno di fiducia e di speranza in mezzo agli altri.

    Su di voi e sulle vostre famiglie scenda la Benedizione di Dio.]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    السَّعادَةُ معَ القناعَةِ هي فَرَحٌ يُزهِرُ في قلبِ الَّذين يَعرِفونَ ويُقَدِّرونَ ما هو الأهَمُّ في الحياة، حتَّى يَستَمتِعُوا بها بشكلٍ أفضل.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita, affinché possa gustarla meglio.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Serdecznie pozdrawiam pielgrzymów polskich.

    Bóg obdarował Wasz naród bogatą historią i kulturą, wielkimi Świętymi oraz piękną ziemią ojczystą.

    Dziękując za te dary, pielęgnujcie wewnętrzną wolność ducha, która potrafi z umiarkowaniem korzystać z dóbr duchowych i materialnych, z kultury i sztuki, oraz rezygnować z tego, co niszczy życie i godność osoby ludzkiej.

    Z serca Wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i pellegrini polacchi.

    Dio ha regalato alla vostra nazione una ricca storia e cultura, grandi Santi e una bellissima terra natia.

    Ringraziando per questi doni, coltivate una libertà interiore di spirito che sappia usare con temperanza i beni spirituali e materiali, la cultura e l’arte, e rinunciando a tutto ciò che distrugge la vita e la dignità della persona umana.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto i Religiosi Giuseppini del Murialdo e i Sacerdoti delle Diocesi di Milano e di Andria che celebrano significativi anniversari di Ordinazione sacerdotale, incoraggiandoli nella loro adesione a Cristo e nel servizio ai fratelli.

    Accolgo con affetto i fedeli di Trevinano, Agerola, Triggiano e le Confraternite di Taranto, come pure il gruppo ANSPI di Avellino e l’Associazione Paesaggi rurali di interesse storico di Arezzo.

    Tutti esorto ad essere generosi protagonisti di bontà e di accoglienza evangelica.

    Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente ai tanti studenti che ci rallegrano con la loro presenza.

    A ciascuno il mio augurio perché, partendo dalla Città Eterna e tornando nei rispettivi ambienti di vita, portiate la testimonianza di un impegno rinnovato di fede operosa, contribuendo così a far risplendere nel mondo la luce di Cristo risorto.

    E anche il nostro pensiero, di tutti noi, in questo momento va alle popolazioni in guerra.

    Pensiamo alla Terra Santa, alla Palestina, a Israele.

    Pensiamo all’Ucraina, la martoriata Ucraina.

    Pensiamo ai prigionieri di guerra: che il Signore muova la volontà per liberarli tutti.

    E parlando dei prigionieri, mi vengono in mente coloro che sono torturati.

    La tortura dei prigionieri è una cosa bruttissima, non è umana.

    Pensiamo a tante torture che feriscono la dignità della persona, e a tanti torturati.

    Il Signore aiuti tutti e benedica tutti.

    E a tutti voi la mia benedizione!

    Regina Caeli, 14 Apr 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno, buona domenica!

    Oggi il Vangelo ci riporta alla sera di Pasqua.

    Gli apostoli sono riuniti nel cenacolo, quando da Emmaus tornano i due discepoli e raccontano il loro incontro con Gesù.

    E mentre esprimono la gioia della loro esperienza, il Risorto appare a tutta la comunità.

    Gesù arriva proprio mentre stanno condividendo il racconto dell’incontro con Lui.

    Questo mi fa pensare che è bello condividere, è importante condividere la fede.

    Questo racconto ci fa pensare all’importanza di condividere la fede in Gesù risorto.

    Ogni giorno siamo bombardati da mille messaggi.

    Parecchi sono superficiali e inutili, altri rivelano una curiosità indiscreta o, peggio ancora, nascono da pettegolezzi e malignità.

    Sono notizie che non servono a nulla, anzi fanno male.

    Ma ci sono anche notizie belle, positive e costruttive, e tutti sappiamo quanto fa bene sentirsi dire cose buone, e come stiamo meglio quando ciò accade.

    Ed è bello pure condividere le realtà che, nel bene e nel male, hanno toccato la nostra vita, così da aiutare gli altri.

    Eppure c’è una cosa di cui spesso facciamo fatica a parlare.

    Facciamo fatica a parlare di che? Della più bella che abbiamo da raccontare: il nostro incontro con Gesù.

    Ognuno di noi ha incontrato il Signore e facciamo fatica a parlarne.

    Ciascuno di noi potrebbe dire tanto in proposito: vedere come il Signore ci ha toccato, e questo condividerlo, non facendo da maestro agli altri, ma condividendo i momenti unici in cui ha percepito il Signore vivo, vicino, che accendeva nel cuore la gioia o asciugava le lacrime, che trasmetteva fiducia e consolazione, forza ed entusiasmo, oppure perdono, tenerezza.

    Questi incontri, che ognuno di noi ha avuto con Gesù, condividerli e trasmetterli.

    È importante fare questo in famiglia, nella comunità, con gli amici.

    Così come fa bene parlare delle ispirazioni buone che ci hanno orientato nella vita, dei pensieri e dei sentimenti buoni che ci aiutano tanto ad andare avanti, anche degli sforzi e delle fatiche che facciamo per capire e per progredire nella vita di fede, magari pure per pentirci e tornare sui nostri passi.

    Se lo facciamo, Gesù, proprio come è successo ai discepoli di Emmaus la sera di Pasqua, ci sorprenderà e renderà ancora più belli i nostri incontri e i nostri ambienti.

    Proviamo allora a ricordare, adesso, un momento forte della nostra vita, un incontro decisivo con Gesù.

    Ognuno lo ha avuto, ognuno di noi ha avuto un incontro con il Signore.

    Facciamo un piccolo silenzio e pensiamo: quando io ho trovato il Signore? Quando il Signore si è fatto vicino a me? Pensiamo in silenzio.

    E questo incontro con il Signore, l’ho condiviso per dare gloria proprio al Signore? E anche, ho ascoltato gli altri, quando mi dicono di questo incontro con Gesù?

    La Madonna ci aiuti a condividere la fede per rendere le nostre comunità sempre di più luoghi di incontro con il Signore.

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    Dopo il Regina Caeli

    Cari fratelli e sorelle!

    Seguo nella preghiera e con preoccupazione, anche dolore, le notizie giunte nelle ultime ore sull’aggravamento della situazione in Israele a causa dell’intervento da parte dell’Iran.

    Faccio un accorato appello affinché si fermi ogni azione che possa alimentare una spirale di violenza col rischio di trascinare il Medio oriente in un conflitto bellico ancora più grande.

    Nessuno deve minacciare l’esistenza altrui.

    Tutte le nazioni si schierino invece da parte della pace, e aiutino gli israeliani e i palestinesi a vivere in due Stati, fianco a fianco, in sicurezza.

    È un loro profondo e lecito desiderio, ed è un loro diritto! Due Stati vicini.

    Si giunga presto ad un cessate il fuoco a Gaza e si percorrano le vie del negoziato, con determinazione.

    Si aiuti quella popolazione, precipitata in una catastrofe umanitaria, si liberino subito gli ostaggi rapiti mesi fa! Quanta sofferenza! Preghiamo per la pace.

    Basta con la guerra, basta con gli attacchi, basta con la violenza! Sì al dialogo e sì alla pace!

    Oggi in Italia si celebra la centesima Giornata nazionale per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul tema «Domanda di futuro.

    I giovani tra disincanto e desiderio».

    Incoraggio questo grande Ateneo a proseguire il suo importante servizio formativo, nella fedeltà alla sua missione e attento alle odierne istanze giovanili e sociali.

    Di cuore rivolgo il mio benvenuto a tutti voi, romani e pellegrini venuti dall’Italia e da tanti Paesi.

    Saluto in particolare i fedeli di Los Angeles, Houston, Nutley e Riverside negli Stati Uniti d’America; come pure i polacchi, specialmente - quante bandiere polacche! - quelli di Bodzanów e i giovani volontari dell’Equipe di Aiuto alla Chiesa dell’Est.

    Accolgo e incoraggio i responsabili delle Comunità di Sant’Egidio di alcuni Paesi latinoamericani.

    Saluto i volontari delle ACLI impegnati nei patronati in tutta Italia; i gruppi di Trani, Arzachena, Montelibretti; i ragazzi della professione di fede della parrocchia Santi Silvestro e Martino in Milano; i cresimandi di Pannarano; e il gruppo giovani “Arte e Fede” delle Suore Dorotee.

    Saluto con affetto i bambini di varie parti del mondo, venuti a ricordare che il 25-26 maggio la Chiesa vivrà la prima Giornata Mondiale dei Bambini.

    Grazie! Invito tutti ad accompagnare con la preghiera il cammino verso questo evento – la Prima Giornata dei Bambini – e ringrazio quanti stanno lavorando per prepararlo.

    E a voi, bambine e bambini, dico: vi aspetto! Tutti voi! Abbiamo bisogno della vostra gioia e del vostro desiderio di un mondo migliore, un mondo in pace.

    Preghiamo, fratelli e sorelle, per i bambini che soffrono per le guerre – sono tanti! – in Ucraina, in Palestina, in Israele, in altre parti del mondo, nel Myanmar.

    Preghiamo per loro e per la pace.

    Auguro a tutti una buona domenica.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Saluto i ragazzi dell’Immacolata.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Ai membri del Consiglio Nazionale del Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani (MASCI) (13 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

    Sono molto contento di incontrarvi nel vostro settantesimo anniversario di fondazione.

    Il 20 giugno 1954, infatti, grazie all’opera di Mario Mazza e Padre Ruggi d’Aragona, nasceva ufficialmente a Roma il Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani.

    Già da circa un decennio esisteva l’associazione dei Cavalieri di San Giorgio, che si era data per scopo di testimoniare nella vita i contenuti della Legge e della Promessa scout.

    Essa però ora si definiva più precisamente, focalizzandosi su valori di cui ancora oggi voi siete eredi, custodi e promotori: la comunità, l’educazione, il servizio e la cura della casa comune.

    Mi piace il titolo che avete scelto: “Più vita alla vita”, perché la vita ci porta pienezza, dobbiamo lavorare per la pienezza.

    Lo avete voluto incarnare in alcuni progetti-simbolo da realizzare: donare una culla termica al Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Lampedusa; costruire una falegnameria nautica in Zambia; e piantare un bosco ad Argenta, in Romagna.

    Queste iniziative toccano valori importanti e per questo vorrei fermarmi un momento con voi a riflettervi.

    Primo: la culla, che ci ricorda l’amore per la vita che nasce.

    Viviamo in un tempo di drammatica denatalità.

    L’età media degli italiani è 46 anni, l’età media degli albanesi è 23: questo ci fa capire.

    Una drammatica denatalità in cui l’uomo sembra aver smarrito il gusto del generare e del prendersi cura dell’altro, e forse anche il gusto di vivere.

    Una culla simboleggia invece la gioia per un bimbo che viene alla luce, l’impegno perché possa crescere bene, l’attesa e la speranza per ciò che potrà diventare.

    La culla ci parla della famiglia, nido accogliente e sicuro per i piccoli, comunità fondata sulla gratuità dell’amore; ma anche, di riflesso, ci parla di attenzione per la vita in ogni sua fase, specialmente quando il passare degli anni o le asperità del cammino rendono la persona più vulnerabile e bisognosa.

    Ed è significativo, in questo senso, il fatto che il vostro dono sia destinato al Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Lampedusa: ciò sottolinea ulteriormente che l’amore per la vita è sempre aperto e universale, desideroso del bene di tutti, al di là della provenienza o di qualsiasi altra condizione.

    Seconda iniziativa: la falegnameria.

    La falegnameria è un simbolo caro a noi cristiani, perché il Figlio di Dio l’ha scelta come luogo in cui prepararsi alla sua missione di salvezza nel suo villaggio, a Nazaret, lavorando umilmente «con mani d’uomo» (Gaudium et spes, 22).

    In un mondo in cui si parla tanto, forse troppo, di fabbricare armi per fare la guerra – mi diceva un economista che in questo momento l’investimento che dà più reddito è quello della produzione di armi.

    Investire per distruggere, guadagnare con la distruzione – essa ci rimanda alla vocazione fondamentale dell’uomo di trasformare i doni di Dio non in mezzi di morte, ma in strumenti di bene, nell’impegno comune di costruire una società giusta e pacifica, dove a tutti sia data la possibilità di una vita dignitosa.

    La dignità della vita: lavorare per la dignità della vita.

    Infine, terzo progetto: il bosco.

    Esso ci ricorda la nostra responsabilità per la casa comune, che il Creatore ha affidato alle nostre mani.

    Il rispetto, l’amore e il contatto diretto con la natura sono caratteristiche peculiari dello scoutismo, fin dalle sue origini.

    E sono valori di cui abbiamo tanto bisogno oggi, mentre ci scopriamo sempre più impotenti di fronte alle conseguenze di uno sfruttamento irresponsabile e miope del pianeta, prigionieri di stili di vita e comportamenti tanto egoisticamente sordi ad ogni appello di buon senso, quanto tragicamente autodistruttivi; insensibili al grido di una terra ferita, come pure alla voce di tanti fratelli e sorelle ingiustamente emarginati ed esclusi da un’equa distribuzione dei beni.

    A fronte di questo, lo stile sobrio, rispettoso e frugale degli scout è di grande esempio per tutti!

    Avete deciso di piantare i vostri alberi ad Argenta, in memoria di Don Giovanni Minzoni.

    Egli è stato un parroco coraggioso che, in un contesto di violenta e prepotente ostilità, si è battuto, anche attraverso lo scoutismo, per formare i suoi giovani «a una solida vita cristiana e a un conseguente impegno per la trasformazione della società» (S.

    Giovanni Paolo II, Lettera a Mons.

    E.

    Tonini, Arcivescovo di Ravenna, 30 settembre 1983, nel 60° anniversario della morte di Don Minzoni).

    Anche questo è un richiamo importante a quell’ecologia integrale che, partendo dal farsi carico delle emergenze climatiche e ambientali, amplia la propria riflessione considerando, a monte, il «posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda» (Lett.

    enc.

    Laudato si’, 15).

    Cari amici e care amiche, grazie per quello che siete e che fate! Vi incoraggio a perseverare nel vostro cammino, semel scout semper scout, come dice il vostro motto.

    È bello che continuiate ad essere comunità aperta, attenta, pronta ad accogliere, ascoltare e accompagnare chi il Signore mette sulla vostra strada; comunità profetica nell’annunciare con coraggio il Vangelo e desiderosa di uscire dalla propria cerchia per incontrare gli altri, specialmente chi abita le periferie esistenziali del nostro tempo.

    Vi accompagno con la benedizione e la preghiera.

    E chiedo anche a voi di pregare per me, per favore.

    Grazie!

    Ai Sindaci delle città Patrimonio dell'umanità in Spagna (13 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle,

    Sono lieto di potervi ricevere in questa “Città” del Vaticano, che, proprio come quelle che voi rappresentate, conserva una ricca eredità della quale siamo i custodi.

    È una grande responsabilità, ma anche una bella vocazione.

    In tal senso, penso che il nostro interesse per il patrimonio non possa limitarsi all’ambito artistico-culturale, ma debba avere una prospettiva più ampia, accogliendo l’integrità della persona che riceve questa eredità e dei popoli che ce l’hanno trasmessa.

    Le situazioni storiche — con le loro luci e le loro ombre — ci parlano di uomini e donne reali, di sentimenti autentici, che devono essere per noi lezioni di vita, prima che pezzi da museo.

    Sono le sofferenze e gli aneliti delle persone che nel corso del tempo hanno costruito le proprie città, il meticciato di culture e di civiltà che si sono succedute in esse, e naturalmente la loro fede in Dio, ciò che fa battere il loro cuore con passione.

    Chiedo al Signore che, insieme alla bellezza delle vostre città, vi conceda la grazia di trasmettere la fede, la speranza e la carità della vostra gente.

    Che la contemplazione dei diversi monumenti permetta — sia a quanti vi abitano sia a quanti le visitano — di riflettere sulla prudenza e la forza che hanno reso possibile la loro realizzazione.

    Che possano sentirsi interpellati dalla lezione di giustizia e di temperanza che ogni situazione storica racchiude.

    Parleremo così di popoli, di persone, di una storia che non si contempla, ma che si realizza, con un occhio al passato e l’altro al futuro, per avere sempre le mani nel presente che c’interroga ogni giorno.

    Che Dio vi benedica.

    Grazie.

    _____________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    85, sabato 13 aprile 2024, p.

    11.

    Messaggio del Santo Padre per il Network Alarabiya (12 Apr 2024)
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    Cari amici,

    vi ringrazio per l’opportunità di rivolgervi una parola proprio al termine del Ramadan.

    Una felice coincidenza ricorre quest’anno, con il mese sacro islamico che si conclude pochi giorni dopo la celebrazione della Pasqua, la festa più importante per i cristiani.

    Ma questa lieta ricorrenza, che porta ad alzare gli occhi al cielo e ad adorare il Signore «misericordioso e onnipotente» (Nostra aetate, 3), stride fortemente con la tristezza per il sangue che scorre nelle terre benedette del Medio Oriente.

    Fratelli e sorelle, il nostro padre Abramo alzò gli occhi al cielo per guardare le stelle: la luce della vita, che ci avvolge e ci abbraccia dall’alto, ci chiede di superare la notte dell’odio perché, secondo la volontà del Creatore, siano gli astri a illuminare la terra, e non la terra a bruciare, devastata dalle fiamme di armi che infuocano il cielo!

    Dio è pace e vuole la pace.

    Chi crede in Lui non può che ripudiare la guerra, la quale non risolve, ma aumenta i conflitti.

    La guerra, non mi stanco di ripetere, è sempre e solo una sconfitta: è una via senza meta; non apre prospettive, ma estingue la speranza.

    Sono angosciato per il conflitto in Palestina e Israele: cessi subito il fuoco nella striscia di Gaza, dove è in corso una catastrofe umanitaria; possano arrivare gli aiuti alla popolazione palestinese che soffre tantissimo; si rilascino gli ostaggi rapiti a ottobre! E penso alla martoriata Siria, al Libano, a tutto il Medio Oriente: non lasciamo che divampino le fiamme del rancore, sospinte dai venti funesti della corsa agli armamenti! Non lasciamo che la guerra si allarghi! Arrestiamo l’inerzia del male!

    Ho nella mente le famiglie, i giovani, i lavoratori, gli anziani, i bambini: sono certo che nel loro cuore, nel cuore della gente comune, c’è un grande desiderio di pace.

    E che, di fronte al dilagare della violenza, mentre le lacrime scendono dagli occhi, una parola esce dalla loro bocca: “basta”.

    Basta! – ripeto anch’io – a chi ha la grave responsabilità di governare le nazioni: basta, fermatevi! Per favore, fate cessare il rumore delle armi e pensate ai bambini, a tutti i bambini, come ai vostri stessi figli.

    Guardiamo tutti al futuro con gli occhi dei bambini.

    Loro non si chiedono chi è il nemico da distruggere, ma chi sono gli amici con cui giocare; loro hanno bisogno di case, parchi e scuole, non di tombe e fosse!

    Amici, io credo che i deserti possano fiorire: come in natura, così pure nei cuori delle persone e nelle vite dei popoli.

    Ma dai deserti dell’odio spunteranno germogli di speranza solo se sapremo crescere insieme, l’uno a fianco dell’altro; se sapremo rispettare il credo degli altri; se sapremo riconoscere il diritto di esistere di ogni popolo e il diritto di ogni popolo ad avere uno Stato; se sapremo vivere in pace senza demonizzare nessuno.

    Io credo e spero in questo e con me i cristiani che, tra non poche difficoltà, vivono in Medio Oriente: li abbraccio e li incoraggio, chiedendo che abbiano sempre e ovunque il diritto e la possibilità di professare liberamente la loro fede, che parla di pace e fraternità.

    Vi ringrazio per la vostra attenzione.

    Vi saluto con affetto, assicurandovi che porto il Medio Oriente nel cuore.

    A ciascuno di voi auguro ogni bene e benedizione dall’Altissimo.

    Shukran! [grazie!]

    Dal Vaticano, 12 aprile 2024

     

    FRANCESCO

    Ai membri della Papal Foundation (12 Apr 2024)
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    Eminenze, Eccellenze,
    cari fratelli e sorelle, buongiorno a tutti!

    Sono lieto di salutare tutti voi, Membri, Amministratori e Delegati della Papal Foundation, in occasione del vostro pellegrinaggio annuale a Roma.

    Durante questo tempo pasquale celebriamo la risurrezione del Signore e il suo trionfo sul peccato e sulla morte.

    Infatti, la pietra posta davanti al sepolcro è stata rotolata via e noi siamo invitati ad alzare lo sguardo a Gesù e ad accoglierlo nella nostra vita, a dirgli ancora una volta “sì” (cfr Omelia nella Veglia Pasquale, 30 marzo 2024).

    In questo modo, la perenne presenza di Cristo risorto sarà sempre per noi fonte di una gioia che nessuno potrà toglierci (cfr Gv 16,22).

    Fin dalla sua nascita, la Papal Foundation è stata veicolo di questa gioia pasquale portando la vicinanza, la compassione e la tenerezza dell’amore di Gesù a tanti fratelli e sorelle in tutto il mondo.

    Il vostro sostegno a vari progetti educativi, caritativi e apostolici favorisce lo sviluppo integrale di molti, tra cui poveri, rifugiati, migranti e, attualmente, un numero crescente di persone colpite dalla guerra e dalla violenza.

    Nello stesso tempo, le borse di studio destinate a laici, consacrati, seminaristi e sacerdoti di Paesi in via di sviluppo consentono loro di proseguire gli studi presso le Università Pontificie di Roma e forniscono a quanti le ricevono gli strumenti per testimoniare più efficacemente il Vangelo sia nei loro Paesi d’origine sia altrove.

    Mediante queste diverse e lodevoli iniziative, voi continuate ad aiutare i Successori di Pietro a far crescere numerose Chiese locali e a prendersi cura di tante persone svantaggiate, in risposta alle consegne affidate dal Signore all’Apostolo (cfr Lc 22,32; Gv 21,17).

    Per tutta la vostra generosità, esprimo la mia sentita gratitudine: grazie, grazie tante.

    Come ben sapete, il vostro lavoro trova la sua sorgente e la sua ispirazione nella nostra fede cattolica, che chiede di essere continuamente alimentata dalla partecipazione alla vita della Chiesa, dai Sacramenti e dal tempo trascorso in silenzio alla presenza del Signore nella preghiera e nell’adorazione.

    Non dimenticate di adorare.

    La preghiera dell’adorazione noi l’abbiamo trascurata, dobbiamo riprenderla: adorare, in silenzio.

    A questo proposito, la vostra visita avviene durante l’Anno della Preghiera, mentre la Chiesa si prepara a celebrare il Giubileo del 2025.

    Attraverso la perseveranza nella preghiera, noi diventiamo a poco a poco «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32) sia con Gesù che con gli altri, e ciò si traduce in solidarietà e condivisione del nostro pane quotidiano (cfr Lettera all’Arcivescovo Rino Fisichella per il Giubileo 2025, 11 febbraio 2022).

    Questo frutto della vita spirituale è importante per il vostro nobile impegno, perché, anche se forse non le incontrerete mai direttamente, i programmi della Papal Fondation promuovono un legame spirituale e fraterno con persone di molte culture, lingue e regioni diverse che ricevono assistenza.

    Il vostro servizio è tanto più necessario nel nostro tempo, segnato dall’individualismo e dall’indifferenza.

    Vi porgo di cuore i migliori auguri per la vostra attività e per il vostro pellegrinaggio a Roma.

    Affido tutti voi e le vostre famiglie all’intercessione di Maria, Madre della Chiesa, e vi do la mia benedizione come pegno di gioia e di forza nel Signore Risorto.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (11 Apr 2024)
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    Signori e Signore!

    Con piacere do il benvenuto a tutti voi, membri della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che venne istituita trent’anni or sono.

    Un pensiero alla Presidente, che è andata a casa perché la mamma è in fin di vita, e facciamo una preghiera per lei e per la mamma.

    Saluto il Cancelliere e il Vice Cancelliere e i collaboratori e li ringrazio per il loro servizio.

    Ho apprezzato la scelta di mettere a tema di questa Assemblea plenaria l’esperienza umana della disabilità, i fattori sociali che la determinano e l’impegno per una cultura della cura e dell’inclusione.

    Infatti, l’Accademia delle Scienze Sociali è chiamata ad affrontare, secondo un modello transdisciplinare, alcune delle sfide attuali più urgenti.

    Penso alla tecnologia e alle sue implicazioni nella ricerca e in ambiti quali la medicina e la transizione ecologica; penso alla comunicazione e allo sviluppo dell’intelligenza artificiale – una versa sfida! –; come pure alla necessità di trovare nuovi modelli economici.

    In tempi recenti la comunità internazionale ha compiuto notevoli passi in avanti nel campo dei diritti delle persone con disabilità.

    Molti Paesi si stanno muovendo in questa direzione.

    In altri, invece, tale riconoscimento è ancora parziale e precario.

    Tuttavia, là dove questo percorso è stato intrapreso, tra luci e ombre vediamo fiorire le persone e i germogli di una società più giusta e più solidale.

    Ascoltando la voce degli uomini e delle donne con disabilità, siamo diventati più consapevoli del fatto che la loro vita è condizionata, oltre che dalle limitazioni funzionali, anche da fattori culturali, giuridici, economici e sociali, i quali possono ostacolarne le attività e la partecipazione sociale.

    A fondamento della trattazione di questo tema sta naturalmente la dignità delle persone con disabilità, con le sue implicazioni antropologiche, filosofiche e teologiche.

    Senza appoggiarsi saldamente su tale base, può accadere che, mentre si afferma il principio della dignità umana, allo stesso tempo si agisca contro di essa.

    La dottrina sociale della Chiesa è molto chiara in proposito: le persone con disabilità «sono soggetti pienamente umani, titolari di diritti e doveri» (Compendio della Dottrina Sociale, n.

    148).

    Ciascun essere umano ha il diritto a una vita dignitosa e a svilupparsi integralmente, «anche se è poco efficiente, anche se è nato o cresciuto con delle limitazioni; infatti ciò non sminuisce la sua immensa dignità come persona umana, che non si fonda sulle circostanze bensì sul valore del suo essere.

    Quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità» (Lett.

    enc.

    Fratelli tutti, 107).

    La vulnerabilità e la fragilità appartengono alla condizione umana e non sono proprie solo delle persone con disabilità.

    Ce lo hanno ricordato alcune di loro nella recente Assemblea sinodale: «La nostra presenza – hanno scritto – può contribuire a trasformare le realtà in cui viviamo, rendendole più umane e più accoglienti.

    Senza vulnerabilità, senza limiti, senza ostacoli da superare, non ci sarebbe vera umanità» (La Chiesa è la nostra casa, 2).

    La sollecitudine della Chiesa per quanti portano una o più disabilità attualizza i tanti incontri di Gesù con queste persone, narrati nei Vangeli.

    Da tali racconti si possono trarre spunti di riflessione sempre attuali.

    In primo luogo, Gesù entra in contatto diretto con quanti vivono la disabilità, perché essa, come ogni forma di infermità, non è da ignorare o da negare.

    Ma Gesù non solo si pone in relazione con essi: Egli cambia anche il senso della loro esperienza; infatti introduce un nuovo sguardo sulla condizione delle persone con disabilità, sia nella società sia davanti a Dio.

    Per Lui infatti ogni condizione umana, anche quella segnata da forti limitazioni, è un invito a tessere un rapporto singolare con Dio che fa rifiorire le persone: pensiamo ad esempio, nel Vangelo, al cieco Bartimeo (cfr Mc 10,46-52).

    Purtroppo, in molte parti del mondo, sono ancora le persone e le famiglie isolate e spinte ai margini della vita sociale a causa della disabilità.

    E questo non solo nei Paesi più poveri, dove vive la maggior parte di esse e dove tale condizione le condanna spesso alla miseria, ma anche in contesti di maggior benessere: qui a volte l’handicap è considerato una “tragedia personale” e i disabili sono «“esiliati occulti” che vengono trattati come corpi estranei della società» (Lett.

    enc.

    Fratelli tutti, 98).

    La cultura dello scarto, in effetti, non ha confini.

    Vi è chi presume di poter stabilire, in base a criteri utilitaristici e funzionali, quando una vita ha valore ed è degna di essere vissuta.

    Questo tipo di mentalità può portare a gravi violazioni dei diritti delle persone più deboli, a forti ingiustizie e disuguaglianze là dove ci si lascia guidare prevalentemente dalla logica del profitto, dell’efficienza o del successo.

    Ma c’è anche, nell’odierna cultura dello scarto, un aspetto meno visibile e molto insidioso che erode il valore della persona con disabilità agli occhi della società e ai suoi stessi occhi: è la tendenza che porta a considerare la propria esistenza un peso per sé e per i propri cari.

    Il diffondersi di questa mentalità trasforma la cultura dello scarto in cultura di morte.

    In fondo, «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani» (ivi, 18).

    Questo è molto importante, i due estremi della vita: i nascituri con disabilità si abortiscono, e agli anziani in fase finale si fa la “dolce morte”, l’eutanasia, un’eutanasia travestita, sempre, ma è eutanasia alla fine.

    Combattere la cultura dello scarto significa promuovere la cultura dell’inclusione – vanno uniti –, creando e rafforzando i legami di appartenenza alla società.

    Gli attori protagonisti di questa azione solidaristica sono coloro che, sentendosi corresponsabili del bene di ciascuno, si adoperano per una maggiore giustizia sociale e per rimuovere le barriere di vario genere che impediscono a tanti di godere dei diritti e delle libertà fondamentali.

    I risultati ottenuti con tali azioni sono maggiormente visibili nei Paesi economicamente più sviluppati.

    In questi Paesi, generalmente, le persone con disabilità hanno diritto a prestazioni sanitarie e sociali, e, sebbene non manchino le difficoltà, sono incluse in molteplici ambiti della vita sociale: da quello educativo a quello culturale, da quello lavorativo a quello sportivo.

    Nei Paesi più poveri tutto ciò dev’essere ancora in gran parte realizzato.

    Pertanto, i governi che si impegnano in tal senso vanno incoraggiati e sostenuti dalla comunità internazionale.

    Allo stesso modo, è doveroso sostenere anche le organizzazioni della società civile, poiché senza la loro capillare azione solidaristica in molto luoghi le persone sarebbero abbandonate a sé stesse.

    Si tratta dunque di costruire una cultura dell’inclusione integrale.

    Il legame di appartenenza diventa ancora più saldo quando le persone con disabilità non sono destinatarie passive, ma partecipano alla vita sociale come protagoniste del cambiamento.

    Sussidiarietà e partecipazione sono i due pilastri di un’effettiva inclusione.

    E in questa luce si comprende bene l’importanza delle associazioni e dei movimenti delle persone con disabilità che promuovono la partecipazione sociale.

    Cari amici, «riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie.

    Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità.

    Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto della carità.

    Infatti, un individuo può aiutare una persona bisognosa ma, quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel “campo della più vasta carità, della carità politica”» (ivi, 180).

    Vi ringrazio, fratelli e sorelle, perché dentro questo impegno c’è anche il vostro contributo: di studio e di confronto nell’ambito della comunità scientifica e di sensibilizzazione in diversi ambienti sociali ed ecclesiali.

    Grazie, in particolare, per l’attenzione concreta alle sorelle e ai fratelli con disabilità.

    Di cuore benedico voi e il vostro lavoro.

    E vi chiedo per favore di pregare per me.

    Grazie.

    Ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Commissione Biblica (11 Apr 2024)
    Visita il link

    Sono contento di accogliervi al termine della vostra annuale Assemblea plenaria, nella quale vi siete proposti di approfondire un tema esistenziale, fortemente esistenziale: la malattia e la sofferenza nella Bibbia.

    È una ricerca che riguarda ogni essere umano, in quanto soggetto all’infermità, alla fragilità, alla morte.

    La nostra natura ferita, infatti, porta inscritta in sé anche le realtà del limite e della finitudine, e patisce le contraddizioni del male e del dolore.

    Il tema mi sta molto a cuore: la sofferenza e la malattia sono avversarie da affrontare, ma è importante farlo in modo degno dell’uomo, in modo umano, diciamo così: rimuoverle, riducendole a tabù di cui è meglio non parlare, magari perché danneggiano quell’immagine di efficienza a tutti i costi, utile a vendere e a guadagnare, non è certamente una soluzione.

    Tutti vacilliamo sotto il peso di queste esperienze e occorre aiutarci ad attraversarle vivendole in relazione, senza ripiegarsi su sé stessi e senza che la legittima ribellione si trasformi in isolamento, abbandono o disperazione.

    Sappiamo, anche per la testimonianza di tanti fratelli e sorelle, che il dolore e l’infermità, nella luce della fede, possono diventare fattori decisivi in un percorso di maturazione: il “setaccio della sofferenza” permette infatti di discernere ciò che è essenziale da ciò che non lo è.

    Ma è soprattutto l’esempio di Gesù a indicare la via.

    Egli ci esorta a prenderci cura di chi vive in situazioni di infermità, con la determinazione di sconfiggere la malattia; al tempo stesso, invita delicatamente a unire le nostre sofferenze alla sua offerta salvifica, come seme che porta frutto.

    Concretamente, la nostra visione di fede mi ha suggerito di proporvi qualche spunto di riflessione attorno a due parole decisive: compassione e inclusione.

    La prima, la compassione,indica l’atteggiamento ricorrente e caratterizzante del Signore nei confronti delle persone fragili e bisognose che incontra.

    Vedendo i volti di tanta gente, pecore senza pastore che faticano a orientarsi nella vita (cfr Mc 6,34), Gesù si commuove.

    Ha compassione della folla affamata e sfinita (cfr Mc 8,2) e accoglie senza stancarsi gli ammalati (cfr Mc 1,32), di cui ascolta le richieste: pensiamo ai ciechi che lo supplicano (cfr Mt 20,34) e ai tanti infermi che chiedono guarigione (cfr Lc 17,11-19); è preso da «grande compassione» - dice il Vangelo - per la vedova che accompagna al sepolcro l’unico figlio (cfr Lc 7,13).

    Grande compassione.

    Questa sua compassione si manifesta come vicinanza e porta Gesù a identificarsi con i sofferenti: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36).

    Compassione che porta alla vicinanza.

    Tutto ciò rivela un aspetto importante: Gesù non spiega la sofferenza, ma si piega verso i sofferenti.

    Non si accosta al dolore con incoraggiamenti generici e consolazioni sterili, ma ne accoglie il dramma, lasciandosene toccare.

    La Sacra Scrittura è illuminante in questo senso: non ci lascia un prontuario di parole buone o un ricettario di sentimenti, ma ci mostra volti, incontri, storie concrete.

    Pensiamo a Giobbe, con la tentazione dei suoi amici di articolare teorie religiose che collegano la sofferenza con la punizione divina, ma si infrangono contro la realtà del dolore, testimoniata dalla vita di Giobbe stesso.

    Così la risposta di Gesù è vitale, è fatta di compassione che assume e che, assumendo, salva l’uomo e ne trasfigura il dolore.

    Cristo ha trasformato il nostro dolore facendolo suo fino in fondo: abitandolo, soffrendolo e offrendolo come dono d’amore.

    Non ha dato risposte facili ai nostri “perché”, ma sulla croce ha fatto suo il nostro grande “perché” (cfr Mc 15,34).

    Così, chi assimila la Sacra Scrittura purifica l’immaginario religioso da atteggiamenti sbagliati, imparando a seguire il tragitto indicato da Gesù: toccare con mano la sofferenza umana, con umiltà, mitezz, serenità, per portare, in nome del Dio incarnato, la vicinanza di un sostegno salvifico e concreto.

    Toccare con mano, non teoricamente, con mano.

    E questo ci porta alla seconda parola: inclusione.

    Anche se non è un vocabolo biblico, questa parola esprime bene un tratto saliente dello stile di Gesù: il suo andare in cerca del peccatore, dello smarrito, dell’emarginato, dello stigmatizzato, perché siano accolti nella casa del Padre (cfr Lc 15).

    Pensiamo ai lebbrosi: per Gesù nessuno dev’essere escluso dalla salvezza di Dio (cfr Mc 1,40-42).

    Ma l’inclusione abbraccia anche un altro aspetto: il Signore desidera che si risani la persona tutta intera, spirito, anima e corpo (cfr 1 Ts 5,23).

    A poco infatti gioverebbe una guarigione fisica dal male senza un risanamento del cuore dal peccato (cfr Mc 2,17; Mt 10,28-29).

    C’è una risanazione totale: corpo, anima e spirito.

    Questa prospettiva di inclusione ci porta ad atteggiamenti di condivisione: Cristo, che è passato in mezzo alla gente facendo del bene e curando gli infermi, ha comandato ai suoi discepoli di aver cura dei malati e di benedirli nel suo nome (cfr Mt 10,8; Lc 10,9), condividendo con loro la sua missione di consolazione (cfr Lc 4,18-19).

    Dunque, attraverso l’esperienza della sofferenza e della malattia, noi, come Chiesa, siamo chiamati a camminare insieme a tutti, nella solidarietà cristiana e umana, aprendo, in nome della comune fragilità, opportunità di dialogo e di speranza.

    La parabola del buon Samaritano «ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune» (Lett.

    enc.

    Fratelli tutti, n.

    67).

    Cari fratelli e sorelle, nel lasciarvi questi spunti vi ringrazio per il vostro servizio e vi incoraggio ad approfondire, con rigore critico e spirito fraterno, i temi che state studiando, per irradiare la luce della Scrittura su aspetti delicati che riguardano tutti.

    La Parola di Dio è un antidoto potente nei riguardi di ogni chiusura, astrazione e ideologizzazione della fede: letta nello Spirito in cui è stata scritta, accresce la passione per Dio e per l’uomo, innesca la carità e ravviva lo zelo apostolico.

    Perciò la Chiesa ha la costante necessità di abbeverarsi alle sorgenti della Parola.

    Benedico voi e la vostra missione di dissetare il santo Popolo di Dio con le fresche acque dello Spirito.

    E vi chiedo, per favore, di pregare per me.

    Grazie.

    Udienza Generale del 10 Apr 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 14. La fortezza
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    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    14. La fortezza

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    La catechesi di oggi è dedicata alla terza delle virtù cardinali, vale a dire la fortezza.

    Partiamo dalla descrizione che ne dà il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene.

    Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale.

    La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni» (n.

    1808).

    Così dice il Catechismo della Chiesa Cattolica sulla virtù della fortezza.

    Ecco, dunque, la più “combattiva” delle virtù.

    Se la prima delle virtù cardinali, vale a dire la prudenza, era soprattutto associata alla ragione dell’uomo; e mentre la giustizia trovava la sua dimora nella volontà; questa terza virtù, la fortezza, è spesso legata dagli autori scolastici a ciò che gli antichi chiamavano “appetito irascibile”.

    Il pensiero antico non ha immaginato un uomo senza passioni: sarebbe un sasso.

    E non è detto che le passioni siano necessariamente il residuo di un peccato; però esse vanno educate, vanno indirizzate, vanno purificate con l’acqua del Battesimo, o meglio con il fuoco dello Spirito Santo.

    Un cristiano senza coraggio, che non piega al bene la propria forza, che non dà fastidio a nessuno, è un cristiano inutile.

    Pensiamo a questo! Gesù non è un Dio diafano e asettico, che non conosce le emozioni umane.

    Al contrario.

    Davanti alla morte dell’amico Lazzaro scoppia in pianto; e in certe sue espressioni traspare il suo animo appassionato, come quando dice: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49); e davanti al commercio nel tempio ha reagito con forza (cfr Mt 21,12-13).

    Gesù aveva passione.

    Ma cerchiamo ora una descrizione esistenziale di questa virtù così importante che ci aiuta a portare frutto nella vita.

    Gli antichi – sia i filosofi greci, che i teologi cristiani – riconoscevano nella virtù della fortezza un duplice andamento, uno passivo e un altro attivo.

    Il primo è rivolto dentro noi stessi.

    Ci sono nemici interni che dobbiamo sconfiggere, che vanno sotto il nome di ansia, di angoscia, di paura, di colpa: tutte forze che si agitano nel nostro intimo e che in qualche situazione ci paralizzano.

    Quanti lottatori soccombono prima ancora di iniziare la sfida! Perché non si rendono conto di questi nemici interni.

    La fortezza è una vittoria anzitutto contro noi stessi.

    La maggior parte delle paure che nascono in noi sono irrealistiche, e non si avverano per nulla.

    Meglio allora invocare lo Spirito Santo e affrontare tutto con paziente fortezza: un problema alla volta, come siamo capaci, ma non da soli! Il Signore è con noi, se confidiamo in Lui e cerchiamo sinceramente il bene.

    Allora in ogni situazione possiamo contare sulla Provvidenza di Dio che ci fa da scudo e corazza.

    E poi il secondo movimento della virtù della fortezza, questa volta di natura più attiva.

    Oltre alle prove interne, ci sono nemici esterni, che sono le prove della vita, le persecuzioni, le difficoltà che non ci aspettavamo e che ci sorprendono.

    Infatti, noi possiamo tentare di prevedere quello che ci capiterà, ma in larga parte la realtà è fatta di avvenimenti imponderabili, e in questo mare qualche volta la nostra barca viene sballottata dalle onde.

    La fortezza allora ci fa essere marinai resistenti, che non si spaventano e non si scoraggiano.

    La fortezza è una virtù fondamentale perché prende sul serio la sfida del male nel mondo.

    Qualcuno finge che esso non esista, che tutto vada bene, che la volontà umana non sia talvolta cieca, che nella storia non si dibattano forze oscure portatrici di morte.

    Ma basta sfogliare un libro di storia, o purtroppo anche i giornali, per scoprire le nefandezze di cui siamo un po’ vittime e un po’ protagonisti: guerre, violenze, schiavitù, oppressione dei poveri, ferite mai sanate che ancora sanguinano.

    La virtù della fortezza ci fa reagire e gridare un “no”, un “no” secco a tutto questo.

    Nel nostro confortevole Occidente, che ha un po’ annacquato tutto, che ha trasformato il cammino di perfezione in un semplice sviluppo organico, che non ha bisogno di lotte perché tutto gli appare uguale, avvertiamo talvolta una sana nostalgia dei profeti.

    Ma sono molto rare le persone scomode e visionarie.

    C’è bisogno di qualcuno che ci scalzi dal posto soffice in cui ci siamo adagiati e ci faccia ripetere in maniera risoluta il nostro “no” al male e a tutto ciò che conduce all’indifferenza.

    “No” al male e “no” all’indifferenza; “sì” al cammino, al cammino che ci fa progredire, e per questo bisogna lottare.

    Riscopriamo allora nel Vangelo la fortezza di Gesù, e impariamola dalla testimonianza dei santi e delle sante.

    Grazie!

    ____________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins francophones présents à cette audience, en particulier les groupes des Paroisses et des Écoles venus de Belgique, de la Principauté de Monaco et de France.

    Je vous invite à vous entraîner à la vertu de force pour combattre vos peurs et trouver le courage de manifester votre foi avec enthousiasme.

    Que Dieu vous bénisse tous !

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese presenti a questa udienza, in particolare i gruppi delle parrocchie e delle scuole giunti dal Belgio, dal Principato di Monaco e dalla Francia.

    Vi invito ad allenarvi nella virtù della fortezza per combattere le vostre paure e trovare il coraggio di manifestare la vostra fede con entusiasmo.

    Dio vi benedica tutti!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Denmark, the Netherlands and the United States of America.

    I also want to convey to the people of Kazakhstan my spiritual closeness at this time, when massive flooding has affected many regions of the country and caused thousands of people to be evacuated from their homes.

    I invite everyone to pray for all who are suffering the effects of this natural disaster.

    Even in times of difficulty, we recall the joy of the risen Christ, and I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

    May the Lord bless you all!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Danimarca, Paesi Bassi e Stati Uniti d’America.

    Desidero inoltre trasmettere al popolo del Kazakistan la mia vicinanza spirituale in questo momento, in cui una massiccia alluvione ha colpito molte regioni del Paese e ha causato l'evacuazione di migliaia di persone dalle loro case.

    Invito tutti a pregare per tutti coloro che stanno subendo gli effetti di questo disastro naturale.

    Anche nei momenti di difficoltà, ricordiamo la gioia di Cristo risorto e invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre.

    Il Signore vi benedica!]

    Liebe Pilger deutscher Sprache, der Glaube an den auferstandenen Herrn befreit uns aus den Ketten der Angst und des Todes und führt uns zum Leben in Fülle.

    Darum beten wir voller Zuversicht: Jesus, ich vertraue auf dich! Jesus, ich vertraue auf dich!

    [Cari pellegrini di lingua tedesca, la fede nel Signore Risorto ci libera dalle catene della paura e della morte e ci conduce alla pienezza della vita.

    Per questo preghiamo con fiducia: Gesù, confido in te! Gesù, confido in te!]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Que este tiempo pascual aumente en nosotros los dones de la gracia, para que comprendamos mejor la excelencia del bautismo y que la misericordia eterna del Señor, que hemos celebrado el domingo pasado, nos haga crecer más en la virtud de la fortaleza y en las obras de bien.

    Que Dios los bendiga y la Virgen Santa los acompañe.

    Muchas gracias.

    Saúdo os peregrinos de língua portuguesa presentes na audiência de hoje, especialmente os que vieram de Portugal e do Brasil.

    Encorajo-vos a anunciar Jesus ressuscitado, porque Ele, que é a nossa Paz, não nos deu um espírito de timidez, mas de fortaleza.

    Em seu nome vos abençoo, a vós e aos vossos entes queridos!

    [Saluto i pellegrini di lingua portoghese presenti all’odierna udienza, in particolare quelli provenienti dal Portogallo e dal Brasile.

    Vi incoraggio ad annunciare Gesù Risorto, perché Lui, che è la nostra Pace, non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza.

    Nel suo Nome, benedico voi e i vostri cari!]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    بِقيامَةِ يسوعَ مِن بينِ الأموات، لمْ يَعُدْ للشَّرِّ سُلطان، ولا يستطيعُ الفشلُ أنْ يَمنَعَنا مِن أنْ نَبدأَ مِن جديد، والموتُ أصبحَ مَعبَرًا لبدايةِ حياةٍ جديدة.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Con la risurrezione di Gesù, il male non ha più potere, il fallimento non può impedirci di ricominciare e la morte diventa passaggio per l’inizio di una vita nuova.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Serdecznie pozdrawiam Polaków, w szczególności pielgrzymów z diecezji bydgoskiej, przybyłych z okazji 20-lecia jej istnienia.

    W codziennym praktykowaniu cnoty męstwa niech będzie dla nas wszystkich wzorem patron waszej diecezji, błogosławiony bp Michał Kozal, męczennik z Dachau.

    Twierdził on, że: „Od przegranej orężnej bardziej przeraża upadek ducha u ludzi a wątpiący staje się mimo woli sojusznikiem wroga”.

    Z serca wam błogosławię i zawierzam was macierzyńskiej opiece Matki Bożej Pięknej Miłości.

    [Saluto cordialmente i polacchi, in particolare i pellegrini della diocesi di Bydgoszcz, giunti per celebrare il 20° anniversario della sua istituzione.

    Nell’esercizio quotidiano della virtù della fortezza vi sia d’esempio il patrono della vostra diocesi, il beato vescovo Michał Kozal, martire di Dachau.

    Egli affermava che: “Di una sconfitta da arma fa inorridire di più l’abbattimento dello spirito degli uomini e il dubbioso diventa involontariamente alleato del nemico”.

    Vi benedico di cuore e vi affido alla materna protezione della Beata Vergine Maria.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto i sacerdoti, i seminaristi e i fedeli della Sardegna, qui convenuti per la Visita ad limina dei loro Vescovi.

    Saluto i Religiosi Pallottini e le Apostole del Sacro Cuore di Gesù, che affido all’intercessione dei rispettivi fondatori, San Vincenzo Pallotti e la Beata Clelia Merloni.

    Accolgo con gioia i gruppi parrocchiali, tra i quali i fedeli di Montoro, che ricordano un significativo anniversario del patrono San Nicola da Tolentino, la cui effige restaurata benedico volentieri.

    Saluto altresì le Confraternite di Gissi e di Carunchio, l’Associazione Interparlamentare “Cultori dell’Etica” e i Paracadutisti “Folgore” di Livorno, incoraggiando ciascuno a vivere con impegno la propria missione nella Chiesa e nella società.

    Un affettuoso saluto dirigo poi alle Scuole delle Missionarie della Dottrina Cristiana di Roma, Sulmona e L’Aquila, auspicando che l’azione educativa sia sempre sostenuta ed animata dagli ideali cristiani.

    Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli.

    Vi auguro di far crescere nel cuore la luce consolante dell’annuncio pasquale, che invita a rafforzare la fede e la speranza in Gesù, crocifisso e risorto.

    E il mio pensiero va alla martoriata Ucraina e alla Palestina e Israele.

    Che il Signore ci dia la pace! La guerra è dappertutto –  non dimentichiamo il Myanmar – ma chiediamo al Signore la pace e non dimentichiamo questi nostri fratelli e sorelle che soffrono tanto in questi posti di guerra.

    Preghiamo insieme e sempre per la pace.

    Grazie.

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