Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. Custodisci il buon deposito con l'aiuto dello Spirito santo che abita in noi. Tu sai che tutti quelli dell'Asia, tra i quali Fìgelo ed Ermègene, mi hanno abbandonato. Il Signore conceda misericordia alla famiglia di Onesìforo, perché egli mi ha più volte confortato e non s'è vergognato delle mie catene; anzi, venuto a Roma, mi ha cercato con premura, finché mi ha trovato. Gli conceda il Signore di trovare misericordia presso Dio in quel giorno.
E quanti servizi egli ha reso in Efeso, lo sai meglio di me. Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è in Cristo Gesù e le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri. Insieme con me prendi anche tu la tua parte di sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù. Nessuno però, quando presta servizio militare, s'intralcia nelle faccende della vita comune, se vuol piacere a colui che l'ha arruolato. Anche nelle gare atletiche, non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole. L'agricoltore poi che si affatica, dev'essere il primo a cogliere i frutti della terra. Cerca di comprendere ciò che voglio dire; il Signore certamente ti darà intelligenza per ogni cosa.
Maskil.
Di Asaf.
Popolo mio, porgi l'orecchio al mio insegnamento, ascolta le parole della mia bocca. Aprirò la mia bocca in parabole, rievocherò gli arcani dei tempi antichi. Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato, non lo terremo nascosto ai loro figli; diremo alla generazione futura le lodi del Signore, la sua potenza e le meraviglie che egli ha compiuto. Ha stabilito una testimonianza in Giacobbe, ha posto una legge in Israele: ha comandato ai nostri padri di farle conoscere ai loro figli, perché le sappia la generazione futura, i figli che nasceranno.
Anch'essi sorgeranno a raccontarlo ai loro figli perché ripongano in Dio la loro fiducia e non dimentichino le opere di Dio, ma osservino i suoi comandi.
Egli poi disse loro: «Come mai dicono che il Cristo è figlio di Davide, se Davide stesso nel libro dei Salmi dice: Ha detto il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello ai tuoi piedi? Davide dunque lo chiama Signore; perciò come può essere suo figlio?».
Cerca di cogliere il mistero: dal seno della Vergine egli nacque insieme servo e Signore; servo per operare, Signore per comandare e porre le basi del Regno di Dio nel cuore degli uomini.
Eppure è uno solo: non Dio generato dal Padre e uomo nato dalla Vergine; ma lo stesso che è generato dal Padre prima di tutti i secoli, prese poi un corpo dalla Vergine.
Per questo è chiamato contemporaneamente servo e Signore: servo per noi, ma, per l'unità della natura divina, Dio da Dio, coeterno, uguale al Padre.
Non avrebbe potuto infatti, generare inferiore e sé il Figlio, nel quale il Padre stesso disse di essersi compiaciuto (Mt 3,17).
(...) Conserva sempre la dignità del nome con cui viene chiamato: grande Dio e grande servo.
Nella sua incarnazione, non perde l'attributo della sua grandezza la quale non ha fine» (Sal 144,3).
(...) Egli, pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo» (Fil 2,6-7).
(...) Egli dunque, uguale a Dio in quanto è il Figlio, nella carne prese la forma di servo; «provò la morte» (Eb 2,9), eppure «la sua grandezza non ha fine».
(...) Beata servitù che rese tutti liberi, beata servitù che gli acquistò «un nome più alto di ogni altro nome»; beata umiltà, la quale fece sì che «nel suo nome ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre» (Fil 2, 10-11).
Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. Se tu ascolti la sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l'avversario dei tuoi avversari. Quando il mio angelo camminerà alla tua testa e ti farà entrare presso l'Amorreo, l'Hittita, il Perizzita, il Cananeo, l'Eveo e il Gebuseo e io li distruggerò,
Tu che abiti al riparo dell'Altissimo e dimori all'ombra dell'Onnipotente, dì al Signore: "Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido". Ti coprirà con le sue penne sotto le sue ali troverai rifugio. La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza; non temerai i terrori della notte né la freccia che vola di giorno, Poiché tuo rifugio è il Signore e hai fatto dell'Altissimo la tua dimora, Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede.
Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza? Proprio per questo bisogna che ci applichiamo con maggiore impegno a quelle cose che abbiamo udito, per non andare fuori strada. Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione, come potremo scampare noi se trascuriamo una salvezza così grande? Questa infatti, dopo essere stata promulgata all'inizio dal Signore, è stata confermata in mezzo a noi da quelli che l'avevano udita, mentre Dio testimoniava nello stesso tempo con segni e prodigi e miracoli d'ogni genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà.
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! E' inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco. Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.
O Dio, tu sei la felicità in Te stesso e per tale felicità non hai bisogno di alcuna creatura, poiché sei in Te stesso la pienezza dell’amore.
Tuttavia per la Tua infinita Misericordia chiami all’esistenza delle creature e le fai partecipare alla Tua eterna felicità e alla Tua vita interiore divina, Unico Dio in Tre Persone. Nella Tua insondabile misericordia, hai creato gli spiriti angelici e li hai ammessi al Tuo amore, alla Tua divina intimità.
Li hai resi capaci dell'amore eterno; per quanto Tu li abbia colmati, Signore, tanto generosamente dello splendore di bellezza e di amore, la Tua pienezza non ne è stata diminuita, oh Dio, e la loro bellezza e il loro amore non Ti hanno completato in nulla, poiché Tu sei tutto in Te stesso.
E se li hai fatti partecipi della Tua beatitudine e permetti loro di esistere e di amarTi, è solo l'abisso della Tua misericordia.
E' la Tua bontà insondabile, per la quale senza fine Ti glorificano, prosternati ai piedi della Tua maestà, cantano eternamente: Santo, Santo, Santo... Sii glorificato, Uno nella Trinità, Dio misericordioso, Insondabile, incommensurato, inconcepibile. Lo spirito degli angeli naufraga in Te, non può comprenderTi, Così, senza fine cantano: Santo... Sii glorificato, nostro misericordioso Creatore e Signore, Onnipotente, ma pieno di pietà, inconcepibile. AmarTi è il compito della nostra esistenza, Cantando eternamente: Santo... Sii benedetto, Dio misericordioso, Amore eterno, Tu sei al di sopra dei cieli, degli zefiri e dei firmamenti, Così Ti loda la folla dei puri spiriti Col suo inno eterno: tre volte Santo.
Soprattutto, fratelli miei, non giurate, né per il cielo, né per la terra, né per qualsiasi altra cosa; ma il vostro "sì" sia sì, e il vostro "no" no, per non incorrere nella condanna. Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi. Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti.
Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza. Elia era un uomo della nostra stessa natura: pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. Poi pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto. Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati.
È bello dar lode al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo, annunziare al mattino il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte, sull'arpa a dieci corde e sulla lira, con canti sulla cetra. Poiché mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie, esulto per l'opera delle tue mani. Come sono grandi le tue opere, Signore, quanto profondi i tuoi pensieri! L'uomo insensato non intende e lo stolto non capisce: ma tu sei l'eccelso per sempre, o Signore. Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri del nostro Dio. per annunziare quanto è retto il Signore: mia roccia, in lui non c'è ingiustizia.
Postisi in osservazione, mandarono informatori, che si fingessero persone oneste, per coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all'autorità e al potere del governatore. Costoro lo interrogarono: «Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio. E' lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?». Conoscendo la loro malizia, disse: «Mostratemi un denaro: di chi è l'immagine e l'iscrizione?».
Risposero: «Di Cesare». Ed egli disse: «Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero.
"Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".
A ciascuno si deve dare il suo: sentenza piena di sapienza celeste e di dottrina.
Egli insegna che vi sono due tipi di potere: uno terreno e umano, l'altro celeste e divino; e insegna che da noi si richiede una duplice obbedienza: alle leggi umane e a quelle divine...
A Cesare dobbiamo dare la moneta che porta l'immagine e l'iscrizione di lui, a Dio invece ciò su cui è impressa l'immagine e la somiglianza divina: "Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto" (Sal 4,7). Noi siamo creati a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26).
Tu, o cristiano, sei uomo: sei dunque moneta del tesoro divino, sei il denaro che porta impressa l'immagine e l'iscrizione del re divino.
Con Cristo ti chiedo: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?" Tu dici: "Di Dio." Osservo: "E perché non dài a Dio ciò che è suo?" Se vogliamo essere immagine di Dio, dobbiamo essere simili a Cristo, perché egli è l'immagine della bontà di Dio e "l'impronta della sua sostanza" (Eb 1,3).
Dio poi "quelli che da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo" (Rm 8,29).
E Cristo ha veramente dato a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio, perché ha osservato alla perfezione le due tavole della legge divina "facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,8); e fu adorno nel grado più perfetto di tutte le virtù interne e esterne.
Pietà, pietà di me, almeno voi miei amici, perché la mano di Dio mi ha percosso! Perché vi accanite contro di me, come Dio, e non siete mai sazi della mia carne? « Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro sul piombo, per sempre s'incidessero sulla roccia! Io lo so che il mio Vendicatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero.
Le mie viscere si consumano dentro di me.
Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi. Di te ha detto il mio cuore: Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore.
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi.
Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede.
Non passate di casa in casa. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio». Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città ».
“Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già si trova, e che è Cristo Gesù” (1 Cor 3,11).
Lui solo “che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo (Gv 10,36); irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (Eb 1,3) in quanto Dio vero e vero uomo: senza di Lui nessuno potrebbe conoscere Dio come si deve.
Infatti, “nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27).
Ne consegue che vi è perfetta concordanza fra il “ristabilire tutte le cose in Cristo” e il ricondurre gli uomini all’obbedienza a Dio.
Dobbiamo dunque rivolgere il nostro impegno a questo, al fine di ricondurre il genere umano sotto l’impero di Cristo; raggiunto tale fine, l’uomo ritornerà a Dio medesimo.
A un Dio, diciamo, non inerte e indifferente verso gli uomini, come lo ritrassero, delirando, i materialisti; ma un Dio vivo e vero, uno di natura, in tre persone, creatore dell’universo, onnisciente, e infine giustissimo legislatore che punisce i colpevoli e assicura premi alle virtù. Pertanto è ovvio quale sia il cammino che ci porta a Cristo: passa attraverso la Chiesa.
Perciò dice giustamente Crisostomo: “La tua speranza è la Chiesa, la tua salvezza è la Chiesa, il tuo rifugio è la Chiesa”.
Per questo Cristo l’ha fondata, conquistandola a prezzo del suo sangue; ad essa affidò la sua dottrina e i precetti delle sue leggi, prodigandole ad un tempo i sovrabbondanti doni della divina grazia per la santificazione e la salvezza degli uomini.
Voi vedete dunque, Venerabili Fratelli, quale missione sia parimenti affidata a Noi e a voi (...) nient’altro che “formare Cristo in tutti”.
(...) Compito che Paolo testimoniava di aver ricevuto con queste affettuosissime parole: “Figlioli miei, che io di nuovo partorisco finché Cristo non sia formato in voi” (Gal 4,19).
Ma chi potrebbe esercitare tale missione se non coloro che per primi si sono rivestiti di Cristo (Gal 4,19)? Rivestiti in tal modo da poter dire: "Per me vivere è Cristo" (Fil 1,21).
Così dice il Signore: « Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. Se tu ascolti la sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l'avversario dei tuoi avversari. Quando il mio angelo camminerà alla tua testa e ti farà entrare nella terra promessa ».
Tu che abiti al riparo dell'Altissimo e dimori all'ombra dell'Onnipotente, di' al Signore: "Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido". Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge. Ti coprirà con le sue penne sotto le sue ali troverai rifugio. La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza; non temerai i terrori della notte né la freccia che vola di giorno, la peste che vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a mezzogiorno. Non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda. Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi.
In quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».
O Dio, tu sei la felicità in Te stesso e per tale felicità non hai bisogno di alcuna creatura, poiché sei in Te stesso la pienezza dell’amore.
Tuttavia per la Tua infinita Misericordia chiami all’esistenza delle creature e le fai partecipare alla Tua eterna felicità e alla Tua vita interiore divina, Unico Dio in Tre Persone. Nella Tua insondabile misericordia, hai creato gli spiriti angelici e li hai ammessi al Tuo amore, alla Tua divina intimità.
Li hai resi capaci dell'amore eterno; per quanto Tu li abbia colmati, Signore, tanto generosamente dello splendore di bellezza e di amore, la Tua pienezza non ne è stata diminuita, oh Dio, e la loro bellezza e il loro amore non Ti hanno completato in nulla, poiché Tu sei tutto in Te stesso.
E se li hai fatti partecipi della Tua beatitudine e permetti loro di esistere e di amarTi, è solo l'abisso della Tua misericordia.
E' la Tua bontà insondabile, per la quale senza fine Ti glorificano, prosternati ai piedi della Tua maestà, cantano eternamente: Santo, Santo, Santo... Sii glorificato, Uno nella Trinità, Dio misericordioso, Insondabile, incommensurato, inconcepibile. Lo spirito degli angeli naufraga in Te, non può comprenderTi, Così, senza fine cantano: Santo... Sii glorificato, nostro misericordioso Creatore e Signore, Onnipotente, ma pieno di pietà, inconcepibile. AmarTi è il compito della nostra esistenza, Cantando eternamente: Santo... Sii benedetto, Dio misericordioso, Amore eterno, Tu sei al di sopra dei cieli, degli zefiri e dei firmamenti, Così Ti loda la folla dei puri spiriti Col suo inno eterno: tre volte Santo.
Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno; prese a dire: Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: "È stato concepito un uomo!". E perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo? Perché due ginocchia mi hanno accolto, e perché due mammelle, per allattarmi? Sì, ora giacerei tranquillo, dormirei e avrei pace con i re e i governanti della terra, che si sono costruiti mausolei, o con i principi, che hanno oro e riempiono le case d'argento. Oppure, come aborto nascosto, più non sarei, o come i bimbi che non hanno visto la luce. Laggiù i malvagi cessano d'agitarsi, laggiù riposano gli sfiniti di forze. Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha l'amarezza nel cuore, a quelli che aspettano la morte e non viene, che la cercano più di un tesoro, che godono alla vista di un tumulo, gioiscono se possono trovare una tomba... a un uomo, la cui via è nascosta e che Dio da ogni parte ha sbarrato?
Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte. Giunga fino a te la mia preghiera, tendi l'orecchio al mio lamento. Io sono colmo di sventure, la mia vita è vicina alla tomba. Sono annoverato tra quelli che scendono nella fossa, sono come un morto ormai privo di forza. È tra i morti il mio giaciglio, sono come gli uccisi stesi nel sepolcro, dei quali tu non conservi il ricordo e che la tua mano ha abbandonato. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell'ombra di morte. Pesa su di me il tuo sdegno e con tutti i tuoi flutti mi sommergi.
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, egli si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio.
E' più facile arrabbiarsi che sopportare, minacciare il bambino piuttosto che persuaderlo; direi persino che la nostra impazienza e il nostro orgoglio riescono meglio a imporre punizioni ai ribelli piuttosto che rialzarli con decisione e sopportarli con dolcezza.
Eppure è la carità di Paolo che vi raccomando, quella che lui aveva per gli appena convertiti ed arrivava fino alle lacrime e alle suppliche quando li trovava poco docili o inaccessibili al suo amore. Attenti ad agire d'impulso.
Se si punisce è difficile conservare quell'equilibrio d'anima necessario perché non si creda che agiamo per mostrare la nostra autorità o per dar libero corso all'impeto d'ira.
Guardiamo [i nostri ragazzi] come dei figli sui quali abbiamo un potere da esercitare.
Facciamoci loro servi, esattamente come Gesù, che è venuto per obbedire non per comandare; non vergogniamoci di guidare come lui ha fatto, e guidiamoli per meglio servirli. E' quanto faceva Gesù con gli Apostoli, che erano ignoranti e rozzi; molto di più, li sosteneva quando non erano abbastanza fedeli e mostrava bontà, amicizia e familiarità con i peccatori, tanto che alcuni ne restavano sorpresi, altri scandalizzati, altri infine arrivavano a sperare il perdono di Dio.
Ecco perché ci ha comandato di essere dolci e umili di cuore.
Cari fratelli e sorelle,
Da quando la Chiesa di Dio è stata “convocata in Sinodo”, nell’ottobre 2021, abbiamo percorso assieme una parte del lungo cammino al quale Dio Padre chiama da sempre il suo popolo, inviandolo tra tutte le genti a portare il lieto annuncio che Gesù Cristo è la nostra pace (Efesini 2,14) e confermandolo nella missione con il Santo Spirito.
Questa Assemblea, guidata dallo Spirito Santo, che “piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, raddrizza ciò ch’è sviato”, dovrà offrire il suo contributo perché si realizzi una Chiesa sinodale in missione, che sappia uscire da sé stessa e abitare le periferie geografiche ed esistenziali avendo cura di stabilire legami con tutti in Cristo nostro Fratello e Signore.
C’è un testo di un autore spirituale del IV secolo [1] che potrebbe riassumere cosa avviene quando lo Spirito Santo è messo nella condizione di operare a partire dal Battesimo che genera tutti in eguale dignità.
Le esperienze che descrive ci permettono di riconoscere quanto è avvenuto in questi tre anni, e quanto potrà ancora avvenire.
La riflessione di questo autore spirituale ci aiuta a comprendere che lo Spirito Santo è guida sicura, e nostro primo compito è imparare a distinguere la sua voce, perché Egli parla in tutti e in tutte le cose e questo processo sinodale ce ne ha fatto fare esperienza.
Lo Spirito Santo ci accompagna sempre.
È consolazione nella tristezza e nel pianto, soprattutto quando– proprio per l’amore che nutriamo per l’umanità – di fronte alle cose che non vanno bene, alle ingiustizie che prevalgono, all’ostinazione con cui ci opponiamo a rispondere con il bene di fronte al male, alla fatica di perdonare, all’assenza di coraggio nel cercare la pace, siamo presi dallo sconforto, ci sembra che non ci sia più niente da fare e ci consegniamo alla disperazione.
Così come la speranza è la virtù più umile ma più forte, la disperazione è il peggio, più forte.
Lo Spirito Santo asciuga le lacrime e consola perché comunica la speranza di Dio.
Dio non si stanca, perché il Suo amore non si stanca.
Lo Spirito Santo penetra in quella parte di noi che spesso è tanto simile alle aule dei tribunali, dove mettiamo gli imputati alla sbarra e formuliamo i nostri giudizi, per lo più di condanna.
Proprio questo autore, nella sua omelia, ci dice che lo Spirito Santo accende in quanti lo ricevono un fuoco, il «fuoco di tanta gioia e amore, che se fosse possibile prenderebbero nel loro cuore tutti, buoni e cattivi, senza distinzione alcuna».
Questo perché Dio accoglie tutti, sempre, non dimentichiamo: tutti, tutti, tutti e sempre, e a tutti offre nuove possibilità di vita, fino all’ultimo momento.
È per questo che noi dobbiamo perdonare tutti e sempre, consapevoli che la disposizione a perdonare nasce dell’esperienza di essere stati perdonati.
Soltanto uno può non perdonare: colui che non è stato perdonato.
Ieri, durante la veglia penitenziale abbiamo fatto questa esperienza.
Abbiamo chiesto perdono, abbiamo riconosciuto di essere peccatori.
Abbiamo messo da parte l’orgoglio, ci siamo distaccati dalla presunzione di sentirci migliori degli altri.
Siamo diventati più umili?
Anche l’umiltà è dono dello Spirito Santo: dobbiamo chiederlo.
L’umiltà, come dice l’etimologia della parola, ci restituisce alla terra, all’humus, e ci ricorda l’origine, dove senza il soffio del Creatore saremmo rimasti fango senza vita.
L’umiltà ci permette di guardare il mondo riconoscendo di non essere meglio degli altri.
Come dice san Paolo: «Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi» (Rm 12,16).
E non si può essere umili senza amore.
I cristiani dovrebbero essere come quelle donne descritte da Dante Alighieri in un sonetto, donne che hanno il dolore nel cuore per la perdita del padre della loro amica Beatrice: «Voi che portate la sembianza umile, con gli occhi bassi, mostrando dolore» (Vita Nuova, XXII, 9).
Questa è l’umiltà solidale e compassionevole, di chi si sente fratello e sorella di tutti, patendo lo stesso dolore, e riconoscendo nelle ferite e nelle piaghe di ognuno, le ferite e le piaghe di nostro Signore.
Vi invito a meditare in preghiera su questo bel testo spirituale e a riconoscere che la Chiesa - semper reformanda - non può camminare e rinnovarsi senza lo Spirito Santo e le sue sorprese; senza lasciarsi modellare dalle mani del Dio creatore, del Figlio, Gesù Cristo, e dello Spirito Santo, come ci insegna Sant’Ireneo di Lione (Contro le eresie, IV, 20, 1).
Infatti, da quando, in principio, Dio trasse dalla terra l’uomo e la donna; da quando Dio chiamò Abramo a essere benedizione per tutti i popoli della terra e chiamò Mosè a condurre attraverso il deserto un popolo liberato dalla schiavitù; da quando la Vergine Maria accolse la Parola che la rese Madre del Figlio di Dio secondo la carne e Madre di ogni discepolo e di ogni discepola di suo Figlio; da quando il Signore Gesù, crocifisso e risorto, effuse il suo Santo Spirito nella Pentecoste: da allora siamo in cammino, come dei “misericordiati”, verso il pieno e definitivo compimento dell’amore del Padre.
E non dimentichiamo quella parola: siamo misericordiati.
Conosciamo la bellezza e la fatica del cammino.
Lo percorriamo assieme, come popolo che, anche in questo tempo, è segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano (LG 1).
Lo percorriamo con e per ogni uomo e ogni donna di buona volontà, in ciascuno dei quali lavora invisibilmente la grazia (GS 22).
Lo percorriamo convinti dell’essenza relazionale della Chiesa, vigilando affinché le relazioni che ci sono donate e che sono affidate alla nostra responsabilità e alla nostra creatività siano sempre manifestazione della gratuità della misericordia.
Un sedicente cristiano che non entri nella gratuità e nella misericordia di Dio, è semplicemente un ateo travestito da cristiano.
La misericordia di Dio ci fa affidabili e responsabili.
Sorelle, fratelli, percorriamo questo cammino sapendo di essere chiamati a riflettere la luce del nostro sole, che è Cristo, come pallida luna che assume fedelmente e gioiosamente la missione di essere per il mondo sacramento di quella luce, che non brilla da noi stessi.
La XVI Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, giunta ora alla Seconda Sessione, sta rappresentando in modo originale questo “camminare insieme” del popolo di Dio.
L’ispirazione colta da Papa San Paolo VI, quando nel 1965 ha istituito il Sinodo dei Vescovi, si è rivelata assai feconda.
Nei sessant’anni da allora trascorsi abbiamo imparato a riconoscere nel Sinodo dei Vescovi un soggetto plurale e sinfonico capace di sostenere il cammino e la missione della Chiesa cattolica, aiutando in modo efficace il Vescovo di Roma nel suo servizio alla comunione di tutte le Chiese e della Chiesa tutta.
San Paolo VI era ben consapevole che «questo Sinodo, come ogni istituzione umana, col passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato» (Apostolica Sollicitudo).
La Costituzione apostolica Episcopalis communio ha inteso far tesoro dell’esperienza delle diverse Assemblee sinodali (ordinarie, straordinarie, speciali), configurando in modo esplicito l’Assemblea sinodale come processo e non solo come evento.
Il processo sinodale è anche un processo di apprendimento, nel corso del quale la Chiesa impara a conoscere meglio sé stessa e a individuare le forme di azione pastorale più adeguate alla missione che il suo Signore le affida.
Questo processo di apprendimento coinvolge anche le forme di esercizio del ministero dei pastori, in particolare dei vescovi.
Quando ho deciso di convocare come membri a pieno titolo di questa XVI Assemblea anche un numero significativo di laici e consacrati (uomini e donne), diaconi e presbiteri, sviluppando quanto già in parte previsto per le precedenti Assemblee, l’ho fatto in coerenza con la comprensione dell’esercizio del ministero episcopale espressa dal Concilio Ecumenico Vaticano II: il Vescovo, principio e fondamento visibile di unità della Chiesa particolare, non può vivere il proprio servizio se non nel Popolo di Dio, con il Popolo di Dio, precedendo, stando in mezzo, e seguendo la porzione del Popolo di Dio che gli è stata affidata.
Questa comprensione inclusiva del ministero episcopale chiede di essere manifestata e resa riconoscibile evitando due pericoli: il primo, l’astrattezza che dimentica la concretezza fertile dei luoghi e delle relazioni, e il valore di ogni persona; il secondo pericolo è quello di spezzare la comunione contrapponendo gerarchia a fedeli laici.
Non si tratta certo di sostituire l’una con gli altri, eccitati dal grido: adesso tocca a noi! No, questo non va: “adesso tocca a noi laici”, “adesso tocca a noi preti”, no, non va questo.
Ci è chiesto invece di esercitarci insieme in un’arte sinfonica, in una composizione che tutti accomuna nel servizio alla misericordia di Dio, secondo i differenti ministeri e carismi che il vescovo ha il compito di riconoscere e promuovere.
Camminare insieme, tutti, tutti, tutti è un processo nel quale la Chiesa, docile all’azione dello Spirito Santo, sensibile nell’intercettare i segni dei tempi (Gaudium et spes, 4), si rinnova continuamente e perfeziona la sua sacramentalità, per essere testimone credibile della missione a cui è chiamata, per radunare tutti i popoli della terra nell’unico popolo atteso alla fine, quando Dio stesso ci farà sedere al banchetto da Lui preparato (cfr Is 25,6-10).
La composizione di questa XVI Assemblea è quindi più che un fatto contingente.
Essa esprime una modalità di esercizio del ministero episcopale coerente con la Tradizione viva delle Chiese e con l’insegnamento del Concilio Vaticano II: mai il Vescovo, come ogni altro cristiano, può pensarsi “senza l’altro”.
Come nessuno si salva da solo, l’annuncio della salvezza ha bisogno di tutti, e che tutti siano ascoltati.
La presenza all’Assemblea del Sinodo dei Vescovi di membri che non sono Vescovi non fa venir meno la dimensione “episcopale” dell’Assemblea.
E questo lo dico per qualche tempesta di chiacchiericci che sono andati da una parte all’altra.
Meno ancora pone qualche limite o deroga all’autorità propria del singolo Vescovo e del Collegio Episcopale.
Essa piuttosto segnala la forma che è chiamato ad assumere l’esercizio dell’autorità episcopale in una Chiesa consapevole di essere costitutivamente relazionale e per questo sinodale.
La relazione con Cristo e tra tutti in Cristo – quelli che ci sono e quelli che ancora non ci sono ma che sono attesi dal Padre - realizza la sostanza e modella in ogni tempo la forma della Chiesa.
Si devono individuare, in tempi adeguati, diverse forme di esercizio “collegiale” e “sinodale” del ministero episcopale (nelle Chiese particolari, nei raggruppamenti di Chiese, nella Chiesa tutta), sempre rispettando il deposito della fede e la Tradizione viva, sempre rispondendo a quello che lo Spirito chiede alle Chiese in questo tempo particolare e nei diversi contesti in cui esse vivono.
E non dimentichiamo che lo Spirito è l’armonia.
Pensiamo a quella mattina di Pentecoste: era un disordine tremendo, ma Lui faceva l’armonia, in quel disordine.
Non dimentichiamo che Lui è proprio l’armonia: non è un’armonia sofisticata o intellettuale; è tutto, è un’armonia esistenziale.
È lo Spirito Santo a far sì che la Chiesa sia perennemente fedele al mandato del Signore Gesù Cristo e perennemente in ascolto della sua parola.
Lo Spirito guida i discepoli alla verità tutta intera (Gv 16,13).
Sta guidando anche noi, radunati nello Spirito Santo in questa Assemblea, per dare una risposta, dopo tre anni di cammino, alla domanda come essere Chiesa sinodale missionaria.
Io aggiungerei misericordiosa.
Con il cuore pieno di speranza e di gratitudine, consapevole del compito impegnativo che vi è affidato (e che ci è affidato), auguro a tutti di aprirsi con disponibilità all’azione dello Spirito Santo, nostra guida sicura, nostra consolazione.
Grazie.
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[1] Cfr Macario Alessandrino, Om. 18, 7-11: PG 34, 639-642.
Oggi celebriamo la memoria liturgica dei Santi Angeli Custodi, e riapriamo la Sessione plenaria del Sinodo dei Vescovi.
In ascolto di ciò che la Parola di Dio ci suggerisce, potremmo allora prendere spunto da tre immagini per la nostra riflessione: la voce, il rifugio e il bambino.
Primo, la voce.
Nel cammino verso la Terra promessa, Dio raccomanda al popolo di ascoltare la “voce dell’angelo” che Lui ha mandato (cfr Es 23,20-22).
È un’immagine che ci tocca da vicino, perché anche il Sinodo è un cammino, in cui il Signore mette nelle nostre mani la storia, i sogni e le speranze di un grande Popolo: di sorelle e fratelli sparsi in ogni parte del mondo, animati dalla nostra stessa fede, mossi dallo stesso desiderio di santità, affinché con loro e per loro cerchiamo di comprendere quale via percorrere per giungere là dove Lui ci vuole portare.
Ma come possiamo, noi, metterci in ascolto della “voce dell’angelo”?
Una via è certamente quella di accostarci con rispetto e attenzione, nella preghiera e alla luce della Parola di Dio, a tutti i contributi raccolti in questi tre anni di lavoro, di condivisione, di confronto e di paziente sforzo di purificazione della mente e del cuore.
Si tratta, con l’aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare e comprendere le voci, cioè le idee, le attese, le proposte, per discernere insieme la voce di Dio che parla alla Chiesa (cfr Renato Corti, Quale prete?, Appunti inediti).
Come abbiamo più volte ricordato, la nostra non è un’assemblea parlamentare, ma un luogo di ascolto nella comunione, in cui, come dice San Gregorio Magno, ciò che qualcuno ha in sé parzialmente, è posseduto in modo completo in un altro e benché alcuni abbiano doni particolari, tutto appartiene ai fratelli nella “carità dello Spirito” (cfr Omelie sui Vangeli, XXXIV).
Perché ciò avvenga c’è una condizione: che ci liberiamo da quello che, in noi e tra noi, può impedire alla “carità dello Spirito” di creare armonia nella diversità.
Non è in grado di sentire la voce del Signore chi con arroganza presume e pretende di averne l’esclusiva (cfr Mc 9,38-39).
Ogni parola va accolta con gratitudine e con semplicità, per farsi eco di ciò che Dio ha donato a beneficio dei fratelli (cfr Mt 10,7-8).
Nel concreto, badiamo a non trasformare i nostri contributi in puntigli da difendere o agende da imporre, ma offriamoli come doni da condividere, pronti anche a sacrificare ciò che è particolare, se ciò può servire a far nascere insieme qualcosa di nuovo secondo il progetto di Dio.
Altrimenti finiremo per chiuderci in dialoghi tra sordi, dove ciascuno cerca di “tirare acqua al proprio mulino” senza ascoltare gli altri, e soprattutto senza ascoltare la voce del Signore.
Le soluzioni ai problemi da affrontare non le abbiamo noi, ma Lui (cfr Gv 14,6), e ricordiamoci che nel deserto non si scherza: se non si presta attenzione alla guida, presumendo di bastare a sé stessi, si può morire di fame e di sete, trascinando con sé anche gli altri.
Mettiamoci dunque in ascolto della voce di Dio e del suo angelo, se davvero vogliamo procedere sicuri nel nostro cammino al di là dei limiti e delle difficoltà (cfr Sal 23,4).
E questo ci porta alla seconda immagine: il rifugio.
Il simbolo è quello delle ali che custodiscono: «sotto le sue ali troverai rifugio» (Sal 91,4).
Sono strumenti potenti le ali, capaci di sollevare un corpo da terra coi loro movimenti vigorosi.
Però, pur così forti, possono anche abbassarsi e raccogliersi, facendosi scudo e nido accogliente per i piccoli, bisognosi di calore e di protezione.
Questo è un simbolo di ciò che Dio fa per noi, ma è anche un modello da seguire, in particolare in questo momento assembleare.
Tra noi, cari fratelli e sorelle, ci sono molte persone forti, preparate, capaci di sollevarsi in alto con i movimenti vigorosi di riflessioni e intuizioni geniali.
Tutto ciò è una ricchezza, che ci stimola, ci spinge, ci costringe a volte a pensare in modo più aperto e ad andare avanti con decisione, come pure ci aiuta a rimanere saldi nella fede anche di fronte a sfide e difficoltà.
Il cuore aperto, il cuore in dialogo.
Non è dello Spirito del Signore un cuore chiuso nelle proprie convinzioni, questo non è del Signore.
È un dono l’aprirsi, un dono che va unito, a tempo opportuno, alla capacità di rilassare i muscoli e di chinarsi, per offrirsi gli uni agli altri come abbraccio accogliente e luogo di riparo: per essere, come diceva San Paolo VI, «una casa […] di fratelli, un’officina d’intensa attività, un cenacolo di ardente spiritualità» (Discorso al Consiglio di Presidenza della C.E.I., 9 maggio 1974).
Ciascuno, qui, si sentirà libero di esprimersi tanto più spontaneamente e liberamente, quanto più percepirà attorno a sé la presenza di amici che gli vogliono bene e che rispettano, apprezzano e desiderano ascoltare ciò che ha da dire.
E questa per noi non è solo una tecnica di “facilitazione” – è vero che nel Sinodo ci sono i “facilitatori”, ma questo è per aiutare ad andare avanti meglio –, non è solo una tecnica di facilitazione del dialogo o una dinamica di comunicazione di gruppo: abbracciare, proteggere e prendersi cura è infatti parte stessa dell’indole della Chiesa.
Abbracciare, proteggere e prendersi cura.
La Chiesa è per sua vocazione luogo ospitale di raccolta, dove «la carità collegiale esige una perfetta armonia, da cui risulta la sua forza morale, la sua bellezza spirituale, la sua esemplarità» (ivi).
Quella parola è molto importante, l’“armonia”.
Non c’è maggioranza, minoranza; questo può essere un primo passo.
Quello che importa, quello che è fondamentale è l’armonia, l’armonia che può fare solo lo Spirito Santo.
È il maestro dell’armonia, che con tante differenze è capace di creare una sola voce, con tante voci diverse.
Pensiamo alla mattina di Pentecoste, come lo Spirito ha creato quell’armonia nelle differenze.
La Chiesa ha bisogno di “luoghi pacifici e aperti”, da creare prima di tutto nei cuori, in cui ciascuno si senta accolto come figlio in braccio a sua madre (cfr Is 49,15; 66,13) e come bimbo sollevato alla guancia dal padre (cfr Os 11,4; Sal 103,13).
Ed eccoci così alla terza immagine: il bambino.
È Gesù stesso, nel Vangelo, a “metterlo nel mezzo”, a mostrarlo ai discepoli, invitandoli a convertirsi e a farsi piccoli come lui.
Loro gli avevano chiesto chi fosse il più grande nel regno dei cieli: Lui risponde incoraggiandoli a farsi piccoli come un bambino.
Ma non solo: aggiunge anche che accogliendo un bambino nel suo nome si accoglie Lui (cfr Mt 18,1-5).
E per noi questo paradosso è fondamentale.
Il Sinodo, data la sua importanza, in un certo senso ci chiede di essere “grandi” – nella mente, nel cuore, nelle vedute –, perché sono “grandi” e delicate le questioni da trattare, e ampi, universali gli scenari entro cui esse si collocano.
Ma proprio per questo non possiamo permetterci di staccare gli occhi dal bambino, che Gesù continua a mettere al centro delle nostre riunioni e dei nostri tavoli di lavoro, per ricordarci che l’unica via per essere “all’altezza” del compito che ci è affidato, è quella di abbassarci, di farci piccoli e di accoglierci a vicenda come tali, con umiltà.
Il più alto nella Chiesa è quello che si abbassa di più.
Ricordiamoci che è proprio facendosi piccolo che Dio ci «dimostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa voglia dire essere Dio» (Benedetto XVI, Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 11 gennaio 2009).
Non a caso Gesù dice che gli angeli dei bambini «vedono sempre la faccia del Padre […] che è nei cieli» (Mt 18,10): che sono, cioè, come un “telescopio” dell’amore del Padre.
Fratelli e sorelle, riprendiamo questo cammino ecclesiale con uno sguardo rivolto al mondo, perché la comunità cristiana è sempre a servizio dell’umanità, per annunciare a tutti la gioia del Vangelo.
Ce n’è bisogno, soprattutto in quest’ora drammatica della nostra storia, mentre i venti della guerra e i fuochi della violenza continuano a sconvolgere interi popoli e Nazioni.
Per invocare dall’intercessione di Maria Santissima il dono della pace, domenica prossima mi recherò nella Basilica di Santa Maria Maggiore dove reciterò il santo Rosario e rivolgerò alla Vergine un’accorata supplica; se possibile, chiedo anche a voi, membri del Sinodo, di unirvi a me in quell’occasione.
E, il giorno dopo, 7 ottobre, chiedo a tutti di vivere una giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo.
Camminiamo insieme.
Mettiamoci in ascolto del Signore.
E lasciamoci condurre dalla brezza dello Spirito.
Guten Morgen!
Caro fratello Vescovo, caro Landesbischof,
Signora Ministro, Signor Sindaco,
cari fratelli e sorelle!
Di cuore vi do il mio benvenuto, e ringrazio il coro per il bellissimo canto, grazie!
Fare un pellegrinaggio vuol dire mettersi in cammino, di solito verso un santuario.
Questo cammino diventa simbolo del proprio percorso di vita e della grande meta finale, che è Dio stesso, come è bene espresso nel verso della versione tedesca del Te Deum che avete scelto come motto del vostro viaggio: „Auf dich hoffen wir allein!“, “In te solo noi speriamo!”.
Con il vostro pellegrinaggio, intendete – come avete scritto – “riscoprire insieme e per gli uomini del nostro tempo i tesori spirituali del pellegrinare”.
Sì, tutta la ricchezza della nostra fede è un dono, un dono di Dio che riceviamo non solo per noi stessi, ma sempre anche per gli altri, per le persone intorno a noi, compresi quelli che sembrano lontani dalla fede, che non hanno ancora sentito parlare di Cristo, o che pensano che non abbia nulla di importante da dire.
Mi sembra che la vita di molte persone oggi manchi del significato, della speranza e della gioia che il mondo non può dare.
Per questo vi esorto a condividere il significato, la speranza e la gioia della fede con tutti, con fiducia e umiltà.
La testimonianza personale e credibile è ciò che conta quando si trasmette la fede.
E come criterio di credibilità, il Signore stesso menziona l’unità dei suoi discepoli e chiede al Padre: “che tutti siano una cosa sola, perché il mondo creda” (cfr Gv 17,21).
A nome della Chiesa, vi ringrazio per aver preso sul serio questa missione ecumenica di Gesù e per aver cercato di realizzarla con questo pellegrinaggio comune e, cosa altrettanto importante, nella vita di tutti i giorni.
Ho saputo che gran parte del vostro gruppo è composto da volontari.
Il mio ringraziamento speciale va a voi, perché il vostro servizio gratuito è una testimonianza particolarmente credibile!
E vorrei anche ringraziare voi, i “Dresdner Kapellknaben”, per la vostra speciale testimonianza.
L’arte in generale, ma la musica in particolare, è un linguaggio che viene compreso da tutti ed è in grado di interpellare, ispirare e risollevare le persone.
Alcune cose sono difficili da esprimere a parole, e questo vale soprattutto per il mistero divino, che va ben oltre i nostri pensieri e concetti.
Ecco perché nelle chiese abbiamo questo ricco simbolismo, che rende tangibile e concreto l’indicibile: le candele, l’incenso, l’arte e la musica! Grazie per il meraviglioso unisono, l’armonia che le molte voci trovano, e che ci ricorda l’opera dello Spirito Santo, che unisce i molti! Grazie per la vostra testimonianza!
Cari fratelli e sorelle, continuate a lavorare insieme e a testimoniare la speranza che è in voi (cfr 1 Pt 3,15).
Ricordate le immagini del sale della terra e della luce del mondo, del piccolo seme; la Bibbia è piena di questi esempi in cui qualcosa di piccolo e di poco conto può crescere in qualcosa di grande con la grazia di Dio, qualcosa di molto più grande e più bello di quanto noi umani avremmo potuto realizzare da soli, con le nostre forze.
Nell’ottobre 1989, ne avete avuto un’idea quando alcuni cristiani protestanti e cattolici a Dresda sono riusciti a confrontarsi con la polizia.
È stato come un miracolo che non sia stato sparato un solo colpo e che anche in altre città si sia aperta una strada pacifica che nessuno avrebbe pensato possibile e che alla fine ha portato al “miracolo” dell’unità tedesca.
Domani anche voi celebrerete questo evento a Roma.
Rivolgiamoci ora insieme in preghiera al nostro Padre celeste, con la preghiera che unisce tutti i cristiani.
Col Padre nostro chiediamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere, per il nostro pellegrinaggio, al termine del quale la nostra grande speranza si realizzerà: la piena armonia nella comunione con Dio e tra di noi.
Preghiamo.
Unser Vater...
Gott segne Sie alle, der Vater, der Sohn und der Heilige Geist.
Und beten Sie für mich, diese Arbeit ist nicht einfach! Aber beten Sie für mich, nicht gegen mich!
Cari fratelli e sorelle,
come ci ricorda il Siracide, «la preghiera del povero attraversa le nubi» (35,21).
Noi siamo qui mendicanti della misericordia del Padre, chiedendo perdono.
La Chiesa è sempre Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca di perdono, e non solo la Chiesa dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi che si riconoscono poveri e peccatori.
Ho voluto scrivere le richieste di perdono che sono state lette da alcuni cardinali, perché era necessario chiamare per nome e cognome i nostri principali peccati.
E noi li nascondiamo o li diciamo con parole troppo educate.
Il peccato è sempre una ferita nelle relazioni: la relazione con Dio e la relazione con i fratelli e le sorelle.
Sorelle, fratelli, nessuno si salva da solo, ma è vero ugualmente che il peccato di uno rilascia effetti su tanti: come tutto è connesso nel bene, lo è anche connesso nel male.
La Chiesa è nella sua essenza una Chiesa di fede e di annuncio sempre relazionale, e solo curando le relazioni malate, possiamo diventare Chiesa sinodale.
Come potremmo essere credibili nella missione se non riconosciamo i nostri errori e non ci chiniamo a curare le ferite che abbiamo provocato con i nostri peccati?
E la cura della ferita comincia confessando il peccato che abbiamo compiuto.
La parabola del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato ci presenta due uomini, un fariseo e un pubblicano, che vanno entrambi al tempio a pregare.
Uno sta in piedi, con la fronte alta, l’altro resta indietro, con gli occhi bassi.
Il fariseo riempie la scena con la sua statura che attira gli sguardi, imponendosi come modello.
In questo modo presume di pregare, ma in realtà sta celebrando se stesso, mascherando nella sua effimera sicurezza le sue fragilità.
Cosa si aspetta da Dio? Si attende un premio per i suoi meriti, e in questo modo si priva della sorpresa della gratuità della salvezza, fabbricandosi un dio che non potrebbe fare altro che sottoscrivere un certificato di perfezione presunta.
Un uomo chiuso alla sorpresa, chiuso a tutte le sorprese.
È tutto chiuso in sé stesso, chiuso alla grande sorpresa della misericordia.
Il suo io non dà spazio a niente a nessuno, nemmeno a Dio.
Quante volte nella Chiesa ci comportiamo in questo modo? Quante volte abbiamo occupato tutto lo spazio anche noi, con le nostre parole, i nostri giudizi, i nostri titoli, la convinzione di avere soltanto meriti? E in questo modo si perpetua quanto era avvenuto quando Giuseppe e Maria, e il Figlio di Dio nel suo ventre, bussavano alle porte dell’ospitalità.
Gesù nascerà in una mangiatoia perché, come ci dice il Vangelo, «non c’era posto per loro nell’albergo» (Lc 2,7).
E noi oggi siamo tutti come il pubblicano, abbiamo o vogliamo avere gli occhi bassi e proviamo, vogliamo provare vergogna per i nostri peccati.
Come lui, rimaniamo indietro, liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio.
Diciamolo anche noi vescovi, preti, consacrate, consacrati: liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio.
Non potremmo invocare il nome di Dio senza chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle, alla Terra e a tutte le creature.
Cominciamo questa tappa del Sinodo.
E come potremmo essere Chiesa sinodale senza riconciliazione? Come potremmo affermare di voler camminare insieme senza ricevere e donare il perdono che ristabilisce la comunione in Cristo?
Il perdono, chiesto e donato, genera una nuova concordia in cui le diversità non si oppongono, e il lupo e l’agnello riescono a vivere insieme (cfr Is 11,6).
Coraggioso l’esempio di Isaia!
Di fronte al male e alla sofferenza innocente domandiamo: dove sei Signore? Ma la domanda dobbiamo rivolgerla a noi, e interrogarci sulle responsabilità che abbiamo quando non riusciamo a fermare il male con il bene.
Non possiamo pretendere di risolvere i conflitti alimentando violenza che diventa sempre più efferata, riscattarci provocando dolore, salvarci con la morte dell’altro.
Come possiamo inseguire una felicità pagata con il prezzo dell’infelicità dei fratelli e delle sorelle?
E questo è per tutti, per tutti: laiche, laici, consacrate, consacrati, per tutti! Alla vigilia dell’inizio dell’Assemblea del Sinodo, la confessione è un’occasione per ristabilire fiducia nella Chiesa e nei suoi confronti, fiducia infranta dai nostri errori e peccati, e per cominciare a risanare le ferite che non smettono di sanguinare, spezzando «le catene della malvagità» (Is 58,6).
Lo diciamo nella preghiera dell’Adsumus con cui domani introdurremo la celebrazione del Sinodo: «Siamo qui oppressi dall’enormità del nostro peccato».
E questo peso non vorremmo che rallentasse il cammino del Regno di Dio nella storia.
Noi abbiamo fatto la nostra parte, anche di errori.
Continuiamo nella missione per quello che possiamo; ma ora ci rivolgiamo a voi giovani, che aspettate da noi il passaggio di testimonianza, chiedendo perdono anche a voi se non siamo stati testimoni credibili.
E oggi nella memoria liturgica di santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, domandiamo la sua intercessione.
Breve pausa di silenzio.
Poi, tutti in piedi chinano il capo.
Il Santo Padre riprende la parola pregando:
O Padre, siamo qui riuniti consapevoli di avere bisogno del tuo sguardo di amore.
Abbiamo le mani vuote, possiamo ricevere solo quanto tu puoi donarci.
Ti chiediamo perdono per tutti i nostri peccati, aiutaci a restaurare il tuo volto che abbiamo sfigurato con la nostra infedeltà.
Chiediamo perdono, provando vergogna, a chi è stato ferito dai nostri peccati.
Donaci il coraggio di un sincero pentimento per la conversione.
Lo chiediamo invocando il Santo Spirito perché possa riempire della sua Grazia i cuori che hai creato, in Cristo Gesù Signore nostro.
Tutti chiediamo perdono, tutti siamo peccatori, ma tutti abbiamo la speranza nel tuo amore, Signore.
Amen.
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PAROLE DEL SANTO PADRE DOPO LA CONSEGNA DEL VANGELO
A voi dico: Il Santo Vangelo è la nostra via, la nostra verità, la nostra vita.
Lo affido a voi che siete le sentinelle del nuovo giorno nella Chiesa, che vuole essere sinodale per la missione.
Da che il Verbo si è fatto carne, la parola di Gesù cerca la nostra carne, per quanto debole e infedele.
Siamo tutti peccatori, siamo tutti mendicanti della misericordia del Padre, per questo abbiamo confessato i nostri peccati.
Riceveremo ora la benedizione di Dio che è il soffio di vita, la carezza di speranza che permette a chi è caduto di rialzarsi sempre.
E a tutti noi, fratelli e sorelle, ricordiamo che soltanto una volta, una volta, è lecito guardare una persona dall’alto in basso: soltanto per aiutarla a sollevarsi; altrimenti non si può.
È lecito guardare una persona dall’alto in basso per aiutarla a sollevarsi.
Ricordate che il Vangelo deve essere custodito e proclamato con mani innocenti e cuore puro, e se qualcuno di noi non ha le mani innocenti, non ha il cuore puro, almeno con cuore pentito.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Sono contento di incontrarvi.
Saluto Mons.
Giuseppe Baturi, Segretario Generale della CEI, e Mons.
Carlo Redaelli, Presidente di Caritas Italiana.
Ringrazio tutti voi di essere qui e di ciò che fate per le nostre città.
Essere “Custodi del Bello” è una grande responsabilità, oltre che un messaggio importante per la comunità ecclesiale e per tutta la società.
Vorrei perciò riflettere con voi proprio sul nome del vostro progetto che non è un semplice slogan, ma indica un modo di essere, uno stile, una scelta di vita orientata a due grandi finalità: il custodire e il bello.
Custodire significa proteggere, conservare, vigilare, difendere.
È un’azione multiforme, che richiede attenzione e cura, perché parte dalla consapevolezza del valore di chi o di ciò che ci viene affidato.
Per questo non ammette distrazioni e pigrizia.
Chi custodisce tiene gli occhi ben aperti, non ha paura di spendere del tempo, di mettersi in gioco, di assumersi delle responsabilità.
E tutto ciò, in un contesto che spesso invita a non “sporcarsi le mani”, a delegare, è profetico, perché richiama all’impegno personale e comunitario.
Ognuno, con le proprie capacità e competenze, con l’intelligenza e con il cuore, può fare qualcosa per custodire le cose, gli altri, la casa comune, in una prospettiva di cura integrale del creato.
San Paolo ci dice che «la creazione geme e soffre» (Rm 8,22); il suo grido si unisce a quello di tanti poveri della terra, che chiedono con urgenza decisioni serie ed efficaci volte a promuovere il bene di tutti, in una prospettiva che dunque non può essere solo ambientale, ma deve farsi ecologica in senso più ampio, integrale.
Sono tante oggi le persone ai margini, scartate, dimenticate in una società sempre più efficientista e spietata: i poveri, i migranti, gli anziani e i disabili soli, gli ammalati cronici.
Eppure, ciascuno è prezioso agli occhi del Signore (cfr Is 43,1-4).
Per questo vi raccomando, nel vostro lavoro di riqualificazione di tanti luoghi lasciati all’incuria e al degrado, di mantenere sempre come obiettivo primario la custodia delle persone che vi abitano e che li frequentano.
Solo così restituirete il creato alla sua bellezza.
E proprio questo è l’altro valore: insieme al custodire, la bellezza.
Oggi se ne parla molto, fino a farne un’ossessione.
Spesso però la si considera in modo distorto, confondendola con modelli estetici effimeri e massificanti, più legati a criteri edonistici, commerciali e pubblicitari che non allo sviluppo integrale delle persone.
Un approccio di questo genere è deleterio, perché non aiuta a far fiorire il meglio in ciascuno, ma porta al degrado dell’uomo e della natura.
Se infatti «non si impara a fermarsi ad ammirare e apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli» (Lett.
enc. Laudato si’, 215).
Si tratta, invece, di imparare a coltivare il bello come qualcosa di unico e sacro per ogni creatura, pensato, amato e celebrato da Dio fin dalle origini del mondo (cfr Gen 1,4) come unità inscindibile di grazia e di bontà, di perfezione estetica e morale.
Questa è la vostra missione; e io vi incoraggio, come cooperatori al grande disegno del Creatore, a non stancarvi di trasformare il brutto in bello, il degrado in opportunità, il disordine in armonia.
Vi accompagni e vi sia di modello, nel vostro impegno, San Giuseppe di Nazaret, il custode umile e silenzioso del «più bello tra i figli dell’uomo» (cfr Sal 44,3), del Verbo incarnato in cui tutte le cose sono state create e sussistono (cfr Col 1,16-17).
Con la sua fedeltà discreta e laboriosa, San Giuseppe ha contribuito a riportare la bellezza nel mondo.
Grazie per il tanto bene che fate! Vi benedico e prego per voi.
E vi chiedo, per favore, di pregare per me.
Matteo Bruni
Buonasera a tutti.
Grazie, Santità, per questo tempo che vuole dedicarci alla fine di questo viaggio breve ma molto intenso.
E forse ci vuole dire una parola Lei, prima di cominciare con le domande da parte dei giornalisti.
Le do il microfono.
Papa Francesco
Buongiorno! E sono a disposizione delle domande.
Michael Merten - Luxemburger Wort
Holy Father, I’m Michael from “Luxemburger Wort”, a newspaper in Luxemburg, Luxemburg was your first Country and a lot of people remember your stay there and pretty sure also the people in the Espresso Bar that you surprised there.
I just wanted to ask what are your impressions from this day in Luxemburg, what do you take back to Rome and maybe you are also surprised by something there?
Papa Francesco
Grazie, quella del bar è una ragazzata, la prossima sarà la pizzeria! Il Lussemburgo davvero mi ha impressionato come una società ben equilibrata, con le leggi ben soppesate e anche un’alta cultura.
Questo mi ha impressionato tanto, perché io non lo conoscevo.
Il Belgio invece lo conoscevo perché sono venuto parecchie volte.
Ma il Lussemburgo è stata una sorpresa, per l’equilibro, l’accoglienza, è una cosa che mi ha sorpreso.
Credo che forse il messaggio che può dare all’Europa, il Lussemburgo, è proprio questo...
Grazie.
Matteo Bruni
Grazie, Santità, e grazie al dottor Merten.
La seconda domanda è di Valérie Dupont, della stampa belga di lingua francese.
Valérie Dupont - TV statale Belga francofona RTBF
Esatto, la televisione.
Santità, grazie per la disponibilità, scusi la voce ma la pioggia mi ha un po’ colpito.
Le sue parole sulla tomba di Re Baldovino hanno provocato un po’ di stupore in Belgio.
Papa Francesco
Ma tu sai che lo stupore è l’inizio della filosofia, e questo va bene!
Valérie Dupont
Magari! Qualcuno l’ha vista anche come una ingerenza politica nella vita democratica del Belgio.
La mia domanda è questa.
Il processo di beatificazione del re è legato alle sue posizioni? E come possiamo far coincidere il diritto alla vita, la difesa della vita, e anche il diritto delle donne ad avere una vita senza sofferenze?
Papa Francesco
Sono tutte vite.
Il re è stato coraggioso perché, davanti a una legge di morte, lui non ha firmato e si è dimesso.
Ci vuole coraggio! Ci vuole un politico “con pantaloni” per fare questo, ci vuole coraggio.
Questa è una situazione speciale e lui con questo ha dato anche un messaggio.
E lui lo ha fatto anche perché era un santo.
Quell’uomo è santo e il processo di beatificazione andrà avanti, perché mi ha dato prova di questo.
Le donne.
Le donne hanno diritto alla vita: alla vita loro, alla vita dei figli.
Non dimentichiamo di dire questo: un aborto è un omicidio.
La scienza dice che già a un mese dal concepimento ci sono tutti gli organi.
Si mata un essere umano, si uccide un essere umano.
E i medici che si prestano a questo sono – permettimi la parola – sono sicari.
Sono dei sicari.
E su questo non si può discutere.
Si uccide una vita umana.
E le donne hanno il diritto di proteggere la vita.
Un’altra cosa sono i metodi anticoncezionali, questo è un’altra cosa.
Non bisogna confondere.
Io parlo adesso soltanto dell’aborto.
E su questo non si può discutere.
Scusami, ma è la verità! Grazie.
Matteo Bruni
Grazie, Santità, e grazie a Valérie Dupont.
La terza domanda viene da una giornalista belga di lingua fiamminga, anzi olandese in realtà.
Andrea Vreede - TV belga fiamminga e olandese
Santità, anche durante questo viaggio in Belgio ha avuto un lungo incontro con un gruppo di vittime di abuso sessuale.
Spesso nei loro racconti ricorrono grida di disperazione sulla mancanza di trasparenza nelle procedure, le porte chiuse, il silenzio nei loro confronti, la lentezza delle azioni disciplinari, le coperture di cui Lei ha parlato oggi, i problemi sui risarcimenti economici per i danni subiti.
Alla fine sembrano cambiare le cose soltanto quando riescono a parlare con Lei, di persona, come ha fatto in questo viaggio.
A Bruxelles le vittime Le hanno fatto anche una serie di richieste.
Volevo chiederLe come intende procedere con queste richieste? E non sarebbe meglio, forse, creare un dipartimento apposito in Vaticano, un ente indipendente magari, come chiedono alcuni vescovi per affrontare meglio questa piaga nella Chiesa e per recuperare la fiducia dei fedeli?
Papa Francesco
Grazie.
L’ultima cosa.
C’è il dipartimento in Vaticano.
C’è una struttura, il presidente adesso è un Vescovo colombiano, per gli abusi, i casi di abusi.
C’è una Commissione e l’ha creata il Cardinale O’Malley.
Questo funziona.
E si ricevono tutte le cose in Vaticano e si discute.
Anche in Vaticano ho ricevuto gli abusati e do forza perché si vada avanti.
Questa è la prima cosa.
Secondo.
Ho ascoltato gli abusati.
Credo che è un dovere.
Alcuni dicono: le statistiche dicono che il 40-42-46% degli abusati sono in famiglia e nel quartiere, soltanto il 3% nella Chiesa.
Non mi importa questo, io prendo quelli della Chiesa.
Abbiamo la responsabilità di aiutare gli abusati e prenderci cura di loro.
Alcuni hanno bisogno di un trattamento psicologico, bisogna aiutarli per questo.
Si parla anche di un indennizzo di questo, perché nel diritto civile c’è.
Nel diritto civile credo che sono 50 mila euro in Belgio: è troppo basso, non è una cosa che serve.
La cifra credo che sia quella ma non sono sicuro.
Dobbiamo prenderci cura delle persone abusate e punire gli abusatori, punire, perché l’abuso non è un peccato di oggi che domani forse non c’è; è una tendenza, è una malattia psichiatrica e per questo dobbiamo metterli in trattamento e controllarli così.
Non si può lasciare un abusatore libero così nella vita normale, con responsabilità nelle parrocchie e nelle scuole.
Alcuni vescovi, ai preti che hanno fatto questo, dopo il processo e la condanna, hanno dato lavoro per esempio nella biblioteca, ma senza il contatto con i bambini nelle scuole, nelle parrocchie.
E dobbiamo andare avanti con questo.
Ho detto ai Vescovi belgi di non avere paura e di andare avanti, avanti.
La vergogna è coprire, coprire, questa sì è la vergogna.
Grazie a Lei.
Matteo Bruni
La prossima domanda è di Courtney Walsh, di Fox Tv:
Courtney Walsh, Fox Tv
Grazie mille del suo tempo.
Abbiamo letto questa mattina che bombe di 900 kg sono state messe per l’assassinio mirato di Nasrallah.
Ci sono più di mille sfollati, tanti morti.
La mia domanda è: Lei pensa che Israele forse è andato oltre in Libano e a Gaza? E come si può risolvere questo? C’è un messaggio per queste persone lì?
Papa Francesco
Tutti i giorni telefono alla parrocchia di Gaza.
Ci sono lì dentro, parrocchia e scuola, più di 600 persone, e mi dicono le cose che succedono, anche le crudeltà che succedono lì.
Riguardo a quello che Lei mi dice, non ho capito bene come sono state le cose.
Ma la difesa dev’essere sempre proporzionata all’attacco.
Quando c’è qualcosa di sproporzionato si fa vedere una tendenza dominatrice che va oltre la moralità.
Se un Paese con le forze fa queste cose – parlo di qualsiasi Paese –, fa queste cose in un modo così “superlativo”, sono azioni immorali.
Anche nella guerra c’è una moralità da custodire.
La guerra è immorale, ma le regole di guerra indicano qualche moralità.
Ma quando questo non si fa, si vede – noi diciamo in Argentina – il “cattivo sangue” di queste cose.
Matteo Bruni
Grazie, Santità, grazie a Courtney.
Forse possiamo fare un’ultima domanda, visto il tempo un po’ più breve di questo rispetto all’ultimo dei voli: c’è Annachiara Valle, di Famiglia Cristiana:
Annachiara Valle, Famiglia Cristiana
Grazie, Santità.
Ieri dopo l’incontro all’Università Cattolica di Lovanio è stato diffuso un comunicato dove, leggo, “l’Università deplora le posizioni conservatrici espresse da Papa Francesco sul ruolo della donna nella società”.
Loro dicono che è un po’ restrittivo parlare della donna soltanto come maternità, fecondità, cura che, anzi, questo è un po’ discriminatorio perché è un ruolo che spetta anche agli uomini.
E legato a questo entrambe le Università le hanno posto la questione dei ministeri ordinati nella Chiesa.
Papa Francesco
Prima di tutto: questo comunicato è stato fatto nel momento in cui io parlavo.
È stato pre-fatto e questo non è morale.
Moralità.
Riguardo alla donna: io parlo sempre della dignità della donna e lì ho detto una cosa che non posso dire degli uomini: la Chiesa è donna, è la sposa di Gesù.
Maschilizzare la Chiesa, maschilizzare le donne non è umano, non è cristiano.
Il femminile ha la propria forza.
Anzi, la donna – lo dico sempre, e questo l’ho detto – è più importante degli uomini, perché la Chiesa è donna, la Chiesa è sposa di Gesù.
Se questo a quelle signore sembra conservativo, io sono Carlo Gardell [noto cantante di tango argentino].
Perché non si capisce… Vedo che c’è una mente ottusa che non vuol sentire parlare di questo.
La donna è uguale all’uomo, è uguale, anzi, nella vita della Chiesa la donna è superiore, perché la Chiesa è donna.
Riguardo al ministero, è più grande la misticità della donna che il ministero.
C’è un grande teologo [Hans Urs von Balthasar] che ha fatto studi su questo: chi è più grande, il ministero petrino o il ministero mariano? È più grande il ministero mariano perché è un ministero di unità che coinvolge, l’altro è ministero di conduzione, di guida.
La maternità della Chiesa è una maternità di donna.
Il ministero è un ministero molto minore, dato per accompagnare i fedeli, ma sempre dentro la maternità.
E su questo vari teologi hanno studiato, e dire questo è una cosa reale, non dico moderna, ma reale.
Non è antiquato.
Un femminismo esagerato che vuol dire che la donna sia “maschilista”, questo non funziona.
Una cosa è il maschilismo, che non va, una cosa è il femminismo, che non va.
Quello che va è la Chiesa donna che è più grande del ministero sacerdotale.
E questo a volte non lo si pensa.
Grazie per la domanda.
E grazie a tutti voi per questo viaggio, per il lavoro che avete fatto.
Mi spiace che il tempo sia stretto qui.
Ma grazie, grazie tante! Prego per voi, voi pregate per me.
Pregate a favore! Grazie.
(al Papa viene ricordata la tragedia delle cinquanta persone disperse in mare al largo delle Canarie)
Mi fa dolore, quelle persone disperse alle Canarie.
Oggi tanti, tanti migranti che cercano libertà si perdono in mare o vicino al mare.
Pensiamo a Crotone: a 100 metri da terra...
Pensiamo a lì.
È da piangere questo, è da piangere.
Grazie.
Ringrazio l’Arcivescovo per le sue cortesi parole.
Esprimo sentita gratitudine alle Loro Maestà il Re e la Regina, come pure alle Loro Altezze Reali il Granduca e la Granduchessa di Lussemburgo: ringrazio loro per la presenza e per l’accoglienza di questi giorni.
Ed estendo il mio “grazie” a tutti coloro che, in molti modi, hanno collaborato all’organizzazione di questa visita; in modo speciale agli anziani e ai malati che hanno offerto le loro preghiere.
Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato sul tema “Dio cammina con il suo popolo”.
Da questo Paese, il Belgio, che è stato ed è tuttora meta di tanti migranti, rinnovo all’Europa e alla Comunità internazionale il mio appello a considerare il fenomeno migratorio come una opportunità per crescere insieme nella fraternità, e invito tutti a vedere in ogni fratello e sorella migrante il volto di Gesù che si è fatto ospite e pellegrino in mezzo a noi.
Continuo a seguire con dolore e con tanta preoccupazione l’allargamento e l’intensificazione del conflitto in Libano.
Il Libano è un messaggio, ma in questo momento è un messaggio martoriato, e questa guerra ha effetti devastanti sulla popolazione: tante, troppe persone continuano a morire giorno dopo giorno in Medio Oriente.
Preghiamo per le vittime, per le loro famiglie, preghiamo per la pace.
Chiedo a tutte le parti che si cessi immediatamente il fuoco in Libano, a Gaza, nel resto della Palestina, in Israele.
Si rilascino gli ostaggi e si permetta l’aiuto umanitario.
Non dimentichiamo la martoriata Ucraina.
Ringrazio anche tanti di voi che siete venuti dall’Olanda, dalla Germania, dalla Francia per condividere questa giornata: grazie a voi.
In questo momento vorrei anche darvi una notizia.
Al mio rientro a Roma avvierò il processo di beatificazione di Re Baldovino: che il suo esempio di uomo di fede illumini i governanti.
Chiedo che i Vescovi belgi si impegnino per portare avanti questa causa.
Ci rivolgiamo ora alla Vergine Maria recitando insieme l’Angelus.
Questa preghiera, molto popolare nelle passate generazioni, merita di essere riscoperta: è una sintesi del mistero cristiano, che la Chiesa ci insegna a inserire in mezzo alle occupazioni quotidiane.
Ve la consegno, specialmente ai giovani, e vi affido tutti alla nostra Madre Santissima, che qui, accanto all’altare, è raffigurata come Sede della Sapienza.
Sì, abbiamo bisogno della sapienza del Vangelo! Chiediamola spesso allo Spirito Santo.
E per intercessione di Maria invochiamo da Dio il dono della pace, per la martoriata Ucraina, per la Palestina e Israele, per il Sudan, il Myanmar e tutte le terre ferite dalla guerra.
Grazie a tutti! E avanti, “en route, avec Espérance”!
«Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare» (Mc 9,42).
Con queste parole, rivolte ai discepoli, Gesù mette in guardia dal pericolo di scandalizzare, cioè di ostacolare il cammino e ferire la vita dei “piccoli”.
È un monito forte, un monito severo, sul quale dobbiamo fermarci a riflettere.
Vorrei farlo con voi, alla luce anche degli altri Testi sacri, attraverso tre parole-chiave: apertura, comunione e testimonianza.
All’inizio l’apertura.
Ce ne parlano la prima Lettura e il Vangelo, mostrandoci l’azione libera dello Spirito Santo che, nel racconto dell’esodo, riempie del suo dono di profezia non solo gli anziani andati con Mosè alla tenda del convegno, ma anche due uomini che erano rimasti nell’accampamento.
Questo ci fa pensare, perché, se in un primo momento era scandalosa la loro assenza nel gruppo degli eletti, dopo il dono dello Spirito è scandaloso vietare loro di esercitare la missione che, nonostante ciò, hanno ricevuto.
Ben lo comprende Mosè, uomo umile e saggio, il quale con mente e cuore aperti dice: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!» (Nm 11,29).
Bellissimo auspicio!
Sono parole sapienti, che preludono a ciò che Gesù afferma nel Vangelo (cfr Mc 9,38-43.45.47-48).
Qui la scena si svolge a Cafarnao, e i discepoli vorrebbero a loro volta impedire ad un uomo di scacciare i demoni nel nome del Maestro, perché – affermano – «non ci seguiva» (Mc 9,38), cioè “non è nel nostro gruppo”.
Loro pensano così: “Chi non ci segue, chi non è ‘dei nostri’ non può fare miracoli, non ne ha diritto”.
Ma Gesù li sorprende – come sempre, Gesù sempre ci sorprende – e questi li sorprende e li rimprovera, invitandoli ad andare oltre i loro schemi, a non “scandalizzarsi” della libertà di Dio.
Dice loro: «Non glielo impedite […] chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,39-40).
Osserviamo bene queste due scene, quella di Mosè e quella di Gesù, perché riguardano anche noi e la nostra vita cristiana.
Tutti infatti, con il Battesimo, abbiamo ricevuto una missione nella Chiesa.
Ma si tratta di un dono, non di un titolo di vanto.
La Comunità dei credenti non è una cerchia di privilegiati, è una famiglia di salvati, e noi non siamo inviati a portare il Vangelo nel mondo per i nostri meriti, ma per la grazia di Dio, per la sua misericordia e per la fiducia che, al di là di tutti i nostri limiti e peccati, Egli continua a riporre in noi con amore di Padre, vedendo in noi quello che noi stessi non riusciamo a scorgere.
Per questo ci chiama, ci invia e ci accompagna pazientemente giorno per giorno.
E allora, se vogliamo cooperare, con amore aperto e premuroso, all’azione libera dello Spirito senza essere di scandalo, di ostacolo a nessuno con la nostra presunzione e la nostra rigidità, abbiamo bisogno di svolgere la nostra missione con umiltà, gratitudine e gioia.
Non dobbiamo risentirci, ma piuttosto rallegrarci del fatto che anche altri possano fare ciò che facciamo noi, perché cresca il Regno di Dio e per ritrovarci tutti uniti, un giorno, tra le braccia del Padre.
E questo ci porta alla seconda parola: comunione.
Di essa ci parla San Giacomo nella seconda Lettura (cfr Gc 5,1-6) con due immagini forti: le ricchezze che si corrompono (cfr v.
3), e le proteste dei mietitori che giungono agli orecchi del Signore (cfr v. 4).
Ci ricorda, così, che l’unica via della vita è quella del dono, dell’amore che unisce nella condivisione.
La via dell’egoismo genera solo chiusure, muri e ostacoli – “scandali”, appunto – incatenandoci alle cose e allontanandoci da Dio e dai fratelli.
L’egoismo, come tutto ciò che impedisce la carità, è “scandaloso” perché schiaccia i piccoli, umiliando la dignità delle persone e soffocando il grido dei poveri (cfr Sal 9,13).
E questo valeva ai tempi di San Paolo come oggi per noi.
Pensiamo, ad esempio, a ciò che avviene quando si pongono alla base della vita dei singoli e delle comunità i soli principi dell’interesse e le sole logiche di mercato (cfr Esort.
ap.
Evangelii gaudium, 54-58).
Si crea un mondo in cui non c’è più spazio per chi è in difficoltà, né c’è misericordia per chi sbaglia, né compassione per chi soffre e non ce la fa.
Non c’è.
Pensiamo a quello che accade quando i piccoli sono scandalizzati, colpiti, abusati da coloro che dovrebbero averne cura, alle ferite di dolore e di impotenza anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nella comunità.
Con la mente e con il cuore torno alle storie di alcuni di questi “piccoli” che ho incontrato l’altro ieri.
Li ho sentiti, ho sentito la loro sofferenza di abusati e lo ripeto qui: nella Chiesa c’è posto per tutti, tutti, tutti ma tutti saremo giudicati e non c’è posto per l’abuso, non c’è posto per la copertura dell’abuso.
Chiedo a tutti: non coprite gli abusi! Chiedo ai vescovi: non coprite gli abusi! Condannare gli abusatori e aiutarli a guarire da questa malattia dell’abuso.
Il male non si nasconde: il male va portato allo scoperto, che si sappia, come hanno fatto alcuni abusati e con coraggio.
Che si sappia.
E che sia giudicato l’abusatore.
Che sia giudicato l’abusatore, sia laica, laico, prete o vescovo: che sia giudicato.
La Parola di Dio è chiara: dice che le “proteste dei mietitori” e il “grido dei poveri” non si possono ignorare, non si possono cancellare, come se fossero la nota stonata nel concerto perfetto del mondo del benessere, né si possono attutire con qualche forma di assistenzialismo di facciata.
Al contrario, sono voce viva dello Spirito, ci ricordano chi siamo – tutti siamo poveri peccatori, tutti, il primo io –; e le persone abusate sono un lamento che sale al cielo, che tocca l’anima, che ci fa vergognare e ci chiama a convertirci.
Non ostacoliamone la voce profetica, silenziandola con la nostra indifferenza.
Ascoltiamo quello che dice Gesù nel Vangelo: lontano da noi l’occhio scandaloso, che vede l’indigente e si volta dall’altra parte! Lontano da noi la mano scandalosa, che si chiude a pugno per nascondere i suoi tesori e si ritira avida nelle tasche! Mia nonna diceva: “Il diavolo entra dalle tasche”.
Quella mano che colpisce per compiere un abuso sessuale, un abuso di potere, un abuso di coscienza contro chi è più debole.
E quanti casi di abuso abbiamo nella nostra storia, nella nostra società! Lontano da noi il piede scandaloso, che corre veloce non per farsi vicino a chi soffre, ma per “passare oltre” e stare a distanza! Via tutto questo: lontano da noi! Niente di buono e solido si costruisce così! E una domanda che a me piace fare alle persone: “Tu, fai l’elemosina?” – “Sì, Padre, sì!” – “E dimmi, quando fai l’elemosina, tocchi la mano della persona indigente, o la butti così e guardi dall’altra parte? Tu guardi gli occhi delle persone che soffrono?”.
Pensiamo a questo.
Se vogliamo seminare per il futuro, anche a livello sociale ed economico, ci farà bene tornare a mettere alla base delle nostre scelte il Vangelo della misericordia.
Gesù è la misericordia.
Tutti noi, tutti, siamo stati misericordiati.
Altrimenti, per quanto apparentemente imponenti, i monumenti della nostra opulenza saranno sempre colossi dai piedi di argilla (cfr Dn 2,31-45).
Non illudiamoci: senza amore niente dura, tutto svanisce, si sfalda, e ci lascia prigionieri di una vita sfuggente, vuota e senza senso, di un mondo inconsistente che, al di là delle facciate, ha perso ogni credibilità, perché? Perché ha scandalizzato i piccoli.
E così giungiamo alla terza parola: testimonianza.
Possiamo prendere spunto, in proposito, dalla vita e dall’opera di Anna di Gesù, Anna de Lobera, nel giorno della sua Beatificazione.
Questa donna è stata tra le protagoniste, nella Chiesa del suo tempo, di un grande movimento di riforma, sulle orme di una “gigante dello spirito” – Teresa d’Avila –, di cui ha diffuso gli ideali in Spagna, in Francia e anche qui, a Bruxelles, e in quelli che allora erano chiamati Paesi Bassi Spagnoli.
In un tempo segnato da scandali dolorosi, dentro e fuori la comunità cristiana, lei e le sue compagne, con la loro vita semplice e povera, fatta di preghiera, di lavoro e di carità, hanno saputo riportare alla fede tante persone, al punto che qualcuno ha definito la loro fondazione in questa città come una “calamita spirituale”.
Per scelta, non ha lasciato scritti.
Si è impegnata invece a mettere in pratica ciò che a sua volta aveva imparato (cfr 1Cor 15,3), e con il suo modo di vivere ha contribuito a risollevare la Chiesa in un momento di grande difficoltà.
Accogliamo allora con riconoscenza il modello di “santità al femminile” che ci ha lasciato (cfr Esort.
Ap.
Gaudete et exsultate, 12), delicato e forte, fatto di apertura, di comunione e di testimonianza.
Raccomandiamoci alla sua preghiera, imitiamone le virtù e rinnoviamo con lei il nostro impegno a camminare insieme sulle orme del Signore.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Grazie, Signora Rettrice, per le sue cortesi parole.
Cari studenti, sono contento di incontrarvi e di ascoltare le vostre riflessioni.
In queste parole sento passione e speranza, desiderio di giustizia, ricerca di verità.
Tra le questioni che voi affrontate, mi ha colpito quella sul futuro e l’angoscia.
Vediamo bene quanto è violento e arrogante il male che distrugge l’ambiente e i popoli.
Sembra non conoscere freno.
La guerra è la sua espressione più brutale – voi sapete che in un Paese, che non nomino, gli investimenti che danno più reddito oggi sono le fabbriche delle armi, è brutto! – e sembra non conoscere freno questo: la guerra è un’espressione brutale; come lo sono anche la corruzione e le moderne forme di schiavitù.
La guerra, la corruzione e le nuove forme di schiavitù.
A volte questi mali inquinano la stessa religione, che diventa uno strumento di dominio.
State attenti! Ma questa è una bestemmia.
L’unione degli uomini con Dio, che è Amore salvifico, così diventa schiavitù.
Persino il nome del padre, che è rivelazione di cura, diventa espressione di prepotenza.
Dio è Padre, non padrone; è Figlio e Fratello, non dittatore; è Spirito d’amore, e non di dominio.
Noi cristiani sappiamo che il male non ha l’ultima parola – e su questo dobbiamo essere forti: il male non ha l’ultima parola – che ha, come si dice, i giorni contati.
Questo non toglie il nostro impegno, anzi lo aumenta: la speranza è una nostra responsabilità.
Una responsabilità da prendere perché la speranza mai delude, mai delude.
E questa certezza vince quella coscienza pessimistica, lo stile della Turandot… La speranza mai delude!
E ora, tre parole: riconoscenza, missione, fedeltà.
Il primo atteggiamento è la riconoscenza, perché questa casa ci è donata: non siamo padroni, siamo ospiti e pellegrini sulla terra.
Il primo a prendersene cura è Dio: noi siamo anzitutto curati da Dio, che ha creato la terra – dice Isaia – “non come orrida regione, ma perché fosse abitata” (cfr Is 45,18).
E pieno di stupita riconoscenza è il salmo ottavo: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, / la luna e le stelle che tu hai fissato, / che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, / il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (Sal 8,4-5).
La preghiera del cuore che mi viene è: Grazie, o Padre, per il cielo stellato e per la vita in questo universo!
Il secondo atteggiamento è la missione: noi siamo nel mondo per custodire la sua bellezza e coltivarla per il bene di tutti, soprattutto dei posteri, il prossimo nel futuro.
Ecco il “programma ecologico” della Chiesa.
Ma nessun piano di sviluppo potrà riuscire se restano arroganza, violenza, rivalità nelle nostre coscienze, anche nella nostra società.
Occorre andare alla fonte della questione, che è il cuore dell’uomo.
Dal cuore dell’uomo viene anche la drammatica urgenza del tema ecologico: dall’arrogante indifferenza dei potenti, che mette sempre davanti l’interesse economico.
Interesse economico: i soldi.
Io ricordo una cosa che mia nonna mi diceva sempre: “Stai attento nella vita perché il diavolo entra dalle tasche”.
L’interesse economico.
Finché sarà così, ogni appello sarà messo a tacere o verrà accolto solo nella misura in cui è conveniente al mercato.
Questa “spiritualità”, così, del mercato.
E finché il mercato resta al primo posto, la nostra casa comune subirà ingiustizie.
La bellezza del dono chiede la nostra responsabilità: siamo ospiti, non despoti.
A questo proposito, cari studenti, considerate la cultura come coltivazione del mondo, non solo delle idee.
Qui sta la sfida dello sviluppo integrale, che richiede il terzo atteggiamento: la fedeltà.
Fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo.
Questo sviluppo infatti riguarda tutte le persone in tutti gli aspetti della loro vita: fisica, morale, culturale, sociopolitica; e ad esso si oppone qualsiasi forma di oppressione e di scarto.
La Chiesa denuncia questi soprusi, impegnandosi anzitutto nella conversione di ogni proprio membro, di noi stessi, alla giustizia e alla verità.
In questo senso, lo sviluppo integrale fa appello alla nostra santità: è vocazione alla vita giusta e felice, per tutti.
E adesso, l’opzione da fare è dunque tra manipolare la natura e coltivare la natura.
Un’opzione così: o manipolo la natura o coltivo la natura.
A partire dalla nostra natura umana – pensiamo all’eugenetica, agli organismi cibernetici, all’intelligenza artificiale.
L’opzione tra manipolare o coltivare riguarda anche il nostro mondo interiore.
Pensare all’ecologia umana ci porta a toccare una tematica che sta a cuore a voi e prima ancora a me e ai miei Predecessori: il ruolo della donna nella Chiesa.
Mi piace quello che tu hai detto.
Pesano qui violenze e ingiustizie, insieme a pregiudizi ideologici.
Perciò bisogna ritrovare il punto di partenza: chi è la donna e chi è la Chiesa.
La Chiesa è donna, non è “il” Chiesa, è “la” Chiesa, è la sposa.
La Chiesa è il popolo di Dio, non un’azienda multinazionale.
La donna, nel popolo di Dio, è figlia, sorella, madre.
Come io sono figlio, fratello, padre.
Queste sono le relazioni, che esprimono il nostro essere a immagine di Dio, uomo e donna, insieme, non separatamente! Infatti le donne e gli uomini sono persone, non individui; sono chiamati fin dal “principio” ad amare ed essere amati.
Una vocazione che è missione.
E da qui viene il loro ruolo nella società e nella Chiesa (cfr S.
Giovanni Paolo II, Lett.
ap.
Mulieris dignitatem, 1).
Ciò che è caratteristico della donna, ciò che è femminile, non viene sancito dal consenso o dalle ideologie.
E la dignità è assicurata da una legge originaria, non scritta sulla carta, ma nella carne.
La dignità è un bene inestimabile, una qualità originaria, che nessuna legge umana può dare o togliere.
A partire da questa dignità, comune e condivisa, la cultura cristiana elabora sempre nuovamente, nei diversi contesti, la missione e la vita dell’uomo e della donna e il loro reciproco essere per l’altro, nella comunione.
Non l’uno contro l’altro, questo sarebbe femminismo o maschilismo, e non in opposte rivendicazioni, ma l’uomo per la donna e la donna per l’uomo, insieme.
Ricordiamo che la donna si trova al cuore dell’evento salvifico.
È dal “sì” di Maria che Dio in persona viene nel mondo.
Donna è accoglienza feconda, cura, dedizione vitale.
Per questo è più importante la donna dell’uomo, ma è brutto quando la donna vuol fare l’uomo: no, è donna, e questo è “pesante”, è importante.
Apriamo gli occhi sui tanti esempi quotidiani di amore, dall’amicizia al lavoro, dallo studio alla responsabilità sociale ed ecclesiale, dalla sponsalità alla maternità, alla verginità per il Regno di Dio e per il servizio.
Non dimentichiamo, lo ripeto: la Chiesa è donna, non è maschio, è donna.
Voi stessi siete qui per crescere come donne e come uomini.
Siete in cammino, in formazione come persone.
Perciò il vostro percorso accademico comprende diversi ambiti: ricerca, amicizia, servizio sociale, responsabilità civile e politica, espressioni artistiche...
Penso all’esperienza che vivete ogni giorno, in questa Università Cattolica di Lovanio, e condivido tre aspetti, semplici e decisivi, della formazione: come studiare? perché studiare? e per chi studiare?
Come studiare: c’è non solo un metodo, come in ogni scienza, ma anche uno stile.
Ogni persona può coltivare il proprio.
In effetti, lo studio è sempre una via alla conoscenza di sé e degli altri.
Ma c’è anche uno stile comune, che si può condividere nella comunità universitaria.
Si studia insieme: grazie a chi ha studiato prima di me – docenti, compagni più avanti –, con chi studia al mio fianco, in aula.
La cultura come cura di sé comporta una cura vicendevole.
Non c’è la guerra fra studenti e professori, c’è il dialogo, alle volte è un dialogo un po’ intenso ma c’è il dialogo e il dialogo fa crescere la comunità universitaria.
Secondo: perché studiare.
C’è un motivo che ci spinge e un obiettivo che ci attrae.
Bisogna che siano buoni, perché da loro dipende il senso dello studio, dipende la direzione della nostra vita.
A volte studio per trovare quel tipo di lavoro, ma finisco per vivere in funzione di quello.
Diventiamo noi la “merce”, vivere in funzione del lavoro.
Non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere; è facile dirlo, ma comporta impegno metterlo in pratica con coerenza.
E questa parola coerenza è molto importante per tutti, ma specialmente per voi studenti.
Voi dovete imparare questo atteggiamento della coerenza, essere coerenti.
Terzo: per chi studiare.
Per sé stessi? Per rendere conto ad altri? Studiamo per essere capaci di educare e servire altri, anzitutto col servizio della competenza e dell’autorevolezza.
Prima di chiederci se studiare serve a qualcosa, preoccupiamoci di servire qualcuno.
Una bella domanda che uno studente universitario può fare: a chi servo io, a me stesso? Oppure ho il cuore aperto per un altro servizio? Allora il titolo universitario attesta una capacità per il bene comune.
Studio per me, per lavorare, per essere utile, per il bene comune.
E questo deve essere molto bilanciato, molto bilanciato!
Cari studenti, è una gioia per me condividere con voi queste riflessioni.
E mentre lo facciamo percepiamo che c’è una realtà più grande che ci illumina e ci supera: la verità.
Cosa è la verità? Pilato aveva fatto questa domanda.
Senza la verità, la nostra vita perde senso.
Lo studio ha senso quando cerca la verità, quando cerca di trovarla, ma con animo critico.
Ma la verità, per trovarla, ha bisogno di questo atteggiamento di criticità, così possiamo andare avanti.
Lo studio ha senso quando cerca la verità, non dimenticatevi.
E cercandola capisce che siamo fatti per trovarla.
La verità si fa trovare: è accogliente, è disponibile, è generosa.
Se rinunciamo a cercare insieme la verità, lo studio diventa strumento di potere, di controllo sugli altri.
E io vi confesso che mi rattrista quando trovo, in qualsiasi parte del mondo, università soltanto per preparare gli studenti a guadagnare o ad avere potere.
E’ troppo individualistico, senza comunità.
L’alma mater è la comunità universitaria, l’università, quello che ci aiuta a fare società, a fare fratellanza.
Non serve lo studio senza (cercare la verità) insieme, non serve, ma domina.
Invece la verità ci rende liberi (cfr Gv 8,32).
Cari studenti, volete la libertà? Siate ricercatori e testimoni di verità! Cercando di essere credibili e coerenti attraverso le più semplici scelte quotidiane.
Così questa diventa, ogni giorno, quello che vuole essere, una Università cattolica! E andate avanti, andate avanti, e non entrare nelle lotte con delle dicotomie ideologiche, no.
Non dimenticate: la Chiesa è donna e questo ci aiuterà tanto.
Grazie di questo incontro.
Grazie a te che sei stata brava! Grazie! Vi benedico di cuore, voi e il vostro cammino di formazione.
E per favore vi chiedo di pregare per me.
E se qualcuno non prega o non sa pregare o non vuol pregare almeno mi mandi buone ondate, che c’è bisogno! Grazie!
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Sono felice di essere qui in mezzo a voi.
Ringrazio Mons.
Terlinden per le sue parole e per averci ricordato la priorità di annunciare il Vangelo.
Grazie a tutti voi.
In questo crocevia che è il Belgio, voi siete una Chiesa “in movimento”.
Infatti, da tempo state cercando di trasformare la presenza delle parrocchie sul territorio, di dare un forte impulso alla formazione dei laici; soprattutto vi adoperate per essere Comunità vicina alla gente, che accompagna le persone e testimonia con gesti di misericordia.
Prendendo spunto dalle vostre domande, vorrei proporvi alcune tracce di riflessione attorno a tre parole: evangelizzazione, gioia, misericordia.
La prima strada da percorrere è l’evangelizzazione.
I cambiamenti della nostra epoca e la crisi della fede che sperimentiamo in Occidente ci hanno spinto a ritornare all’essenziale, cioè al Vangelo, perché a tutti venga nuovamente annunciata la buona notizia che Gesù ha portato nel mondo, facendone risplendere tutta la bellezza.
La crisi – ogni crisi – è un tempo che ci è offerto per scuoterci, per interrogarci e per cambiare.
È un’occasione preziosa – nel linguaggio biblico si dice kairòs, occasione speciale – come è successo ad Abramo, a Mosè e ai profeti.
Quando sperimentiamo la desolazione, infatti, sempre dobbiamo chiederci quale messaggio il Signore ci vuole comunicare.
E cosa ci fa vedere la crisi? Siamo passati da un cristianesimo sistemato in una cornice sociale ospitale a un cristianesimo “di minoranza”, o meglio, di testimonianza.
E questo richiede il coraggio di una conversione ecclesiale, per avviare quelle trasformazioni pastorali che riguardano anche le consuetudini, i modelli, i linguaggi della fede, perché siano realmente a servizio dell’evangelizzazione (cfr Esort.
ap.
Evangelii gaudium, 27).
E vorrei dire a Helmut: anche ai preti è richiesto questo coraggio.
Essere preti che non si limitano a conservare o gestire un patrimonio del passato, ma pastori, pastori innamorati di Cristo e attenti a cogliere le domande di Vangelo – spesso implicite – mentre camminano con il Popolo santo di Dio; e noi camminiamo un po’ davanti, un po’ in mezzo e un po’ in fondo.
E quando portiamo il Vangelo – penso a quello che ci ha detto Yaninka – il Signore apre i nostri cuori all’incontro con chi è diverso da noi.
È bello, anzi è necessario che tra i giovani ci siano sogni e spiritualità diverse.
Dev’essere proprio così, perché tanti possono essere i percorsi personali o comunitari, che ci conducono però alla stessa meta, all’incontro con il Signore: nella Chiesa c’è spazio per tutti – tutti, tutti! – e nessuno dev’essere la fotocopia dell’altro.
L’unità nella Chiesa non è uniformità, ma è trovare l’armonia delle diversità! E anche ad Arnaud direi: il processo sinodale dev’essere un ritorno al Vangelo; non deve avere tra le priorità qualche riforma “alla moda”, ma chiedersi: come possiamo far arrivare il Vangelo in una società che non lo ascolta più o si è allontanata dalla fede? Chiediamocelo tutti.
Seconda strada: la gioia.
Non parliamo qui delle gioie legate a qualcosa di momentaneo, né possiamo assecondare i modelli dell’evasione e del divertimento consumistico.
Si tratta di una gioia più grande, che accompagna e sostiene la vita anche nei momenti oscuri o dolorosi, e questo è un dono che viene dall’alto, da Dio.
È la gioia del cuore suscitata dal Vangelo: è sapere che lungo il cammino non siamo soli e che anche nelle situazioni di povertà, di peccato, di afflizione, Dio è vicino, si prende cura di noi e non permetterà alla morte di avere l’ultima parola.
Dio è vicino, vicinanza.
Molto prima di diventare Papa, Joseph Ratzinger scrisse che una regola del discernimento è questa: «Dove manca la gioia, dove l’umorismo muore, qui non c’è nemmeno lo Spirito Santo […] e viceversa: la gioia è un segno della grazia» (Il Dio di Gesù Cristo, Brescia 1978, 129).
È bello! E allora vorrei dirvi: che il vostro predicare, il vostro celebrare, il vostro servire e fare apostolato lasci trasparire la gioia del cuore, perché questo suscita domande e attira anche coloro che sono lontani.
La gioia del cuore: non quel sorriso finto, del momento, la gioia del cuore.
Ringrazio Suor Agnese e le dico: la gioia è la strada.
Quando la fedeltà appare difficile, dobbiamo mostrare – come tu hai detto, Agnese – che essa è un “cammino verso la felicità”.
E, allora, intravedendo dove conduce la strada, si è più pronti a iniziare il cammino.
E terza via: la misericordia.
Il Vangelo, accolto e condiviso, ricevuto e donato, ci conduce alla gioia perché ci fa scoprire che Dio è il Padre della misericordia, che si commuove per noi, che ci rialza dalle nostre cadute, che non ritira mai il suo amore per noi.
Fissiamo questo nel cuore: mai Dio ritira il suo amore per noi.
“Ma Padre, anche quando ho commesso qualcosa di grave?”.
Mai Dio ritira il suo amore per te.
Questo, davanti all’esperienza del male, a volte può sembrarci “ingiusto”, perché noi applichiamo semplicemente la giustizia terrena che dice: “Chi sbaglia deve pagare”.
Tuttavia la giustizia di Dio è superiore: chi ha sbagliato è chiamato a riparare i suoi errori, ma per guarire nel cuore ha bisogno dell’amore misericordioso di Dio.
Non dimenticatevi: Dio perdona tutto, Dio perdona sempre; è con la sua misericordia che Dio ci giustifica, cioè ci rende giusti, perché ci dona un cuore nuovo, una vita nuova.
Perciò a Mia direi: grazie per il grande lavoro che fate per trasformare la rabbia e il dolore in aiuto, vicinanza e compassione.
Gli abusi generano atroci sofferenze e ferite, minando anche il cammino della fede.
E c’è bisogno di tanta misericordia, per non rimanere col cuore di pietra dinanzi alla sofferenza delle vittime, per far sentire loro la nostra vicinanza e offrire tutto l’aiuto possibile, per imparare da loro – come hai detto tu – a essere una Chiesa che si fa serva di tutti senza soggiogare nessuno.
Sì, perché una radice della violenza consiste nell’abuso di potere, quando usiamo i ruoli che abbiamo per schiacciare gli altri o per manipolarli.
E misericordia – penso al servizio di Pieter – è una parola-chiave per i carcerati.
Quando io entro in un carcere mi domando: perché loro e non io? Gesù ci mostra che Dio non si tiene a distanza dalle nostre ferite e impurità.
Egli sa che tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato.
Nessuno è perduto per sempre.
È giusto, allora, seguire tutti i percorsi della giustizia terrena e i percorsi umani, psicologici e penali; ma la pena dev’essere una medicina, deve portare alla guarigione.
Bisogna aiutare le persone a rialzarsi, a ritrovare la loro strada nella vita e nella società.
Soltanto una volta nella vita di tutti ci è permesso guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a rialzarsi.
Solo così.
Ricordiamoci: tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato, nessuno è perduto per sempre.
Misericordia, sempre, sempre misericordia.
Sorelle e fratelli, vi ringrazio.
E nel salutarvi vorrei ricordare un’opera di Magritte, vostro illustre pittore, che si intitola “L’atto di fede”.
Rappresenta una porta chiusa dall’interno, che però è sfondata al centro, è aperta sul cielo.
È uno squarcio, che ci invita ad andare oltre, a volgere lo sguardo in avanti e in alto, a non chiuderci mai in noi stessi, mai in noi stessi.
Questa è un’immagine che vi lascio, come simbolo di una Chiesa che non chiude mai le porte – per favore, non chiude mai le porte! –, che a tutti offre un’apertura sull’infinito, che sa guardare oltre.
Questa è la Chiesa che evangelizza, vive la gioia del Vangelo, pratica la misericordia.
Sorelle e fratelli, camminate insieme, voi e lo Spirito Santo, insieme, e praticate la misericordia, per essere Chiesa così.
Senza lo Spirito, non succede nulla di cristiano.
Ce lo insegna la Vergine Maria, nostra Madre.
Lei vi guidi e vi custodisca.
Benedico tutti di cuore.
E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
Grazie!
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Grazie per questo invito a colazione! È bello cominciare la giornata tra amici, e tale è l’atmosfera che si respira a Saint Gilles.
Ringrazio Marie-Françoise, Simon e Francis per ciò che hanno detto e sono felice di vedere come qui l’amore alimenta continuamente la comunione e la creatività di tutti: avete ideato perfino La Biche de saint Gilles, e immagino sia una birra molto buona! Poi al pomeriggio vi dico se è buona o no.
Come ha detto Marie-Françoise, “la misericordia indica la strada verso la speranza” – molto bello! –, e guardarsi a vicenda con amore aiuta tutti – tutti, tutti! – a volgersi al futuro con fiducia e a rimettersi ogni giorno in cammino.
La carità è così: è un fuoco che scalda il cuore, e non c’è donna né uomo sulla terra che non abbia bisogno del suo calore.
È vero, non sono pochi i problemi da affrontare – lo sapete bene –, come ci ha detto Simon, e a volte ci si scontra con il rifiuto e l’incomprensione, come ci ha raccontato Francis, ma la gioia e la forza che vengono proprio dall’amore condiviso sono più grandi di qualsiasi difficoltà, e ogni volta che ci si lascia coinvolgere dalle dinamiche della solidarietà e della cura reciproca ci si rende conto di ricevere molto più di ciò che si dà (cfr Lc 6,38; At 20,35).
Al termine del nostro incontro ci sarà il dono alla Parrocchia di una statua di San Lorenzo, diacono e martire dei primi secoli, famoso anche per aver presentato ai suoi accusatori, che volevano i tesori della Chiesa, le membra più fragili della Comunità cristiana a cui apparteneva, quella di Roma, la cosa più importante, ma anche la più fragile: i poveri, i bisognosi.
Non era un modo di dire, e neanche una semplice provocazione.
Era ed è la pura verità: la Chiesa ha la sua ricchezza più grande nelle sue membra più deboli, e se vogliamo davvero conoscerne e mostrarne la bellezza, ci farà bene donarci tutti gli uni agli altri così, nella nostra piccolezza, nella nostra povertà, senza pretese e con tanto amore.
Ce lo ha insegnato per primo il Signore Gesù, che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr 2Cor 8,9).
Cari amici, grazie per avermi accolto tra voi e grazie per il cammino che fate insieme.
E grazie per la colazione! Vi benedico tutti e prego per voi.
E vi raccomando, pregate anche per me.
Grazie!
Signor Rettore,
illustri Professori,
cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio!
Sono lieto di trovarmi qui in mezzo a voi e ringrazio il Rettore per le sue parole di benvenuto, con le quali ha ricordato la storia e la tradizione in cui questa Università è radicata, come pure alcune delle principali sfide odierne da cui siamo tutti interpellati.
È questo il primo compito dell’Università: offrire una formazione integrale perché le persone ricevano gli strumenti necessari a interpretare il presente e a progettare il futuro.
La formazione culturale, infatti, non è mai fine a sé stessa e le Università non devono correre il rischio di diventare delle “cattedrali nel deserto”; esse sono, per loro natura, luoghi propulsori di idee e di stimoli nuovi per la vita e il pensiero dell’uomo e per le sfide della società, cioè spazi generativi.
È bello pensare che l’Università genera cultura, genera idee, ma soprattutto promuove la passione per la ricerca della verità, al servizio del progresso umano.
In particolare, gli Atenei cattolici, come questo, sono chiamati a «portare il decisivo contributo del lievito, del sale e della luce del Vangelo di Gesù Cristo e della Tradizione viva della Chiesa sempre aperta a nuovi scenari e a nuove proposte» (Cost.
ap.
Veritatis gaudium, 3).
Desidero allora rivolgervi un semplice invito: allargare i confini della conoscenza! Non si tratta di moltiplicare le nozioni e le teorie, ma di fare della formazione accademica e culturale uno spazio vitale, che comprende la vita e parla alla vita.
C’è una breve storia biblica narrata nel Libro delle Cronache, che mi piace qui richiamare.
Il protagonista è Iabes, che rivolge a Dio questa supplica: «Se tu mi benedicessi e allargassi i miei confini» (1 Cr 4,10).
Iabes significa “dolore”, ed era stato chiamato così perché la mamma, nel partorirlo, aveva sofferto molto.
Ma ora Iabes non vuole restare chiuso nel proprio dolore, trascinandosi nel lamento, e prega il Signore di “allargare i confini” della sua vita, per entrare in uno spazio benedetto, più grande, più accogliente.
Il contrario sono le chiusure.
Allargare i confini e diventare uno spazio aperto per l’uomo e per la società è la grande missione dell’Università.
Nel nostro contesto, infatti, ci troviamo davanti a una situazione ambivalente, in cui i confini sono ristretti.
Da una parte, siamo immersi in una cultura segnata dalla rinuncia alla ricerca della verità.
Abbiamo perduto l’inquieta passione del cercare, per rifugiarci nella comodità di un pensiero debole – il dramma del pensiero debole! –, per rifugiarci nella convinzione che tutto sia uguale, che una cosa valga l’altra, che tutto sia relativo.
Dall’altra parte, quando nei contesti universitari e anche in altri ambiti si parla della verità, si scade spesso in un atteggiamento razionalista, secondo cui può essere considerato vero soltanto ciò che possiamo misurare, sperimentare, toccare, come se la vita fosse ridotta unicamente alla materia e a ciò che è visibile.
In tutti e due i casi i confini sono ristretti.
Sul primo versante, abbiamo la stanchezza dello spirito, che ci consegna all’incertezza permanente e all’assenza di passione, come se fosse inutile cercare un senso in una realtà che rimane incomprensibile.
Questo sentimento emerge spesso in alcuni personaggi delle opere di Franz Kafka, che ha descritto la condizione tragica e angosciante dell’uomo del Novecento.
In un dialogo tra due personaggi di un suo racconto, troviamo questa affermazione: «Credo che lei non si occupi della verità soltanto perché è troppo faticosa» (Racconti, Milano 1990, 38).
Cercare la verità è faticoso, perché ci costringe a uscire da noi stessi, a rischiare, a farci delle domande.
E quindi ci affascina di più, nella stanchezza dello spirito, una vita superficiale che non si pone troppi interrogativi; così come allo stesso modo ci attira di più una “fede” facile, leggera, confortevole, che non mette mai nulla in discussione.
Sul secondo versante, invece, abbiamo il razionalismo senz’anima, in cui oggi rischiamo di cadere nuovamente, condizionati dalla cultura tecnocratica che ci porta a questo.
Quando si riduce l’uomo alla sola materia, quando la realtà viene costretta dentro i limiti di ciò che è visibile; quando la ragione è soltanto quella matematica, quando la ragione è quella “da laboratorio”, allora viene meno lo stupore – e quando manca lo stupore non si può pensare; lo stupore è l’inizio della filosofia, è l’inizio del pensiero –, viene meno quella meraviglia interiore che ci spinge a cercare oltre, a guardare il cielo, a scovare nella verità nascosta che affronta le domande fondamentali: perché vivo? che senso ha la mia vita? qual è lo scopo ultimo e l’ultima mèta di questo viaggio? Si chiedeva Romano Guardini: «Perché l’uomo, nonostante tutto il progresso, è tanto sconosciuto a sé stesso e lo diviene sempre più? Perché ha perduto la chiave per comprendere l’essenza dell’uomo.
La legge della nostra verità dice che l’uomo si riconosce soltanto partendo dall’alto, al di sopra di lui, da Dio, perché egli trae l’esistenza solo da Lui» (Preghiera e verità, Brescia 1973, 56).
Cari Professori, contro la stanchezza dello spirito e il razionalismo senz’anima, impariamo anche noi a pregare come Iabes: “Signore, allarga i nostri confini!”.
Chiediamo che Dio benedica il nostro lavoro, al servizio di una cultura capace di affrontare le sfide di oggi.
Lo Spirito Santo che abbiamo ricevuto in dono ci spinge a cercare, ad aprire gli spazi del nostro pensare e del nostro agire, fino a condurci alla verità tutta intera (cfr Gv 16,13).
Abbiamo la consapevolezza – come ci ha detto il Rettore all’inizio – “che non sappiamo ancora tutto”, ma, al tempo stesso, è proprio questo limite che deve spingervi sempre in avanti, aiutarvi a mantenere accesa la fiamma della ricerca e a rimanere una finestra aperta al mondo di oggi.
E, a questo proposito, voglio dirvi sinceramente: grazie! Grazie perché, allargando i confini, vi siete fatti spazio accogliente per tutti i rifugiati che sono costretti a fuggire dalle loro terre, tra mille insicurezze, enormi disagi e sofferenze a volte atroci.
Grazie.
Abbiamo visto poco fa, nel video, una testimonianza molto toccante.
E mentre alcuni invocano il rafforzamento dei confini, voi, in quanto comunità universitaria, i confini li avete allargati.
Grazie.
Avete aperto le braccia per accogliere queste persone segnate dal dolore, per aiutarle a studiare e a crescere.
Grazie.
Ci serve questo: una cultura che allarga i confini, che non è “settaria” – e voi non siete settari, grazie! - né si pone al di sopra degli altri ma, al contrario, sta nella pasta del mondo portandovi dentro un lievito buono, che contribuisce al bene dell’umanità.
Questo compito, questa “speranza più grande”, è affidata a voi!
Un teologo di questa terra, figlio e docente di questa Università, ha affermato: «Siamo noi il roveto ardente che permette a Dio di manifestarsi» (A.
Gesché, Dio per pensare.
Il Cristo, Cinisello Balsamo 2003, 276).
Conservate accesa la fiamma di questo fuoco; allargate i confini! Siate inquieti, per favore, con l’inquietudine della vita, siate cercatori della verità e non spegnete mai la passione, per non cedere all’accidia del pensiero, che è una malattia molto brutta.
Siate protagonisti nel generare una cultura dell’inclusione, della compassione, dell’attenzione verso i più deboli e verso le grandi sfide nel mondo in cui viviamo.
E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
Grazie!
Vostre Maestà,
Signor Primo Ministro,
fratelli Vescovi,
distinte Autorità,
Signore e Signori!
Ringrazio Vostra Maestà per la cordiale accoglienza e per il cortese indirizzo di saluto.
Sono molto lieto di visitare il Belgio.
Quando si pensa a questo Paese, si evoca contemporaneamente qualcosa di piccolo e di grande, un Paese occidentale e al tempo stesso centrale, come se fosse il cuore pulsante di un gigantesco organismo.
In effetti, le proporzioni e l’ordine delle grandezze ingannano.
Il Belgio non è uno Stato molto esteso, ma la sua peculiare storia ha fatto sì che, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, i popoli europei, stanchi e sfiniti, iniziando un serio cammino di pacificazione, collaborazione e integrazione, hanno guardato al Belgio come sede naturale delle principali istituzioni europee.
Per il fatto di essere sulla linea di faglia tra mondo germanico e mondo latino, confinante con Francia e Germania, che più avevano incarnato le antitesi nazionalistiche alla base del conflitto, esso apparve come luogo ideale, quasi una sintesi dell’Europa, da cui ripartire per la sua ricostruzione, fisica, morale e spirituale.
Si direbbe che il Belgio sia un ponte: tra il continente e le isole britanniche, tra l’area di matrice germanica e quella francofona, tra il sud e il nord dell’Europa.
Un ponte, per permettere alla concordia di espandersi e di far indietreggiare le controversie.
Un ponte dove ciascuno, con la sua lingua, la sua mentalità e le sue convinzioni, incontra l’altro e sceglie la parola, il dialogo, la condivisione come mezzi per relazionarsi.
Un luogo dove si impara a fare della propria identità non un idolo o una barriera, ma uno spazio ospitale da cui partire e a cui ritornare, dove promuovere validi interscambi e cercare insieme nuovi equilibri, costruire nuove sintesi.
Il Belgio è un ponte che favorisce i commerci, mette in comunicazione e fa dialogare le civiltà.
Un ponte dunque indispensabile per costruire la pace e ripudiare la guerra.
Si comprende bene allora quanto sia grande il piccolo Belgio! Si capisce come l’Europa ne abbia bisogno per ricordare a sé stessa la sua storia, fatta di popoli e culture, di cattedrali e università, di conquiste dell’ingegno umano, ma anche da tante guerre e da una volontà di dominio che è diventata a volte colonialismo e sfruttamento.
L’Europa ha bisogno del Belgio per portare avanti il cammino di pace e di fraternità tra i popoli che la compongono.
Questo Paese ricorda a tutti gli altri che, quando – sulla base delle più varie e insostenibili scuse – si comincia a non rispettare più confini e trattati e si lascia alle armi il diritto di creare il diritto, sovvertendo quello vigente, si scoperchia il vaso di Pandora e tutti i venti incominciano a soffiare violenti, squassando la casa e minacciando di distruggerla.
In questo momento storico credo che il Belgio ha un ruolo molto importante.
Siamo vicini a una guerra quasi mondiale.
La concordia e la pace, infatti, non sono una conquista che si ottiene una volta per tutte, bensì un compito e una missione - la concordia e la pace sono un compito e una missione -, una missione incessante da coltivare, da curare con tenacia e pazienza.
L’essere umano, infatti, quando smette di fare memoria del passato e di lasciarsene istruire, possiede la sconcertante capacità di tornare a cadere anche dopo che si era finalmente rialzato, dimenticando le sofferenze e i costi spaventosi pagati dalle generazioni precedenti.
In questo la memoria non funziona, è curioso, sono altre forze, sia nella società sia nelle persone, che ci fanno cadere sempre nelle stesse cose.
In questo senso il Belgio è quanto mai prezioso per la memoria del continente europeo.
Essa infatti mette a disposizione argomenti inoppugnabili per sviluppare un’azione culturale, sociale e politica costante e tempestiva, coraggiosa e insieme prudente, che escluda un futuro in cui nuovamente l’idea e la prassi della guerra diventino un’opzione percorribile, con conseguenze catastrofiche.
La storia, magistra vitae troppo spesso inascoltata, dal Belgio chiama l’Europa a riprendere il suo cammino, a ritrovare il suo vero volto, a investire nuovamente sul futuro aprendosi alla vita, alla speranza, per sconfiggere l’inverno demografico e l’inferno della guerra! Sono due calamità in questo momento.
L’inferno della guerra, lo stiamo vedendo, che può trasformarsi in una guerra mondiale.
E l’inverno demografico; per questo dobbiamo essere pratici: fare figli, fare figli!
La Chiesa Cattolica vuol’essere una presenza che, testimoniando la propria fede in Cristo Risorto, offre alle persone, alle famiglie, alle società e alle Nazioni una speranza antica e sempre nuova; una presenza che aiuta tutti ad affrontare le sfide e le prove, senza facili entusiasmi né cupi pessimismi, ma con la certezza che l’essere umano, amato da Dio, ha una vocazione eterna di pace e di bene e non è destinato alla dissoluzione e al nulla.
Tenendo fisso lo sguardo a Gesù, la Chiesa si riconosce sempre come la discepola, che con timore e tremore segue il suo Maestro, sapendo di essere santa in quanto costituita da Lui e al tempo stesso fragile – santa e peccatrice – e mancante nei suoi membri, mai completamente adeguata al compito affidatole che sempre la supera.
Essa annuncia una Notizia che può colmare i cuori di gioia e, con le opere di carità e le innumerevoli testimonianze di amore al prossimo, cerca di offrire segni concreti e prove dell’amore che la muove.
Essa, tuttavia, vive nella concretezza delle culture e delle mentalità di una determinata epoca, che contribuisce a plasmare o che in qualche modo a volte subisce; e non sempre comprende e vive il messaggio evangelico nella sua purezza e completezza.
La Chiesa è santa e peccatrice.
In questa perenne coesistenza fra santità e peccato, di luce e ombra vive la Chiesa, con esiti spesso di grande generosità e splendida dedizione, e a volte purtroppo con l’emergere di dolorose contro-testimonianze.
Penso alle drammatiche vicende degli abusi sui minori – alle quali si sono riferiti il Re e il Primo Ministro –, una piaga che la Chiesa sta affrontando con decisione e fermezza, ascoltando e accompagnando le persone ferite e attuando in tutto il mondo un capillare programma di prevenzione.
Fratelli e sorelle, questa è la vergogna! La vergogna che oggi tutti noi dobbiamo prendere in mano e chiedere perdono e risolvere il problema: la vergogna degli abusi, degli abusi sui minori.
Noi pensiamo al tempo dei santi Innocenti e diciamo: “Oh che tragedia, cosa ha fatto il re Erode!”, ma oggi nella Chiesa c’è questo crimine; la Chiesa deve vergognarsi e chiedere perdono e cercare di risolvere questa situazione con l’umiltà cristiana.
E mettere tutte le condizioni perché questo non succeda più.
Qualcuno mi dice: “Santità, pensi che secondo le statistiche la grande maggioranza degli abusi si da in famiglia o nel quartiere o al mondo dello sport, nella scuola”.
Uno solo è sufficiente per vergognarsi! Nella Chiesa dobbiamo chiedere perdono di questo; gli altri chiedano perdono per la loro parte.
Questa è la nostra vergogna e la nostra umiliazione.
Sono stato rattristato – a questo proposito – da un altro fenomeno: le “adozioni forzate”, avvenute anche qui in Belgio tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso.
In quelle spinose storie si mescolò l’amaro frutto di un reato e di un crimine con ciò che era purtroppo l’esito di una mentalità diffusa in tutti gli strati della società, tanto che quanti agivano in base ad essa ritenevano in coscienza di compiere il bene, sia del bambino sia della madre.
Spesso la famiglia e altri attori sociali, compresa la Chiesa, hanno pensato che per togliere lo stigma negativo, che purtroppo a quei tempi colpiva la madre non sposata, fosse preferibile per il bene di entrambi, madre e bambino, che quest’ultimo venisse adottato.
Ci furono persino casi nei quali ad alcune donne non venne data la possibilità di scegliere se tenere il bambino o darlo in adozione.
E questo succede oggi in alcune culture, in qualche Paese.
Come successore dell’Apostolo Pietro prego il Signore, affinché la Chiesa trovi sempre in sé la forza per fare chiarezza e per non uniformarsi alla cultura dominante, anche quando tale cultura utilizzasse – manipolandoli – valori che derivano dal Vangelo, per trarne però indebite conclusioni, con il loro pesante esito di sofferenze e di esclusione.
Prego affinché i responsabili delle Nazioni, guardando al Belgio e alla sua storia, sappiano trarne insegnamento e in questo modo risparmiare ai loro popoli sciagure senza fine e lutti senza numero.
Prego affinché i governanti sappiano assumersi la responsabilità, il rischio e l’onore della pace e sappiano allontanare l’azzardo, l’ignominia e l’assurdità della guerra.
Prego affinché temano il giudizio della coscienza, della storia e di Dio, e convertano lo sguardo e i cuori, mettendo sempre al primo posto il bene comune.
In questo momento nel quale l’economia si è sviluppata tanto, vorrei sottolineare che in qualche Paese gli investimenti che danno più redditi sono le fabbriche delle armi.
Maestà, Signore e Signori, il motto di questa visita nel vostro Paese è “En route, avec Espérance”.
Mi fa riflettere il fatto che Espérance sia scritto con la maiuscola: mi dice che la speranza non è una cosa, che durante il cammino si porta nello zaino; no, la speranza è un dono di Dio, forse è la virtù più umile – diceva lo scrittore – ma è quella che non fallisce mai, non delude mai.
La speranza è un dono di Dio e si porta nel cuore! E allora voglio lasciare questo augurio a voi e a tutti gli uomini e le donne che vivono in Belgio: possiate sempre chiedere e accogliere questo dono dallo Spirito Santo, la speranza, per camminare insieme con Speranza nella strada della vita e della storia.
Grazie!
PAROLE DEL SANTO PADRE
dopo le testimonianze
Vorrei riprendere quello che ha detto lei sul dramma della migrazione.
Non dimentichiamo un ritornello che nella Bibbia, nell’Antico Testamento, torna, torna, torna: la vedova, l’orfano e lo straniero.
Avere compassione – dice il Signore, già nell’Antico Testamento – degli abbandonati.
A quel tempo le vedove erano abbandonate, gli orfani pure e così gli stranieri, i migranti.
I migranti rientrano all’interno della rivelazione.
Grazie tante al popolo e al governo lussemburghese per quello che fanno per i migranti, grazie!
* * *
Altezza Reale,
Signor Cardinale e fratelli Vescovi,
care sorelle, cari fratelli!
Sono molto contento di essere qui con voi, in questa magnifica Cattedrale.
Sono grato al Granduca e ai suoi familiari per la loro presenza; e ringrazio il Cardinale Jean-Claude Hollerich per le parole gentili, come pure Diogo, Christine e Suor Maria Perpetua per le testimonianze.
Il nostro incontro avviene in concomitanza con un importante Giubileo mariano, con cui la Chiesa lussemburghese ricorda quattro secoli di devozione a Maria Consolatrice degli afflitti, Patrona del Paese.
A tale titolo ben si intona il tema che avete scelto per questa visita: “Per servire”.
Consolare e servire, infatti, sono due aspetti fondamentali dell’amore che Gesù ci ha donato, che ci ha affidato come missione (cfr Gv 13,13-17) e che ci ha indicato come unica via della gioia piena (cfr At 20,35).
Per questo tra poco, nella preghiera di apertura dell’Anno mariano, chiederemo alla Madre di Dio di aiutarci ad essere «missionari, pronti a testimoniare la gioia del Vangelo», conformando il nostro cuore al suo «per metterci al servizio dei nostri fratelli».
Possiamo allora fermarci a riflettere proprio su queste tre parole: servizio, missione e gioia.
Anzitutto il servizio.
Poco fa è stato detto che la Chiesa lussemburghese vuol essere “Chiesa di Gesù Cristo, che non è venuto per essere servito ma per servire” (cfr Mt 20,28; Mc 10,45).
Ed è stata pure richiamata l’immagine di San Francesco che abbraccia il lebbroso e ne cura le piaghe.
Io, del servizio, vorrei raccomandarvi un aspetto oggi molto urgente: quello dell’accoglienza.
Lo faccio qui, tra voi, in modo particolare, perché il vostro Paese ha e mantiene viva, in questo campo, una tradizione secolare, come ci ha ricordato Suor Maria Perpetua, e come più volte è emerso, anche nelle altre testimonianze, nel grido: “todos, todos, todos!”, “tutti, tutti, tutti!”, ripetuto in varie occasioni.
Sì, lo spirito del Vangelo è spirito di accoglienza, di apertura a tutti, e non ammette nessun tipo di esclusione (cfr Esort.
Ap.
Evangelii gaudium, 47).
Vi incoraggio, dunque, a rimanere fedeli a questa eredità vostra, a questa ricchezza che voi avete, continuando a fare del vostro Paese una casa amica per chiunque bussi alla vostra porta chiedendo aiuto e ospitalità.
È un dovere di giustizia prima ancora che di carità, come già diceva San Giovanni Paolo II quando ricordava le radici cristiane della cultura europea.
Egli incoraggiava proprio i giovani lussemburghesi a tracciare il cammino per «un’Europa non solo delle merci e dei beni, ma dei valori, degli uomini e dei cuori», in cui il Vangelo fosse condiviso «nella parola dell’annunzio e nei segni dell’amore» (Discorso ai giovani del Granducato di Lussemburgo, 16 maggio 1985, 4), ambedue le cose.
Lo sottolineo perché è importante: un’Europa, e un mondo, in cui il Vangelo sia condiviso nella parola dell’annuncio unita ai segni dell’amore.
E questo ci porta al secondo tema: la missione.
Il Cardinale Arcivescovo, poco fa, ha parlato di una “evoluzione della Chiesa lussemburghese in una società secolarizzata”.
Mi è piaciuta questa espressione: la Chiesa, in una società secolarizzata, evolve, matura, cresce.
Non si ripiega su sé stessa, triste, rassegnata, risentita, no; accetta piuttosto la sfida, nella fedeltà ai valori di sempre, di riscoprire e rivalorizzare in modo nuovo le vie di evangelizzazione, passando sempre più da un semplice approccio di cura pastorale a quello di annuncio missionario – e ci vuole coraggio.
E per fare questo è pronta ad evolvere: ad esempio – come ci ha ricordato Christine – nella condivisione di responsabilità e ministeri, camminando insieme come Comunità che annuncia e facendo della sinodalità un “modo duraturo di relazionarsi” tra i suoi membri.
E del valore di questa crescita ci hanno mostrato un’immagine bellissima i giovani amici che hanno interpretato, poco fa, alcune scene del musical Laudato si’.
Bravi, hanno fatto bene! Grazie per il dono che ci avete fatto! Il vostro lavoro, frutto di uno sforzo comunitario che ha coinvolto molti nell’Arcidiocesi, è per tutti noi un segno doppiamente profetico! Ci ricorda, in primo luogo, le nostre responsabilità nei confronti della “casa comune”, di cui siamo custodi e non despoti.
Poi però ci fa anche riflettere su come tale missione, vissuta insieme, costituisce in sé un meraviglioso strumento corale per dire a tutti la bellezza del Vangelo.
E questo è importante, è importante per tutti noi: ciò che ci spinge alla missione, infatti, non è il bisogno di “far numero”, di fare “proselitismo”, ma il desiderio di far conoscere a più fratelli e sorelle possibili la gioia dell’incontro con Cristo.
E qui vorrei ricordare una bella espressione di Benedetto XVI: “La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione”.
Ecco allora, al di là delle difficoltà, il dinamismo vivo dello Spirito Santo che agisce in noi! L’amore ci spinge ad annunciare il Vangelo aprendoci agli altri e la sfida dell’annuncio ci fa crescere come comunità, aiutandoci a vincere la paura di intraprendere vie nuove e spingendoci ad accogliere con gratitudine l’apporto di tutti.
È una bella dinamica, sana, gioiosa, che ci farà bene coltivare in noi e attorno a noi.
E veniamo così alla terza parola: la gioia.
Diogo, parlando dell’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù, ricordava la felicità provata la vigilia della festa, nell’attendere, assieme a coetanei di ogni provenienza e nazione, il momento del nostro incontro, come pure l’emozione di risvegliarsi, il mattino dopo, circondato da tanti amici; e ancora l’entusiasmo provato durante la preparazione fatta insieme in Portogallo e l’allegria, dopo un anno, nel riunirsi con gli altri qui in Lussemburgo.
Vedete? La nostra fede è così: è gioiosa, “danzante”, perché ci dice che siamo figli di un Dio amico dell’uomo, che ci vuole felici e uniti, e che di nulla è più contento che della nostra salvezza (cfr Lc 15,4-32; S.
Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli, 34,3).
E su questo, per favore: alla Chiesa fanno male quei cristiani tristi, noiosi, con la faccia lunga.
No, questi non sono cristiani.
Per favore, abbiate la gioia del Vangelo: questo ci fa credere e crescere tanto.
In proposito, vorrei concludere richiamando un’altra bella tradizione del vostro Paese, di cui mi hanno parlato: la processione di primavera – Springprozession –, che a Pentecoste si svolge ad Echternach, in ricordo dell’infaticabile opera missionaria di San Willibrord, evangelizzatore di queste terre.
L’intera città si riversa ballando per le strade e per le piazze, assieme a tanti pellegrini e visitatori che accorrono, e la processione diventa una grandissima, unica danza.
Ricordiamo che il re Davide danzava davanti al Signore e questa è un’espressione di fedeltà.
Grandi e piccoli, tutti ballano insieme verso la Cattedrale – quest’anno perfino sotto la pioggia, ho saputo –, testimoniando con entusiasmo, nel ricordo del santo Pastore, quanto è bello camminare insieme e ritrovarci tutti fratelli attorno alla mensa del nostro Signore.
E qui, soltanto una parolina: per favore, non perdere la capacità di perdono.
Sapete che tutti dobbiamo perdonare, ma sapete perché? Perché tutti siamo stati perdonati e tutti abbiamo bisogno di perdono.
Care sorelle, cari fratelli, è bella la missione che il Signore ci affida: consolare e servire, sull’esempio e con l’aiuto di Maria.
Grazie a voi, consacrati e consacrate, per il lavoro che fate, seminaristi, preti, tutti; e anche per l’aiuto generoso che avete voluto condividere con i bisognosi.
Dove c’è un bisognoso c’è Cristo.
Vi benedico e prego per voi.
E anche voi, per favore, pregate per me.
Grazie.
Altezze Reali,
Signor Primo Ministro,
distinti Rappresentanti della società civile,
illustri Membri del Corpo Diplomatico,
Signore e Signori,
Eminenze!
Sono lieto di compiere questa visita nel Granducato del Lussemburgo; ringrazio sentitamente Vostra Altezza Reale, e il Primo Ministro per le cordiali espressioni di benvenuto che mi ha rivolto.
E anche per il benvenuto così famigliare con la vostra famiglia [Granducale], grazie!
A motivo della sua particolare posizione geografica, sul confine di differenti aree linguistiche e culturali, il Lussemburgo si è trovato spesso ad essere al crocevia delle più rilevanti vicende storiche europee; per ben due volte, nella prima metà del secolo scorso, ha dovuto subire l’invasione e la privazione della libertà e dell’indipendenza.
Ammaestrato dalla sua storia - la storia è maestra della vita -, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, il vostro Paese si è distinto nell’impegno per la costruzione di un’Europa unita e solidale, nella quale ogni Paese, piccolo o grande che fosse, avesse il suo proprio ruolo, lasciando finalmente alle spalle le divisioni, i contrasti e le guerre, causate da nazionalismi esasperati e da ideologie perniciose.
Le ideologie sempre sono un nemico della democrazia.
Va pure riconosciuto che quando prevalgono logiche di scontro e di violenta contrapposizione, i luoghi che si trovano al confine tra potenze che confliggono finiscono per essere – loro malgrado – pesantemente coinvolti.
Quando invece gli spiriti finalmente ritrovano vie di saggezza, e alla contrapposizione sostituiscono la cooperazione, allora questi stessi luoghi diventano i più adatti a indicare, non solo simbolicamente, le esigenze di una nuova epoca di pace e le strade da percorrere.
Non fa eccezione a questa regola il Lussemburgo, socio fondatore dell’Unione Europea e delle Comunità che l’hanno preceduta, sede di numerose istituzioni europee, tra le quali la Corte di Giustizia dell’Unione, la Corte dei Conti e la Banca degli Investimenti.
E questo si fa sempre con la pace, non dimentichiamo che la guerra sempre è una sconfitta.
La pace – il Lussemburgo ha una storia di costruzione della pace – è necessaria.
È molto triste che oggi in un Paese dell’Europa gli investimenti che danno più reddito sono quelli delle fabbriche delle armi.
È molto triste.
A sua volta, la solida struttura democratica del vostro Paese, che ha a cuore la dignità della persona umana e la difesa delle sue libertà fondamentali, è la premessa indispensabile per un ruolo così significativo nel contesto continentale.
In effetti, non è l’estensione del territorio o il numero degli abitanti la condizione indispensabile perché uno Stato svolga una parte importante sul piano internazionale, o perché possa diventare un centro nevralgico a livello economico e finanziario.
Lo è invece la paziente costruzione di istituzioni e leggi sagge, le quali, disciplinando la vita dei cittadini secondo criteri di equità e nel rispetto dello stato di diritto, pongono al centro la persona e il bene comune, prevenendo e contrastando i pericoli di discriminazione e di esclusione.
Il Lussemburgo è un Paese dalle porte aperte, una bella testimonianza di non discriminazione e non esclusione.
A questo proposito, rimangono attuali le parole pronunciate da San Giovanni Paolo II quando, nel 1985, visitò il Lussemburgo: «Il vostro Paese – disse – resta fedele alla sua vocazione di essere, in questo importante crocevia delle civiltà, un luogo di scambi e di cooperazione intense tra un numero sempre maggiore di Paesi.
Auspico ardentemente che questa volontà di solidarietà unisca sempre più le comunità nazionali e si estenda a tutte le nazioni del mondo, in particolare alle più povere» (Discorso nella Cerimonia di benvenuto, 15 maggio 1985).
Nel fare mie tali affermazioni, in particolare rinnovo l’appello affinché si instaurino relazioni solidali tra i popoli, in modo che tutti possano diventare partecipi e protagonisti di un ordinato progetto di sviluppo integrale.
La dottrina sociale della Chiesa indica le caratteristiche di tale progresso e le vie per raggiungerlo.
Anch’io mi sono inserito nella scia di questo magistero approfondendo due grandi tematiche: la cura del creato e la fraternità.
Lo sviluppo, infatti, per essere autentico e integrale, non deve saccheggiare e degradare la nostra casa comune e non deve lasciare ai margini popoli o gruppi sociali: tutti, tutti fratelli.
La ricchezza – non dimentichiamolo – è una responsabilità.
Pertanto chiedo che sia sempre vigile l’attenzione a non trascurare le Nazioni più svantaggiate, anzi, che esse siano aiutate a risollevarsi dalle loro condizioni di impoverimento.
Questa è una via maestra per fare in modo che diminuisca il numero di quanti sono costretti a emigrare, spesso in condizioni disumane e pericolose.
Il Lussemburgo, con la sua storia peculiare, con la sua altrettanto peculiare posizione geografica, con poco meno della metà degli abitanti provenienti da altre parti dell’Europa e del mondo, sia di aiuto e di esempio nell’indicare il cammino da intraprendere per accogliere e integrare migranti e rifugiati.
E voi siete un modello di questo.
Purtroppo, si deve constatare considerare il riemergere, anche nel continente europeo, di fratture e di inimicizie che, invece di risolversi sulla base della reciproca buona volontà, delle trattative e del lavoro diplomatico, sfociano in aperte ostilità, con il loro seguito di distruzione e di morte.
Sembra proprio che il cuore umano non sappia sempre custodire la memoria e che periodicamente si smarrisca e torni a percorrere le tragiche vie della guerra.
Siamo smemorati in questo.
Per sanare questa pericolosa sclerosi, che fa ammalare gravemente le Nazioni e aumenta i conflitti e rischia di gettarle in avventure dai costi umani immensi, rinnovando inutili stragi, occorre alzare lo sguardo verso l’alto, occorre che il vivere quotidiano dei popoli e dei loro governanti sia animato da alti e profondi valori spirituali.
Saranno questi valori a impedire l’impazzimento della ragione e l’irresponsabile ritorno a compiere i medesimi errori dei tempi passati, aggravati per giunta dalla maggiore potenza tecnica di cui l’essere umano ora si avvale.
Il Lussemburgo è proprio al centro della capacità di fare l’amicizia ed evitare queste strade.
Io direi: è una delle vostre vocazioni.
Come Successore dell’Apostolo Pietro, a nome della Chiesa che – come diceva Paolo VI – è esperta di umanità, sono inviato anche qui a testimoniare che questa linfa vitale, questa forza sempre nuova di rinnovamento personale e sociale è il Vangelo.
Esso ci fa trovare simpatia fra tutte le nazioni, tra tutti i popoli: simpatia, sentire ugualmente, patire ugualmente.
Il Vangelo di Gesù Cristo, che solo è in grado di trasformare in profondità l’animo umano, rendendolo capace di operare il bene anche nelle situazioni più difficili, di spegnere gli odi e riconciliare le parti in conflitto.
Possano tutti, ogni uomo e ogni donna, in piena libertà, conoscere il Vangelo di Gesù, che ha riconciliato nella sua Persona Dio e l’uomo e che, conoscendo cosa c’è nel cuore umano, può sanarne le ferite.
Sempre positivo.
Altezza Reale, Signore e Signori,
il Lussemburgo può mostrare a tutti i vantaggi della pace rispetto agli orrori della guerra, dell’integrazione e promozione dei migranti rispetto alla loro segregazione – e su questo vi do tante grazie: quello spirito di accoglienza dei migranti e anche dare loro un inserimento nella vostra società, questo arricchisce –, i benefici della cooperazione tra le Nazioni a fronte delle nefaste conseguenze dell’indurimento delle posizioni e del perseguimento egoistico e miope o addirittura violento dei propri interessi.
E mi permetto di aggiungere una cosa.
Ho visto la percentuale delle nascite: per favore, più bambini, più bambini! È il futuro.
Non dico più bambini e meno cagnolini – questo lo dico in Italia –, ma più bambini!
Vi è infatti un impellente bisogno che quanti sono investiti di autorità si impegnino con costanza e pazienza in oneste trattative in vista della soluzione dei contrasti, con l’animo disposto a individuare onorevoli compromessi, che nulla pregiudicano e che invece possono costruire per tutti sicurezza e pace.
“Pour servir”, “Per servire”: con questo motto sono venuto tra voi.
Esso si riferisce direttamente ed eminentemente alla missione della Chiesa, che Cristo, Signore fattosi servo, ha inviato nel mondo come il Padre aveva inviato Lui.
Ma permettetemi di ricordarvi che questo, il servire, è anche per ognuno di voi l’alto titolo di nobiltà.
Il servizio è per voi anche il compito principale, lo stile da assumere ogni giorno.
Il buon Dio vi conceda di farlo sempre con animo lieto e generoso.
E coloro che non hanno fede lavorino per i fratelli, lavorino per la patria, lavorino per la società.
Questa è una strada per tutti, sempre per il bene comune!
Maria Mutter Jesu, Consolatrix afflictorum, Patrona Civitatis et Patriae Luxemburgensis vegli sul Lussemburgo e sul mondo, e ottenga da Gesù suo Figlio la pace e ogni bene.
Che Dio benedica il Lussemburgo! Grazie.
Giovedì, 26 settembre 2024
ROMA - LUSSEMBURGO - BRUXELLES
8:05 | Partenza in aereo dall’Aeroporto Internazionale di Roma/Fiumicino per il Lussemburgo |
10:00 | Arrivo all'Aeroporto Internazionale di Lussemburgo/Findel |
10:00 | CERIMONIA DI BENVENUTO |
10:45 | VISITA DI CORTESIA AL GRANDUCA DEL LUSSEMBURGO nel Palazzo Granducale |
11:15 | INCONTRO CON IL PRIMO MINISTRO |
11:50 | INCONTRO CON LE AUTORITÀ, CON LA SOCIETÀ CIVILE E CON IL CORPO DIPLOMATICO presso il “Cercle Cité” |
16:30 | INCONTRO CON LA COMUNITÀ CATTOLICA nella Cattedrale di “Notre-Dame” di Lussemburgo |
17:45 | CERIMONIA DI CONGEDO presso l’Aeroporto Internazionale di Lussemburgo/Findel |
18:15 | Partenza in aereo dall’Aeroporto Internazionale di Lussemburgo/Findel per Bruxelles |
19:10 | Arrivo alla Base aerea di Melsbroek |
19:10 | CERIMONIA DI BENVENUTO |
Venerdì, 27 settembre 2024
BRUXELLES - LEUVEN
9:15 | VISITA DI CORTESIA AL RE DEI BELGI nel Castello di Laeken |
9:45 | INCONTRO CON IL PRIMO MINISTRO |
10:00 | INCONTRO CON LE AUTORITÀ E CON LA SOCIETÀ CIVILE |
16:30 | INCONTRO CON I DOCENTI UNIVERSITARI nella “Promotiezaal” della “Katholieke Universiteit Leuven” |
Sabato, 28 settembre 2024
BRUXELLES – LOUVAIN-LA-NEUVE
9:00 | INCONTRO NELLA PARROCCHIA DI SAINT GILLES |
10:00 | INCONTRO CON I VESCOVI, I SACERDOTI, I DIACONI, I CONSACRATI, LE CONSACRATE, I SEMINARISTI E GLI OPERATORI PASTORALI nella Basilica del Sacro Cuore di Koekelberg |
16:30 | INCONTRO CON GLI STUDENTI UNIVERSITARI nell'Aula Magna dell’”Université Catholique de Louvain” |
18:15 | INCONTRO PRIVATO CON I MEMBRI DELLA COMPAGNIA DI GESÙ nel Collegio “Saint Michel |
Domenica, 29 settembre 2024
BRUXELLES - ROMA
10:00 | SANTA MESSA nello stadio “Re Baldovino” Angelus |
12:15 | CERIMONIA DI CONGEDO presso la Base aerea di Melsbroek |
12:45 | Partenza in aereo dalla Base aerea di Melsbroek per Roma |
Conferenza Stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno | |
14:55 | Arrivo all'Aeroporto Internazionale di Roma/Fiumicino |
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Fuso orario | |
Roma: | +2h UTC |
Lussemburgo: | +2h UTC |
Bruxelles: | +2h UTC |
Leuven: | +2h UTC |
Louvain-la-Neuve: | +2h UTC |
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Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, 19 luglio 2024
Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.
Ciclo di Catechesi.
Lo Spirito e la Sposa.
Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 7.
Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto.
Lo Spirito Santo nostro alleato nella lotta contro lo spirito del male
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Subito dopo il suo battesimo nel Giordano, Gesù «fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo» (Mt 4,1) – così dice il Vangelo di Matteo.
L’iniziativa non è di satana, ma di Dio.
Andando nel deserto, Gesù obbedisce a una ispirazione dello Spirito Santo, non cade in un tranello del nemico, no! Una volta superata la prova, Egli - è scritto - tornò in Galilea «con la potenza dello Spirito Santo» (Lc 4,14).
Gesù, nel deserto, si è liberato di satana e ora può liberare da satana.
È quello che gli Evangelisti mettono in luce con le numerose storie di liberazione di ossessi.
Dice Gesù ai suoi oppositori: «Se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è giunto fra voi il regno di Dio» (Mt 12,27).
Oggi assistiamo a uno strano fenomeno riguardo al demonio.
A un certo livello culturale, si ritiene che semplicemente non esista.
Sarebbe un simbolo dell’inconscio collettivo, o dell’alienazione, insomma una metafora.
Ma «la più grande astuzia del demonio è far credere che non esiste», come ha scritto qualcuno (Charles Baudelaire).
È astuto: lui ci fa credere che non esiste e così domina tutto.
È furbo.
Eppure il nostro mondo tecnologico e secolarizzato pullula di maghi, di occultismo, spiritismo, astrologi, venditori di fatture e di amuleti, e purtroppo di sette sataniche vere e proprie.
Scacciato dalla porta, il diavolo è rientrato, si direbbe, dalla finestra.
Scacciato dalla fede, rientra con la superstizione.
E se tu sei superstizioso, incoscientemente stai dialogando con il diavolo.
Con il diavolo non si dialoga.
La prova più forte dell’esistenza di satana non si ha nei peccatori o negli ossessi, ma nei santi! “E come mai, Padre?”.
Sì, è vero che il demonio è presente e operante in certe forme estreme e “disumane” di male e di cattiveria che vediamo intorno a noi.
Ma per questa via, però, è praticamente impossibile giungere, nei casi singoli, alla certezza che si tratta proprio di lui, dato che non possiamo conoscere con precisione dove finisce la sua azione e inizia il nostro proprio male.
Per questo la Chiesa è assai prudente e rigorosa nell’esercizio dell’esorcismo, a differenza di ciò che avviene, purtroppo, in certi film!
È nella vita dei santi, proprio lì, che il demonio è costretto a venire allo scoperto, a mettersi “contro luce”.
Chi più chi meno, tutti i santi, tutti i grandi credenti, testimoniano della loro lotta con questa oscura realtà, e non si può onestamente supporre che fossero tutti degli illusi o semplici vittime dei pregiudizi del loro tempo.
La battaglia contro lo spirito del male si vince come la vinse Gesù nel deserto: a colpi di parola di Dio.
Vedete che Gesù non dialoga con il demonio, mai ha dialogato con il demonio.
O lo caccia via, o lo condanna, ma mai dialoga.
E nel deserto risponde non con la sua parola, ma con la parola di Dio.
Fratelli, sorelle, mai dialogare con il diavolo! Quando viene con le tentazioni: “ma, sarebbe bello questo, sarebbe bello quell’altro”, fermati! Alza il tuo cuore al Signore, prega la Madonna e caccialo via, come Gesù ci ha insegnato a cacciarlo via.
“ San Pietro suggerisce anche un altro mezzo, di cui Gesù non aveva bisogno ma noi sì, la vigilanza: «Siate sobri, vegliate.
Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1 Pt 5,8).
E San Paolo ci dice: «Non date occasione al diavolo» (Ef 4,27).
Dopo che Cristo, sulla croce, ha sconfitto per sempre il potere del «principe di questo mondo» ( Gv 12,31), il demonio – diceva un Padre della Chiesa – «è legato, come un cane alla catena; non può mordere nessuno, se non chi, sfidando il pericolo, gli va vicino...
Può latrare, può sollecitare, ma non può mordere, se non chi lo vuole» [1].
Se tu sei uno scemo e vai dal diavolo e dici: “Ah, come stai?”, ti rovina.
Il diavolo? A distanza! Con il diavolo non si dialoga.
Lo si caccia via.
Distanza.
E tutti noi, tutti, abbiamo esperienza di come il diavolo si avvicina con qualche tentazione, sui dieci comandamenti.
Quando noi sentiamo questo, fermi, distanza! Non avvicinarsi al cane legato alla catena.
La tecnologia moderna, ad esempio, oltre a tante risorse positive che vanno apprezzate, offre anche innumerevoli mezzi per “dare occasione al diavolo”, e molti vi cadono.
Pensiamo alla pornografia in rete, dietro la quale c’è un mercato fiorentissimo, lo sappiamo tutti.
È il diavolo che lavora, lì.
È questo un fenomeno assai diffuso, da cui i cristiani devono però ben guardarsi e che devono rigettare con forza.
Perché qualsiasi telefonino ha accesso a questa brutalità, a questo linguaggio del demonio: la pornografia in rete.
La consapevolezza dell’azione del diavolo nella storia non deve scoraggiarci.
Il pensiero finale deve essere, anche in questo caso, di fiducia e di sicurezza: “Sono con il Signore, vattene via”.
Cristo ha vinto il demonio e ci ha donato lo Spirito Santo per fare nostra la sua vittoria.
La stessa azione del nemico può volgersi in nostro vantaggio, se con l’aiuto di Dio la facciamo servire alla nostra purificazione.
Chiediamo perciò allo Spirito Santo, con le parole dell’inno Veni Creator:
«Allontana da noi il nemico
e donaci presto la pace.
Con Te che ci fai da guida
eviteremo ogni male».
State attenti, che il diavolo è furbo.
Ma noi cristiani, con la grazia di Dio, siamo più furbi di lui.
Grazie.
___________
[1] S.
Cesario di Arles, Discorsi 121, 6: CC 103, p.
507.
________________________________
Saluti
Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier ceux venus de Suisse, avec le groupe musical de la Police du Valais, et les groupes venus de France et du Canada.
Le Christ a vaincu le diable et nous a donné l’Esprit Saint pour que nous fassions nôtre sa victoire ! Je confie à votre prière le voyage au Luxembourg et en Belgique que j’entreprendrai demain afin qu’il soit l’occasion d’un nouvel élan de foi dans ces pays.
Dieu vous bénisse !
[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare quelli provenienti dalla Svizzera, con la banda della Polizia del Vallese, e i gruppi provenienti dalla Francia e dal Canada.
Cari amici, Cristo ha sconfitto il diavolo e ci ha donato lo Spirito Santo perché potessimo fare nostra la sua vittoria! Affido alle vostre preghiere il mio viaggio che domani intraprenderò in Lussemburgo e in Belgio, affinché sia l'occasione per un nuovo slancio di fede in quei Paesi.
Dio vi benedica!]
I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Australia, India, Malaysia, the Philippines, Taiwan, Canada and the United States.
My special greeting goes to the new students of the Venerable English College, together with my prayers for their preparation for the priesthood.
Upon all of you, and your families, I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ.
God bless you!
[Do un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Australia, India, Malaysia, Filippine, Taiwan, Canada e Stati Uniti.
Rivolgo un saluto particolare ai nuovi studenti del Venerabile Collegio Inglese, pregando anche per la loro preparazione al sacerdozio.
Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo.
Dio vi benedica!]
Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, das bevorstehende Fest der Erzengel Michael, Rafael und Gabriel erinnert uns daran, dass wir im Kampf gegen den bösen Feind nicht allein sind.
Bitten wir insbesondere den Erzengel Michael, den Patron Deutschlands, um seinen Schutz gegen die Bosheit und die Nachstellungen des Teufels.
[Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, l’imminente festa degli Arcangeli Michele, Raffaele e Gabriele ci ricorda che nella lotta contro il maligno non siamo soli. Invochiamo particolarmente l’Arcangelo Michele, patrono della Germania, perché sia il nostro presidio contro la malizia e le insidie del diavolo.]
Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.
Mañana partiré hacia Luxemburgo y Bélgica, les pido que recen por mí y por los frutos de este viaje al corazón de Europa occidental.
Que Jesús los bendiga y la Virgen, Madre de la esperanza, los cuide.
Muchas gracias.
Saúdo cordialmente os fiéis de língua portuguesa.
Nunca vos deixeis desanimar pelas tentações, mas deixai-vos sempre contagiar pela alegria do Evangelho que vence todo o mal.
Desejo que a vossa peregrinação em Roma seja um tempo especial para reencontrar o Senhor.
Deus vos abençoe!
[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua portoghese.
Non vi lasciate mai scoraggiare dalle tentazioni, ma lasciatevi sempre contagiare dalla gioia del Vangelo che vince ogni male.
Auguro che il vostro peregrinaggio a Roma sia un tempo speciale per ritrovare il Signore.
Dio vi benedica!]
أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.
لِنُصَلِّ إلى الرُّوحِ القُدُس كلَّ يومٍ حتَّى يُبعِدَ عنَّا الخطيئة، ويَهَبنا السَّلامَ والطُّمأنينَةَ في حياتِنا.
باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!
[Saluto i fedeli di lingua araba.
Preghiamo ogni giorno lo Spirito Santo affinché allontani da noi il peccato e ci doni pace e tranquillità nella nostra vita.
Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!]
Serdecznie pozdrawiam Polaków.
W obliczu tragedii wojny na Ukrainie i powodzi, która spustoszyła waszą Ojczyznę, nie dajcie się zwyciężyć egoizmowi i obojętności, tylko – z Bożą pomocą – solidarnie wspierajcie cierpiących i potrzebujących, którzy często nie widzą nadziei.
Z serca wam błogosławię!
[Saluto cordialmente i polacchi.
Di fronte alla tragedia della guerra in Ucraina e alle alluvioni che hanno devastato la vostra Patria, non lasciatevi vincere dall’egoismo e dall’indifferenza, ma, con l’aiuto di Dio, sostenete con solidarietà i sofferenti e i bisognosi, che spesso non vedono speranza.
Vi benedico di cuore!]
* * *
APPELLO
Sono addolorato dalle notizie che giungono dal Libano, dove negli ultimi giorni intensi bombardamenti hanno provocato molte vittime e distruzioni.
Auspico che la comunità internazionale faccia ogni sforzo per fermare questa terribile escalation.
È inaccettabile! Esprimo la mia vicinanza al popolo libanese, che già troppo ha sofferto nel recente passato.
E preghiamo per tutti i popoli che soffrono a causa della guerra: non dimentichiamo la martoriata Ucraina, il Myanmar, la Palestina, Israele, il Sudan, tutti popoli martoriati.
Preghiamo per la pace.
_______________________
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.
In particolare, saluto i sacerdoti di Milano, la parrocchia di San Pietro in Parete e quelle di Montazzoli e Monteferrante, l’Associazione «Cuore e rianimazione» di Torino e l’Associazione «Il Cammino di Bonaria».
Su ciascuno invoco la continua protezione di Dio e della Vergine Santa per un fecondo servizio alla Chiesa e alla società.
Sono lieto di accogliere i cresimandi della Diocesi di Forlì-Bertinoro, accompagnati dal Vescovo Mons.
Livio Corazza.
Cari ragazzi, con la forza dello Spirito Santo siate coraggiosi testimoni del Vangelo tra i vostri coetanei e non stancatevi di essere protagonisti di pace e di fraternità negli ambienti in cui vivete.
Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli.
Siate sempre fedeli all’ideale evangelico e realizzatelo nelle vostre quotidiane attività, affidandovi ogni giorno alla grazia del Signore.
E per favore, non dimenticatevi: con il diavolo non si dialoga, lo si caccia via.
A tutti la mia benedizione!
Cari amici, benvenuti!
Sono contento di sapere che avete dato vita, con il Vescovo di Assisi e gli altri promotori da me incaricati, alla “Fondazione The economy of Francesco”.
Dai vostri ideali è nata un’istituzione.
Essa è importante perché servirà a sostenere gli ideali; e voi ne sarete non solo beneficiari, ma protagonisti, assumendo i compiti a voi assegnati con entusiasmo e senso di disponibilità.
In questi cinque anni avete generato tante cose.
Grazie per aver preso sul serio il mio invito a “ri-animare” l’economia, e per aver accolto le indicazioni che vi ho consegnato in occasione dei vostri convegni annuali.
Esse si inseriscono nel quadro della dottrina sociale della Chiesa e, in ultima analisi, hanno la loro radice nel Vangelo.
Tanti possono essere i vostri maestri conosciuti nel corso degli studi o delle esperienze lavorative; ma il riferimento al Vangelo, pur nel dialogo sincero con tutti, vi garantisce un Maestro d’eccezione, Gesù, l’unico che ha potuto dire: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
Ora comincia per voi una nuova fase.
Bisogna che questa vostra bella realtà cresca, si rafforzi, arrivi sempre più giovani, e porti i frutti tipici del Vangelo e del bene.
Grazie a voi di tutto, di tutto quello che fate e avete fatto, che è andato oltre le aspettative.
Ho voluto puntare su di voi, perché i giovani hanno tutta la vita davanti, sono un “cammino” vivente, e da un cammino possono nascere cose buone, stando attenti a prevenire quelle brutte.
Il mondo dell’economia ha bisogno di un cambiamento.
Non lo cambierete soltanto diventando ministri, o premi Nobel o grandi economisti – tutte cose belle –; lo cambierete soprattutto amandolo, alla luce di Dio, immettendo in esso i valori e la forza del bene, con lo spirito evangelico di Francesco d’Assisi: lui era figlio di un mercante, conosceva i pregi e i difetti di quel mondo! Amate l’economia, amate concretamente i lavoratori, i poveri, privilegiando le situazioni di maggiore sofferenza.
Per questo ho voluto incardinare tutto il movimento Economy of Francesco su San Francesco d’Assisi che, semplicemente spogliandosi di tutto per amore di Gesù e dei poveri, ha dato anche un impulso nuovo allo sviluppo dell’economia.
Oggi vorrei lasciarvi tre parole: essere testimoni, non avere paura, sperare senza stancarvi.
Essere testimoni, non avere paura, sperare senza stancarsi.
Primo: essere testimoni.
Se volete che altri giovani si avvicinino all’economia con i vostri ideali, quelli che abbiamo sottoscritto, io e voi, nel Patto di Assisi del 24 settembre 2022, sarà la vostra testimonianza di vita ad attrarli.
Siate coerenti – la coerenza è una cosa che non va di moda! - nelle vostre scelte.
Fatevi apprezzare per i vostri progetti e le vostre realizzazioni.
E non per diventare tanti e potenti, ma per trasmettere a molti quanto avete ricevuto, ossia la “bella notizia” che, ispirandosi al Vangelo, anche l’economia può cambiare in meglio.
Secondo: non avere paura.
Vi ripeto quanto ho detto ai giovani alla GMG di Lisbona: “non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni”.
Portate avanti i sogni.
C’è tanto da fare, bisogna osare nuove parole: i cristiani lo hanno sempre fatto, non hanno mai avuto paura del nuovo.
Sanno che Dio è il Signore della storia.
A me fa male vedere cristiani che si nascono nelle sacrestie, perché hanno paura del mondo.
Questi non sono cristiani, sono “pensionati sconfitti”.
Sanno che Dio è il Signore della storia e vanno avanti.
Terza parola: sperare senza stancarsi.
Lo so che non è facile proporre una nuova economia in uno scenario di nuove e antiche guerre, mentre prospera l’industria delle armi togliendo risorse ai poveri.
Sapete che in alcuni Paesi gli investimenti che danno più reddito sono le fabbriche delle armi? Guadagnare per uccidere.
La democrazia è minacciata in questi casi, crescono i populismi e le diseguaglianze, e il pianeta è sempre più ferito.
Non è facile, anzi è molto difficile.
Forse a volte avete l’impressione di “lottare contro i mulini a vento”.
Allora ricordiamo quello che Gesù diceva ai discepoli: “Non abbiate paura”.
Lui vi aiuterà, e la Chiesa non vi lascerà soli
Il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale – c’è qui Suor Smerilli - continua a starvi accanto aprendovi, per quanto possibile, le porte della collaborazione con le Chiese particolari sparse nel mondo.
Questo vi aiuterà a stabilire contatti e sinergie con tante realtà e reti di persone che condividono i vostri stessi ideali.
Il Dicastero accompagnerà anche le attività della Fondazione, di cui oggi ricevo l’Atto costitutivo.
Sarà la realtà in cui potrete dare vita e concretezza al sogno di “cambiare l’economia attuale e dare un’anima all’economia di domani” [1].
In mezzo a voi possa nascere un nuovo modo di stare insieme e di fare economia che non produca scarti ma benessere materiale e spirituale.
Coraggio, cari amici! Coraggio! Se sarete fedeli alla vostra vocazione, la vostra vita fiorirà, avrete storie meravigliose da raccontare ai figli e ai nipoti.
Vedo che ci sono alcuni bambini lì: è bello questo, in una cultura dove si privilegia avere cagnolini o gatti e non bambini.
Dobbiamo bastonare un po’ l’Italia! Credetemi: vale la pena spendere la vita per cambiare in meglio il mondo.
Avanti! Sono con voi, vi accompagno e vi benedico.
E anche voi, per favore, pregate per me.
____________________________________________________
[1] Cf.
Francesco, Lettera per l’evento “Economy of Francesco”, 1 maggio 2019.
Discorso consegnato
Cari fratelli e sorelle, benvenuti!
Saluto la Fondazione pontificia Gravissimum Educationis - Cultura per l’Educazione, impegnata a trasmettere la proposta educativa e culturale della Chiesa.
E saluto soprattutto voi giovani, che avete investito il vostro talento in questo Concorso un po’ particolare, che vuole essere un’occasione di crescita umana.
Mi piace ricordare con voi, giovani cantanti e musicisti impegnati nel promuovere i valori dal Natale, che la nascita di Gesù fu accompagnata da un canto celeste: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che Egli ama» (Lc 2,14).
L’Incarnazione di Gesù Cristo, che porta al mondo la vera pace – e quanto ne abbiamo bisogno oggi! – ha ispirato nei secoli innumerevoli artisti di ogni lingua e cultura, che hanno tracciato nel mondo sentieri di fratellanza.
Voi vi inserite in questa grande scia, con la vostra originalità, le vostre storie, le vostre voci.
Ed è sempre lo stesso Amore di Dio, fatto uomo in Gesù Cristo, che parla ai vostri cuori.
Nella giovinezza, nel desiderio di esprimere la vostra vocazione artistica, nel cammino umano e cristiano voi tutti, in modi diversi, sentite l’attrazione del mistero dell’Amore che si incarna, e lo manifestate con il canto e la musica.
E così cantate la speranza anche per quei vostri coetanei che l’hanno smarrita per tanti motivi: la miseria, la malattia, la guerra, la migrazione forzata, i problemi in famiglia, a scuola, con gli amici.
Forse qualcuno di questi giovani sarà toccato dalla vostra testimonianza! Sì, c’è bisogno del talento dei giovani, della creatività, spinti non dagli idoli del denaro e del successo ma dalla passione per la bellezza, per la fratellanza, per il Signore Gesù che salva e dà senso alla nostra vita.
Cari amici, vi auguro buon lavoro e buon cammino! Vi benedico e vi chiedo per favore di pregare per me.
Grazie!
Discorso consegnato
Caro Presidente, Eminenza,
distinti Signore e Signori!
Rivolgo un cordiale benvenuto a voi che componete la Pontificia Accademia delle Scienze e, in modo particolare, saluto i nuovi membri.
Le vostre ricerche e competenze sono molto importanti nel mondo complesso in cui viviamo.
Ringrazio il Presidente, Joachim von Braun, e il Cancelliere, Cardinale Peter Turkson, e gli Accademici per aver selezionato i temi dell’Antropocene e dell’Intelligenza artificiale per lo studio e la discussione nell’Assemblea Plenaria di quest’anno.
Tutti noi siamo sempre più preoccupati davanti al forte impatto dell’umanità sulla natura e sugli ecosistemi.
Ho appreso che uno di voi, Paul Crutzen, nel descrivere tale impatto sul creato, vi si è complessivamente riferito come costituenti l’Era dell’Antropocene.
Alcuni membri della vostra Accademia sono stati tra i primi a identificare l’impatto crescente delle attività umane sul creato, studiando rischi e problemi ad esso correlati.
L’Antropocene sta infatti rivelando le sue conseguenze sempre più drammatiche per la natura e per gli esseri umani, soprattutto nella crisi climatica e nella perdita di biodiversità.
Sono grato, pertanto, che la Pontificia Accademia delle Scienze continui a concentrarsi su questioni come queste, con particolare riguardo alle loro implicazioni verso i poveri e gli emarginati.
Le scienze, nel loro tendere alla conoscenza e alla comprensione del mondo fisico, non devono mai perdere di vista l’importanza di utilizzare tale conoscenza per servire e promuovere la dignità delle persone e dell’umanità nel suo insieme.
Mentre il mondo affronta gravi sfide sociali, politiche e ambientali, vediamo chiaramente l’urgenza di un contesto più ampio, nel quale il discorso pubblico inclusivo non sia informato solo dalle diverse discipline scientifiche, ma anche dalla partecipazione di tutte le componenti sociali.
A questo proposito, accolgo con favore e lodo vivamente l’intento dell’Accademia, nelle sue varie Conferenze, di prestare attenzione alle persone emarginate e povere, includendo i popoli indigeni e la loro saggezza nei suoi colloqui.
Quest’anno, la vostra Assemblea plenaria considera anche nuovi saperi emergenti e innovazioni, nonché le relative opportunità per la scienza e la salute del pianeta.
Penso in particolare alle sfide poste dal progresso compiuto nell’Intelligenza Artificiale.
Tale sviluppo può rivelarsi benefico per l’umanità, ad esempio promuovendo innovazioni nei settori della medicina e dell’assistenza sanitaria, così come aiutando a proteggere l’ambiente naturale e consentendo l’uso sostenibile di risorse alla luce dei cambiamenti climatici.
Tuttavia, come vediamo, può anche avere gravi implicazioni negative per la popolazione, specialmente per i bambini e gli adulti più vulnerabili.
Inoltre, occorre riconoscere e prevenire i rischi di usi manipolatori dell’Intelligenza Artificiale per plasmare l’opinione pubblica, influenzare scelte di consumo e interferire con i processi elettorali.
Queste sfide ci ricordano le dimensioni immutabilmente umane ed etiche di tutto il progresso scientifico e tecnologico.
Desidero quindi ribadire la convinzione della Chiesa che «la dignità intrinseca di ogni persona e la fraternità che ci lega come membri dell’unica famiglia umana devono stare alla base dello sviluppo di nuove tecnologie [...].
Gli sviluppi tecnologici che non portano a un miglioramento della qualità di vita di tutta l’umanità, ma al contrario aggravano le disuguaglianze e i conflitti, non potranno mai essere considerati vero progresso» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2024, 2).
In questo senso, l’impatto delle forme di Intelligenza Artificiale sui singoli popoli e sulla comunità internazionale richiede maggiore attenzione e studio.
Sono lieto di sapere che la Pontificia Accademia delle Scienze sta lavorando, da parte sua, per proporre norme adeguate al fine di prevenire i rischi e promuovere i benefici in questo campo complesso.
Cari amici, in un momento nel quale crisi, guerre e minacce alla sicurezza mondiale sembrano prevalere, i vostri pacati contributi per il progresso della conoscenza al servizio della famiglia umana sono ancora più importanti per la causa della pace globale e della cooperazione internazionale.
Vi ringrazio per la vostra partecipazione al lavoro dell’Accademia e vi porgo i miei fervidi auguri per le deliberazioni dell’attuale Assemblea plenaria.
Su di voi, sulle vostre famiglie e su tutti coloro che sono associati al vostro importante impegno invoco abbondanti benedizioni di Dio.
E vi chiedo, per favore, di ricordarvi di me nelle vostre preghiere.
Grazie.
Cari fratelli e sorelle, buona domenica!
Oggi il Vangelo della liturgia (Mc 9,30-37) ci parla di Gesù che annuncia cosa accadrà al culmine della sua vita: «Il Figlio dell’uomo – dice Gesù – viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma dopo tre giorni risorgerà» (v.
31).
I discepoli, però, mentre seguono il Maestro, hanno altro nella testa e anche sulle labbra.
Quando Gesù chiede loro di che cosa stessero parlando, non rispondono.
Facciamo attenzione a questo silenzio: i discepoli tacciono perché discutevano su chi fosse il più grande (cfr v.
34).
Tacciono per la vergogna.
Che contrasto con le parole del Signore! Mentre Gesù confidava loro il senso della propria vita, essi parlavano di potere.
E così adesso la vergogna chiude la loro bocca, come prima l’orgoglio aveva chiuso il loro cuore.
Eppure Gesù risponde apertamente ai discorsi sussurrati lungo la strada: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo» (cfr v.
35).
Vuoi essere grande? Fatti piccolo, mettiti a servizio di tutti.
Con una parola tanto semplice quanto decisiva, Gesù rinnova il nostro modo di vivere.
Ci insegna che il vero potere non sta nel dominio dei più forti, ma nella cura dei più deboli.
Il vero potere è prendersi cura dei più deboli, questo ti fa grande!
Ecco perché il Maestro chiama un bambino, lo mette in mezzo ai discepoli e lo abbraccia, dicendo: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me» (v.
37).
Il bambino non ha potere: il bambino ha bisogno.
Quando ci prendiamo cura dell’uomo, riconosciamo che l’uomo ha sempre bisogno di vita.
Noi, tutti noi, siamo vivi perché siamo stati accolti, ma il potere ci fa dimenticare questa verità.
Tu sei vivo perché sei stato accolto! Allora diventiamo dominatori, non servitori, e i primi a soffrirne sono proprio gli ultimi: i piccoli, i deboli, i poveri.
Fratelli e sorelle, quante persone, quante, soffrono e muoiono per lotte di potere! Sono vite che il mondo rifiuta, come ha rifiutato Gesù, quelli che sono esclusi e muoiono… Quando venne consegnato nelle mani degli uomini, Egli non trovò un abbraccio, ma una croce.
Il Vangelo resta tuttavia parola viva e piena di speranza: Colui che è stato rifiutato, è risorto, è il Signore!
Adesso, in questa bella domenica, possiamo chiederci: so riconoscere il volto di Gesù nei più piccoli? Mi prendo cura del prossimo, servendo con generosità? E ringrazio chi si prende cura di me?
Preghiamo insieme Maria, per essere come lei liberi dalla vanagloria e pronti nel servizio.
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Dopo l'Angelus
Cari fratelli e sorelle!
Ho appreso con dolore che in Honduras è stato ucciso Juan Antonio López, delegato della Parola di Dio, coordinatore della pastorale sociale della Diocesi di Trujillo e membro fondatore della pastorale dell’ecologia integrale in Honduras.
Mi unisco al lutto di quella Chiesa e alla condanna di ogni forma di violenza.
Sono vicino a quanti vedono calpestati i propri diritti elementari e a quelli che si impegnano per il bene comune in risposta al grido dei poveri e della terra.
Saluto tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini dell’Italia e di tanti Paesi.
In particolare, saluto gli Ecuadoriani residenti a Roma che celebrano la Madonna del Cisne! Saluto la Corale “Teresa Enríquez de Torrijos” di Toledo, il gruppo di famiglie e bambini della Slovacchia, e i fedeli messicani.
Saluto i partecipanti alla marcia di sensibilizzazione sulle condizioni dei detenuti.
Dobbiamo lavorare perché i detenuti siano in condizioni di dignità.
Ognuno può sbagliare.
Essere detenuto è per riprendere una vita onesta dopo.
Saluto la delegazione venuta in occasione della Giornata dei malati di atassia, e l’Associazione “La Palma” di Castagnola di Massa.
Fratelli e sorelle, continuiamo a pregare per la pace.
Purtroppo sui fronti di guerra la tensione è molto alta.
Si ascolti la voce dei popoli, che chiedono pace.
Non dimentichiamo la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, il Myanmar, tanti Paesi che sono in guerra.
Preghiamo per la pace.
Auguro a tutti una buona domenica.
E per favore non dimenticatevi di pregare per me.
Buon pranzo e arrivederci!
Signor Ministro,
Signor Generale,
Eccellenza e cari Cappellani,
cari membri della Guardia di Finanza!
Con piacere vi do il benvenuto; vi ho visti questa mattina quando entravate qui.
Saluto il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Comandante Generale e tutti gli ufficiali.
Saluto e ringrazio il Vescovo Ordinario Militare e i Cappellani.
«Nella tradizione, il futuro». Questo è il motto del vostro 250° anniversario.
Nella tradizione c’è il futuro.
Fa riferimento alle radici che hanno portato alla fondazione della Guardia di Finanza e le hanno dato una direzione di crescita.
Nata come Corpo speciale per il servizio di vigilanza finanziaria e difesa ai confini, ha assunto compiti di polizia tributaria ed economico-finanziaria, di polizia sul mare, con una importante missione nell’ambito del soccorso, sia in mare che in montagna.
Ricordo storico di questo impegno è l’aiuto offerto ai profughi ebrei e ai perseguitati durante i due grandi conflitti mondiali.
Un vasto ambito di interventi, dunque, che intende rispondere ai problemi con la concretezza della presenza e dell’azione puntuale, veicolando al contempo un’alternativa culturale ad alcuni mali che rischiano di inquinare la società.
Il vostro Patrono è San Matteo – oggi è la festa –, apostolo ed evangelista.
Egli, infatti, era stato un “pubblicano”, cioè un esattore delle tasse, mestiere doppiamente disprezzato al tempo di Gesù, perché asservito al potere imperiale e perché corrotto.
A me piace andare alla chiesa dei francesi [S.
Luigi] a vedere quel Caravaggio, “La conversione di Matteo”, che simboleggia così profondamente.
Matteo rappresentava una mentalità utilitarista e senza scrupoli, devota solo al “dio denaro”.
Anche ai nostri giorni una logica simile si ripercuote sulla vita sociale, causando squilibri ed emarginazione: dagli sprechi alimentari – questo è uno scandalo, gli sprechi alimentari, è uno scandalo! – all’esclusione di cittadini dal beneficiare di alcuni loro diritti.
Anche lo Stato può finire vittima di questo sistema; perfino quegli Stati che, pur disponendo di ingenti risorse, rimangono isolati sul piano finanziario o del mercato globale.
Come si spiega la fame nel mondo, oggi, quando ci sono tanti, tanti sprechi nelle società sviluppate? È terribile questo.
E un’altra cosa: se si fermassero un anno dal fabbricare le armi, finirebbe la fame nel mondo.
Meglio le armi che risolvere la fame…
In questo panorama, voi siete chiamati a contribuire alla giustizia dei rapporti economici, verificando l’osservanza delle norme che disciplinano le attività dei singoli e delle imprese.
Perciò vigilate sul dovere di ogni cittadino di contribuire secondo criteri di equità alle necessità dello Stato, senza che vengano privilegiati i più forti, e contrastate l’uso inappropriato di internet e delle reti sociali.
Sia riguardo alla riscossione delle imposte, sia nella lotta al lavoro sommerso e sottopagato – questo è un altro scandalo –, o comunque lesivo della dignità umana, la vostra azione è di primaria importanza.
E tutto questo è il vostro modo concreto e quotidiano di servire il bene comune, di essere vicini alla gente, di contrastare la corruzione e promuovere la legalità.
Quella corruzione che si fa sotto il tavolo.
La parola “corrotto” – “cor-rotto” – «ricorda il cuore rotto, il cuore infranto, macchiato da qualcosa, rovinato.
[…] La corruzione rivela una condotta anti-sociale tanto forte da sciogliere la validità dei rapporti e dei pilastri sui quali si fonda una società».
Perciò la risposta, l’alternativa non sta solo nelle norme, ma in un «nuovo umanesimo».
[1] Rifondare l’umanità.
Lo sguardo di Gesù, posato sul giovane Matteo, dice che la dignità e la vita dell’uomo sono il cuore della vita di un popolo.
Voi potete contribuire al sorgere di questo nuovo umanesimo anche mediante l’opera che prestate al servizio dei giovani che chiedono di entrare nel Corpo della Guardia di Finanza e ne frequentano le Scuole.
Essi forse all’inizio cercano solo un impiego, ma trovano poi una specifica formazione, che, oltre a fornire loro le nozioni e le esperienze indispensabili, diventa anche educazione alla vita e al bene comune.
Matteo, in un certo senso, passò dalla logica del profitto a quella dell’equità.
Ma, alla scuola di Gesù, egli superò anche l’equità e la giustizia e conobbe la gratuità, il dono di sé che genera solidarietà, condivisione, inclusione.
La gratuità non è soltanto una dimensione finanziaria, ma è una dimensione umana.
Diventare [persone] al servizio degli altri, gratuitamente, senza cercare il proprio profitto.
Perché, se la giustizia è necessaria, essa non è sufficiente a colmare quei vuoti che solo la gratuità, la carità, l’amore può sanare.
Voi lo sperimentate ad esempio quando organizzate l’accoglienza e il soccorso ai migranti in pericolo nel Mediterraneo.
Grazie di questo, grazie.
Oppure negli interventi coraggiosi per le calamità naturali, in Italia e altrove.
Ma pensiamo al contrasto alla piaga del traffico di stupefacenti, ai mercanti di morte.
Il vostro servizio non si esaurisce nella protezione delle vittime, ma include il tentativo di aiutare la rinascita di chi sbaglia: infatti, agendo con rispetto e integrità morale potete toccare le coscienze, mostrando la possibilità di una vita diversa.
Anche in questo modo si può e si deve costruire un’alternativa alla globalizzazione dell’indifferenza, che distrugge con la violenza e la guerra, ma pure trascurando la cura della socialità e dell’ambiente.
In effetti, la ricchezza di una Nazione non sta solo nel suo PIL, risiede nel suo patrimonio naturale, artistico, culturale, religioso, e nel sorriso dei suoi abitanti, dei suoi bambini.
Una volta, un capo di Stato mi diceva: “Io ho una misura speciale: il sorriso dei bambini e dei vecchi.
Quando ambedue sorridono, in una società le cose non vanno tanto male”.
È interessante.
E questo favorisce la creatività, l’apertura al mondo.
Voi stessi siete cittadini che custodite questa “ricchezza” dell’Italia, ma pronti ad uscire nelle missioni internazionali.
Serve questo slancio solidale verso l’altro come via per la pace e come speranza di un futuro migliore!
Sorelle e fratelli, mi congratulo con voi, perché cooperate ad alimentare la fiducia e la speranza del popolo.
Questo popolo che siamo tutti noi.
E alimentare la fiducia, la speranza, il sorriso.
Torno su questo.
Il termometro è: sorridono i bambini? Sorridono gli anziani? Non dimenticare.
E in questo importante anniversario si incontra bene col tema del Giubileo che la Chiesa si prepara a celebrare, che è “Pellegrini di speranza”.
Benedico di cuore voi, benedico il vostro lavoro e le famiglie.
Per favore, non perdere il senso dell’umorismo, per favore, che questo è salute! E vi chiedo per favore di pregare per me.
Grazie.
[1] Prefazione in Peter Turkson, Corrosione: combattere la corruzione nella Chiesa e nella società, Bologna 2017.
Cari Fratelli,
dieci anni or sono abbiamo avviato la riforma della Curia Romana e, attraverso la Costituzione Apostolica Predicate Evangelium, si è stabilita la nuova organizzazione della Santa Sede, precisandone i principi guida e le finalità.
Ecclesia semper reformanda: questo è stato lo spirito che ha animato la riforma, al fine di garantire che la Curia Romana coadiuvi il Successore di Pietro nell’esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari.
Se questo aggiornamento rappresenta una testimonianza di vitalità e di grazia, conosciamo la dedizione e le fatiche di donne e uomini impegnati ad adattarsi a questo moto di rinnovamento.
A Voi, fratelli Cardinali, nella funzione di assistere il Romano Pontefice nel governo della Chiesa universale, è spettato di accompagnare quanti sono stati coinvolti in questo processo di trasformazione.
Nonostante le difficoltà e, a volte, quella tentazione di immobilismo e rigidità di fronte al cambiamento, tanti sono stati i risultati conseguiti in questi anni.
Vi ringrazio per l’aiuto che avete dato e continuate a dare.
Con queste premesse, tengo ora in modo particolare ad affrontare nuovamente uno dei temi che ha maggiormente caratterizzato le Congregazioni generali prima del Conclave: la riforma economica della Santa Sede.
Gli anni trascorsi hanno dimostrato che le richieste di riforma sollecitate nel passato da tanti esponenti nel Collegio Cardinalizio sono state lungimiranti e hanno permesso di acquisire una maggiore coscienza del fatto che le risorse economiche al servizio della missione sono limitate e vanno gestite con rigore e serietà perché gli sforzi di quanti hanno contribuito al patrimonio della Santa Sede non siano dispersi.
Per queste ragioni, è doveroso ora uno sforzo ulteriore da parte di tutti affinché un “deficit zero” non sia solo un obiettivo teorico, ma una meta effettivamente realizzabile.
La riforma ha posto le basi per l’attuazione di politiche etiche che consentano di migliorare il rendimento economico del patrimonio esistente.
A ciò si accompagna l’esigenza che ciascuna Istituzione si adoperi per reperire risorse esterne per la propria missione, facendosi esempio di una gestione trasparente e responsabile al servizio della Chiesa.
Sul versante della riduzione dei costi, occorre dare un esempio concreto affinché il nostro servizio sia realizzato con spirito di essenzialità, evitando il superfluo e selezionando bene le nostre priorità, favorendo la collaborazione reciproca e le sinergie.
Dobbiamo essere consapevoli che oggi siamo di fronte a decisioni strategiche da assumere con grande responsabilità, perché siamo chiamati a garantire il futuro della Missione.
Le Istituzioni della Santa Sede hanno molto da imparare dalla solidarietà delle buone famiglie.
Così come in queste famiglie coloro che godono di una buona situazione economica vengono in aiuto dei membri più bisognosi, gli Enti che registrano un avanzo dovrebbero contribuire a coprire il deficit generale.
Questo significa avere cura del bene della nostra comunità, agendo con generosità, nel senso evangelico del termine, come presupposto indispensabile per chiedere generosità anche all’esterno.
In conclusione, Vi chiedo di accogliere questo messaggio con coraggio, spirito di servizio e di sostenere con convinzione, lealtà e generosità le riforme in corso, contribuendo in modo propositivo con le Vostre conoscenze ed esperienze al processo di riforma.
Ciascuna delle Istituzioni della Santa Sede forma con tutte le altre un unico corpo: pertanto, la collaborazione autentica e la cooperazione verso l’unica meta, il bene della Chiesa, rappresenta un requisito essenziale del nostro servizio.
Con questo spirito e questa consapevolezza Vi chiedo di accompagnare con fedeltà e fiducia il nostro lavoro.
Dal Vaticano, 16 settembre 2024
FRANCESCO
Sorelle e fratelli, buongiorno.
Bentrovati!
Commemoriamo un momento che ha segnato la nostra storia comune, la vostra e la mia.
Ricorrono dieci anni dal primo incontro mondiale dei Movimenti Popolari.
Quel giorno, a Roma, abbiamo piantato una bandiera: Tierra, techo y trabajo.
Terra, tetto e lavoro sono diritti sacri.
Che nessuno vi tolga questa convinzione, che nessuno vi rubi questa speranza, che nessuno spenga i sogni.
La vostra missione è trascendente.
Se il popolo povero non si rassegna, il popolo si organizza, persevera nella costruzione comunitaria quotidiana e, al tempo stesso, lotta contro le strutture d’ingiustizia sociale.
Prima o poi le cose cambieranno in bene.
Come potete vedere, nessuna ideologia qui, nessuna.
Il popolo.
Voi siete usciti dalla passività e dal pessimismo, non lasciatevi abbattere dal dolore né dalla rassegnazione.
Non avete accettato di essere vittime docili, vi siete riconosciuti come soggetto, come protagonisti della Storia.
Questo è, forse, il vostro contributo più bello.
Non vi lasciate intimorire, andate avanti.
Non fate neppure piani campati per aria.
Una delle cose che mi piace è che non scrivete documenti ideologici, non passate da conferenza in conferenza, un toccasana, no?, ossia procedete passo dopo passo sulla terra ferma della concretezza, lavorate spalla a spalla, persona con persona.
Non vi limitate a protestare — che è giusto protestare — ma realizzate innumerevoli opere, anche se nella più assoluta precarietà di mezzi, a volte senza alcun aiuto dello Stato e altre perseguitati.
Vi accompagno nel vostro cammino, continuo a credere, come vi ho detto in Bolivia, che dall’azione comunitaria dei poveri della Terra dipende non solo il vostro futuro, ma anche quello di tutta l’umanità.
Da questa azione dipende.
Sì, dai poveri dipendiamo tutti, tutti, anche i ricchi.
L’ho detto all’inizio del pontificato, cito me stesso: «Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e attaccando le cause strutturali della iniquità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema.
L’iniquità è radice dei mali sociali».
So che ciò dà fastidio, ma è la verità.
Un fratello mi ha detto: «Padre, lei parla molto dei poveri e poco della classe media».
Può essere vero, e per questo chiedo scusa.
Quando il Papa parla, parla per tutti perché la Chiesa è per tutti, ma non può sottrarsi alla centralità dei poveri nel Vangelo.
E questo non è comunismo, è Vangelo puro.
Non è il Papa, bensì Gesù che li pone al centro nel Vangelo.
È un punto fermo della nostra fede e non si può negoziare.
Se tu non lo accetti, non sei cristiano.
Un altro fratello mi ha detto: “Non sia tanto duro con i ricchi”.
Gesù è stato più duro di me.
Pensate a quello che dice dei ricchi: “Guai a voi ricchi!”, e poi ancora giù...
“Non sia tanto duro con i ricchi”.
Riconosco, chiaro, che gli imprenditori creano posti di lavoro, contribuiscono allo sviluppo economico.
È giusto dirlo.
L’ho detto ultimamente a Singapore, vedendo il magnifico bosco di grattacieli che testimoniano questo contributo.
Tuttavia, i frutti dello sviluppo economico non vengono distribuiti bene.
Questa è una realtà evidente, che se non verrà modificata, genererà pericoli sempre più grandi.
Se non ci sono politiche, politiche buone, politiche razionali ed eque, che rafforzino la Giustizia Sociale, perché tutti abbiano Terra, Tetto e Lavoro, perché tutti abbiano un salario giusto e i diritti sociali adeguati, se non c’è questo, la logica dello scarto materiale e dello scarto umano si estenderà lasciando al suo passaggio violenza e desolazione.
O è l’armonia della giustizia sociale o è la violenza dopo la desolazione.
Purtroppo, molto spesso sono proprio i più ricchi a opporsi alla realizzazione della giustizia sociale o all’ecologia integrale per pura avarizia.
Mascherano sì questa avarizia con ideologia, ma è la vecchia e nota avarizia.
Allora fanno pressione sui Governi perché sostengano cattive politiche che li favoriscano economicamente.
Mia nonna ci ripeteva sempre: “State attenti, perché il diavolo entra dalle tasche”.
Il diavolo entra dalle tasche, sempre.
Una tangente qui, una cosa lì...
e ti entra dalle tasche.
Mi raccontava un imprenditore a livello internazionale — che sta facendo investimenti in Argentina per estendere la propria attività, che lavora molto bene e c’è un buon accordo — che è andato a presentare a un ministro il nuovo piano di estensione.
Il ministro lo ha accolto molto bene e gli ha detto: “Me lo lasci.
La chiameranno”.
Il giorno dopo lo ha chiamato il segretario del ministro e gli ha detto: “Senta, può passare entro due giorni, così le consegniamo il permesso e tutto il resto”.
È passato, gli ha consegnato tutte le carte, con la firma, e quando stava per alzarsi gli ha detto: “E per noi quanto?”.
“E per noi quanto?” La tangente, no? Il diavolo entra dalle tasche, non dimenticatelo.
Ho saputo che alcuni degli uomini più ricchi del mondo lo riconoscono.
Dicono che il sistema che ha permesso di accumulare fortune alle persone ricche — e permettetemi di aggiungere, a volte ridicole — è immorale e che deve essere modificato.
Che ci devono essere più tasse per i miliardari.
È giusto così.
Prego perché quanti sono economicamente potenti escano dall’isolamento, rifiutino la falsa sicurezza del denaro e si aprano per condividere i beni che hanno una destinazione universale, perché tutti derivano dal Creato.
Tutti i beni derivano da lì e tutti i beni hanno una destinazione universale.
È difficile che ciò accada, è difficile, ma a Dio tutto è possibile.
Se questa percentuale tanto piccola di miliardari che si accaparra la maggior parte della ricchezza del pianeta avesse il coraggio di condividerla...
Ma non come elemosina, no, a condividerla fraternamente, se avesse il coraggio di condividerla...
che bello sarebbe per loro e che giusto sarebbe per tutti.
Chiedo ai privilegiati di questo mondo di trovare il coraggio di compiere questo passo.
Saranno molto più felici.
E saremo ancora più fratelli.
Ma tempo fa ho anche detto che “i poveri non possono attendere”.
Se i Movimenti Popolari non reclamano, se voi non alzate la voce, se voi non lottate, se voi non risvegliate le coscienze le cose saranno più difficili.
Chiedo a voi, anche alle persone della classe media, che devono sacrificarsi sempre più per arrivare a fine mese, chiedo alle persone che devono pagare affitti altissimi, che non possono risparmiare, che forse lasceranno ai propri figli una situazione peggiore di quella che hanno ricevuto: credete che i più ricchi condivideranno ciò che hanno con gli altri, o continueranno ad accumulare insaziabilmente? Una domanda.
Non ho il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale: ascolto.
Non ho neppure la palla di vetro (non esiste nessuna palla di vetro magica, sono truffe).
Sì vedo una cosa che mi preoccupa: che avanza un modo perverso di vedere la realtà, un modo che esalta l’accumulazione di ricchezze come se fosse una virtù.
Vi dico: non è una virtù, è un vizio.
Le ricchezze sono fatte per essere condivise, per creare, per fraternizzare.
Accumulare non è virtuoso, non è virtuoso, distribuire sì lo è.
Gesù non accumulava, anzi, moltiplicava e i suoi discepoli distribuivano.
Ricordatevi che Gesù ci ha detto: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano.
Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore».
C’è come un’attrazione, direi, di “fidanzamento” tra il cuore e le ricchezze.
Ma non è il fidanzamento bello con la fidanzata, è il fidanzamento con la suocera.
Attenzione.
La competizione cieca per avere sempre più soldi non è una forza creativa, bensì un atteggiamento malato, un cammino verso la perdizione.
È una condotta irresponsabile, immorale, irrazionale, distrugge la creazione e divide i popoli.
Non smettiamo di denunciarla.
Un aneddoto della mia famiglia.
Tra i cugini di mio padre, ossia i miei cugini di secondo grado, ce n’era uno molto ricco.
Non aveva figli.
Ma era avaro, avaro, avaro.
E accumulava denaro, accumulava e accumulava.
Era a tal punto avaro che i figli si prendevano cura della mamma malata un giorno per uno e dovevano darle uno yogurt la mattina e uno il pomeriggio, ma lui le dava mezzo yogurt la mattina per risparmiare quello del pomeriggio.
A tal punto arrivava.
È morto.
Io non sono potuto andare al funerale, ma due o tre giorni dopo ho chiamato una cugina e le ho chiesto: “Com’è andata?”.
“È stato tragico”, mi ha detto.
“Che è successo?” — “Non riuscivano a chiudere la bara” — “Perché?” — “Perché lui voleva portare tutto con sé”.
Ma ha dovuto lasciarlo, c’era poco da fare.
È il destino.
Il grido degli esclusi può anche risvegliare le coscienze addormentate di tanti dirigenti politici che sono, in definitiva, quelli che devono far rispettare i diritti economici, sociali e culturali che già sono consacrati dalla Costituzione, dalle leggi, ma non vengono applicati.
Diritti riconosciuti da quasi tutti i Paesi, diritti riconosciuti dalle Nazioni Unite, dalla dottrina sociale di tutte le religioni ma che molto spesso non si manifestano nella realtà socio-economica dei popoli.
Siamo cristiani, preghiamo affinché Dio ci dia la saggezza e la forza per realizzare la vera giustizia sociale.
La Giustizia Sociale è un’espressione creata dalla Chiesa, è inseparabile dalla compassione.
Dio ha tre attributi: vicinanza, misericordia e compassione.
Se noi vogliamo fare una cosa di tipo sociale, per esempio, dobbiamo tenere conto di questi tre attributi.
La Giustizia Sociale è inseparabile dalla compassione.
Ne ho parlato in Indonesia.
Sapete che cosa è la compassione? Sicuramente sì.
Compassione significa soffrire con l’altro, condividere i suoi sentimenti.
È una parola bella.
Come sappiamo, infatti, la compassione non consiste nel dare l’elemosina ai fratelli e alle sorelle bisognosi, guardandoli dall’alto in basso, vedendoli dalle proprie sicurezze e privilegi.
Compassione significa stare vicini gli uni agli altri.
Quando io confesso, perché Dio mi ha dato la grazia di perdonare, in 53 anni di sacerdozio non ho mai negato un’assoluzione.
Quando io confesso, chiedo se danno l’elemosina.
A chi posso chiederlo? Alla gente adulta.
Mi rispondono di sì.
“E quando dai l’elemosina, guardi negli occhi la persona a cui la dai? Le tocchi la mano? O le lanci i soldi e fai così?”.
Non sanno rispondere.
Danno l’elemosina ma non hanno quella compassione che è carnale, che è fraterna, che è profonda.
Sia che condividiamo le stesse sofferenze, sia che ci commuoviamo per la sofferenza degli altri.
La vera compassione costruisce l’unità dei popoli e la bellezza del mondo.
Le ideologie disumanizzate promuovono una cultura molto brutta, la “cultura del vincitore” che è un aspetto della “cultura dello scarto”.
Alcuni chiamano ciò “meritocrazia”, altri non la nominano ma la praticano.
È gente che, concentrata su certi successi mondani, si sente in diritto di disprezzare; disprezzare in modo altezzoso i “perdenti”.
È paradossale che molto spesso le grandi fortune hanno poco a che vedere con il merito: sono rendite, sono eredità, sono frutto dello sfruttamento di persone e della spoliazione della natura, sono prodotto della speculazione finanziaria o dell’evasione delle tasse, derivano dalla corruzione o dalla criminalità organizzata.
In generale, molte fortune si accumulano così.
Nessuno, con o senza meriti, ha il diritto di guardare l’altro dall’alto in basso, come se non valesse nulla.
Questo atteggiamento altezzoso è il contrario della compassione: gongolarsi nella propria supremazia di fronte a chi sta peggio.
Ciò non succede solo ai più ricchi: molta gente cade infatti in questa tentazione del nostro tempo.
Guardare da lontano, guardare dall’alto, guardare con indifferenza, guardare con disprezzo, guardare con odio.
Così si genera la violenza: così si genera il silenzio dell’indifferenza.
Quel silenzio indifferente che autorizza il ruggito dell’odio.
Il silenzio di fronte all’ingiustizia, apre la strada alla divisione sociale, e la divisione sociale apre la strada alla violenza verbale, e la violenza verbale apre la strada alla violenza fisica e la violenza fisica alla guerra di tutti contro tutti.
È lì che sta la coda del diavolo.
Una settimana fa o poco meno, forse, mi hanno fatto vedere un filmato di una repressione.
Operai, gente che reclamava i propri diritti in strada e la polizia li caricava con una cosa molto cara: lo spray al peperoncino di prima qualità, perché non avevano diritto a reclamare.
Perché erano ribelli, comunisti, no, no, no, e il governo è stato irremovibile e invece di pagare giustizia sociale, ha pagato lo spray al peperoncino, gli conveniva.
Tenetelo presente.
Tutti dobbiamo rialzare gli altri, tutti dobbiamo farlo.
L’atteggiamento contrario è “lasciare lì buttato” e a volte deridere anche chi è caduto.
Poi vengono le scuse: “Sono forse io il custode di mio fratello?”.
Credo sia la giustificazione, non la prima, è la seconda giustificazione più antica della Bibbia.
“Sono forse io il custode di mio fratello? Non ho tempo, che se ne occupi qualcun altro”.
“È colpa sua, non ha guardato dove metteva i piedi, si è messo in un cammino pericoloso, non era abbastanza intelligente, non si è sforzato come me”.
Questo atteggiamento non è cristiano, peggio ancora, non è neppure umano; non è l’atteggiamento di un uomo di buona volontà.
Noi solleviamo chi è caduto, sempre, sempre! Solamente una volta nella vita, solamente in una situazione si può guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a rialzarsi.
Mai in un’altra situazione, sempre di fronte.
Solleviamo chi è caduto sempre, tutti quelli che sono caduti, buoni o cattivi, con o senza meriti.
Che nessuno rimanga lì buttato, per favore.
Ci sono tante persone buttate in strada, tante.
Tanta gente che non ha da mangiare e che sta lì in strada chiedendo qualcosa, che ha perso la casa, che ha perso il lavoro o che semplicemente è gente che non ha avuto la capacità di andare avanti.
Può essere gente malata, quello che vuoi, ma sta lì buttata.
Guardiamo chi è rimasto buttato lì: che nessuno rimanga buttato lì.
E allora, sì, guardare dall’alto in basso, ma per rialzarlo.
Alcuni giorni fa, quando ho visitato la scuola “Irmãs Alma” (a Díli, a Timor Leste), una frase mi è venuta dal cuore: “Senza l’amore tutto questo non si capisce”.
Un’opera fa questa gente, un’opera con bambini disabili.
Simpaticissimi, perché tutti ballavano, e tutto il resto, ma senza amore non si capisce.
Senza amore prevale la condotta di scrollarceli di dosso quanto prima.
Un aneddoto così, di osservazione.
Voi vedete tanti nani per strada? Ci sono molti nani? Sono scomparsi.
Quando io ero più giovane si vedevano, ora non ce ne sono più.
Quando vedono che sarà un nano, ai rifiuti.
È una politica del “buttare via”, che nessuno venga buttato via, che non facciamo scelta di persone perché uno è più capace dell’altro, perché ha più possibilità, perché è più o meno intelligente.
Tutti, tutti, tutti.
E questa scuola di “Irmãs Alma” di Timor Leste mi è rimasta molto impressa perché accoglievano i bambini che avevano qualche malformazione mentale o che mostravano problemi fin alla gestazione.
E lì mi è venuta questa frase: “Senza amore questo non si capisce”.
Eliminare, selezionare l’umanità si capisce senza amore.
Se si elimina l’amore come categoria teologica, categoria etica, economica e politica, perdiamo l’orientamento.
Nella matematica avara della convenienza, dell’individualismo e dell’accumulazione non c’è posto per questo.
Con il velo nero del disamore cadiamo sempre in una qualche forma di “darwinismo sociale”.
Sapete che cosa è? Il “darwinismo sociale”? È la legge del più forte che giustifica prima l’indifferenza, poi la crudeltà e infine lo sterminio, e questo viene sempre dal Maligno.
La giustizia sociale, anche l’ecologia integrale, si capisce solo a partire dall’amore.
Il diritto naturale alla dignità che meritano tutte le persone, il mandato che hanno tutte le società di garantire la soddisfazione delle necessità primarie, l’obbligo universale di preservare la natura per quanti verranno dopo di noi, nulla di tutto ciò nasce da un’ideologia né da una tabellina, ma dall’amore.
Non dimentichiamoci che “senza l’amore siamo nulla”.
Tutti abbiamo la missione di rendere concreto questo amore nella nostra vita quotidiana, nei nostri rapporti familiari, nell’azione specifica di ogni spazio comunitario, nelle micro e nelle macro-relazioni, abbiamo diritto a fare tutto ciò.
In diverse occasioni ho constatato come a partire dal piccolo e dalle periferie, nasce quella grande speranza del cuore che ci incoraggia a sollevare lo sguardo verso l’alto, verso orizzonti più vasti che ci danno la forza per intraprendere progetti di grande respiro che abbraccino più persone.
Che la luce di ogni esperienza comunitaria concreta si irradi affinché l’umanità intera possa attraversare le gole oscure e riprendere il cammino concreto.
Riprendere il cammino, riprendere il cammino è generare una società diversa, ma non a partire dalle logiche rifondazionali che, in ultima analisi, finiscono con il riprodurre la cultura dello scarto, in questo caso dello scarto culturale.
Guardiamo con gratitudine alla storia che ci ha preceduti, guardiamo con gratitudine a quella storia.
Sono le nostre fondamenta.
Che nessuno ci rubi la memoria storica e il senso di appartenenza a un popolo, anche la memoria storica delle cose selvagge, brutali.
Noi argentini, che abbiamo solo circa 600.000 aborigeni su 46 milioni di abitanti, ricordiamoci di Roca che tagliò la testa a tutti gli aborigeni: una cosa vergognosa.
Memoria storica totale.
Pochi giorni fa ho messo in guardia gli abitanti di Timor da certi coccodrilli — perché ci sono dei coccodrilli speciali che vengono dall’Australia e si dice che abbiano il morso più forte di tutti quelli che mordono —, ed è strano, quando vanno in spiaggia camminano come i canguri.
Saltano appoggiandosi sulla coda.
Allora, li ho avvertiti: fate attenzione ai coccodrilli che vogliono cambiare la vostra cultura, mordere la vostra storia, farvi dimenticare ciò che siete.
Il colonialismo materiale e il colonialismo ideologico e culturale vanno sempre insieme, divorando la ricchezza materiale e immateriale dei popoli.
Penso ad alcune esperienze del mio Paese dove il colonialismo si chiama “litio” e si sfrutta tanta gente.
I valori universali crescono invece dalle radici di ogni popolo, dalla sua bellezza che offre una nuova faccia al poliedro meraviglioso della famiglia umana e della casa comune.
Ci sono interessi che sono globali, ma non universali.
Ricordiamocene: globali ma non universali.
Ossia, cercano di uniformare e sottomettere tutto.
Fate attenzione a questo, perché i coccodrilli arrivano mimetizzati; fate attenzione, ma non abbiate paura.
La vigliaccheria porta molti politici a cambiare le loro convinzioni per le loro convenienze.
Quando ti ungono la mano, no? Quanto ti tocca? Li hanno fatti passare per il tritacarne dei mass media, delle reti sociali, hanno avuto paura e hanno vacillato.
Allora hanno adottato atteggiamenti servili di fronte a quanti erano economicamente potenti come in quella scena nel libro di Daniele in cui “i satrapi, i prefetti, i governatori, i consiglieri, i tesorieri, i giureconsulti, i magistrati” si prostrarono per rendere culto a una statua d’oro per salvarsi dalla fornace.
Rinnegare gli ideali nobili e generosi per servire il dio denaro o il potere è una grande apostasia.
Non avviene solo con i dirigenti politici ma anche con attori sociali, sindacali, con artisti e intellettuali...
e anche con i sacerdoti.
Si dice che le sottane abbiano tasche enormi.
E succede questo.
Entrare nelle grazie di quanti detengono il potere reale porta vantaggi, aiuta a scalare, questo verbo non lo dimenticate, la piramide burocratica del potere formale.
Che cosa? A scalare questa piramide burocratica del potere formale, ma è un tradimento.
Quelli che scalano, scalano, scalano arrivano in cima — credo di averlo già detto.
Quando arrivano in cima, quando stanno in cima, che cosa mostrano? Me l’ha insegnato mia nonna.
Stanno in cima e l’unica cosa che mostrano è il sedere.
È questa l’essenza della corruzione.
Ciò a volte accade apertamente, con discorsi disumani che si trasformano in politiche ingiuste attraverso l’azione; altre volte, occultamente, con discorsi edulcorati che a loro volta si trasformano in politiche ingiuste attraverso l’omissione.
Per scoprire di che pasta è fatto un dirigente — non dimentichiamocene —, e quando parlo di dirigente intendo nel senso generico del termine, anche un sacerdote, un vescovo.
Di che pasta è fatto un dirigente? Non bisogna ascoltare tanto quello che lui dice: bisogna vedere quello che fa.
La realtà è sempre superiore all’idea.
Non dimenticatevi di questo principio: la realtà è superiore all’idea.
Tu puoi dare buone idee e parlare, ma qual è la tua realtà? Qual è?
Voi dovete aiutare i politici affinché non si consegnino ai coccodrilli, affinché non si inginocchino di fronte alla statua d’oro per paura della fornace.
Dovete essere custodi della Giustizia Sociale.
Dovete stare lì per ricordare loro al servizio di chi stanno.
Dovete stare lì come la vedova del Vangelo, che insiste, insiste, facendo perdere la pazienza perché facciano giustizia.
È una tattica che ci ha insegnato Gesù.
Sicuramente troverete altre tattiche, ma sempre all’interno della non-violenza, per favore lavorate sempre per la pace.
La guerra è un crimine.
E ora vorrei soffermarmi — manca poco —, vorrei soffermarmi su due temi finali che rendono comune il compito tra la Chiesa e i Movimenti Popolari.
Sono temi che mi preoccupano molto.
Primo: il narcotraffico, la prostituzione infantile, la tratta di persone, la violenza brutale nei quartieri e tutte le forme di criminalità organizzata crescono, stanno crescendo.
Sto pensando a una donna argentina coraggiosa, la Peressutti, che è stata messa in carcere perché ha denunciato tutte queste cose.
Stanno crescendo, crescono sulla terra arata dalla miseria e dall’esclusione che, in definitiva, sono le condizioni che le rendono possibili.
Crescono quando non c’è integrazione socio-urbana e si lasciano emarginati i quartieri dei poveri, senza acqua, fogne, luce, riscaldamento, marciapiedi, parchi, centri comunitari, club e parrocchie.
Non c’è nulla di tutto ciò.
Crescono quando nelle zone rurali non c’è un’adeguata distribuzione della terra, un ordinamento territoriale equilibrato, un sostegno costante all’agricoltura familiare e il rispetto per la famiglia rurale che finisce col sottomettersi a poteri criminali.
Bisogna attaccare le cause strutturali, ma nel frattempo dobbiamo affrontare questo.
Le due cose allo stesso tempo.
So che non siete poliziotti, so che non potete affrontare direttamente le bande criminali come fanno tanti bravi poliziotti, ma vi chiedo, per favore, di affrontarle indirettamente: il lavoro di base che realizzate voi e tante persone della Chiesa è molto spesso l’ultima barriera di contenimento.
Continuate a combattere l’economia criminale con l’economia popolare.
Non so se sia lecito parlare di “economia popolare”.
Credo di sì.
E se è una cosa che nessuno capisce, mettetela in atto affinché la capiscano.
Non cedete, per favore.
So che chiedo una cosa difficile ma è davvero necessario.
Nessuna persona, soprattutto nessun bambino, può essere una merce di consumo in mano ai trafficanti della morte, gli stessi che poi sbiancano il loro denaro insanguinato e cenano con signori rispettabili nei migliori ristoranti.
E quando parlo dei bambini, parlo anche degli anziani.
Ossia, la cultura umana di un popolo si vede da come si prende cura dei suoi bambini e di come si prende cura dei suoi anziani.
Se manda i suoi anziani al “deposito geriatrico” o li lascia morire di dolore da soli, quel popolo non ha una cultura umana.
Se non accoglie i bambini, se non se ne prende cura, se non li fa crescere, quel popolo non ha futuro.
Non vi dimenticate di questo: la cultura, i bambini e gli anziani, prendetevi cura dei bambini e degli anziani.
Una volta ho letto, non ricordo dove, una dichiarazione dei diritti dei bambini e una dichiarazione degli anziani, inseriti nella Costituzione di un Paese.
Dopo sono venuti altri e li hanno tolti, come a dire: “Il nostro Paese, costituzionalmente, non si preoccupa dei bambini e degli anziani”.
Un messaggio bello pesante.
Voglio anche parlarvi di altre situazioni distruttive che si infiltrano nei settori più poveri ma che riguardano tutte le classi sociali: le scommesse online e l’uso improprio delle reti.
Mi mette tanta tristezza vedere che alcune partite di calcio e le stelle dello sport promuovono piattaforme di scommesse.
Questo non è un gioco, è una dipendenza.
È mettere la mano nelle tasche della gente, soprattutto dei lavoratori e dei poveri.
Mi hanno raccontato che in una città che conosco bene il fenomeno si è diffuso e le signore pensionate vanno a prendere la pensione e poi vanno subito a giocare.
È una cosa tremenda.
E questo distrugge intere famiglie.
State attenti e fate attenzione agli altri.
Raccontate a tutti quello che avete raccontato a me, e parlate delle malattie mentali, della disperazione e dei suicidi che avvengono in ogni casa quando con il cellulare c’è una sala da giochi.
È una delle cose negative che porta la tecnologia che, d’altra parte, fa tanto bene.
La tecnologia fa bene, ma porta anche queste cose.
Bisogna trovare un equilibrio qui, non può essere lasciato alla logica del profitto.
Agli imprenditori della tecnologia informatica, delle piattaforme digitali, delle reti sociali, dell’intelligenza artificiale, chiedo: mettete da parte l’arroganza di credere di stare al di sopra della legge.
Siate rispettosi dei Paesi nei quali operate e siate anche responsabili di ciò che accade nelle piattaforme che controllate.
Voi avete l’obbligo di evitare la propagazione dell’odio — è una delle missioni dell’operatore sociale — la propagazione dell’odio, della violenza, delle fake news — le fake news che governano tanto — della polarizzazione estrema e del razzismo.
Avete anche l’obbligo di evitare che le reti vengano usate per disseminare la ludopatia, la pornografia infantile o agevolare la criminalità organizzata.
Non potete saccheggiare a vostro esclusivo beneficio i dati che forniscono i cittadini o che creano gli enti pubblici, senza restituire qualcosa ai popoli.
Per favore, non credetevi superiori a nessuno, e un piccolo consiglio: pagate le tasse.
È molto importante.
Non mi ricordo di avere mai sentito: “Mi accuso di non pagare le tasse”.
Piuttosto, sono maestri nel fare imbrogli.
Quante volte in un ristorante o in un supermercato vai a pagare e ti dicono: “Vuole la ricevuta o no?”.
Ogni fortuna è il prodotto del lavoro di molte persone e di molte generazioni, è il prodotto di investimenti pubblici in conoscenze scientifiche e dello sviluppo statale delle infrastrutture.
Tutte le “meraviglie” che oggi abbiamo sono in parte frutto dell’ingegno imprenditoriale, ma anche della più umile madre di famiglia che ha cresciuto i figli dei suoi operai.
Per questo, oltre che necessario, è giusto che vengano distribuiti i frutti di tanta fatica intergenerazionale e collettiva tra tutti i membri della società.
Questa è compassione, perché non si spiega senza amore, ma è anche pura giustizia.
Per concludere, care sorelle, cari fratelli: tutti siamo cambiati in questi anni, alcuni sono più maturi, altri siamo più vecchi.
Vi confesso, una cosa a cui penso molto, ultimamente, forse per l’età.
Come vorrei che le nuove generazioni trovassero un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto noi! Forse invece potrei dirvi che i nostri posteri ne riceveranno uno peggiore: non è pessimismo, un mondo insanguinato da guerre, violenza, ferito da una crescente disuguaglianza, devastato dalla spoliazione della natura, alienato da stili disumanizzati, di comunicazione, completamente disinformato da forme interessate di gestione dell’informazione, senza paradigmi politici, sociali ed economici che segnino il cammino, con poche utopie ed enormi minacce.
Se non siete d’accordo, discutetene e correggetemi.
È questo quello che sento.
In un simile contesto, d’altra parte mi dà speranza vedere che voi sostenete le bandiere di “terra, tetto e lavoro” (tierra, techo y trabajo).
Le tre “t”.
Vi ringrazio per questo.
Anche di fronte a tutta questa massa di pessimismo, credo ancora nel lievito, che ha più forza.
Se voi sarete lievito, le cose cambieranno.
So anche che avete cambiato la composizione del comitato dell’Incontro, che avete passato il testimone ad altri dirigenti più giovani.
Anche questo mi piace.
Per favore, non cadete nel vizio dell’accumulazione.
Non cadete nell’errore di accaparrare spazi e aggrapparvi a essi.
Promuovete sempre processi, processi che si rinnovino continuamente.
Creatori di processi.
Il tempo non tradisce mai quando siamo consapevoli che il cammino non inizia né finisce con noi.
Come diceva quella vecchia: “Né con me né senza di me”.
Il nostro cammino continua sognando e lavorando insieme affinché i lavoratori abbiano diritti, tutte le famiglie un tetto, tutti i contadini una terra, tutti i bambini un’educazione, tutti i giovani un futuro, tutti gli anziani una buona pensione, tutte le donne parità di diritti, tutti i popoli sovranità, tutti gli indigeni un territorio, tutti i migranti accoglienza, tutte le etnie rispetto, tutti i credi libertà, tutte le regioni pace, tutti gli ecosistemi tutela.
È un cammino permanente, ci saranno progressi e regressi, ci saranno errori e successi, ma non abbiate dubbi: è il cammino giusto.
E se un giorno vi state annoiando e volete confrontarvi, confrontatevi con il sorriso di un neonato, di un bambino o con il sorriso furbetto di un vecchietto o una vecchietta: sarà questa la vostra pietra di paragone.
Vi parlo dal cuore: prego per voi, prego insieme a voi, e chiedo al Padre Nostro di proteggervi e di benedirvi, di colmarvi del Suo amore e di guidarvi nel vostro cammino, concedendovi generosamente quella forza che ci sostiene, quella forza che è la speranza.
La speranza non delude, è la virtù più debole, è la più debole ma non delude.
Quella speranza che non delude.
Non stanchiamoci di dire: nessuna persona senza dignità! Nessuna persona senza speranza!
E, per favore, pregate per me.
Anch’io ne ho bisogno.
Sono peccatore.
E se qualcuno di voi non può pregare, lo rispetto, almeno mi mandi energia positiva, per favore.
Grazie.
________________________________
L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXIV n.
215, 24 settembre 2024.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Saluto di cuore tutti voi, membri del Movimento internazionale di studenti cattolici Pax Romana, insieme ai vostri amici e famigliari, e vi ringrazio per la vostra visita.
Apprezzo il vostro impegno a promuovere la giustizia sociale e lo sviluppo umano integrale, ispirato dalla fede cattolica e dalla sua visione di un mondo sempre più conforme al disegno d’amore per la famiglia umana.
Seguendo le riflessioni del Sinodo sui giovani del 2018, ho incoraggiato i giovani ad essere in particolar modo «protagonisti della rivoluzione della carità e del servizio» (Esort.
ap.
postsin.
Christus vivit, 174).
La vostra presenza, la vostra attività – in contesti accademici, negli ambienti di lavoro o per le strade delle città – persegue questo fine operando per costruire un mondo più compassionevole, armonioso e fraterno.
Penso, ad esempio, all’opera di educazione e di formazione condotta dai vostri centri in Francia, Thailandia e Kenya, basata sulla testimonianza del Vangelo e sulla dottrina sociale della Chiesa.
Promuovendo un senso di cittadinanza globale e incoraggiando l’azione a livello locale, il vostro Movimento prepara i giovani ad approfondire la comprensione delle più urgenti questioni sociali del nostro tempo, e li abilita a promuovere cambiamenti efficaci nelle proprie comunità, servendo così da lievito evangelico.
In questi giorni, mentre procediamo nell’attuale Sinodo sulla sinodalità, vorrei incoraggiarvi, come singoli e tutti insieme, a coinvolgervi nel percorso sinodale della Chiesa, fatto di cammino condiviso, di ascolto, di partecipazione e di impegno in un dialogo aperto al discernimento, e così pure ad essere attenti alla dolce voce dello Spirito Santo.
Vi incoraggio inoltre ad accogliere la prossima celebrazione dell’Anno Santo 2025 come speciale occasione di rinnovamento personale e di arricchimento spirituale in unione con tutta la Chiesa.
L’eloquente simbolo della Porta Santa attraversata dai fedeli a Roma, ci ricorda che noi siamo tutti pellegrini, tutti in cammino, chiamati insieme a un’unione più profonda col Signore Gesù e alla disponibilità alla forza della sua grazia, che trasforma la nostra vita e il mondo in cui viviamo.
Cari giovani amici, spero che la vostra presenza a Roma e il nostro incontro di oggi siano fonte di rinnovata ispirazione per il vostro impegno a «lavorare per lo sviluppo della pace, dell’armonia, della giustizia, dei diritti umani e della misericordia, e così per la propagazione del regno di Dio in questo mondo» (Christus vivit, 168).
Affidandovi tutti all’intercessione di Maria, Regina della Pace, e del beato Pier Giorgio Frassati, che spero di annoverare tra i santi nel prossimo Anno Santo, vi benedico di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me.
Grazie!
Presidente, Eminenza,
Eccellenze,
illustri signore e signori,
Cari amici,
Porgo un caloroso benvenuto a tutti voi, partecipanti alla Conferenza sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie, che state celebrando in questi giorni.
Il tema che state trattando in questa convenzione è orientato alla mitigazione delle organizzazioni criminali attraverso il recupero del bene comune.
Dinanzi alla ferita che implica per la società la criminalità organizzata transnazionale, non resta altro che avere la volontà politica di affrontare un problema mondiale con una reazione mondiale, come ha indicato l’allora Segretario generale dell’onu, il signor Kofi Annan, nella prefazione alla Convenzione di Palermo e ai suoi protocolli.
La criminalità organizzata, che si profila come un gruppo strutturato che si stabilizza nel tempo e agisce in modo congiunto per commettere reati al fine di ottenere un beneficio materiale o economico, ha carattere transazionale, abbraccia tutti i grandi traffici.
La lotta contro di essa è una delle sfide più importanti per la comunità internazionale poiché rappresenta, insieme al terrorismo, la minaccia non militare più rilevante contro la sicurezza di ogni nazione e la stabilità economica internazionale.
In uno scenario in cui la criminalità non conosce confini statali né sovranità nazionali, esiste oggi un consenso internazionale sul fatto che gli Stati, attraverso le loro istituzioni, non solo devono indagare e giudicare il crimine organizzato, ma anche collaborare tra loro per identificare i suoi beni e recuperarli, al fine di rendere impossibile la prosecuzione delle sue attività criminose.
Ma occorre tener presente che il recupero dei beni non deve esaurirsi in questo obiettivo di politica criminale, ma deve essere ispirato alla riparazione e alla ricostruzione del bene comune, quello che la Costituzione conciliare Gaudium et spes definisce «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione» (n.
26).
Il crimine organizzato, nella sua brutalità, attenta al bene comune; attacca milioni di uomini e donne che hanno diritto a vivere la propria vita e a crescere i propri figli con dignità e liberi dalla fame e dal timore della violenza, dell’oppressione o dell’ingiustizia; inveisce contro i gruppi socialmente emarginati che sono particolarmente vulnerabili alle attività della criminalità organizzata.
Non è possibile né tollerabile dimenticare queste vittime perché solo pensando a loro si può comprendere il danno provocato dal crimine organizzato, e solo comprendendo tale danno si può discernere come assistere, proteggere e riparare, aspetti essenziali per risolvere conflitti e pacificare.
In tal senso, il modello italiano è un buon esempio di come i proventi del crimine possano essere destinati alla riparazione del danno causato alle vittime e alla società; di come possano servire alla ricostruzione del bene comune e alla pacificazione.
Con la convinzione che sia indispensabile adottare un approccio integrato di lotta contro la delinquenza e rafforzare la cooperazione internazionale, vi invito a incentrare i colloqui di questi giorni sull’urgenza di recuperare il bene di tutte le persone, uomini e donne, il bene di ciascuno, dove tutti contano e nessuno è scartato, dove il progetto comune, al servizio della dignità umana, supera la somma individuale di ognuno.
Infine, mentre vi assicuro del mio ricordo nella preghiera e dei miei migliori auspici per il felice svolgimento del vostro convegno, vi incoraggio a condividere le vostre esperienze e riflessioni, ma senza perdere di vista le vittime e la comunità, orientandovi all’azione e intendendo il diritto e la giustizia come una pratica che ha come scopo la costruzione di un mondo migliore.
E con questi sentimenti, vi confermo le mie preghiere per voi e per le vostre famiglie, vi benedico e vi chiedo, per favore, di pregare per me.
Dal Vaticano, 19 settembre 2024
Francesco
__________________________________
L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXIV n.
212, venerdì 20 settembre 2024 p.
12.
[Dialogo prima del discorso]
Santo Padre: Quante novizie avete?
Una religiosa: cinque.
Santo Padre: ¿De dónde? [Di dove?]
Una religiosa: Da diverse parti del mondo: Congo, Asia, Filippine, Sri Lanka, Colombia…
Santo Padre: E voi?
Un religioso: Nella congregazione siamo di diversi Paesi.
Vengono dalle isole, da Tonga, poi dalla Repubblica Democratica del Congo, pochi dall’America Latina.
Santo Padre: Avanti! Siete una bella delegazione!
Cari fratelli e sorelle,
Sono contento di accogliervi mentre state vivendo i rispettivi Capitoli Generali.
A ustedes, queridos religiosos y religiosas capitulares de la Congregación de los Sagrados Corazones de Jesús y María, les doy la bienvenida, y les recuerdo que la celebración de un capítulo general no responde a una lógica humana o a una necesidad institucional sino a una exigencia de la sequela Christi.
Este seguimiento siempre implica escuchar atentamente lo que el Espíritu Santo nos va sugiriendo para vivir con fidelidad la identidad y la misión propias de la Congregación.
Como los discípulos, están llamados a dar oídos a la voz de Jesús, a profundizar en su contemplación y a ser capaces de vivir y anunciar el amor de Dios encarnado en Él, de manera particular a través del servicio en favor de los más necesitados y de la oración eucarística y reparadora.
Sólo siguiendo a Cristo con fidelidad y docilidad, vuestras estructuras, así como la difusión del patrimonio espiritual e histórico de la Congregación, podrán gozar de una renovada primavera que hará resplandecer vuestro carisma en el momento actual de la historia de la humanidad.
El carisma es el estilo que una congregación tiene, el estilo evangélico; porque el Evangelio es inagotable, por eso da posibilidad a todos.
Que los sagrados Corazones de Jesús y de María los impulsen a encontrar formas siempre nuevas de testimonio ante los hermanos y de colaboración en la obra de Dios.
Los invito, pues, a una atenta escucha de la voluntad de Dios – que no es fácil –, a dar pasos decisivos en el seguimiento de Cristo, que no consiste sólo en aprender una doctrina, sino en asumir un modo de vivir.
Les aseguro mi cercanía ,mi oración para que puedan renovarse a través de un discernimiento inspirado y sostenido por los valores del Evangelio, se intensifique en sus corazones el deseo de vivir unidos a Jesús y de mantenerse fieles al carisma fundacional.
[Do il benvenuto a voi, cari religiosi e religiose capitolari della Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, e vi ricordo che la celebrazione di un capitolo generale non risponde a una logica umana o a un bisogno istituzionale, ma a un’esigenza della sequela Christi .
Questa sequela implica sempre ascoltare attentamente ciò che lo Spirito Santo ci suggerisce per vivere con fedeltà l’identità e la missione proprie della Congregazione.
Come i discepoli, siete chiamati a dare ascolto alla voce di Gesù, ad approfondire la contemplazione e a essere capaci di vivere e di annunciare l’amore di Dio incarnato in Lui, in modo particolare attraverso il servizio a favore dei più bisognosi, e attraverso la preghiera eucaristica e riparatrice.
Solo seguendo Cristo con fedeltà e docilità, le vostre strutture, come pure la diffusione del patrimonio spirituale e storico della Congregazione, potranno godere di una rinnovata primavera che farà risplendere il vostro carisma nel momento attuale della storia dell’umanità.
Il carisma è lo stile che una congregazione ha, lo stile evangelico, perché il Vangelo è inesauribile, per questo dà possibilità a tutti.
Che i sacri Cuori di Gesù e Maria vi spingano a trovare forme sempre nuove di testimonianza di fronte ai fratelli e di collaborazione nell’opera di Dio.
Vi invito, quindi, a un attento ascolto della volontà di Dio — il che non è facile —, a compiere passi decisivi nella sequela di Cristo, che non consiste solo nell’apprendere una dottrina, ma anche nel fare proprio uno stile di vita. Vi assicuro della mia vicinanza, della mia preghiera affinché possiate rinnovarvi attraverso un discernimento ispirato e sostenuto dai valori del Vangelo e affinché s’intensifichi nei vostri cuori il desiderio di vivere uniti a Gesù e di restare fedeli al carisma fondazionale.]
Rivolgo il mio saluto anche a voi, Suore del Divino Salvatore, che celebrate il Capitolo Generale con un tema impegnativo: «Camminare insieme, riaccendere il dono dello Spirito tra di noi per annunciare il Vangelo e infiammare tutte le persone».
Quattro cose: camminare insieme - non contro -, riaccendere il dono dello Spirito tra noi, annunciare il Vangelo e infiammare tutte le persone.
Esso si richiama al fondamento del vostro carisma: la preghiera accorata che Gesù rivolge al Padre durante l’Ultima Cena, per la salvezza di tutti gli uomini: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3).
Ed è proprio lì, nel Cenacolo, che vi invito a fermarvi a lungo in preghiera, soprattutto in questi giorni del Capitolo.
Lì infatti si alimenta il fuoco dello Spirito, e da lì si riparte per infiammare nel suo amore il mondo intero, prestando servizio ai bisognosi e ridonando speranza agli sfiduciati (cfr Bolla Spes non confundit, 3).
Questa è l’eredità che vi hanno lasciato il Beato Francesco Maria della Croce e la Beata Maria degli Angeli, che vi hanno voluto come “congregazione missionaria universale”.
Ce lo insegna Maria, “stella polare” della missione, che nel Vangelo parla poco, ascolta molto e custodisce nel cuore.
Sono atteggiamenti validi anche per noi: parlare poco – confrontarsi, aprirsi, ma non perdersi in chiacchiere inutili (il chiacchiericcio è una peste!) –, ascoltare molto – nella preghiera, nel silenzio, nell’attenzione agli altri.
A volte non sappiamo ascoltare: l’altro parla e a metà del discorso rispondiamo.
No, ascolta tutto, fino alla fine.
Ascolta anche il Signore! Ascoltare e custodire nel cuore, per essere apostoli della speranza, nel mondo che oggi ne ha tanto bisogno.
E in proposito vorrei concludere ricordando un tratto caratteristico della Madonna: lei non mostra mai sé stessa – è interessante questo – ma sempre Gesù (cfr Catechesi, 4 gennaio 2023).
“Fate quello che Lui vi dirà”: questo è la Madonna, indica Gesù, sempre, mai sé stessa.
“Guardate me che sono immacolata…”, mai lo dice la Madonna.
Sempre indica Gesù.
Dobbiamo imparare questo: mostrare agli altri Gesù, non noi stessi, perché per tutti, oggi e sempre, la nostra speranza è nel Signore, è in Lui (cfr Eb 10,23).
Care sorelle, cari fratelli, vi ringrazio della vostra visita e invoco la luce e la forza dello Spirito Santo per il vostro lavoro di questi giorni e per il cammino futuro delle vostre comunità.
Vi benedico di cuore.
E per favore pregate per me.
Ma pregate a favore, non contro! Grazie.
_________________________
Traduzione dallo spagnolo da L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXIV n.
212, giovedì 19 settembre 2024 p.
11.
Cari fratelli e sorelle,
Vi do il benvenuto con le parole di San Paolo: «Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Rm 1,7).
Saluto il Cardinale Kurt Koch, Prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e vi ringrazio per le parole che mi avete indirizzato.
Voi qui rappresentate diverse realtà e comunità: anzitutto le Confessioni cristiane a cui appartenete, poi Associazioni e Movimenti laicali, infine i vari ambiti di azione in cui operate, come quello politico, quello di preparazione del prossimo Secondo millennio della Redenzione – nel 2033 – e altre iniziative analoghe.
Il gruppo Pasqua Together, in tutti questi campi, porta avanti progetti comuni.
Mi congratulo con voi e vi incoraggio a continuare, in particolare perché ciò esprime il desiderio di non lasciar passare invano l’importante occasione che il 2025 ci offre.
L’anno prossimo, infatti – che per la Chiesa Cattolica sarà Giubileo ordinario –, la celebrazione della Pasqua, a motivo della coincidenza dei calendari, sarà comune per tutti i cristiani.
È un segno importante, a cui si aggiunge la ricorrenza dei 1700 anni dalla celebrazione del primo Concilio Ecumenico, quello di Nicea, che, oltre a promulgare il Simbolo della fede, trattò anche il tema della data della Pasqua, a causa delle differenti tradizioni esistenti già a quel tempo.
In più di un’occasione mi è stato rivolto l’appello a cercare una soluzione a tale questione, affinché la celebrazione comune del giorno della Risurrezione non sia più un’eccezione, ma diventi la normalità.
Incoraggio pertanto chi si sta impegnando in questo cammino a perseverare, e a fare ogni sforzo nella ricerca di una comunione possibile, evitando tutto ciò che può invece portare a ulteriori divisioni tra i fratelli.
Soprattutto, però, mi preme affidare a tutti un pensiero, che ci rimanda al cuore della tematica: la Pasqua non accade per nostra iniziativa o per un calendario o un altro: l’evento Pasquale è avvenuto perché Dio «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Non dimentichiamo il primato di Dio, il suo primerear, il suo aver fatto il primo passo.
Non chiudiamoci nei nostri schemi, nei nostri progetti, nei nostri calendari, nella “nostra” Pasqua.
La Pasqua è di Cristo! E a noi fa bene chiedere la grazia di essere sempre più suoi discepoli, lasciando che sia Lui a indicarci il cammino da seguire e accettando con umiltà l’invito, fatto un giorno già a Pietro, a metterci sulle sue orme, e a non pensare secondo gli uomini, ma secondo Dio (cfr Mc 8,33).
Cerchiamo pertanto di riflettere, condividere e progettare insieme, tenendo Lui davanti a noi, grati per la chiamata che ci ha rivolto e desiderosi di diventare, nell’unità, suoi testimoni, perché il mondo creda (cfr Gv 17,21).
Abbiamo bisogno di camminare insieme, e per farlo ci aiuterà ripartire, come gli Apostoli, da Gerusalemme, luogo dal quale l’annuncio stesso della Risurrezione si è diffuso nel mondo.
E lì torniamo anche a pregare il Principe della Pace perché ci doni, oggi, la sua pace.
Cari fratelli e sorelle, il Signore vi benedica e vi ricompensi per quello che fate.
Vi ringrazio per questo incontro e prego per voi.
E anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
Cari fratelli, padre Baggio,
e tutti voi collaboratori del Centro di Alta Formazione Laudato si’!
Vi ringrazio per l’impegno con cui vi siete coinvolti in questo nuovo progetto.
E colgo questa occasione per ricordare insieme, con gratitudine, il cammino compiuto fin qui.
Per rendere visibile e concreta la volontà di promuovere la conversione ecologica, ho pensato di realizzare un modello tangibile di pensiero, di struttura e di azione, che ho denominato Borgo Laudato si’.
E ho ritenuto che le attinenze e le dipendenze delle Ville di Castel Gandolfo fossero lo spazio adatto ad ospitare questa sorta di “laboratorio”, dove sperimentare i contenuti formativi.
A tale scopo, all’inizio del 2023 ho costituito il Centro di Alta Formazione Laudato si’, quale organismo scientifico, educativo e di attività sociale.
Esso è dotato di propria autonomia patrimoniale, tecnica, amministrativa e contabile, e opera per la formazione integrale della persona nell’ambito dell’economia sostenibile e secondo i principi dell’Enciclica Laudato si’.
Nei mesi successivi alla sua costituzione, il Centro di Alta Formazione si è messo all’opera per sviluppare il progetto del “Borgo”.
Coadiuvato da esperti nazionali e internazionali di altissimo livello, il Centro ha delineato le tre direttrici principali del progetto: l’educazione inclusiva all’ecologia integrale, l’economia circolare e generativa e la sostenibilità ambientale.
Dopo mesi di lavoro intenso, il Direttivo del Centro di Alta Formazione mi ha presentato il risultato: si tratta di un progetto complesso e poliedrico, che interessa vari aspetti dell’ecologia integrale.
Uno degli elementi essenziali è senza dubbio l’agricoltura, che nel Borgo Laudato si’ vuole distinguersi per sostenibilità e diversificazione, investendo in infrastrutture, sistemi di irrigazione e sviluppo di tecniche agricole rispettosi dell’ecosistema e della biodiversità.
Nel progetto agricolo del Borgo ha trovato posto lo sviluppo di una nuova vigna per la produzione di vino.
Essa vuole porsi come una sintesi di tradizione e innovazione, come si dice un “marchio di fabbrica” del Borgo.
Anche in questo, il Centro di Alta Formazione si è avvalso della consulenza di alcuni tra i maggiori esperti, perché l’intenzione è quella di puntare all’eccellenza.
È molto importante non rimanere nella “media”, perché dalla media si va alla mediocrità.
Sempre puntare all’eccellenza.
Mi sono particolarmente rallegrato del fatto che, tanto per la coltivazione quanto per la produzione agricola - e in particolare della vigna -, è previsto un ingente impiego di manodopera.
Questo risponde all’intenzione concordata all’inizio di impegnarsi per il ripristino delle relazioni buone e feconde tra la famiglia umana e il creato, attraverso un lavoro che si prende cura e custodisce quanto affidatoci dal Creatore.
Cari amici, voglio esprimere il mio ringraziamento a tutti voi che, in modi diversi, state collaborando a questo importante progetto.
Sono sicuro che il frutto di questa collaborazione saprà ben rappresentare quei principi dell’ecologia integrale che ho voluto evidenziare nell’Enciclica Laudato si’ e nell’Esortazione apostolica Laudate Deum.
Andate avanti! Vi benedico di cuore, voi e il vostro lavoro.
E non dimenticatevi di pregare per me.
A favore!
Maestà,
Stimati partecipanti a questo evento,
Sono lieto di poter rispondere alla richiesta del signor Enrique Gil Botero, Segretario Generale della Conferenza dei Ministri della Giustizia dei Paesi Iberoamericani, e del signor José Ángel Martínez Sánchez, Presidente del Consiglio Generale del Notariato Spagnolo, di unirmi a questa presentazione del libro Pasado, Presente y Futuro de la Justicia Transicional: La experiencia latinoamericana en la construcción de la paz mundial.
Il Diccionario panhispánico de español jurídico definisce, nella sua prima accezione, la giustizia transizionale come «insieme di misure giuridiche e politiche adottate dopo una situazione di conflitto o repressione in cui si sono verificate violazioni di massa dei diritti umani, al fine di promuovere la riconciliazione e la democrazia; include azioni penali, commissioni per la verità, programmi di riparazione e riforme istituzionali».
Imparare dal passato e riesaminare le esperienze molto spesso dolorose ci invitano a dare risposte coerenti e significative alle sfide attuali e a cercare meccanismi che consolidino i progressi lungo i cammini di pace, libertà e giustizia.
In questa ottica, e per non alludere a casi attuali, voglio menzionare un fatto accaduto nei primi viaggi di Colombo in America.
Mi riferisco alla notizia giunta a Isabella di Castiglia riguardante la vendita di indigeni come schiavi.
Se seguiamo la definizione sopracitata, abbiamo una situazione di conflitto e repressione dove si è verificata una violazione di massa dei diritti umani e, immediatamente, un insieme di misure adottate dalla Corona, che saranno il germe delle nostre moderne dichiarazioni dei diritti dell’uomo.
Faccio questo esempio, che in realtà solo analogamente può essere confrontato con le situazioni attuali, per ricavarne una serie di insegnamenti.
Primo, la storia non torna indietro, sia nel nostro caso, sia nelle storie dolorose di molti Paesi, dobbiamo costruire a partire da queste situazioni, senza illuderci che tutto tornerà come prima.
L’America e l’Europa erano destinate a incontrarsi.
Pertanto, questo tipo di eventi, anche se concepiti come dure crisi, devono produrre un frutto, ed è nostra responsabilità, come esseri umani, che ciò accada.
È vero che ci sono situazioni in cui la violenza sembra non avere alcuna giustificazione, ma, che si tratti di rivoluzione, di cambiamenti di regime, di invasioni, non possiamo semplicemente lamentarci, cosa giusta ma inutile — “non dovrebbe essere così” —, ma affrontare queste sfide in modo compiuto, perché l’unità è superiore al conflitto (cfr.
Esortazione apostolica Evangelii gaudium n.
227).
La seconda lezione è la risposta immediata.
La forza del diritto, rappresentata nella regina Isabella, non solo in quanto autorità politica di una delle parti, ma anche in quanto coscienza morale di chi sapeva che doveva rendere conto a Dio delle proprie azioni, impone soluzioni coraggiose, innovative e ferme, che vanno al cuore della verità dell’uomo, della sua dignità, senza concessioni; riparative — liberando persino a proprie spese gli schiavi — e di riforma istituzionale — proibendo la schiavitù ed esigendo in modo proattivo e integrale il rispetto dei diritti fondamentali delle vittime.
La terza lezione, forse è la più difficile, ma non per questo priva di speranza: l’applicazione effettiva e concreta di tali disposizioni non sarà sempre facile né sarà motivata da uno spirito tanto elevato.
Per quanto Isabella, sulla carta, abbia compiuto un passo da gigante nelle relazioni tra i due popoli che erano destinati a incontrarsi, e abbia offerto in modo generoso, sebbene unilaterale, tutto ciò che dalla sua posizione poteva offrire ai nuovi popoli incontrati per creare spazi di integrazione, le tensioni sono sempre esistite.
Ma questa realtà ci insegna anche che un trattato, una firma, una legge, possono restare lettera morta se non si prevedono i mezzi affinché, con serietà, buonsenso e pazienza, non solo il testo, ma anche lo spirito che li anima, penetrino in coloro ai quali è rivolta.
Maestà, cari amici,
Il fatto che lo spirito delle leggi delle Indie si sia conservato, illuminando e ispirando la difesa della dignità umana e la concezione integrale della persona che ne deriva, costituisce per noi uno sprone all’impegno per la giustizia e il diritto, nonostante le difficoltà.
Spero che questa evocazione del passato vi possa servire.
Siate coraggiosi e decisi, e affidatevi molto a Dio — come sicuramente vi consiglierebbe Isabella —, per attuare la giustizia, per aprire cammini di comprensione e fratellanza, per creare nuovi spazi di integrazione, per costruire questa bella terra che non è un’utopia ma una responsabilità.
Che Dio vi benedica abbondantemente, e voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
Fraternamente,
Roma, San Giovanni in Laterano, 22 agosto 2024
Francesco
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L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXIV n.
213, 21 settembre 2024.
Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.
Catechesi. Il viaggio apostolico in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi parlerò del viaggio apostolico che ho compiuto in Asia e Oceania.
Si chiama viaggio apostolico perché non è un viaggio di turismo, è un viaggio per portare la Parola del Signore, per far conoscere il Signore, anche per conoscere l’anima dei popoli.
E questo è molto bello.
È stato Paolo VI, nel 1970, il primo Papa a volare incontro al sole nascente, visitando a lungo Filippine e Australia ma sostando anche in diversi Paesi asiatici e nelle Isole Samoa.
E quello è stato un viaggio memorabile.
Perché il primo a uscire dal Vaticano è stato San Giovanni XXIII che è andato in treno ad Assisi; poi San Paolo VI ha fatto questo: un viaggio memorabile! Anche in questo ho cercato di seguire il suo esempio, ma, con addosso qualche anno più di lui, mi sono limitato a quattro Paesi: Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Orientale e Singapore.
Ringrazio il Signore, che mi ha concesso di fare da vecchio Papa quello che avrei voluto fare da giovane gesuita, perché io volevo andare in missione lì!
Una prima riflessione che viene spontanea dopo questo viaggio è che nel pensare alla Chiesa siamo ancora troppo eurocentrici, o, come si dice, “occidentali”.
Ma in realtà, la Chiesa è molto più grande, molto più grande di Roma e dell’Europa, molto più grande, e – mi permetto di dire – molto più viva, in quei Paesi.
L’ho sperimentato in maniera emozionante incontrando quelle Comunità, ascoltando le testimonianze di preti, suore, laici, specialmente catechisti – i catechisti sono coloro che portano avanti l’evangelizzazione –.
Chiese che non fanno proselitismo, ma che crescono per “attrazione”, come diceva saggiamente Benedetto XVI.
In Indonesia, i cristiani sono circa il 10%, e i cattolici il 3%, una minoranza.
Ma quella che ho incontrato è una Chiesa vivace, dinamica, capace di vivere e trasmettere il Vangelo in quel Paese che ha una cultura molto nobile, portata ad armonizzare le diversità, e nello stesso tempo conta la più numerosa presenza di musulmani al mondo.
In quel contesto, ho avuto conferma di come la compassione sia la strada su cui i cristiani possono e devono camminare per testimoniare Cristo Salvatore e nello stesso tempo incontrare le grandi tradizioni religiose e culturali.
Riguardo alla compassione, non dimentichiamo le tre caratteristiche del Signore: vicinanza, misericordia e compassione.
Dio è vicino, Dio è misericordioso e Dio è compassionevole.
Se un cristiano non ha compassione, non serve a niente.
“Fede, fraternità, compassione” è stato il motto della visita in Indonesia: su queste parole il Vangelo entra ogni giorno, nel concreto, nella vita di quel popolo, accogliendola e donandole la grazia di Gesù morto e risorto.
Queste parole sono come un ponte, come il sottopassaggio che collega la Cattedrale di Giacarta alla più grande Moschea dell’Asia.
Lì ho visto che la fraternità è il futuro, è la risposta all’anti-civiltà, alle trame diaboliche dell’odio e della guerra, anche del settarismo.
C’è la fratellanza, la fraternità.
La bellezza di una Chiesa missionaria, in uscita, l’ho ritrovata in Papua Nuova Guinea, arcipelago proteso verso l’immensità dell’Oceano Pacifico.
Là i diversi gruppi etnici parlano più di ottocento lingue: un ambiente ideale per lo Spirito Santo, che ama far risuonare il messaggio dell’Amore nella sin-fonia dei linguaggi.
Non è uniformità, quello che fa lo Spirito Santo, è sinfonia, è armonia, Lui è il “patrono”, è il capo dell’armonia.
Là, in modo particolare, i protagonisti sono stati e sono tuttora i missionari e i catechisti.
Mi ha rallegrato il cuore poter stare un po’ con i missionari e i catechisti di oggi; e mi ha commosso ascoltare i canti e le musiche dei giovani: in loro ho visto un nuovo futuro, senza violenze tribali, senza dipendenze, senza colonialismi ideologici ed economici ; un futuro di fraternità e di cura del meraviglioso ambiente naturale.
Papua Nuova Guinea può essere un “laboratorio” di questo modello di sviluppo integrale, animato dal “lievito” del Vangelo.
Perché non c’è nuova umanità senza uomini nuovi e donne nuove, e questi li fa solo il Signore.
E vorrei anche menzionare la mia visita a Vanimo, dove i missionari sono tra la foresta e il mare.
Entrano nella foresta per andare a cercare le tribù più nascoste… Un bel ricordo, questo.
La forza di promozione umana e sociale del messaggio cristiano risalta in modo particolare nella storia di Timor Orientale.
Lì la Chiesa ha condiviso con tutto il popolo il processo di indipendenza, orientandolo sempre alla pace e alla riconciliazione.
Non si tratta di una ideologizzazione della fede, no, è la fede che si fa cultura e nello stesso tempo la illumina, la purifica, la eleva.
Per questo ho rilanciato il rapporto fecondo tra fede e cultura, su cui già aveva puntato nella sua visita San Giovanni Paolo II.
La fede va inculturata e le culture vanno evangelizzate.
Fede e cultura.
Ma soprattutto io sono stato colpito dalla bellezza di quel popolo: un popolo provato ma gioioso, un popolo saggio nella sofferenza.
Un popolo che non solo genera tanti bambini –c’era un mare di bambini, tanti! –, ma insegna loro a sorridere.
Non dimenticherò mai il sorriso dei bambini di quella patria, di quella regione.
Sorridono sempre i bambini lì, e ce ne sono tanti.
Insegna loro a sorridere, quel popolo, e questo è garanzia di futuro.
Insomma, a Timor Orientale ho visto la giovinezza della Chiesa: famiglie, bambini, giovani, tanti seminaristi e aspiranti alla vita consacrata.
Vorrei dire, senza esagerare, ho respirato “aria di primavera”!
Ultima tappa di questo viaggio è stata Singapore.
Un Paese molto diverso dagli altri tre: una città-Stato, modernissima, polo economico e finanziario dell’Asia e non solo.
Lì i cristiani sono una minoranza, ma formano comunque una Chiesa viva, impegnata a generare armonia e fraternità tra le diverse etnie, culture e religioni.
Anche nella ricca Singapore ci sono i “piccoli”, che seguono il Vangelo e diventano sale e luce, testimoni di una speranza più grande di quella che possono garantire i guadagni economici.
Vorrei ringraziare questi popoli che mi hanno accolto con tanto calore, con tanto amore.
Ringraziare i loro Governanti, che hanno aiutato tanto questa visita, perché si facesse con ordine, senza problemi.
Ringrazio tutti coloro che hanno collaborato a questo.
Rendo grazie a Dio per il dono di questo viaggio! E rinnovo la mia riconoscenza a tutti, a tutti costoro.
Dio benedica i popoli che ho incontrato e li guidi sulla via della pace e della fraternità! Un saluto a tutti!
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Saluti
Je salue cordialement les personnes et les divers groupes de langue française, en particulier la communauté tsigane et la Fédération Internationale des Universités Catholiques.
Que le Christ nous enseigne à emprunter quotidiennement le chemin de la compassion pour rejoindre nos frères de différentes cultures et religions et œuvrer à l’harmonie et à la fraternité en incarnant l’Evangile dans le concret de nos vies.
Que Dieu vous bénisse.
[Saluto cordialmente le persone e i vari gruppi di lingua francese, in particolare la comunità zingara e la Federazione Internazionale delle Università Cattoliche.
Cristo ci insegni a percorrere quotidianamente il cammino della compassione per raggiungere i nostri fratelli di diverse culture e religioni e operare per l'armonia e la fraternità incarnando il Vangelo nella concretezza delle nostre vite. Dio vi benedica.]
I greet all the English-speaking pilgrims and visitors, especially the groups from England, Ireland, the Netherlands, Norway, Cameroon, South Africa, India, Indonesia, Malaysia, the Philippines, Vietnam, Canada and the United States.
Upon all of you and your families I invoke the joy and the peace of our Lord Jesus.
God bless you!
[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia, Camerun, Sud Africa, India, Indonesia, Malaysia, Filippine, Vietnam, Canada e Stati Uniti.
Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo. Dio vi benedica!]
Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, während meiner letzten Reise habe ich erneut die Lebendigkeit der jungen Ortskirchen erfahren dürfen.
Lassen wir uns von ihrem Enthusiasmus für das Evangelium anstecken, um die Welt in Christus zu erneuern!
[Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, durante il mio ultimo viaggio ho sperimentato ancora una volta la vitalità delle giovani chiese locali.
Facciamoci contagiare dal loro entusiasmo per il Vangelo per rinnovare il mondo in Cristo!]
Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.
Agradezco al Señor por el don de la visita a Asia y Oceanía, así como a todas las personas que me han acompañado con sus oraciones.
También renuevo mi gratitud a las autoridades y a las Iglesias locales que me han acogido con tanto entusiasmo.
Que Jesús los bendiga, los guíe por caminos de paz y fraternidad, y la Virgen Santa los cuide.
Muchas gracias.
Caríssimos peregrinos de língua portuguesa, a todos vós dirijo uma cordial saudação.
Desejo que a vossa experiência em Roma seja uma ocasião para crescer ainda mais na fé e revigorar vossos passos no caminho do Evangelho.
Deus abençoe a vós todos e às vossas famílias!
[Carissimi pellegrini di lingua portoghese, rivolgo a tutti voi un cordiale saluto.
Auspico che la vostra esperienza a Roma sia un'occasione per crescere ancora di più nella fede e per rinvigorire i vostri passi nel cammino del Vangelo.
Dio benedica voi tutti e le vostre famiglie!]
أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.
وأُحَيِّيكُم بِشَكلٍ خَاصّ أَنتُم الفِتيانَ والشَّبابَ والطُّلابَ الَّذينَ عُدتُم إلى المدرسةِ في هذهِ الأيام.
لِيُساعِدْكُم الرَّبُّ يسوع لِتُحافِظُوا على الإيمان، وتَتَغَذَّوا بالعِلمِ مِن أجلِ مُستَقبَلٍ أَفضَل، فِيهِ تَنعَمُ البشريَّةُ بالسَّلامِ والأُخُوَّةِ والطُّمأنينَة.
باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!
[Saluto i fedeli di lingua araba.
In particolare, saluto voi ragazzi, giovani e studenti che in questi giorni state tornando a scuola.
Possa il Signore aiutarvi a preservare nella fede e a nutrirvi di scienza per un futuro migliore, in cui l’umanità possa godere di pace, fratellanza e tranquillità.
Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!]
Pozdrawiam serdecznie Polaków.
Podczas mojej podróży apostolskiej do Azji i Oceanii mogłem przekonać się, że prawdziwym bogactwem każdego narodu są jego dzieci.
Dzieci są bogactwem każdego narodu, także tutaj, w Europie.
Również wy, troszcząc się o wasze dzieci, przekazujcie im skarb wiary, wiedzę oraz ojczystą tradycję.
Czyńcie to w środowisku rodzinnym, parafialnym i w szkole.
Niech w tym ważnym zadaniu wspiera was św.
Stanisław Kostka, którego święto dziś obchodzicie.
Z serca wam błogosławię.
[Saluto cordialmente i polacchi.
Durante il mio viaggio apostolico in Asia e Oceania, ho potuto sperimentare che la vera ricchezza di ogni Nazione sono i suoi figli.
I figli sono una ricchezza di ogni Nazione, anche qui, in Europa.
Anche voi, avendo cura dei vostri figli, trasmettete loro il tesoro della fede, la scienza e la tradizione della vostra Patria.
Fatelo nell’ambiente familiare, parrocchiale e a scuola.
San Stanislao Kostka, di cui oggi celebrate la festa, vi sostenga in questo importante compito.
Vi benedico di cuore.]
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APPELLI
In questi giorni si sono abbattute sull’Europa Centro-Orientale forti piogge torrenziali provocando vittime, dispersi e ingenti danni.
In particolare Austria, Romania, Repubblica Ceca e Polonia devono far fronte ai tragici disagi provocati dalle inondazioni.
Assicuro a tutti la mia vicinanza, pregando specialmente per quanti hanno perso la vita e per i loro familiari.
Ringrazio e incoraggio le comunità cattoliche locali e gli altri organismi di volontariato per gli aiuti e il soccorso che stanno portando.
* * *
Sabato prossimo, 21 settembre, si celebra la Giornata Mondiale dell’Alzheimer.
Preghiamo affinché la scienza medica possa offrire presto prospettive di cura per questa malattia e perché si attivino sempre più opportuni interventi a sostegno dei malati e delle loro famiglie.
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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.
In particolare, saluto il Congresso degli Abati della Confederazione Benedettina e, mentre auguro buon lavoro al nuovo Abate Presidente – è giovane questo – eletto in questi giorni, incoraggio tutti ad impegnarsi con slancio caritativo e missionario a rendere sempre più attuale lo spirito benedettino nel mondo.
Saluto poi i Laici Carmelitani e li esorto a essere lievito del Vangelo, raggiungendo specialmente i più vulnerabili per divenire sempre segno di una Chiesa in uscita.
Il mio cordiale saluto va anche ai partecipanti al Congresso della Società Europea di Chirurgia cranio-maxillo-facciale; al gruppo del Palio di San Michele, di Bastia Umbra; ai militari provenienti dalle Marche, da Trani e da Roma-Cecchignola; alla parrocchia Santissimo Salvatore in Cava de’ Tirreni, auspicando che il soggiorno nella città eterna rafforzi in ciascuno l’impegno di solidarietà cristiana, nei diversi ambienti in cui operano.
Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli.
All’inizio di un nuovo anno scolastico invito voi, cari giovani, specialmente gli alunni dell’Istituto Cristo Re di Roma, a vivere l'impegno dello studio come opportunità di sviluppo dei talenti che il Signore vi ha affidato per il bene di tutti.
La Vergine Addolorata, che qualche giorno fa abbiamo ricordato nella liturgia, vi aiuti, cari ammalati e anziani a cogliere nella sofferenza e nelle difficoltà la chiamata a fare dell'esistenza una missione per la salvezza dei fratelli e sostenga voi, cari sposi novelli – sono tanti oggi –, ad accettare il lavoro e le croci quotidiane come occasioni di crescita e di purificazione del vostro amore.
E poi, cari fratelli e sorelle, preghiamo per la pace: non dimentichiamo che la guerra è una sconfitta.
Non dimentichiamo la Palestina, Israele, non dimentichiamo la martoriata Ucraina, il Myanmar e tanti posti dove ci sono guerre, guerre brutte.
Che il Signore dia a tutti un cuore che cerca la pace per sconfiggere la guerra che sempre è una sconfitta.
A tutti la mia benedizione!
Cari amici, cari giovani albanesi e del Mediterraneo,
è per me una gioia sapervi riuniti a Tirana, dieci anni dopo la mia visita nel vostro amato Paese nel 2014.
Non mi dimentico! Mi ricordo di quel viaggio in cui ho potuto incontrare il vostro popolo, un popolo dai molteplici volti ma unito dal coraggio.
Come dicevo allora ai giovani, «voi siete la nuova generazione dell’Albania» (Angelus, Tirana, 21 settembre 2014).
Aggiungo oggi, cari giovani delle cinque sponde del Mediterraneo: voi, la nuova generazione, siete l’avvenire della regione mediterranea.
Tutti siamo pellegrini della speranza, camminando alla ricerca della verità e vivendo la nostra fede costruendo la pace.
La pace va costruita! Dio ama tutti gli uomini e non fa distinzione tra noi.
La fraternità tra le cinque sponde del Mediterraneo che voi state costruendo è la risposta – la risposta! – la risposta migliore che possiamo offrire ai conflitti e alle indifferenze che uccidono.
Perché l’indifferenza uccide.
Imparate insieme a leggere i segni dei tempi.
Contemplate la diversità delle vostre tradizioni come una ricchezza, una ricchezza voluta da Dio.
L’unità non è uniformità, e la diversità delle nostre identità culturali e religiose è un dono di Dio.
Unità nella diversità.
Crescete nella stima reciproca, come testimoniano i vostri antenati.
Mettete al centro la voce di coloro che non sono ascoltati.
Penso ai più poveri, che soffrono l’essere considerati come un peso o un fastidio.
Penso a coloro che, spesso molto giovani, devono lasciare il loro Paese per un avvenire migliore.
Prendetevi cura di ciascuno.
Non si tratta di numeri ma di persone, e ogni persona è sacra; si tratta di volti, la cui dignità deve essere promossa e protetta.
Rinunciamo alla cultura della paura per aprire la porta dell’accoglienza e dell’amicizia.
Come un grande lago di Tiberiade affidato alle vostre cure, abitate le rive di questo grande bacino, che vi unisce: il Mediterraneo vi unisce, vi unisce come un bel giardino da coltivare.
Custodite lo spirito di servizio in ogni circostanza, prendete cura di ogni creatura affidata alle vostre mani.
Sappiate camminare sulle orme dei vostri martiri.
Il loro coraggio è una testimonianza viva che può ispirare il vostro impegno nel resistere a tutte le violenze che sfigurano la nostra umanità, come fece a soli ventidue anni la beata Maria Tuci.
Vi affido a Maria, la Madre del Buon Consiglio, che da sempre rivolge il Suo sguardo materno di amore e di dolore alle vicende della vostra terra.
Imparate dal Suo Cuore Immacolato ad essere infaticabili pellegrini della speranza e a seguire i segni di Dio, affinché il Mediterraneo ritrovi il suo volto più bello: quello della fraternità e della pace.
E che non sia più un cimitero.
Cari fratelli e sorelle, sono particolarmente lieto di rivolgere il mio saluto a tutti voi, rappresentanti delle Chiese e Comunità Cristiane e delle Grandi Religioni mondiali ed alle autorità presenti.
Ringrazio la Comunità di Sant’Egidio che, con passione e audace creatività, continua a tener vivo lo Spirito di Assisi.
Sono passati 38 anni dal lontano 1986 quando fu celebrato il primo incontro di preghiera per la Pace.
Molti eventi hanno segnato la storia del mondo da quel momento: il crollo del muro di Berlino, l’inizio del terzo millennio, la crescita di fondamentalismi e i numerosi conflitti che si sono abbattuti sul pianeta, assieme alle incredibili sfide del cambiamento climatico, dell’avvento delle tecnologie emergenti e convergenti e delle pandemie che hanno colpito l’umanità.
Siamo nel mezzo di un “cambiamento d’epoca” di cui non conosciamo ancora le prospettive.
Ogni anno, tuttavia, voi, rappresentanti delle grandi religioni mondiali e uomini e donne di buona volontà, vi siete fatti pellegrini nelle diverse città dell’Europa e del mondo, per tener vivo quello spirito.
Voi tutti rendete attuali le parole che il mio predecessore, San Giovanni Paolo II, pronunciò sulla spianata di Assisi, al termine di quella memorabile giornata: “Mai come ora nella storia dell'umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace...
insieme abbiamo riempito i nostri occhi di visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia o generate dalle moderne ideologie.
La pace attende i suoi artefici...” [1].
Lo Spirito di Assisi è una benedizione per il mondo, per questo nostro mondo che ancora oggi è lacerato da troppe guerre, da troppa violenza.
Questo “spirito” deve soffiare ancor più forte nelle vele del dialogo e dell’amicizia tra i popoli.
Quest’anno fate tappa a Parigi: questa sera siete raccolti davanti alla Cattedrale che, dopo il drammatico incendio, sta per riaprire le sue porte per la preghiera.
Abbiamo bisogno di pregare per la pace.
Il rischio che i numerosi conflitti invece di cessare si allarghino pericolosamente è più che concreto.
Faccio mio il vostro grido e quello dei tanti colpiti dalla guerra e lo rivolgo ai responsabili della politica: “Fermate la guerra! Fermate le guerre!” Stiamo già distruggendo il mondo! Fermiamoci finché siamo in tempo!
Questo incontro sproni tutti i credenti a riscoprire la vocazione per far crescere oggi la fraternità tra i popoli.
Troppe volte, in passato, le religioni sono state utilizzate per alimentare conflitti e guerre.
Un pericolo che è ancora oggi incombente.
Ripropongo a tutti la convinzione che mi ha unito con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb: “le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue.
Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini” [2].
Dobbiamo allontanare dalle religioni la tentazione di diventare strumento per alimentare nazionalismi, etnicismi, populismi.
Le guerre si inaspriscono.
Guai a chi cerca di trascinare Dio nel prendere parte alle guerre!
Compito urgente delle religioni è favorire visioni di pace, come state mostrando in questi giorni a Parigi.
Uomini e donne di cultura e di fede diverse avete sperimentato la forza e la bellezza della fraternità universale.
È questa la visione di cui ha bisogno il mondo, oggi.
Vi esorto a continuare: siate artigiani di pace.
Se in tanti continuano a fare la guerra, tutti possiamo lavorare per la pace.
Nell’Enciclica Fratelli tutti ho esortato i credenti a offrire il loro “prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società.
Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza.
Come hanno insegnato i Vescovi dell’India, “l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore”.
È in questo orizzonte che si staglia preziosa l’esortazione di questo incontro di Parigi: “Immaginare la pace”.
C’è bisogno di incontrarsi, di tessere legami fraterni e di lasciarsi guidare dall’ispirazione divina che abita ogni fede, per immaginare assieme la pace tra tutti i popoli.
Abbiamo bisogno di “spazi per dialogare e agire insieme per il bene comune e la promozione dei più poveri” [4].
Sì, in un mondo che rischia di frantumarsi nei conflitti e nelle guerre, il lavoro dei credenti è prezioso per mostrare visioni di pace e favorire ovunque nel mondo la fraternità e la pace tra i popoli.
Illustri rappresentanti delle Chiese e Comunità Cristiane e delle grandi Religioni mondiali, uomini e donne di buona volontà che partecipate a questo Incontro, oggi, ancor più che in passato, il grande compito della pace è affidato anche alle vostre mani.
Ci sono chieste saggezza, audacia, generosità e determinazione.
Dio ha consegnato anche nelle nostre mani il suo sogno sul mondo: ossia la fraternità tra tutti i popoli.
Nelle mie Encicliche Laudato sì e Fratelli tutti ho immaginato il futuro per questo nostro mondo: un’unica casa (il nostro pianeta) e un’unica famiglia (quella di tutti i popoli).
A noi tutti è affidata da Dio la responsabilità di esortare e spingere i popoli alla fraternità e alla pace.
Roma, San Giovanni in Laterano, 17 settembre 2024
FRANCESCO
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[1] Discorso di Giovanni Paolo II ai Rappresentanti delle Chiese Cristiane e Comunità Ecclesiali e delle Religioni Mondiali convenuti in Assisi, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986
[2] Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, Abu Dhabi (4 febbraio 2019): L’Osservatore Romano, 4-5 febbraio 2019, p.
6
[3] Fratelli tutti, n.
271
[4] Fratelli tutti, n.
282
Cari fratelli e sorelle, buona domenica!
Il Vangelo della Liturgia odierna ci racconta che Gesù, dopo aver chiesto ai discepoli cosa pensava la gente di Lui, domanda direttamente a loro: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mc 8,29).
Pietro risponde a nome di tutto il gruppo dicendo: «Tu sei il Cristo» (v.
30), cioè «tu sei il Messia».
Tuttavia, quando Gesù comincia a parlare della sofferenza e della morte che lo aspettano, lo stesso Pietro si oppone, e Gesù lo rimprovera duramente: «Va’ dietro a me, Satana! – gli dice Satana – Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (v.
33).
Guardando all’atteggiamento dell’apostolo Pietro, possiamo anche noi interrogarci su che cosa significa davvero conoscere Gesù.
Infatti, da una parte Pietro risponde in maniera perfetta, dicendo a Gesù che Egli è il Cristo.
Tuttavia, dietro a queste parole corrette c’è ancora un modo di pensare “secondo gli uomini”, una mentalità che immagina un Messia forte, un Messia vittorioso, che non può soffrire o morire.
Dunque, le parole con cui Pietro risponde sono “giuste”, ma il suo modo di pensare non è cambiato.
Egli deve ancora cambiare mentalità, egli deve ancora convertirsi.
E questo è un messaggio importante anche per noi.
Infatti, anche noi abbiamo imparato qualcosa su Dio, conosciamo la dottrina, recitiamo le preghiere in modo corretto e, magari, alla domanda “chi è per te Gesù?” rispondiamo bene, con qualche formula che abbiamo appreso al catechismo.
Ma siamo sicuri che questo significa conoscere davvero Gesù? In realtà, per conoscere il Signore non basta sapere qualcosa di Lui, ma occorre mettersi alla sua sequela, lasciarsi toccare e cambiare dal suo Vangelo.
Si tratta cioè di avere con Lui una relazione, un incontro.
Io posso conoscere tante cose su Gesù, ma se non l’ho incontrato, ancora non so chi è Gesù.
Ci vuole questo incontro che cambia la vita: cambia il modo di essere, cambia il modo di pensare, cambia le relazioni che hai con i fratelli, la disponibilità ad accogliere e a perdonare, cambia le scelte che fai nella vita.
Tutto cambia se davvero hai conosciuto Gesù! Tutto cambia.
Fratelli e sorelle, il teologo e pastore luterano Bonhoeffer, vittima del nazismo, ha scritto così: «Il problema che non mi lascia mai tranquillo è quello di sapere che cosa sia veramente per noi oggi il cristianesimo o anche chi sia Cristo» (Resistenza e Resa.
Lettere e scritti dal carcere, Cinisello Balsamo 1996, 348).
Purtroppo, tanti non si pongono più questa domanda e restano “tranquilli”, addormentati, anche lontano da Dio.
È importante invece chiederci: io mi lascio scomodare, mi domando chi è Gesù per me e che posto occupa nella mia vita? Su questa domanda nostra madre Maria, che conosceva bene Gesù.
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Dopo l’Angelus
Cari fratelli e sorelle!
Esprimo la mia vicinanza alle popolazioni del Vietnam e del Myanmar, che soffrono a causa delle inondazioni provocate da un violento tifone.
Prego per i defunti, per i feriti e gli sfollati.
Dio sostenga quanti hanno perso i loro cari e la loro casa, e benedica quanti stanno portando aiuto.
Ieri, a Città del Messico, è stato beatificato Moisés Lira Serafín, sacerdote, fondatore della Congregazione delle Missionarie della Carità di Maria Immacolata, morto nel 1950, dopo una vita spesa ad aiutare le persone a progredire nella fede e nell’amore del Signore.
Il suo zelo apostolico stimoli i sacerdoti a donarsi senza riserve per il bene spirituale del popolo santo di Dio.
Un applauso al nuovo Beato! Vedo lì le bandiere messicane…
Oggi in Italia si celebra la Giornata dei malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).
Assicuro un ricordo nella preghiera per loro e per i familiari; incoraggio il lavoro di ricerca su questa patologia e le associazioni di volontariato.
E non dimentichiamo le guerre che insanguinano il mondo.
Penso alla martoriata Ucraina, al Myanmar, penso al Medio Oriente.
Quante vittime innocenti! Penso alle mamme che hanno perso figli in guerra.
Quante giovani vite stroncate! Penso a Hersh Goldberg-Polin, trovato morto in settembre, insieme ad altri cinque ostaggi, a Gaza.
Nel novembre dell’anno scorso, avevo incontrato la madre, Rachel, che mi ha colpito per la sua umanità.
L’accompagno in questo momento.
Prego per le vittime e continuo ad essere vicino a tutte le famiglie degli ostaggi.
Cessi il conflitto in Palestina e Israele! Cessino le violenze, cessino gli odi! Si rilascino gli ostaggi, continuino i negoziati e si trovino soluzioni di pace.
Saluto tutti voi, romani e pellegrini d’Italia e di tanti Paesi.
In particolare, i fedeli della parrocchia Santa Edwige Regina in Radom (Polonia); il gruppo di sacerdoti gesuiti giunti a Roma per gli studi; gli studenti di Stade (Germania); e i partecipanti alla staffetta a piedi da Roma ad Assisi.
E saluto i ragazzi dell’Immacolata, che hanno avuto tre ordinazioni in questi giorni, complimenti!
Auguro a tutti buona domenica.
E per favore non dimenticatevi di pregare per me.
Buon pranzo e arrivederci!
Cari fratelli e sorelle, benvenuti!
Saluto il Preposito Generale e tutti voi.
Sono contento di incontrarvi, nel quinto centenario della professione solenne di San Gaetano da Thiene e dei suoi primi compagni, fatta qui, in questa Basilica, il 14 settembre 1524.
La storia dice che i Teatini hanno avuto qualcosa con i Gesuiti, io non ci credo! Andiamo avanti.
Era l’inizio del vostro Istituto religioso, nato per praticare e promuovere “la vita comune e il servizio di Dio verso i fratelli”, e per contribuire alla riforma della Chiesa attraverso la riforma di sé stessi, sul modello della prima comunità apostolica (cfr Mc 3,13-15).
Vi ringrazio, e vorrei incoraggiarvi a continuare a camminare in questa triplice direzione, nel rinnovamento, nella comunione e nel servizio.
E mi piace farlo prendendo spunto dal luogo in cui ci troviamo e dalle circostanze in cui i vostri Fondatori vi fecero la loro professione.
Primo: il rinnovamento.
I primi Teatini non hanno professato i Voti solenni in un edificio perfetto, completo, come lo vediamo oggi, ma praticamente in un grande “cantiere”.
Tale appariva la Basilica Vaticana nel 1524.
Da tempo infatti si era messo mano alla graduale demolizione dell’antico edificio costantiniano, non più adatto alle esigenze del popolo di Dio, per costruirne uno nuovo.
I lavori procedevano a rilento, i fondi erano scarsi e anche sui progetti non c’era piena chiarezza.
Eppure ci si è messi all’opera, perché la comunità cresceva e le strutture di prima non bastavano più.
Fratelli, questa è un’immagine che ci aiuta a riflettere sulla necessità, per restare fedeli alla nostra missione, di intraprendere cammini coraggiosi di rinnovamento.
È interessante: la fedeltà va rinnovata.
Non può darsi una fedeltà che non si rinnovi, rimanendo fondati sull’antico, sì, ma al tempo stesso pronti a demolire ciò che non serve più per costruire del nuovo (cfr Lc 5,36-39) docili allo Spirito e fiduciosi nella Provvidenza.
Questo è il rinnovamento.
La seconda cosa: la comunione.
Come sappiamo, in molti hanno lavorato a San Pietro: artisti famosi, abili artigiani e una moltitudine di operai e manovali, uomini e donne, impegnati nelle mansioni più umili, uniti nella stessa fatica per dar vita al nuovo edificio.
E anche questo è un segno importante: una casa accogliente, infatti, non si costruisce da soli, ma insieme, in comunità, valorizzando il contributo di tutti (cfr 1Cor 12,7-11).
Rinnovamento, comunione e, terzo punto, la “fabbrica”, cioè il servizio.
I progetti più belli non avrebbero portato a nulla se poi le persone, rimboccandosi le maniche, non si fossero messe al lavoro.
I buoni propositi rimangono sterili, se non ci si mette concretamente al servizio gli uni degli altri, con umiltà, buona volontà e spirito di sacrificio.
Ce lo ha mostrato san Gaetano, con le molte opere di carità che ha promosso, alcune vive fino ad oggi; ma prima di tutto ce lo ha insegnato Gesù, venuto non ad essere servito, ma a servire e dare la vita (cfr Mc 10,45).
Ed è molto significativo che il vostro Istituto sia nato proprio nella festività dell’Esaltazione della Santa Croce.
Cari fratelli e sorelle, quanto è bella questa Basilica! Poi però guardiamoci l’un l’altro e ricordiamoci che l’edificio in cui ci troviamo è solo un simbolo: la realtà siamo noi, personalmente e in comunità.
Cinquecento anni fa i vostri fondatori non hanno consacrato la loro vita a un cantiere di mattoni e di marmi, ma di pietre vive (cfr 1Pt 2,4-5); hanno consacrato la vita alla Chiesa con la “C” maiuscola, la Chiesa sposa di Cristo, popolo di Dio e corpo mistico del Signore (cfr Cost.
dogm.
Lumen gentium, 6-9).
È per il suo bene che ciascuno di loro ha speso sé stesso fino alla fine, dando vita a un’opera che, dopo secoli di fedeltà, oggi è affidata a voi.
Coraggio e avanti!
Perciò invito tutta la Famiglia Teatina ad abbracciare con gioia, nel Giubileo odierno, propositi di rinnovamento, di comunione e di servizio, sull’esempio di San Gaetano.
Grazie, grazie tante per il lavoro che fate.
Vi benedico e prego per voi! E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
Matteo Bruni
Eccoci.
Salve, Santità.
Grazie per questi giorni – molti giorni – di viaggio.
Grazie anche per averci fatto percepire di più la gioia della gente che la nostra stanchezza.
E adesso ci sono un po’ di domande da parte dei giornalisti che hanno viaggiato con Lei.
Le prime, come da tradizione.
Papa Francesco
Prima di tutto voglio ringraziare tutti voi per questo lavoro, per questa compagnia nel viaggio, che per me è molto importante.
Poi, io vorrei congratularmi con la “decana”, perché Valentina Alazraki fa il 160° viaggio, con questo! Io non le dirò che deve andare in pensione, ma che continui così!
Bene, adesso fate le domande.
E grazie tante!
Matteo Bruni
Bene.
La prima domanda è di una giornalista che viene da Singapore, Santità: Pei Ting Wong (The Streits Times).
Farà la domanda in inglese e la traduco per Lei.
Pei Ting Wong (The Streits Times)
Papa Francesco, sono felice che Lei stia bene e che stia tornando a Roma.
Spero che abbia apprezzato la visita a Singapore e anche il cibo locale.
Siamo freschi dell’esperienza di Singapore e possiamo partire da lì.
In generale, cosa ha valorizzato maggiormente di Singapore: la cultura, la gente? È stato sorpreso da quello che ha visto? E cosa può imparare Singapore dagli altri tre Paesi che abbiamo visitato, in modo specifico mi riferisco al Suo messaggio riguardo a un compenso equo ai lavoratori migranti a basso reddito: cosa ha ispirato questo messaggio, quale il pensiero all’origine? E l’altra domanda – mi scusi, ne ho un’altra –: Lei ha detto che Singapore ha un ruolo molto speciale da svolgere in ambito internazionale.
Cosa può fare Singapore in questo mondo di conflitti, e come il Vaticano, in quanto alleato diplomatico, può contribuire? Grazie.
Papa Francesco
Grazie a Lei.
Prima di tutto, io non mi aspettavo di trovare Singapore così.
Dicono che la chiamano la New York dell’Oriente: un Paese sviluppato, pulito, gente educata, la città con grattacieli grandi e anche una grande cultura interreligiosa.
L’incontro interreligioso che ho avuto alla fine è stato un modello, un modello di fratellanza.
Poi ho visto anche, già parlando dei migranti, i grattacieli per gli operai.
I grattacieli lussuosi e gli altri sono ben fatti e puliti, e questo mi è piaciuto tanto.
Io non ho sentito che ci sia una discriminazione, non ho sentito.
Mi ha colpito la cultura.
Con gli studenti, per esempio, l’ultimo giorno: sono rimasto colpito dalla cultura.
Il ruolo internazionale: ho visto che la prossima settimana c’è una “Formula Uno”, credo… Il ruolo internazionale è di una capitale che attira le culture e questo è importante.
È una grande capitale.
Io non mi aspettavo di trovare una cosa del genere.
Pei Ting Wong
C’è l’altra domanda: Singapore può imparare dai tre Paesi – Papua Nuova Guinea, Indonesia e Timor Est?
Papa Francesco
Sai, sempre si può imparare qualcosa, perché ogni persona e ogni Paese ha una ricchezza diversa dall’altro.
Per questo è importante la fratellanza nella comunicazione.
Per esempio, se penso a Timor Est, una cosa è che lì ho visto tanti bambini, e a Singapore non ne ho visti tanti.
È forse una cosa da imparare…
Pei Ting Wong
Sì, noi abbiamo un tasso di natalità basso.
Papa Francesco
Hanno paura? Qual è il vostro tasso di natalità?
Pei Ting Wong
Inferiore a 1,2%, più basso di quello del Giappone, per quanto ne sappia.
Papa Francesco
Il futuro sono i bambini! Pensate a questo.
Grazie.
Ah, un’altra cosa: voi, gli abitanti di Singapore, siete simpaticissimi.
You smile, smile…
Matteo Bruni
La seconda domanda, Santità, è di Delfim De Oliveira, che è un giornalista di GMN TV di Timor Est.
Lui farà la domanda in portoghese, ma noi abbiamo la traduzione della sua domanda.
Delfim De Oliveira, GMN TV (Grupo Média Nacional) di Timor Est
Santo Padre, muito obrigado por esta oportunidade.
A sua mensagem no final da missa em Taci Tolu é o assunto mais discutido agora em Timor.
O senhor utilizou o termo “crocodilos” para chamar a atenção dos timorenses em relação a presença de crocodilos em Timor.
O que o Papa queria dizer com isso?
(Santo Padre, La ringrazio per questa opportunità.
Il Suo messaggio finale nella Messa a Taci Tolu, è la notizia più diffusa adesso in Timor.
Lei ha utilizzato l’espressione “coccodrilli” per attirare l’attenzione dei timoresi sulla presenza dei coccodrilli a Timor Est.
Cosa intendeva dire con questo?)
Papa Francesco
Ho preso l’immagine dei coccodrilli che vengono sulla spiaggia.
Timor Est ha una cultura semplice, familiare, gioiosa e ha una cultura di vita, ha tanti bambini, tanti, e io, quando parlavo di coccodrilli, parlavo delle idee che possono venire da fuori per rovinare questa armonia che voi avete.
Ti dico una cosa: io sono rimasto innamorato di Timor Est! Un’altra cosa?...
Delfim De Oliveira, GMN TV (Grupo Média Nacional)
O povo timorense, a maioria em si são católicos e, neste momento, a presença de seitas é muito forte em Timor.
A expressão do Papa: “crocodilos” refere-se também a presença de seitas em Timor?
(Il popolo timorese è a maggioranza cattolica; in questo momento, c’è una forte presenza di sette in Timor Est: l’espressione “coccodrilli” può essere stata riferita anche alle sette in Timor?)
Papa Francesco
Può darsi.
Io non parlo di questo, non posso, ma può darsi.
Perché tutte le religioni vanno rispettate, ma si fa una distinzione tra religione e setta.
La religione è universale, qualsiasi religione; la setta è restrittiva, è un gruppetto che sempre ha un’altra intenzione.
Grazie, e complimenti per il tuo Paese.
Matteo Bruni
La terza domanda è di Francisca Christy Rosana (Tempo Media Group), una giornalista dall’Indonesia, che – come sa – ha compiuto gli anni qualche giorno fa.
Francisca Christy Rosana (Tempo Media Group)
Thank you, Papa Francisco: I am Francisca from Tempo Magazine.
I hope you had memorable moments in Indonesia, because people in Indonesia, not only Catholics, have been waiting for you for a long time.
My questions are: we realized that in Indonesia the country is still struggling with its democracy.
How do you see that and which is your message for us? And the last one: Papua and Indonesia have the same problem with Papua New Guinea, sometimes: investments in the mining sector is only for the oligarchs, and meanwhile local and indigenous people didn’t get the benefits at all.
What do you think about that and what can be done? Thank you, Papa Francisco.
(Grazie, Papa Francesco: sono Francisca, di Tempo Magazine.
Spero abbia avuto momenti indimenticabili in Indonesia, perché la gente nel Paese, e non soltanto i cattolici, L’aspettavano da tanto tempo.
Le mie domande sono queste: ci siamo resi conto che il Paese ancora sta combattendo per la democrazia.
Qual è la Sua impressione e quale il Suo messaggio per noi? E l’ultima domanda: Papua e Indonesia hanno lo stesso problema con Papua Nuova Guinea, a volte: gli investimenti nel settore minerario sono riservati agli oligarchi e nel frattempo la gente del posto e i nativi non usufruiscono dei benefici che derivano da questa attività.
Cosa ne pensa, e cosa si può fare? Grazie, Papa Francesco)
Papa Francesco
Questo è un problema, direi, comune alle Nazioni in via di sviluppo.
Per questo è importante quello che dice la dottrina sociale della Chiesa: che dev’esserci comunicazione tra i diversi settori della società.
Lei ha detto che l’Indonesia è un Paese in via di sviluppo, e forse una delle cose che va sviluppata è precisamente questa: il rapporto sociale.
Ma sono rimasto contento della visita al suo Paese.
Molto bene, molto bello!
Matteo Bruni
Santità, la stampa della Papua Nuova Guinea ha seguito con grande interesse il Suo viaggio, però purtroppo non le è stato possibile avere un giornalista su questo volo.
Allora colgo l’occasione io per chiederLe se c’è qualcosa che vuole raccontarci della Papua Nuova Guinea, in particolare anche di Vanimo, che è un posto dove mi sembra che Lei abbia voluto andare personalmente.
Papa Francesco
Mi è piaciuto il Paese, e ho visto un Paese in via di sviluppo forte.
Poi ho voluto andare a Vanimo per trovare un gruppo di preti e suore argentini che lavorano lì, e ho visto un’organizzazione molto bella, molto bella! In tutti i Paesi l’arte è molto sviluppata: le danze, altre espressioni poetiche… Ma in Papua Nuova Guinea è impressionante, e a Vanimo impressiona lo sviluppo dell’arte.
Questo mi ha colpito molto.
I missionari che ho visitato sono nella foresta, vanno dentro la foresta a lavorare.
Mi è piaciuto Vanimo, e il Paese pure.
Grazie.
Matteo Bruni
Grazie a Lei, Santità.
La prossima domanda viene da Stefania Falasca, che scrive anche per un sito internet in Cina (Tianou Zhiku).
Stefania Falasca (Tianou Zhiku)
Buona sera, Santo Padre.
Purtroppo il cinese non lo parlo! Veniamo da Singapore che è un Paese con una popolazione a maggioranza cinese, ed è un modello di convivenza armoniosa e pacifica.
E appunto sulla pace: volevo sapere che cosa ne pensa, vista la vicinanza anche con la Cina continentale, degli sforzi fatti dalla Cina per il raggiungimento di un cessate-il-fuoco nelle regioni sotto conflitto, come la Striscia di Gaza: a luglio è stata firmata a Pechino la “dichiarazione di Pechino” per porre fine alle divisioni tra i palestinesi.
E poi, se ci sono spazi di collaborazione sulla pace tra la Cina e la Santa Sede.
Un’ultima cosa: siamo a ridosso del rinnovo dell’accordo Cina-Santa Sede sulle nomine dei vescovi.
Lei è soddisfatto o no dei risultati del dialogo, che sono stati finora ottenuti?
Papa Francesco
Prendo l’ultima: io sono contento dei dialoghi con la Cina, il risultato è buono, anche per la nomina dei vescovi si lavora con buona volontà.
E per questo ho sentito la Segreteria di Stato, su come vanno le cose: io sono contento.
L’altra cosa è la Cina: la Cina per me è una ilusión [un desiderio], nel senso che io vorrei visitare la Cina, perché è un grande Paese; io ammiro la Cina, rispetto la Cina.
È un Paese con una cultura millenaria, una capacità di dialogo, di capirsi tra loro che va oltre i diversi sistemi di governo che ha avuto.
Credo che la Cina sia una promessa e una speranza per la Chiesa.
La collaborazione si può fare, e per i conflitti certamente.
In questo momento, il cardinale Zuppi si muove in questo senso e ha rapporti anche con la Cina.
Matteo Bruni
Grazie Santità.
La prossima domanda viene da Anna Matranga (CBS News), che conosce.
Anna Matranga (CBS News)
Buona sera, Santità.
Lei ha sempre parlato in difesa della dignità della vita.
In Timor Est, un Paese con una natalità molto alta, Lei ha detto che si sente pulsare ed esplodere la vita per i tanti bambini.
In Singapore ha parlato in difesa dei lavoratori migranti.
In vista delle prossime elezioni negli Stati Uniti vorrei chiederLe: che consiglio può dare a un elettore cattolico che deve decidere fra un candidato che è favorevole all’interruzione della gravidanza, e un altro che vorrebbe deportare 11 milioni di migranti?
Papa Francesco
Ambedue sono contro la vita, sia quello che butta via i migranti sia quello che uccide i bambini.
Ambedue sono contro la vita.
Non si può decidere, io non posso dire, non sono statunitense, non andrò a votare lì, ma sia chiaro: mandare via i migranti, non dare ai migranti capacità di lavorare, non dare ai migranti accoglienza è peccato, è grave.
Nell’Antico Testamento c’è un ritornello: l’orfano, la vedova e lo straniero, cioè il migrante.
Sono i tre che il popolo di Israele deve custodire.
Chi non custodisce il migrante, manca, è un peccato, un peccato anche contro la vita di quella gente.
Io sono stato a celebrare Messa alla frontiera, vicino alla diocesi di El Paso, e c’erano tante scarpe di migranti che sono finiti male, lì.
Oggi c’è un flusso di migranti all’interno dell’America Centrale che tante volte vengono trattati come schiavi, perché si approfittano di questo.
La migrazione è un diritto, un diritto che già nella Sacra Scrittura, nell’Antico Testamento c’era.
Lo straniero, l’orfano e la vedova: non dimenticare questo.
Questo è quello che io penso dei migranti.
Poi, l’aborto.
La scienza dice che al mese dal concepimento ci sono tutti gli organi di un essere umano, tutti.
Fare un aborto è uccidere un essere umano.
Ti piaccia la parola o non ti piaccia, ma è uccidere.
Questo.
La Chiesa non è chiusa perché non permette l’aborto: la Chiesa non permette l’aborto perché è uccidere, è un assassinio, è un assassinio.
E su questo dobbiamo avere le cose chiare.
Mandare via i migranti, non lasciarli sviluppare, non lasciare che abbiano la loro vita è una cosa brutta, è cattiveria.
Mandare via un bambino dal seno della mamma è un assassinio, perché c’è vita.
E in queste cose dobbiamo parlare chiaro.
“No, ma, però…”.
Niente “però”.
Ambedue le cose sono chiare.
L’orfano, lo straniero e la vedova: non dimenticare quello.
Anna Matranga (CBS News)
Possono esserci circostanze in cui sia moralmente ammissibile per un cattolico votare per un candidato che è favorevole all’interruzione della vita?
Papa Francesco
Nella morale politica, in genere si dice che non votare è brutto, non è buono: si deve votare.
E si deve scegliere il male minore.
Chi è il male minore, quella Signora o quel Signore? Non so, ognuno in coscienza pensi e faccia questo.
Matteo Bruni
Grazie, Santità.
La prossima domanda è di Mimmo Muolo, di “Avvenire”.
Mimmo Muolo, Avvenire
Buonasera, Santità, e grazie per questi giorni.
A nome dei giornalisti italiani vorrei chiederLe: c’è il pericolo che il conflitto di Gaza si estenda anche alla Cisgiordania e c’è stata un’esplosione, poche ore fa, che ha causato la morte di 18 persone, tra cui alcuni operatori Onu.
Quali sono i suoi sentimenti in questo momento? E che cosa si sente di dire alle parti in guerra? C’è la possibilità eventualmente anche di una mediazione della Santa Sede per arrivare a un cessate-il-fuoco e all’auspicata pace? Grazie.
Papa Francesco
La Santa Sede lavora per questo.
Vi dico una cosa: tutti i giorni chiamo a Gaza, tutti i giorni, la parrocchia di Gaza.
Lì dentro, nella parrocchia e nel collegio, ci sono 600 persone: cristiani e musulmani, ma vivono come fratelli.
Mi raccontano cose brutte, cose difficili.
Io non posso qualificare se questa azione di guerra è troppo sanguinaria o no, ma per favore, quando si vedono i corpi di bambini uccisi, quando si vede che presumendo che ci siano lì alcuni dei guerriglieri, si bombarda una scuola: è brutto questo, è brutto! A volte si dice che è una guerra difensiva o no, ma alcune volte credo che sia una guerra troppo, troppo… E - mi scuso di dire questo – ma non trovo che si facciano i passi per fare la pace.
Per esempio, a Verona, ho avuto un’esperienza molto bella: un ebreo, a cui era morta la moglie sotto un bombardamento, e uno di Gaza, a cui era morta la figlia, ambedue hanno parlato della pace, si sono abbracciati e hanno dato una testimonianza di fratellanza.
Io dirò questo: è più importante la fratellanza che l’uccisione del fratello.
Fratellanza, darsi la mano.
Alla fine, chi vince la guerra troverà una grande sconfitta.
La guerra sempre è una sconfitta, sempre, senza eccezioni.
E questo non dobbiamo dimenticarlo.
Per questo, tutto quello che si fa per la pace è importante.
E inoltre voglio dire una cosa – questo è un po’ immischiarmi in politica ma voglio dirlo –: ringrazio tanto, tanto quello che fa il re della Giordania.
È un uomo di pace e sta cercando di fare la pace, re Abdallah è un uomo bravo, buono.
Matteo Bruni
La prossima domanda è di Lisa Weiss, della televisione tedesca ARD.
Lisa Weiss, ARD
Santo Padre, grazie per questi giorni.
Durante questo viaggio Lei ha parlato molto apertamente, in maniera molto diretta, dei problemi di ogni Paese, non soltanto delle sue bellezze.
E proprio per questo ci siamo chiesti come mai non abbia parlato del problema che a Singapore esiste ancora la pena di morte.
Papa Francesco
È vero, sì, non mi è venuto in mente.
Ma la pena di morte non funziona: lentamente dobbiamo cercare di eliminarla, lentamente.
Tanti Paesi hanno la legge ma non eseguono la sentenza.
Negli Stati Uniti è lo stesso per alcuni Stati.
Ma la pena di morte va fermata.
Non va, non va.
Matteo Bruni
La prossima domanda è di Simon Leplâtre di Le Monde.
Simon Leplâtre, Le Monde
Your Holiness, first thank you very much for this fascinating journey.
In Timor-Leste you mentioned young victims of sexual abuse.
We thought, of course, of Bishop Belo.
In France we have a similar case, the Abbé Pierre, founder of the charity Emmaus, who was for several years elected the favourite personality of the French people.
In both cases, their charisma made it harder to believe.
I would like to ask: what did the Vatican know about the Abbé Pierre, and what can you tell the victims, and the general population who find it hard to believe that persons that did so many good deeds could also commit crimes? Speaking of France, we also would like to know: will you be in Paris for the reopening of Notre-Dame in December? Thank you very much.
(Santo Padre, in primo luogo grazie tante per questo viaggio affascinante.
A Timor Est, ha parlato della giovani vittime di abusi sessuali.
Naturalmente, ci è venuto in mente il vescovo Belo.
In Francia abbiamo un casi simile, quello dell’Abbé Pierre, fondatore dell’associazione benefica Emmaus, per molti anni eletto personaggio preferito dai francesi.
In ambedue i casi, il carisma di queste due persone ha reso molto più difficile credere a quanto accaduto.
Vorrei chiederLe: cosa sapeva il Vaticano dell’Abbé Pierre, e cosa Lei potrebbe dire a tutte quelle persone che fanno fatica a credere che una persona che ha fatto tanto bene possa anche avere commesso dei crimini? Parlando invece della Francia, vorrei sapere: Lei sarà a Parigi in occasione della riapertura della cattedrale di Notre-Dame? Grazie tante.)
Papa Francesco
Rispondo prima all’ultima: non andrò a Parigi.
Poi, la prima.
Tu hai toccato un punto molto dolente, molto delicato.
Gente buona, gente che fa il bene – hai nominato l’Abbé Pierre – che poi, con tanto bene che ha fatto, si vede che questa persona è un peccatore brutto.
E questa è la nostra condizione umana.
Non dobbiamo dire “copriamo, copriamo, perché non si veda”.
I peccati pubblici sono pubblici e vanno condannati.
Per esempio, l’Abbé Pierre è un uomo che ha fatto tanto bene, ma è anche un peccatore.
E noi dobbiamo parlare chiaro su queste cose, non nascondere.
Il lavoro contro gli abusi è una cosa che tutti noi dobbiamo fare: ma non solo contro gli abusi sessuali, contro ogni tipo di abuso: l’abuso sociale, l’abuso educativo, cambiare la mentalità alla gente, togliere la libertà… L’abuso è, a mio giudizio, è una cosa demoniaca, perché ogni tipo di abuso distrugge la dignità della persona, ogni tipo di abuso cerca di distruggere quello che tutti noi siamo: immagine di Dio.
Io sono contento quando questi casi vengono fuori.
E vi dirò una cosa, che forse ho detto un’altra volta: cinque anni fa, abbiamo fatto un incontro con i presidenti delle Conferenze episcopali sui casi di abusi sessuali e di altri abusi, e abbiamo avuto una statistica molto ben fatta, credo delle Nazioni Unite.
Dal 42 al 46 per cento degli abusi si verificano in famiglia o nel quartiere… [interruzione] Per finire: l’abuso sessuale dei bambini, dei minorenni è un crimine, è una vergogna.
Matteo Bruni
Forse, per via delle indicazioni del comandante dell’aereo, dobbiamo sederci un attimo.
Se Lei vuole riprendere, possiamo metterci qua.
Forse possiamo intanto andare con un’altra domanda da parte di Elisabetta Piqué del quotidiano La Naciòn, che Lei conosce bene.
Elisabetta Piqué, La Naciòn
Prima di tutto, grazie per questo viaggio bellissimo ai confini del mondo: è stato il più lungo del Pontificato.
E parlando di viaggi lunghi, tutti in questo viaggio, molti colleghi mi hanno domandato: “Ma si va in Argentina?”.
Lei tante volte ha detto che magari a fine anno… Questa è la prima domanda: se andiamo in Argentina o no.
E la seconda, sul Venezuela: come Lei sa, c’è una situazione drammatica; in questi giorni in cui Lei era in viaggio il presidente teoricamente eletto ha dovuto esiliarsi in Spagna.
Che messaggio darebbe al popolo del Venezuela? Grazie.
Papa Francesco
Io non ho seguito la situazione del Venezuela, ma il messaggio che darei ai governanti è dialogare e fare la pace.
Le dittature non servono e finiscono male, prima o dopo.
Leggete la storia della Chiesa.
Io direi che il governo e la gente facciano di tutto per trovare un cammino di pace, per il Venezuela.
Non riesco a dare un’opinione politica perché non conosco i dettagli.
So che i vescovi hanno parlato e il messaggio dei vescovi dev’essere più buono.
E poi, se andrò in Argentina, è una cosa ancora non decisa.
Io vorrei andare, è il mio popolo, vorrei andare; ma ancora non è decisa, perché ci sono diverse cose da risolvere prima.
È tutto?
Elisabetta Piqué, La Naciòn
Del gruppo spagnolo: nel caso si andasse, potrebbe esserci uno scalo nelle Canarie?
Papa Francesco
Tu mi hai letto nel pensiero.
Io penso un po’ a questo: andare nelle Canarie, perché lì ci sono le situazioni dei migranti che vengono dal mare, e vorrei essere vicino ai governanti e al popolo della Canarie.
È così.
Matteo Bruni
Santità, forse possiamo fare un’ultima domanda prima di pranzo, da parte di un giornalista indonesiano, Bonifasius Josie Susilo Hardianto, di Kompas.Id
Bonifasius Josie Susilo Hardianto, Kompas.Id
Thank you, Father.
Some Countries are starting to move away from their commitment to the Paris Agreement based on economic reasons, specially after the pandemic.
Number of Countries are hesitant to transition to clean energy and less carbon.
What does His Holiness think about the matters?
(Grazie, Santo Padre.
Alcuni Paesi si stanno ritirando dal loro impegno preso con l’Accordo di Parigi, a causa di difficoltà economiche, soprattutto dopo la pandemia.
Molti Paesi esitano ad affrontare la transizione verso un’energia pulita e meno basata su combustibili fossili.
Cosa pensa di questa cosa?)
Papa Francesco
Penso che il problema climatico è grave, è molto grave.
Dal momento di Parigi, che è stato il culmine, poi gli incontri climatici sono in discesa.
Si parla si parla ma non si fa.
Questa è la mia impressione.
Su questo ho parlato nei due scritti, Laudato si’ e Laudate Deum.
Matteo Bruni
Intanto, ringraziamo, Santità…
Papa Francesco
Grazie a voi.
Grazie.
E avanti, coraggio.
Speriamo che ci diano da mangiare, adesso!...
No, Una cosa a cui non avevo risposto…
Matteo Bruni
Per completare la risposta a Simon Leplâtre:
Papa Francesco
Cosa sapeva il Vaticano dell’Abbé Pierre.
Non so quando il Vaticano è venuto a saperlo, non lo so.
Non lo so perché io non ero qui e mai mi è venuta l’idea di fare una ricerca su questo.
Ma certamente dopo la morte, sicuro; prima, non so.
Matteo Bruni
Grazie ancora, Santità, per questo chiarimento.
Buona conclusione di viaggio.
Grazie! Grazie per le vostre parole.
Tre parole che avete detto mi hanno colpito: “critici da salotto”, “zona di comfort” e “tecnologia” come dovere di usarla e anche rischio di usarla.
Questo è il discorso che avevo preparato ma adesso andiamo [spontaneamente]
La gioventù è coraggiosa e alla gioventù piace andare verso la verità.
Fare cammino, fare creatività.
E la gioventù deve stare attenta a non cadere in quello che tu hai detto, i “critici da salotto”, parole parole...
Un giovane dev’essere critico.
Un giovane che non critica non va bene.
Ma dev’essere costruttivo nella critica, perché c’è una critica distruttiva, che fa tante critiche ma non fa una strada nuova.
Io domando a tutti i giovani, ad ognuno: tu sei critico? Hai il coraggio di criticare e anche il coraggio di lasciarti criticare dagli altri? Perché, se tu critichi, l’altro critica te.
Questo è il dialogo sincero tra i giovani.
I giovani devono avere il coraggio di costruire, di andare avanti e uscire dalle zone “confortevoli”.
Un giovane che sceglie di passare sempre la sua vita in modo “confortevole” è un giovane che ingrassa! Ma non ingrassa la pancia, ingrassa la mente! Per questo dico ai giovani: “Rischiate, uscite! Non abbiate paura!”.
La paura è un atteggiamento dittatoriale che ti rende paralitico, ti procura una paralisi.
È vero che tante volte i giovani sbagliano, tante, e sarebbe bello che ognuno di noi, che ognuno di voi, giovani, pensaste: quante volte ho sbagliato? Ho sbagliato perché ho incominciato a camminare e ho fatto degli errori nel cammino.
E questo è normale, l’importante è rendersi conto di aver sbagliato.
Faccio una domanda, vediamo chi mi risponde di voi.
Cosa è peggio? Sbagliare perché faccio un cammino o non sbagliare perché rimango chiuso in casa? Tutti, la seconda! Un giovane che non rischia, che ha paura di sbagliare è un vecchio! Capito? Voi avete parlato dei media, oggi ci sono tante capacità, tante possibilità di usare i media, il telefonino, la televisione.
Io vi domando: è buono usare i media o non è buono? Pensiamo: un giovane che non usa i media, com’è quel giovane? Chiuso.
Un giovane che vive totalmente schiavo dei media com’è quel giovane? È un giovane disperso.
Tutti i giovani devono usare i media ma usare i media perché ci aiutino ad andare avanti, non perché ci rendano schiavi.
Understood? Siete d’accordo o no?
Una delle cose che più mi ha colpito di voi giovani, di voi qui, è la capacità del dialogo interreligioso.
E questo è molto importante, perché se voi incominciate a litigare: “La mia religione è più importante della tua…”, “La mia è quella vera, la tua non è vera…”.
Dove porta tutto questo? Dove? Qualcuno risponda, dove? [qualcuno risponde: “La distruzione”].
È così.
Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio.
Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì.
Ma Dio è Dio per tutti.
E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio.
“Ma il mio Dio è più importante del tuo!”.
È vero questo? C’è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio.
Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini.
Understood? Ma per il dialogo interreligioso fra i giovani ci vuole coraggio.
Perché l’età giovanile è l’età del coraggio, ma tu puoi avere questo coraggio per fare cose che non ti aiuteranno.
Invece puoi avere coraggio per andare avanti e per il dialogo.
Una cosa che aiuta tanto è il rispetto, il dialogo.
Io vi dirò una cosa.
Non so se succede qui, in questa città, ma in altre città succede.
Fra i giovani c’è una cosa brutta: bullying.
Io domando a voi: chi è il più coraggioso o la più coraggiosa per dirmi cosa pensa del bullying? [alcuni giovani rispondono] Mi è piaciuto, ognuno ha dato una definizione con un aspetto diverso del bullying.
Ma sempre, sia il bullying verbale sia il bullying fisico, sempre è un’aggressione.
Sempre.
E pensate, nelle scuole o nei gruppi giovanili o di bambini, il bullying lo fanno con coloro che sono più deboli.
Per esempio, con un bambino o una bambina disabile.
E noi abbiamo visto qui questo bel ballo con bambini disabili! Ognuno di noi ha le proprie abilità e le proprie disabilità.
Tutti abbiamo abilità? [rispondono: “Yes!”] E tutti abbiamo qualche disabilità? [rispondono: “Yes!”] Anche il Papa? Yes, all, all! E come noi abbiamo le nostre disabilità, dobbiamo rispettare le disabilità degli altri.
You agree? E questo è importante; perché dico questo? Perché superare queste cose aiuta in quello che voi fate, il dialogo interreligioso.
Perché il dialogo interreligioso si costruisce con il rispetto degli altri.
E questo è molto importante.
Qualche domanda? No? Io voglio ringraziare e ripetere quello che Raaj ci ha detto: fare tutto il possibile per mantenere un atteggiamento coraggioso e promuovere uno spazio in cui i giovani possono entrare e dialogare.
Perché il vostro dialogo è un dialogo che genera un cammino, che fa strada.
E se voi dialogate da giovani, dialogherete anche da grandi, da adulti, dialogherete come cittadini, come politici.
E vorrei dirvi una cosa sulla storia: ogni dittatura nella storia, la prima cosa che fa è tagliare il dialogo.
Vi ringrazio di queste domande e sono contento di incontrare i giovani, incontrare questi coraggiosi, quasi “sfacciati”, sono bravi! Auguro che tutti voi giovani andiate avanti con speranza e non andiate indietro! Rischiate! Altrimenti cresce la pancia! God bless you and pray for me, I do for you.
E adesso, in silenzio, preghiamo gli uni per gli altri.
In silenzio.
Che Dio benedica tutti noi.
E quando passerà un po’ di tempo e voi non sarete più giovani, sarete grandi e sarete anche nonni, insegnate tutte queste cose ai bambini.
God bless you and pray for me, don’t forget! But pray for, not against!
«La conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica» (1Cor 8,1).
San Paolo rivolge queste parole ai fratelli e alle sorelle della comunità cristiana di Corinto: una comunità ricca di molti carismi (cfr 1Cor 1,4-5), a cui l’Apostolo spesso raccomanda, nelle sue lettere, di coltivare la comunione nella carità.
Noi le ascoltiamo mentre ringraziamo insieme il Signore per la Chiesa di Singapore, pure ricca di doni, vivace, in crescita e in dialogo costruttivo con le varie altre Confessioni e Religioni con cui condivide questa terra meravigliosa.
Proprio per questo, vorrei commentare le stesse parole prendendo spunto dalla bellezza di questa città, e dalle grandi e ardite architetture che contribuiscono a renderla così famosa e affascinante, cominciando dall’impressionante complesso del National Stadium, in cui ci troviamo.
E vorrei farlo ricordando che, in ultima analisi, anche all’origine di queste imponenti costruzioni, come di ogni altra impresa che lasci un segno positivo in questo mondo, non ci sono, come molti pensano, prima di tutto i soldi, né la tecnica e nemmeno l’ingegneria – tutti mezzi utili, molto utili –, ma c’è l’amore: “l’amore che edifica”, appunto.
Forse qualcuno potrebbe pensare che questa sia un’affermazione ingenua, ma se riflettiamo bene non è così.
Non c’è opera buona, infatti, dietro cui non ci siano delle persone magari geniali, forti, ricche, creative, ma pur sempre donne e uomini fragili, come noi, per i quali senza l’amore non c’è vita, né slancio, né motivo per agire, né forza per costruire.
Cari fratelli e sorelle, se qualcosa di buono c’è e rimane in questo mondo, è solo perché, in infinite e varie circostanze, l’amore ha prevalso sull’odio, la solidarietà sull’indifferenza, la generosità sull’egoismo.
Senza questo, anche qui nessuno avrebbe potuto far crescere una metropoli così grande, gli architetti non avrebbero progettato, gli operai non avrebbero lavorato e nulla si sarebbe potuto realizzare.
Allora ciò che noi vediamo è un segno, e dietro ciascuna delle opere che ci stanno di fronte ci sono tante storie d’amore da scoprire: di uomini e donne uniti gli uni agli altri in una comunità, di cittadini dediti al loro Paese, di madri e padri solleciti per le loro famiglie, di professionisti e lavoratori di ogni genere e grado, onestamente impegnati nei loro diversi ruoli e mansioni.
E ci fa bene imparare a leggerle, queste storie, scritte sulle facciate delle nostre case e sui tracciati delle nostre strade, e tramandarne la memoria, per ricordarci che nulla di duraturo nasce e cresce senza l’amore.
A volte succede che la grandezza e l’imponenza dei nostri progetti possono farcelo dimenticare, illudendoci di potere, da soli, essere gli autori di noi stessi, della nostra ricchezza, del nostro benessere, della nostra felicità, ma alla fine la vita ci riporta sempre ad un’unica realtà: senza amore non siamo nulla.
La fede, poi, ci conferma e ci illumina ancora di più circa questa certezza, perché ci dice che alla radice della nostra capacità di amare e di essere amati c’è Dio stesso, che con cuore di Padre ci ha desiderati e portati all’esistenza in modo totalmente gratuito (cfr 1Cor 8,6) e che in modo altrettanto gratuito ci ha redenti e liberati dal peccato e dalla morte, con la morte e risurrezione del suo Figlio Unigenito.
È in Lui, in Gesù, che ha origine e compimento tutto ciò che siamo e che possiamo diventare.
Così nel nostro amore vediamo un riflesso dell’amore di Dio, come diceva San Giovanni Paolo II, in occasione della sua visita in questa terra (cfr S.
Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa nello Stadio Nazionale di Singapore, 20 novembre 1986), aggiungendo una frase importante, e cioè che «per questo l’amore è caratterizzato da un profondo rispetto per tutti gli uomini, a prescindere dalla loro razza, dal loro credo o da qualunque cosa li renda diversi da noi» (ivi).
Fratelli e sorelle, questa è una parola importante per noi perché, al di là dello stupore che proviamo davanti alle opere fatte dall’uomo, ci ricorda che c’è una meraviglia ancora più grande, da abbracciare con ancora maggiore ammirazione e rispetto: e cioè i fratelli e le sorelle che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino, senza preferenze e senza differenze, come ben testimoniano la società e la Chiesa singaporiane, etnicamente così varie e al tempo stesso così unite e solidali!
L’edificio più bello, il tesoro più prezioso, l’investimento più redditizio agli occhi di Dio, qual è? Siamo noi, siamo tutti noi: figli amati dello stesso Padre (cfr Lc 6,36), chiamati a nostra volta a diffondere amore.
Ce ne parlano in vari modi le letture di questa Santa Messa, che da diversi punti di vista descrivono la stessa realtà: la carità, che è delicata nel rispettare la vulnerabilità di chi è debole (cfr 1Cor 8,13), provvidente nel conoscere e accompagnare chi è incerto nel cammino della vita (cfr Sal 138), magnanima, benevola, nel perdonare oltre ogni calcolo e ogni misura (cfr Lc 6,27-38).
L’amore che Dio ci dimostra, e che ci invita a praticare a nostra volta, è così: “risponde generosamente alle necessità dei poveri, è contrassegnato dalla pietà per coloro che soffrono, pronto a offrire ospitalità, fedele nei tempi difficili, sempre disposto a perdonare, a sperare», perdonare e sperare, al punto di «ricambiare una bestemmia con una benedizione è il fulcro del Vangelo” (cfr S.
Giovanni Paolo II, Omelia della Santa Messa nello Stadio Nazionale di Singapore, 20 novembre 1986).
Lo possiamo vedere in tante figure di santi: uomini e donne conquistati dal Dio della misericordia, al punto da divenirne riflesso, eco, immagine vivente.
E io ne vorrei, in conclusione, ricordare due.
La prima è Maria, del cui Nome Santissimo oggi celebriamo la memoria.
A quante persone hanno dato e danno speranza il suo sostegno e la sua presenza, su quante labbra è apparso e appare il suo Nome in momenti di gioia e anche di dolore! E questo perché in Lei, in Maria, noi vediamo l’amore del Padre manifestarsi in uno dei modi più belli e totali: quello della tenerezza – non dimentichiamo la tenerezza! – la tenerezza di una mamma, che tutto comprende, che tutto perdona e che non ci abbandona mai.
Per questo ci rivolgiamo a Lei!
Il secondo è un santo caro a questa terra, che qui ha trovato ospitalità tante volte durante i suoi viaggi missionari.
Parlo di San Francesco Saverio, accolto in questa terra in molte occasioni, l’ultima il 21 luglio 1552.
Di lui ci è rimasta una bellissima lettera indirizzata a Sant’Ignazio e ai primi compagni, in cui manifesta il suo desiderio di andare in tutte le università del suo tempo a «gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità», perché si sentano spinti a farsi missionari per amore dei fratelli, «dicendo dal profondo del loro cuore: “Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?”» (Lettera da Cochín, gennaio 1544).
Potremmo anche noi fare nostre queste parole, sull’esempio suo e di Maria: “Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?”, perché ci accompagnino non solo in questi giorni, ma sempre, come impegno costante ad ascoltare e a rispondere prontamente agli inviti all’amore e alla giustizia, che anche oggi continuano a venirci dall’infinita carità di Dio.
Signor Presidente,
distinte Autorità,
illustri rappresentanti della società civile,
Membri del Corpo Diplomatico!
Ringrazio il Signor Presidente per le cortesi parole di benvenuto che mi ha gentilmente rivolto e che rinnovano in me la riconoscenza per la sua recente visita in Vaticano.
A tutte le Autorità sono grato per la cordiale accoglienza in questa vostra città-Stato, crocevia commerciale di primaria importanza e luogo di incontro tra diversi popoli.
Chi arriva qui per la prima volta non può non essere impressionato dalla selva di modernissimi grattacieli che sembrano sorgere dal mare.
Essi sono una chiara testimonianza dell’ingegno umano, della dinamicità della società di Singapore e dell’acume dello spirito imprenditoriale, che qui hanno trovato un terreno fertile per esprimersi.
Quella di Singapore è una storia di crescita e resilienza.
Da umili origini, questa Nazione ha raggiunto un alto livello di sviluppo, dimostrando che esso è frutto di decisioni razionali e non del caso: è il risultato di un costante impegno nel portare a termine progetti e iniziative ben ponderate e in sintonia con le caratteristiche specifiche del luogo.
Proprio in questi giorni ricorre il centounesimo anniversario della nascita di Lee Kuan Yew, primo Primo Ministro della Repubblica di Singapore, che dal 1959 al 1990 mantenne tale incarico e diede un forte impulso alla rapida crescita e trasformazione del Paese.
È importante inoltre che Singapore non solo abbia prosperato economicamente, ma che si sia sforzata di costruire una società nella quale la giustizia sociale e il bene comune sono tenuti in grande considerazione.
Penso in particolare alla vostra dedizione nel migliorare le condizioni di vita dei cittadini attraverso politiche abitative pubbliche, un’istruzione di alta qualità e un sistema sanitario efficiente.
Auspico che questi sforzi continuino fino a coinvolgere pienamente tutti gli abitanti di Singapore.
E a questo proposito, vorrei segnalare il rischio che un certo pragmatismo e una certa esaltazione del merito comportano, vale a dire la conseguenza non intenzionale di legittimare l’esclusione di coloro che si trovano ai margini dei benefici del progresso.
Su questo fronte, riconosco e lodo le varie politiche e iniziative messe in atto per sostenere i più deboli, e auspico che venga prestata particolare attenzione ai poveri, agli anziani – le cui fatiche hanno gettato le fondamenta per la Singapore che conosciamo oggi – e anche per tutelare la dignità dei lavoratori migranti, che molto contribuiscono alla costruzione della società, e ai quali occorre garantire un salario equo.
Le sofisticate tecnologie dell’era digitale e i rapidi sviluppi nell’uso dell’intelligenza artificiale non possono farci dimenticare che è essenziale coltivare relazioni umane reali e concrete; e che queste tecnologie si possono valorizzare proprio per avvicinarsi gli uni agli altri, promuovendo comprensione e solidarietà, e non per isolarsi pericolosamente in una realtà fittizia e impalpabile.
Singapore è un mosaico di etnie, culture e religioni che convivono in armonia, e questa parola è molto importante: l’armonia.
Il raggiungimento e la conservazione di questa positiva inclusività sono favoriti dall’imparzialità dei poteri pubblici, impegnati in un dialogo costruttivo con tutti, rendendo possibile che ognuno apporti il suo peculiare contributo al bene comune e non consentendo all’estremismo e all’intolleranza di acquisire forza e di mettere in pericolo la pace sociale.
Il rispetto reciproco, la collaborazione, il dialogo e la libertà di professare il proprio credo nella lealtà alla legge comune sono condizioni determinanti del successo e della stabilità ottenuti da Singapore, requisiti per uno sviluppo non conflittuale e caotico, ma equilibrato e sostenibile.
La Chiesa Cattolica a Singapore, fin dall’inizio della sua presenza, ha cercato di offrire il proprio apporto peculiare al cammino di questa Nazione, soprattutto nei settori dell’istruzione e della sanità, avvalendosi dello spirito di sacrificio e di dedizione dei missionari e dei fedeli.
Sempre animata dal Vangelo di Gesù Cristo, la comunità cattolica è anche in prima linea nelle opere di carità, contribuendo in modo significativo agli sforzi umanitari e gestendo a questo fine diverse istituzioni sanitarie e molte organizzazioni umanitarie, tra cui la Caritas che tutti conosciamo.
La Chiesa inoltre – secondo le indicazioni della Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II sulle relazioni con le religioni non cristiane – ha costantemente promosso il dialogo interreligioso e la collaborazione tra diverse comunità di fede, con spirito di apertura e rispetto reciproco, fondamentali per la costruzione di una società che sia giusta e pacifica.
Questa mia visita, giunge a quarantatré anni da quando furono stabilite le relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e Singapore.
Essa si propone di confermare nella fede i cattolici ed esortarli a proseguire con gioia e dedizione la collaborazione con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, per la costruzione di una società civile sana e coesa, per il bene comune e per una testimonianza cristallina della propria fede.
Singapore ha anche un ruolo specifico da giocare nell’ordine internazionale – questo non lo dimentichiamo – minacciato oggi da conflitti e guerre sanguinose, e mi rallegro che abbia meritoriamente promosso il multilateralismo e un ordine basato su regole da tutti condivise.
Vi incoraggio a continuare a lavorare per l’unità e la fraternità del genere umano, a beneficio del bene comune di tutti, di tutti i popoli e di tutte le Nazioni, con una comprensione non escludente né ristretta degli interessi nazionali.
E mi sia consentito ricordare anche il ruolo della famiglia, il primo luogo in cui ognuno impara a relazionarsi con gli altri, ad essere amato e ad amare.
Nelle condizioni sociali attuali, le fondamenta su cui si basano le famiglie sono messe in discussione e rischiano di venire indebolite.
Occorre che esse vengano poste nella condizione di trasmettere i valori che danno senso e forma alla vita e di insegnare ai giovani a formare relazioni solide e sane.
Sono perciò da lodare gli sforzi compiuti per promuovere, proteggere e sostenere l’unità familiare attraverso il lavoro di varie istituzioni.
Non possiamo nascondere che oggi viviamo in una crisi ambientale, e non dobbiamo sottovalutare l’impatto che una piccola Nazione come Singapore può avere in essa.
La vostra posizione unica vi offre accesso a capitali, tecnologie e talenti, risorse che possono guidare l’innovazione per prendersi cura della salute della nostra casa comune.
Il vostro impegno per uno sviluppo sostenibile e per la salvaguardia del creato è un esempio da seguire, e la ricerca di soluzioni innovative per affrontare le sfide ambientali può incoraggiare altri Paesi a fare lo stesso.
Singapore è un brillante esempio di ciò che l’umanità può realizzare lavorando insieme in armonia, con senso di responsabilità e con spirito di inclusività e fraternità.
Questo è come un riassunto del vostro atteggiamento: lavorare insieme, in armonia, con senso di responsabilità e con spirito di fraternità e inclusività.
Vi incoraggio a continuare su questa strada, confidando nella promessa di Dio e nel suo amore paterno per tutti.
Signor Presidente, Signore e Signori, Dio vi aiuti a rispondere ai bisogni e alle attese della vostra gente, e vi incoraggi a sperimentare che, con chi rimane umile e grato, Lui può compiere grandi cose per il bene di tutti.
Dio benedica Singapore!
Dadeer di’ak! (Buongiorno!)
Prima di tutto faccio una domanda, vediamo chi sa rispondere: cosa fanno i giovani? Cosa fanno i giovani? Tu [indica una ragazza].
[la ragazza] “Annunciare Cristo”.
Molto bene.
Cos’altro fanno i giovani? Quale altra cosa?
[un altro giovane] “Proclamare la Parola di Dio”.
Benissimo.
Che altro fanno i giovani?
[un altro giovane] “Amarsi gli uni gli altri”.
Amare, e i giovani hanno una grande capacità di amare.
Che altro fanno i giovani?
[un altro giovane] “Dobbiamo coltivare la pace nel nostro Paese”.
Questo non scordatelo mai! Molto bene, molto bene.
Ma c’è una cosa che fanno sempre i giovani, i giovani di diverse nazionalità, i giovani di diverse religioni.
Sapete cosa fanno sempre i giovani? I giovani fanno chiasso, i giovani fanno confusione.
Siete d’accordo? Siete d’accordo su questo? [rispondono: “Sì!]
Vi ringrazio per i saluti, le testimonianze e le domande.
Vi ringrazio per i balli.
Perché sapete che ballare è esprimere un sentimento con tutto il corpo.
Conoscete qualche giovane che non sa ballare? La vita viene con la danza.
E voi siete un Paese di gente giovane.
C’è una cosa che dicevo stamattina a un vescovo: non dimenticherò mai i vostri sorrisi.
Non smettete di sorridere! E voi giovani siete la maggioranza della popolazione di questa terra, e la vostra presenza riempie di vita questa terra, la riempie di speranza e la riempie di futuro.
Non perdete l’entusiasmo della fede! Immaginate un giovane senza fede, con una faccia triste.
Ma voi sapete cos’è che butta giù un giovane? I vizi.
State attenti.
Perché arrivano quelli che si definiscono venditori di felicità.
E ti vendono la droga, ti vendono tante cose che ti danno felicità per mezz’ora e basta.
Lo sapete meglio di me, vero? Voi conoscete questa situazione meglio di me.
La conoscete o no?...
Non “sento”...
[“Sì”] Bene, molto bene, grazie.
Vi auguro di andare avanti con la gioia della gioventù.
Ma non dimenticatevi una cosa: voi siete gli eredi di coloro che vi hanno preceduto nella fondazione di questa Nazione.
Pertanto, non perdete la memoria! La memoria di quelli che vi hanno preceduto e che con tanto sacrificio hanno costruito questa Nazione.
E ci sono due cose che mi hanno toccato il cuore mentre camminavo per le strade.
Mi hanno davvero toccato il cuore.
La gioventù di questo Paese e il sorriso.
Siete un popolo che sa sorridere! Continuate così! Non dimenticatelo.
Un giovane deve sognare.
“E come si fa, Padre, per sognare?”.
Si beve alcol? [“No!”] No! Se fai questo, avrai degli incubi! Vi invito a sognare, a sognare cose grandi.
Un giovane che non sogna è un pensionato della vita.
E qualcuno di questi giovani, di voi, è un pensionato? [“No!”] I giovani devono fare confusione, per mostrare la vita che hanno.
Ma un giovane è nel mezzo del cammino della vita, è a metà, nel mezzo della strada della vita.
Tra i ragazzi e i grandi.
E sapete qual è una delle più belle ricchezze di una società? Lo sapete? Gli anziani, i nonni! Voi giovani, e l’altra punta sono gli anziani.
Ma sono i nonni, sono gli anziani che danno la saggezza ai giovani.
Voi rispettate gli anziani? [“Sì!] Gli anziani precedono sempre noi giovani nella storia, non è vero? Gli anziani sono un tesoro: i due tesori di un popolo sono i bambini e gli anziani.
Capito? Vediamo, ripetetelo voi.
Quali sono i due più grandi tesori di un popolo? [“I bambini e gli anziani”] I bambini e gli anziani.
Ecco perché una società che ha tanti bambini come la vostra deve prendersi cura di loro.
E una che ha tanti anziani che sono la memoria deve rispettarli e prendersene cura.
Vi racconto una storia.
C’era una famiglia, il papà, la mamma, i bambini e il nonno molto anziano stavano mangiando insieme.
E il nonno, poverino molto anziano, quando mangiava si sporcava e rovesciava il cibo.
Allora il papà decise di mettere un tavolo in cucina, in modo che il nonno mangiasse lì da solo.
E spiegò alla famiglia che così, visto che il nonno non c’era, avrebbero potuto invitare gente senza essere in imbarazzo per il nonno.
Pensate a questo.
Passano alcuni giorni e il papà arriva e trova il figlio di cinque anni che sta giocando con dei legni.
Il papà gli chiede: “Cosa stai facendo con quel legno?” – “Sto facendo un tavolo” – “Perché?” – “Per te, quando sarai vecchio e dovrai mangiare da solo”.
I due più grandi tesori di una società sono i bambini e i nonni.
Insieme: quali sono i due tesori più grandi della società? [“I bambini e i nonni”] Prendetevi cura dei bambini e dei nonni, d’accordo? E ora facciamo un grande applauso ai nostri nonni!
Voi, in questo Paese così sorridente, avete una storia meravigliosa, di eroismo, di fede, di martirio e, soprattutto, di perdono e di riconciliazione.
Vi faccio una domanda: chi è la persona, in tutta la storia, che è stata capace di perdonare e voler riconciliare? Pensateci bene, chi è questa persona? Chi è? [“Gesù!”] Gesù! Gesù nostro fratello che ama tutti noi, giusto? E questa riconciliazione mi porta a raccomandare a voi giovani tre cose: libertà, impegno, fraternità.
Nella lingua tetum c’è un detto: “ukun rasik-an”, cioè essere in grado di governare sé stessi.
Un giovane che non è in grado, una giovane, un giovane che non è in grado di governarsi, che non è in grado di vivere “ukun rasik-an”, che cos’è? Cosa dite? Uno che dipende dagli altri.
Molto bene.
E un uomo, una donna, un giovane, un ragazzo che non governa sé stesso è schiavo, è dipendente, non è libero.
E di cosa può essere schiavo un giovane? Vediamo, qualcuno risponda… Di che cosa? Del peccato, del telefonino – dopo vi racconto qualcosa sul telefonino – , un’altra cosa… Di cosa può essere schiavo? Essere schiavo del proprio desiderio, credersi onnipotente.
Di cos’altro può essere schiavo un giovane? [qualcuno risponde] Certo, dell’arroganza: un giovane sempre così è un giovane arrogante.
Invece, un giovane impegnato, un giovane che lavora, com’è? Ditemi, com’è un giovane che lavora? [qualcuno risponde] Bene, uno che ama la semplicità.
E poi? Che ha responsabilità.
Un giovane che ama la compagnia dei fratelli, delle sorelle, che ha responsabilità, è un giovane che ama il suo Paese.
Questo è molto importante.
E c’è un’altra cosa che [hanno detto] Rogéria e Cecilia Efranio riferendosi all’importanza di prendersi cura della casa comune e di coltivare l’unità della famiglia.
Un giovane deve capire che essere libero non significa fare ciò che si vuole, ma che un giovane è responsabile.
E una delle responsabilità è imparare a prendersi cura della casa comune.
E per questo il giovane deve impegnarsi.
Un proverbio orientale dice: i tempi difficili creano uomini forti.
Guardate i vostri genitori, i vostri nonni, che hanno dovuto affrontare tempi difficili per dare la libertà al Paese.
Ecco perché dovete imparare a gestire i momenti difficili.
Un’ultima cosa prima di andare via.
È un valore che dovete imparare: la fraternità.
Essere fratelli, non essere nemici.
I vostri anziani, i vostri genitori e nonni, magari con idee diverse, ma erano fratelli.
Ed è bene che i giovani abbiano idee diverse? [“Sì”] E questo perché? Per litigare con gli altri? O per rispettarci? [rispondono] Io credo che tu pensi questo: se io sono di questa religione e tu sei di quest’altra religione, ci scontreremo.
Non è così, bisogna rispettarsi.
Ripetiamo questa parola: rispettarsi.
E una domanda: l’odio è un buon atteggiamento? [“No!”] L’amore e il servizio, questo è l’atteggiamento giusto.
Adesso ripetiamo tutti insieme: odio no, amore e servizio sì [ripetono] Ancora una volta, non ho sentito bene [ripetono] E se un giovane, una giovane, litiga con un altro, cosa deve fare?...
Non sento, cos’hanno detto? Ripetiamolo tutti insieme: amore e riconciliazione!… [ripetono] Amore e riconciliazione.
C’è una cosa che non so se succede in questo Paese, ma in altri Paesi sì: il bullismo.
C’è bullismo qui? Il bullismo è un atteggiamento che si approfitta del più debole.
Perché è brutto, perché è grasso, perché cammina male… Ma è sempre un atteggiamento brutto perché usa la debolezza degli altri.
Ma qui, a Timor Leste, c’è bullismo? Per favore, d’ora in poi niente bullismo!
Cari giovani, siate eredi della storia tanto bella che vi ha preceduto! Siate eredi della storia così bella che vi ha preceduto.
E portatela avanti.
Abbiate coraggio, abbiate coraggio per portare avanti le cose.
E se litigate, riconciliatevi.
Vi ringrazio per tutto quello che fate per la patria, per il popolo di Dio.
E ricordiamo quello che ci ha detto Ilham, che ha parlato poco fa: che dobbiamo amarci al di là di tutte le differenze etniche o religiose.
Avete capito questo? [“Sì!”] Riconciliazione, convivenza con tutte le differenze.
È importante.
Siamo d’accordo? [“Sì!”]
E prima di finire devo darvi un consiglio: fate chiasso, fate confusione! Il mio secondo consiglio: rispettate e ascoltate gli anziani, d’accordo? Il primo consiglio qual era? [rispondono] Bene.
E il secondo consiglio? [rispondono]
Dio vi benedica tanto.
Grazie per questa presenza! Grazie per il canto e il ballo, molto bello.
E com’era? Scusate, mi dimentico io.
Quali erano i due consigli? Il primo? Il secondo? Fate chiasso, fate confusione e rispettate gli anziani.
Che Dio vi conservi questa gioia.
Che Dio vi custodisca sempre!
Alla fine, dopo i saluti, ha aggiunto:
Grazie per la vostra gioia, grazie per il vostro sorriso!
E vi ho dato due consigli, il primo, qual era? [rispondono] Confusione.
E il secondo? [rispondono] I giovani devono fare confusione e i giovani devono rispettare gli anziani, d’accordo? Tutti insieme, primo: confusione.
Secondo: rispetto per gli anziani.
Grazie per la vostra presenza.
Lascio questa terra che è un sorriso con i vostri volti e con le vostre speranze.
Che Dio vi benedica tutti!
«Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5).
Queste sono le parole con cui il profeta Isaia si rivolge, nella prima Lettura, agli abitanti di Gerusalemme, in un momento prospero per la città, caratterizzato però, purtroppo, anche da una grande decadenza morale.
C’è tanta ricchezza, ma il benessere acceca i potenti, li illude di bastare a sé stessi, di non aver bisogno del Signore, e la loro presunzione li porta ad essere egoisti e ingiusti.
Per questo, anche se ci sono tanti beni, i poveri sono abbandonati e soffrono la fame, l’infedeltà dilaga e la pratica religiosa si riduce sempre più a pura formalità.
La facciata ingannevole di un mondo a prima vista perfetto nasconde così una realtà molto più oscura, molto più dura e crudele, in cui c’è tanto bisogno di conversione, di misericordia e di guarigione.
Per questo il profeta annuncia ai suoi concittadini un orizzonte nuovo, che Dio aprirà davanti a loro: un futuro di speranza, un futuro di gioia, dove la sopraffazione e la guerra saranno bandite per sempre (cfr Is 9,1-4).
Farà sorgere per loro una grande luce (cfr v.
1) che li libererà dalle tenebre del peccato da cui sono oppressi, e lo farà non con la potenza di eserciti, di armi o ricchezze, ma attraverso il dono di un figlio (cfr vv.
5-6).
Fermiamoci a riflettere su questa immagine: Dio fa splendere la sua luce che salva attraverso il dono di un figlio.
In ogni luogo la nascita di un figlio è un momento luminoso, un momento di gioia e di festa, e a volte suscita anche in noi desideri buoni, di rinnovarci nel bene, di ritornare alla purezza e alla semplicità.
Di fronte ad un neonato, anche il cuore più duro si riscalda e si riempie di tenerezza.
La fragilità di un bambino porta sempre un messaggio così forte da toccare anche gli animi più induriti, portando con sé movimenti e propositi di armonia e di serenità.
È meraviglioso, fratelli e sorelle, quello che succede alla nascita di un bambino!
La vicinanza di Dio è attraverso un bambino.
Dio si fa bambino.
E non solo per stupirci e commuoverci, ma anche per aprirci all’amore del Padre e lasciarcene plasmare, perché possa guarire le nostre ferite, ricomporre i nostri dissensi, rimettere ordine nella nostra esistenza.
A Timor Est è bello, perchè ci sono tanti bambini: siete un Paese giovane in cui in ogni angolo si sente pulsare, esplodere la vita.
E questo è un regalo, un dono grande: la presenza di tanta gioventù e di tanti bambini, infatti, rinnova costantemente la nostra energia e la nostra vita.
Ma ancora di più è un segno, perché fare spazio ai bambini, ai piccoli, accoglierli, prendersi cura di loro, e farci anche noi piccoli davanti a Dio e gli uni di fronte agli altri, sono proprio gli atteggiamenti che ci aprono all’azione del Signore.
Facendoci bambini permettiamo l’azione di Dio in noi.
Oggi veneriamo la Madonna come Regina, cioè la madre di un Re, Gesù, che ha voluto nascere piccolo, farsi nostro fratello, chiedendo il “sì” di una giovane umile e fragile (cfr Lc 1,38).
Maria questo lo ha capito, al punto che ha scelto di rimanere piccola per tutta la vita, di farsi sempre più piccola, servendo, pregando, scomparendo per far posto a Gesù, anche quando questo le è costato molto.
Perciò, cari fratelli, care sorelle, non abbiamo paura di farci piccoli davanti a Dio, e gli uni di fronte agli altri, non abbiamo paura di perdere la nostra vita, di donare il nostro tempo, di rivedere i nostri programmi e ridimensionare quando necessario anche i nostri progetti, non per sminuirli, ma per renderli ancora più belli attraverso il dono di noi stessi e l’accoglienza degli altri.
Tutto questo è simboleggiato molto bene da due bellissimi monili tradizionali di questa terra: il Kaibauk e il Belak.
Tutti e due sono di metallo prezioso.
Vuol dire che sono importanti!
Il primo simboleggia le corna del bufalo e la luce del sole, e si mette in alto, a ornamento della fronte, come pure sulla sommità delle abitazioni.
Esso parla di forza, di energia e di calore, e può rappresentare la potenza di Dio, che dona la vita.
Ma non solo: posto a livello del capo, infatti, e in cima alle case, ci ricorda che, con la luce della Parola del Signore e con la forza della sua grazia, anche noi possiamo cooperare con le nostre scelte e azioni al grande disegno della redenzione.
Il secondo, poi, il Belak, che si mette sul petto, è complementare al primo.
Ricorda il chiarore delicato della luna, che riflette umilmente, nella notte, la luce del sole, avvolgendo ogni cosa di una fluorescenza leggera.
Parla di pace, di fertilità, di dolcezza, e simboleggia la tenerezza della madre, che coi riflessi delicati del suo amore rende ciò che tocca luminoso della stessa luce che riceve da Dio.
Kaibauk e Belak, forza e tenerezza di Padre e di Madre: così Il Signore manifesta la sua regalità, fatta carità e misericordia.
E allora chiediamo insieme, in questa Eucaristia, ciascuno di noi, come donne e uomini, come Chiesa, come società, di saper riflettere nel mondo la luce forte, la luce tenera del Dio dell’amore, di quel Dio che, come abbiamo pregato nel Salmo responsoriale, «solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi […]» (Sal 113,7-8).
* * *
Cari fratelli e sorelle,
ho pensato molto: qual è la cosa migliore che ha Timor? Il sandalo? La pesca? Non è questa la cosa migliore.
La cosa migliore è il suo popolo.
Non posso dimenticare la gente ai lati della strada, con i bambini.
Quanti bambini avete! Il popolo, che la cosa migliore che ha è il sorriso dei suoi bambini.
E un popolo che insegna a sorridere ai bambini è un popolo che ha un futuro.
Ma state attenti! Perché mi hanno detto che in alcune spiagge vengono i coccodrilli; i coccodrilli vengono nuotando e hanno il morso più forte di quanto possiamo tenere a bada.
State attenti! State attenti a quei coccodrilli che vogliono cambiarvi la cultura, che vogliono cambiarvi la storia.
Restate fedeli.
E non avvicinatevi a quei coccodrilli perché mordono, e mordono molto.
Vi auguro la pace.
Vi auguro di continuare ad avere molti figli: che il sorriso di questo popolo siano i suoi bambini! Prendetevi cura dei vostri bambini; ma prendetevi cura anche dei vostri anziani, che sono la memoria di questa terra.
Grazie, tante grazie per la vostra carità, per la vostra fede.
Andate avanti con speranza!
E ora chiediamo al Signore di benedirci tutti, e poi canteremo un canto alla Vergine Maria.
Cari fratelli Vescovi,
cari sacerdoti e diaconi, religiose, religiosi e seminaristi,
cari catechisti, fratelli e sorelle, buongiorno!
Molti tra i più giovani – seminaristi, religiose, giovani – sono rimasti fuori.
E adesso, quando ho visto il Vescovo, gli ho detto che deve ingrandire la cattedrale, perché è una grazia avere tante vocazioni! Ringraziamo il Signore, e ringraziamo anche i missionari che sono venuti prima di noi.
Quando vediamo quest’uomo [Florentino de Jesús Martins, di 89 anni, al quale il Papa ha detto che “gareggiava con l’apostolo Paolo”], che è stato catechista per tutta la vita, possiamo capire la grazia della missione affidata.
Ringraziamo il Signore per questa benedizione a questa Chiesa.
Sono felice di trovarmi in mezzo a voi, nel contesto di un viaggio che mi vede pellegrino nelle terre d’Oriente.
Ringrazio Mons.
Norberto de Amaral per le parole che mi ha rivolto, ricordando che Timor Est è un Paese “ai confini del mondo”.
Anch’io vengo dai confini del mondo, ma voi più di me! E mi piace dire: proprio perché è ai confini del mondo sta al centro del Vangelo! Questo è un paradosso che dobbiamo imparare: nel Vangelo, i confini sono il centro e una Chiesa che non è capace di andare ai confini e che si nasconde nel centro è una Chiesa molto malata.
Invece, quando una Chiesa guarda fuori, manda missionari, si mette su quei confini che sono il centro, il centro della Chiesa.
Grazie perché state ai confini.
Perché sappiamo bene che nel cuore di Cristo le periferie dell’esistenza sono il centro: il Vangelo è popolato da persone, figure e storie che sono ai margini, ai confini, ma vengono convocate da Gesù e diventano protagoniste della speranza che Egli è venuto a portarci.
Gioisco con voi e per voi, perché siete i discepoli del Signore in questa terra.
Pensando alle vostre fatiche e alle sfide che siete chiamati ad affrontare, mi è ritornato in mente un brano del Vangelo di Giovanni, molto suggestivo, che ci racconta una scena di tenerezza e di intimità accaduta nella casa degli amici di Gesù, Lazzaro, Marta e Maria (cfr Gv 12,1-11).
A un certo punto, durante la cena, Maria «prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo» (v.
12,3).
Maria unge i piedi di Gesù e quel profumo si diffonde nella casa.
Vorrei soffermarmi con voi proprio su questo: il profumo, il profumo di Cristo, il profumo del suo Vangelo, è un dono che voi avete, un dono che vi è stato dato gratuitamente, ma che dovete custodire e che tutti insieme siamo chiamati a diffondere.
Custodire il profumo, questo dono del Vangelo che il Signore ha dato a questa terra di Timor Est, e diffondere il profumo.
Prima cosa: custodire il profumo.
Abbiamo sempre bisogno di tornare all’origine, all’origine del dono ricevuto, del nostro essere cristiani, sacerdoti, religiosi o catechisti.
Noi abbiamo accolto la vita stessa di Dio per mezzo di Gesù, suo figlio, che è morto per noi e ci ha donato lo Spirito Santo.
Siamo stati unti, siamo unti con Olio di letizia e l’apostolo Paolo scrive: «Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo» (2 Cor 2,15).
Care sorelle, cari fratelli, voi siete il profumo di Cristo! E questo simbolo a voi non è estraneo: qui a Timor, infatti, cresce in abbondanza il legno di sandalo, con la sua fragranza molto apprezzata e ricercata anche presso altri popoli e Nazioni.
La Bibbia stessa ne loda il valore, quando racconta che la regina di Saba fece visita al re Salomone offrendogli in dono il legno di sandalo (cfr 1 Re 10,12).
Non so se la regina di Saba, prima di andare da Salomone, fece scalo a Timor Est, forse, e prese il sandalo da qui!
Sorelle, fratelli, voi siete il profumo di Cristo, un profumo molto più prezioso dei profumi francesi! Voi siete il profumo di Cristo, voi siete il profumo del Vangelo in questo Paese.
Come un albero di sandalo, sempreverde, sempre forte, che cresce e produce frutti, anche voi siete discepoli missionari profumati di Spirito Santo per inebriare la vita del santo popolo fedele di Dio.
Tuttavia, non dimentichiamo una cosa: il profumo ricevuto dal Signore va custodito, va curato con molta attenzione, come Maria di Betania la aveva messo da parte, lo aveva serbato, proprio per Gesù.
Allo stesso modo noi dobbiamo custodire l’amore, custodire l’amore.
Non dimenticate questa frase: dobbiamo custodire l’amore, con cui il Signore ha profumato la nostra vita, perché non si dissolva e non perda il suo aroma.
E questo cosa significa? Significa essere consapevoli del dono ricevuto –tutto quello che abbiamo è un dono, essere consapevoli di questo –, ricordarci che il profumo non serve per noi ma per ungere i piedi di Cristo, annunciando il Vangelo, servendo i poveri, significa vigilare su stessi perché la mediocrità e la tiepidezza spirituale sono sempre in agguato.
E mi viene in mente una cosa che diceva il cardinale De Lubac sulla mediocrità e sulla mondanità: “La cosa peggiore che può succedere alle donne e agli uomini di Chiesa è cadere nella mondanità, nella mondanità spirituale”.
State attenti, conservate questo profumo che ci dà tanta vita.
E aggiungo un’altra cosa: noi guardiamo con gratitudine alla storia che ci ha preceduto, al seme della fede gettato qui dai missionari.
Questi tre che ci hanno parlato: la religiosa che tutta la sua vita consacrata l’ha vissuta qui; questo sacerdote che ha saputo accompagnare il suo popolo nei momenti difficili della dominazione straniera; e questo diacono al quale non si è bloccata la lingua per annunciare il Vangelo e per battezzare.
Pensiamo a questi tre esempi che sono rappresentativi della storia della nostra Chiesa, e amiamo la nostra storia.
È il seme gettato qui.
[Lo sono anche] le scuole per la formazione degli operatori pastorali e tanto altro.
Ma questo può bastare? In realtà, sempre dobbiamo alimentare la fiamma della fede.
Pertanto vorrei dirvi: non trascurate di approfondire la dottrina del Vangelo, non trascurate di maturare nella formazione spirituale, catechetica e teologica; perché tutto questo serve ad annunciare il Vangelo in questa vostra cultura e, nello stesso tempo, a purificarla da forme arcaiche e talvolta superstiziose.
La predicazione della fede deve inculturarsi nella vostra cultura, e la vostra cultura dev’essere evangelizzata.
E questo vale per tutti i popoli, non solo per voi.
Se una Chiesa non è capace di inculturare la fede, non è capace di esprimere la fede nei valori propri di quella terra, sarà una Chiesa eticista e senza fecondità.
Ci sono tante cose belle nella vostra cultura, penso specialmente alla fede nella risurrezione e nella presenza delle anime dei defunti; però tutto questo va sempre purificato alla luce del Vangelo, alla luce della dottrina della Chiesa.
Impegnatevi, per favore, in questo, perché «ogni cultura e ogni gruppo hanno bisogno di essere purificati e di maturare.
E veniamo al secondo punto: diffondere il profumo.
La Chiesa esiste per evangelizzare, e noi siamo chiamati a portare agli altri il dolce profumo della vita, la vita nuova del Vangelo.
Maria di Betania non usa il nardo prezioso per abbellire sé stessa, ma per ungere i piedi di Gesù, e così sparge l’aroma in tutta la casa.
Anzi, il Vangelo di Marco specifica che Maria, per ungere Gesù, rompe il vasetto di alabastro che contiene l’unguento profumato (cfr 14,3).
L’evangelizzazione avviene quando abbiamo il coraggio di “rompere” il vaso che contiene il profumo, rompere il “guscio” che spesso ci chiude in noi stessi e uscire da una religiosità pigra, comoda, vissuta soltanto per un bisogno personale.
E mi è piaciuta molto l’espressione che ha usato Rosa, quando ha detto: “una Chiesa in movimento, una Chiesa che non sta ferma, che non ruota attorno a sé stessa, ma è bruciata dalla passione di portare la gioia del Vangelo a tutti”.
Anche il vostro Paese, radicato in una lunga storia cristiana, ha bisogno oggi di un rinnovato slancio nell’evangelizzazione, perché a tutti arrivi il profumo del Vangelo: un profumo di riconciliazione e di pace dopo gli anni sofferti della guerra; un profumo di compassione, che aiuti i poveri a rialzarsi e susciti l’impegno per risollevare le sorti economiche e sociali del Paese; un profumo di giustizia contro la corruzione.
State attenti! Tante volte la corruzione può entrare nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie.
E, in particolare, il profumo del Vangelo bisogna diffonderlo contro tutto ciò che umilia, ciò che deturpa e addirittura distrugge la vita umana, contro quelle piaghe che generano vuoto interiore e sofferenza come l’alcolismo, la violenza, la mancanza di rispetto per la donna.
Il Vangelo di Gesù ha la forza di trasformare queste realtà oscure e di generare una società nuova.
Il messaggio che voi religiose offrite di fronte al fenomeno della mancanza di rispetto per le donne è che le donne sono la parte più importante della Chiesa, perché si occupano dei più bisognosi: li curano, li accompagnano.
Ho appena fatto visita a quella bella casa d’accoglienza per i più poveri e i più bisognosi [Scuola “Irmãs Alma” per bambini con disabilità].
Sorelle, siate madri del popolo di Dio; sappiate “partorire” comunità, siate madri.
È questo che voglio da voi.
Care sorelle, cari fratelli, c’è bisogno di questo sussulto di Vangelo; e oggi, perciò, c’è bisogno di religiose, religiosi, sacerdoti, di catechisti appassionati, catechisti preparati e creativi.
Serve creatività nella missione.
E ringrazio per la sua testimonianza come catechista il Sig.
Florentino, edificante, ha dedicato gran parte della sua vita a questo bellissimo ministero.
E ai sacerdoti, in particolare, vorrei dire: ho appreso che il popolo si rivolge a voi con tanto affetto chiamandovi “Amu”, che qui è il titolo più importante, significa “signore”.
Però, questo non deve farvi sentire superiori al popolo: voi venite dal popolo, siete nati da madri del popolo, siete cresciuti con il popolo.
Non dimenticate la cultura del popolo che avete ricevuto.
Non siete superiori.
Non deve neanche indurvi nella tentazione della superbia e del potere.
E sapete come incomincia la tentazione del potere? Avete capito, vero? Mia nonna mi diceva: “Il diavolo entra sempre dalle tasche” [in italiano]; da qui entra il diavolo, entra sempre dalle tasche.
Per favore, non pensate al vostro ministero come a un prestigio sociale.
No, il ministero è un servizio.
E se qualcuno di voi non si sente servitore del popolo, vada a chiedere consiglio a un sacerdote saggio affinché lo aiuti ad avere questa dimensione tanto importante.
Ricordiamoci questo: col profumo si ungono i piedi di Cristo, che sono i piedi dei nostri fratelli nella fede, a partire dai più poveri.
I più privilegiati sono i più poveri, e con questo profumo dobbiamo prenderci cura di loro.
È eloquente il gesto che qui i fedeli compiono quando incontrano voi sacerdoti: prendono la vostra mano consacrata e la avvicinano alla fronte come segno di benedizione.
È bello cogliere in questo segno l’affetto del Popolo santo di Dio, perché il prete è strumento di benedizione: mai, mai, il sacerdote deve approfittare del ruolo, sempre deve benedire, consolare, essere ministro di compassione e segno della misericordia di Dio.
E forse il segno di tutto questo è il sacerdote povero.
Amate la povertà come la vostra sposa.
Cari fratelli, un diplomatico portoghese del 1500, Tomé Pires, ha scritto così: «I mercanti malesi dicono che Dio creò Timor per il legno di sandalo» (The Summa Oriental, Londra 1944, 204).
Noi, però, sappiamo che c’è anche un altro profumo: oltre al sandalo ce n’è un altro, che è il profumo di Cristo, il profumo del Vangelo, che arricchisce la vita e la riempie di gioia.
Voi, sacerdoti, diaconi, religiose: non scoraggiatevi! Come ci ha ricordato Padre Sancho nella sua toccante testimonianza: «Dio sa come prendersi cura di coloro che ha chiamato e inviato nella sua missione».
Nei momenti di grande difficoltà, pensate a questo: Lui ci accompagna.
Lasciamoci accompagnare dal Signore con spirito di povertà e con spirito di servizio.
Vi benedico di cuore.
E vi chiedo per favore di non dimenticarvi di pregare per me.
Ma pregate a favore, non contro! Grazie.
E vorrei finire con un grazie, un grande ringraziamento per i vostri anziani, sacerdoti anziani che hanno speso la loro vita qui; religiose anziane che sono qui, che sono straordinarie, che hanno speso la vita.
Loro sono il nostro modello.
Grazie!
C’è una cosa che sempre mi fa pensare: quando Gesù parla del giudizio finale, dice ad alcuni: “Venite con me”, ma non dice: “Venite con me perché siete stati battezzati, perché siete stati cresimati, perché vi siete sposati in chiesa, perché non avete detto menzogne, perché non avete rubato”.
No.
“Venite con me perché vi siete presi cura di me”.
Vi siete presi cura di me.
E Gesù dice: “Venite con me perché vi siete presi cura di me quando avevo fame e mi avete dato da mangiare, quando avevo sete e mi avete dato da bere, quando ero malato e mi avete visitato”, e così via.
Questo lo chiamo il sacramento dei poveri.
Un amore che incoraggia, che costruisce e che rafforza.
E questo è ciò che si trova qui: amore.
Senza amore questo non si capisce.
E così comprendiamo l’amore di Gesù che ha dato la sua vita per noi.
Non possiamo capire l’amore di Gesù se non ci mettiamo a praticare l’amore.
Condividere la vita con le persone che hanno più bisogno è un programma, un vostro programma, è un programma di ogni cristiano.
Voglio ringraziarvi per quello che fate; e voglio ringraziare anche le bambine e i bambini, i ragazzi e le ragazze che ci danno la testimonianza di lasciarsi curare.
Perché loro insegnano a noi come dobbiamo lasciarci curare da Dio.
Lasciarci curare da Dio e non da tante idee, o progetti, o capricci.
Lasciarci curare da Dio.
E loro sono i nostri maestri.
Grazie a voi per questo!
Sto vedendo questo [bambino], come si chiama? Silvano.
Portalo qui.
E cosa ci insegna Silvano, cosa ci insegna? Ci insegna a prenderci cura.
Prendendoci cura di lui, impariamo a prenderci cura.
E se guardiamo il suo viso, è calmo, paziente, dorme in pace.
E così come lui si lascia curare, anche noi dobbiamo imparare a lasciarci curare.
Lasciarsi curare da Dio, che ci ama tanto; lasciarsi curare dalla Madonna, che è nostra Madre.
E adesso recitiamo alla Madonna un’Ave Maria e vi do la benedizione.
[dopo la preghiera e la benedizione]
E non dimenticatevi, non dimenticatevi che dobbiamo imparare a lasciarci curare, tutti, come loro si lasciano curare.
Grazie!
[Scambio di doni]
Questo è il regalo che lascio a questa casa.
Guardate bene: San Giuseppe si prende cura della Madonna, la Madonna si prende cura di Gesù.
Il più importante è Colui che si lascia curare di più: Gesù.
Si lascia curare da Maria e da Giuseppe.
Signor Presidente,
Signor Primo Ministro,
distinti Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
Signor Cardinale, fratelli Vescovi,
Rappresentanti della società civile,
Signore e Signori!
Vi ringrazio per la gentile e gioiosa accoglienza in questa bella terra di Timor-Leste; e sono grato al Presidente, Signor José Ramos-Horta, per le cortesi espressioni che mi ha appena rivolto.
Qui Asia e Oceania si sfiorano e, in un certo senso, incontrano l’Europa, lontana geograficamente, eppure vicina per il ruolo che essa ha avuto a queste latitudini negli ultimi cinque secoli – non mi riferisco ai pirati olandesi! –.
Dal Portogallo, infatti, nel XVI secolo giunsero i primi missionari domenicani che portarono il Cattolicesimo e la lingua portoghese; e quest’ultima insieme alla lingua tetum sono oggi i due idiomi ufficiali dello Stato.
Il Cristianesimo, nato in Asia, è arrivato a queste propaggini del continente tramite missionari europei, testimoniando la propria vocazione universale e la capacità di armonizzarsi con le più diverse culture, le quali, incontrandosi con il Vangelo, trovano una nuova sintesi più alta e profonda.
Il cristianesimo si incultura, assume le culture e i diversi riti orientali, dei diversi popoli.
Infatti una delle dimensioni importanti del cristianesimo è l’inculturazione della fede.
Ed esso, a sua volta, evangelizza le cultura.
Questo binomio è importante per la vita cristiana: inculturazione della fede ed evangelizzazione della cultura.
Non è una fede ideologica, è una fede radicata nella cultura.
Questa terra, ornata di montagne, foreste e pianure, circondata da un mare meraviglioso, per quello che ho potuto vedere, ricca di tante cose, di tanti frutti e legname…Con tutto ciò, questa terra ha attraversato nel recente passato una fase dolorosa.
Ha conosciuto le convulsioni e le violenze, che spesso si registrano quando un popolo si affaccia alla piena indipendenza e la sua ricerca di autonomia viene negata o contrastata.
Dal 28 novembre 1975 al 20 maggio 2002, cioè dall’indipendenza dichiarata a quella definitivamente restaurata, Timor-Leste ha vissuto gli anni della sua passione e della sua più grande prova.
Ha sofferto.
Il Paese ha saputo però risorgere, ritrovando un cammino di pace e di apertura a una nuova fase, che vuol’essere di sviluppo, di miglioramento delle condizioni di vita, di valorizzazione a tutti i livelli dello splendore incontaminato di questo territorio e delle sue risorse naturali e umane.
Rendiamo grazie a Dio perché, nell’attraversare un periodo tanto drammatico della vostra storia, voi non avete perso la speranza, e per il fatto che, dopo giorni oscuri e difficili, è finalmente sorta un’alba di pace e di libertà.
Nel conseguimento di queste importanti mete è stato di grande aiuto il vostro radicamento nella fede, come San Giovanni Paolo II mise in rilievo nella sua visita al vostro Paese.
Egli, nell’omelia a Tasi-Tolu, ricordò che i cattolici di Timor-Leste hanno «una tradizione in cui la vita familiare, la cultura e i costumi sociali sono profondamente radicati nel Vangelo»; una tradizione «ricca degli insegnamenti e dello spirito delle Beatitudini», una tradizione ricca di «umile fiducia in Dio, di perdono e misericordia e, quando necessario, di paziente sofferenza nella tribolazione» (12 ottobre 1989).
E traducendo questo nell’oggi, io direi che voi siete un popolo che ha sofferto, ma saggio nella sofferenza.
A questo proposito, desidero in particolare ricordare e lodare il vostro impegno assiduo per giungere a una piena riconciliazione con i fratelli dell’Indonesia, atteggiamento che ha trovato la sua fonte prima e più pura negli insegnamenti del Vangelo.
Avete mantenuto salda la speranza anche nell’afflizione e, grazie all’indole del vostro popolo e alla vostra fede, avete trasformato il dolore in gioia! Voglia il Cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio della pace.
Infatti l’unità è superiore al conflitto, sempre; la pace dell’unità è superiore al conflitto.
E per questo si richiede anche una certa purificazione della memoria, per guarire le ferite, combattere l’odio con la riconciliazione, lo scontro con la collaborazione.
È bello parlare della “politica della mano tesa”, è molto saggia, non è sciocca, no, perché quando la mano tesa si vede tradita, sa lottare, sa portare avanti le cose.
È motivo di grato encomio anche il fatto che, nel ventesimo anniversario dell’indipendenza del Paese, avete recepito come documento nazionale la Dichiarazione sulla Fratellanza umana – ne sono grato, Signor Presidente – da me firmata insieme al Grande Imam di Al-Azhar il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi.
E lo avete fatto affinché – come auspica la Dichiarazione stessa – essa possa venire adottata e inclusa nei programmi scolastici, e ciò è fondamentale.
Nel medesimo tempo, vi esorto a proseguire con rinnovata fiducia nella sapiente costruzione e nel consolidamento delle istituzioni della vostra Repubblica, in modo che i cittadini si sentano effettivamente rappresentati ed esse siano pienamente idonee a servire il Popolo di Timor-Leste.
Ora davanti a voi si è aperto un nuovo orizzonte, sgombro da nuvole nere, ma con nuove sfide da affrontare e nuovi problemi da risolvere.
Per questo voglio dirvi: la fede, che vi ha illuminato e sostenuto nel passato, continui a ispirare il vostro presente e il vostro futuro.
«Que a vossa fé seja a vossa cultura!»; cioè, che ispiri i criteri, i progetti, le scelte secondo il Vangelo.
Tra le molte questioni attuali, penso al fenomeno dell’emigrazione, che è sempre indice di una insufficiente o inadeguata valorizzazione delle risorse; come pure della difficoltà di offrire a tutti un lavoro che produca un equo profitto e garantisca alle famiglie un reddito corrispondente alle loro esigenze di base.
E non sempre è un fenomeno esterno.
Ad esempio, in Italia c’è l’emigrazione del sud verso il nord e abbiamo tutta una regione del sud che si sta spopolando.
Penso alla povertà presente in tante zone rurali, e alla conseguente necessità di un’azione corale di ampio respiro che coinvolga molteplici forze e distinte responsabilità, civili, religiose e sociali, per porvi rimedio e per offrire valide alternative all’emigrazione.
E penso infine a quelle che possono essere considerate delle piaghe sociali, come l’eccessivo uso di alcolici tra i giovani.
Per favore, abbiate cura di questo! Date ideali ai giovani, perché escano da queste trappole! E anche il fenomeno del costituirsi in bande, le quali, forti della loro conoscenza delle arti marziali, invece di usarla al servizio degli indifesi, la usano come occasione per mettere in mostra l’effimero e dannoso potere della violenza.
E non dimentichiamo tanti bambini e adolescenti offesi nella loro dignità – questo fenomeno sta emergendo in tutto il mondo –: tutti siamo chiamati ad agire con responsabilità per prevenire ogni tipo di abuso e garantire una crescita serena ai nostri ragazzi.
Per la soluzione di questi problemi, come pure per una gestione ottimale delle risorse naturali del Paese – in primo luogo delle riserve petrolifere e del gas, che potrebbero offrire inedite possibilità di sviluppo – è indispensabile preparare adeguatamente, con una formazione appropriata, coloro che saranno chiamati ad essere la classe dirigente del Paese in un non lontano futuro.
Mi è piaciuto quello che mi ha detto il Signor Presidente riguardo all’educazione qui.
Essi potranno così avere a disposizione tutti gli strumenti indispensabili a delineare una progettualità di ampio respiro, nell’esclusivo interesse del bene comune.
La Chiesa offre come base di tale processo formativo la sua dottrina sociale.
Essa costituisce un pilastro indispensabile, su cui costruire specifiche conoscenze e al quale sempre occorre appoggiarsi, per verificare se tali ulteriori acquisizioni siano andate veramente a favore dello sviluppo integrale o non risultino invece di ostacolo, producendo squilibri inaccettabili e una quota elevata di scartati, lasciati ai margini.
La dottrina sociale della Chiesa non è un’ideologia, è basata sulla fraternità.
È una dottrina che deve favorire, che favorisce lo sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri.
Tuttavia, se i problemi non mancano – come è per ogni popolo e per ogni epoca –, vi invito ad essere fiduciosi e a mantenere uno sguardo pieno di speranza verso l’avvenire.
E c’è una cosa che vorrei dirvi, che non sta nel discorso, perché la porto dentro.
Questo è un Paese bello, ma che cos’è la cosa più bella che ha questo Paese? Il popolo.
Abbiate cura del popolo, amate il vostro popolo, fate cresce il popolo! Questo popolo è meraviglioso, è meraviglioso.
In queste poche ora dal mio arrivo ho visto come il popolo si esprime, e il vostro popolo si esprime con dignità e con gioia.
È un popolo gioioso.
Siete un popolo giovane, non per la vostra cultura e per l’insediamento su questa terra, che sono invece molto antichi, ma per il fatto che circa il 65% della popolazione di Timor-Leste è al di sotto dei 30 anni di età.
Penso a due Paesi europei, dove l’età media è di 46 e 48 anni.
E da voi, il 65% ha meno di 30 anni; possiamo pensare che l’età media sarà intorno ai 30 anni, un po’ meno.
Questa è una ricchezza.
Questo dato ci dice che il primo ambito su cui investire è per voi l’educazione.
Sono contento di ciò che ho appreso dal Presidente e che state facendo.
Andate avanti.
Credo che ci sono già diverse Università, magari anche troppe, e in più varie scuole secondarie, cosa che forse vent’anni fa non c’era.
Questo è un ritmo di crescita molto grande.
Investite sull’educazione, sull’educazione nella famiglia e nella scuola.
Un’educazione che metta al centro i bambini e i ragazzi e promuova la loro dignità.
Sono rimasto contento vedendo i bambini sorridere, con quei denti bianchi! C’era pieno di ragazzi da tutte le parti.
L’entusiasmo, la freschezza, la proiezione verso l’avvenire, il coraggio, l’intraprendenza, tipici dei giovani, uniti all’esperienza e alla saggezza degli anziani, formano una miscela provvidenziale di conoscenze e di slanci generosi verso il domani.
E qui mi permetto di dare un consiglio: mettete insieme i bambini con i nonni! L’incontro dei bambini e dei nonni provoca saggezza.
Pensateci.
Insieme, questo entusiasmo giovanile e questa saggezza sono una grande risorsa e non permettono la passività né, tantomeno, il pessimismo.
La Chiesa Cattolica, la sua dottrina sociale, le sue istituzioni per l’assistenza e la carità ai bisognosi, quelle educative e quelle sanitarie sono al servizio di tutti e sono anch’esse una preziosa risorsa, che consente di guardare al futuro con occhi pieni di speranza.
Merita apprezzamento, al riguardo, il fatto che l’impegno della Chiesa a favore del bene comune possa avvalersi della collaborazione e del sostegno dello Stato, nel quadro delle cordiali relazioni sviluppate tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica di Timor-Leste, recepite dall’Accordo tra le Parti entrato in vigore il 3 marzo 2016.
Relazioni eccellenti.
Timor-Leste, che ha saputo far fronte a momenti di grande tribolazione con paziente determinazione ed eroismo, oggi vive come Paese pacifico e democratico, che si impegna nella costruzione di una società che è fraterna, sviluppando relazioni pacifiche con i vicini nell’ambito della comunità internazionale.
Guardando al vostro recente passato e a quanto è stato finora compiuto, c’è motivo di essere fiduciosi che la vostra Nazione saprà ugualmente affrontare con intelligenza, chiarezza e creatività.
le difficoltà e i problemi odierni.
Abbiate fiducia nella saggezza del popolo.
Il popolo ha la sua saggezza, abbiate fiducia in questa saggezza.
Affido Timor-Leste e tutto il suo popolo alla protezione dell’Immacolata Concezione, celeste Patrona invocata con il titolo di Virgem de Aitara.
Ella vi accompagni e vi aiuti sempre nella missione di costruire un Paese libero, democratico, solidale e gioioso, dove nessuno si senta escluso ed ognuno possa vivere in pace e dignità.
Deus abençoe Timor-Leste!Maromak haraik bênção ba Timor-Lorosa’e!
Signora Audrey Azoulay
Direttore Generale dell’UNESCO
Parigi
In occasione della celebrazione della Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione 2024, che si svolge quest’anno a Yaoundé, il 9 e 10 settembre, il Santo Padre è lieto di esprimere la Sua vicinanza spirituale a tutti gli organizzatori e ai protagonisti della Conferenza mondiale organizzata dall’UNESCO, in collaborazione con il Governo del Camerun.
Celebrata annualmente dal 1967, la Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione è un’occasione particolarmente propizia per fare un bilancio dei risultati raggiunti nella lotta contro l’analfabetismo e per incoraggiare tutte le persone e le istituzioni impegnate nel prezioso servizio dell’educazione permanente.
Il tema scelto per quest’anno, “Promuovere l’educazione multilingue: l’alfabetizzazione per la comprensione reciproca e la pace”, invita a riflettere sul contributo dell’alfabetizzazione all’avvicinamento dei popoli e alla promozione della comprensione reciproca.
Si tratta di un’occasione per la Santa Sede di rinnovare il proprio apprezzamento per il ruolo svolto dall’UNESCO nella promozione della diversità linguistica e culturale, senza dimenticare quella del multilinguismo.
In generale, il multilinguismo è sempre più riconosciuto come un fattore che favorisce lo sviluppo personale, soprattutto in termini di flessibilità mentale, apertura e adattamento ad altre realtà culturali, ma anche per la sua capacità di favorire il dialogo, l’ascolto e la mediazione.
I poliglotti sono spesso richiesti perché, oltre alla capacità di comprendere e parlare più lingue, hanno spesso migliori capacità analitiche, maggiori abilità comunicative e sociali e migliori attitudini cognitive.
I poliglotti sono più disposti ad apprezzare la ricchezza di altre culture, anche molto lontane dalla propria.
Nelson Mandela una volta pronunciò una frase significativa: “Se parli a un uomo in una lingua che capisce, parli alla sua testa, se gli parli nella sua lingua, parli al suo cuore”.
Di fatto, la lingua è uno strumento fondamentale nella comunicazione tra le persone e i popoli.
Aiutare le persone e i futuri dirigenti a familiarizzare con più lingue è dare alla nostra umanità costruttori di ponti, capaci di superare i pregiudizi, le differenze, gli antagonismi e le polarizzazioni per dare priorità al dialogo e all’incontro; è dare al mondo uomini che sanno parlare alla mente ma anche al cuore degli interlocutori, siano essi collaboratori o avversari.
Ancora una volta, Sua Santità incoraggia vivamente i responsabili politici, gli operatori dell’educazione e il pubblico in generale a valorizzare l’importanza dell’alfabetizzazione al fine di edificare una società più istruita, fraterna, solidale e pacifica.
Nel solco di San Giovanni Paolo II, auspica che «gli uomini - liberati dalla paura e dalla minaccia di conflitti armati che potrebbero essere apocalittici – imparino non a combattersi, ma a saldare tra loro i vincoli di fraternità grazie ai mezzi di comunicazione che offre loro dalla civiltà moderna» (Papa Giovanni Paolo II, Messaggio in occasione della XX Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione, 1° settembre 1986).
Papa Francesco invoca un’abbondanza di grazie e benedizioni divine su di Lei e sui collaboratori, sui membri delle reti impegnate nell’alfabetizzazione e sui sostenitori del dialogo interculturale, ma anche su tutti i promotori della comprensione reciproca tra i popoli.
Mentre sono lieto di trasmetterLe questo messaggio, mi valgo della circostanza per rinnovarLe, Signora Direttore Generale, i sensi della mia più alta considerazione.
Cardinale Pietro Parolin
Segretario di Stato di Sua Santità
Cari giovani, buongiorno! Good morning!
Vi dico una cosa: sono felice di questi giorni trascorsi nel vostro Paese, dove convivono mare, montagne e foreste tropicali; ma soprattutto un Paese giovane abitato da tanti giovani! E il volto giovane del Paese abbiamo potuto contemplarlo tutti, anche attraverso la bella rappresentazione che abbiamo visto qui.
Grazie! Grazie per la vostra gioia, per come avete narrato la bellezza di Papua “dove l’oceano incontra il cielo, dove nascono i sogni e sorgono le sfide”; e soprattutto grazie perché avete lanciato a tutti un augurio importante: “affrontare il futuro con sorrisi di speranza!”.
Con sorrisi di gioia.
Cari giovani, non volevo ripartire da qui senza incontrarvi, perché voi siete la speranza per il futuro.
E come si costruisce il futuro? Che senso vogliamo dare alla nostra vita? Vorrei lasciarmi interpellare da queste domande, a partire da un racconto che si trova all’inizio della Bibbia: il racconto della Torre di Babele.
Lì vediamo che si scontrano due modelli, due modi opposti di vivere e di costruire la società: uno porta alla confusione e alla dispersione, l’altro porta all’armonia dell’incontro con Dio e con i fratelli.
Confusione da una parte e armonia dall’altra.
Questo è importante.
E io vi domando, adesso, cosa scegliete voi? Il modello della dispersione o il modello dell’armonia? Cosa scegliete voi? [rispondono: harmony!] Siete bravi! C’è una storia che racconta la Scrittura: che, dopo il diluvio universale, i discendenti di Noè si dispersero in diverse isole, ciascuno «secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie» (Gen 10,5).
Senza annullare le differenze, Dio concesse loro un modo per entrare in comunicazione e per unirsi; infatti, «tutta la terra aveva un’unica lingua» (Gen 11,1).
E questo significa che il Signore ci ha creati per avere un buon rapporto con gli altri.
State attenti: non ci ha creato per la confusione, ma per avere un buon rapporto.
E questo è molto importante.
E davanti a queste differenze di lingue, che dividono, che disperdono, ci vuole una sola lingua che ci aiuti ad essere uniti.
Ma io vi domando: qual è la lingua che favorisce l’amicizia, che abbatte i muri di divisione e che ci apra la via per entrare, tutti, in un abbraccio fraterno? Qual è questa lingua? Io vorrei sentire qualcuno di voi coraggioso… Chi è capace di dirmi qual è questa lingua? Chi è il più coraggioso, alzi la mano e venga qui avanti.
[Un ragazzo risponde: amore].
Siete convinti di questo? [I ragazzi rispondono: yes!] Pensate un po’.
E contro l’amore, cosa c’è? L’odio.
Ma c’è anche una cosa forse più brutta dell’odio: l’indifferenza verso gli altri.
Avete capito che cos’è l’odio e cos’è l’indifferenza? Avete capito? [I ragazzi rispondono: sì!] Sapete che l’indifferenza è una cosa molto brutta, perché tu lasci gli altri sulla strada, non ti interessi di aiutare gli altri.
L’indifferenza ha le radici dell’egoismo.
Sentite, nella vita, voi che siete giovani, dovete avere l’inquietudine del cuore di prendersi cura degli altri.
Voi dovete avere l’inquietudine di fare amicizia fra voi.
E voi dovete avere cura di una cosa che io vi dirò adesso, che forse sembra un po’ strana.
Una cosa che io dirò adesso e che forse sembra un po’ strana.
C’è un rapporto molto importante nella vita del giovane: c’è la vicinanza ai nonni.
Siete d’accordo? [I ragazzi rispondono: yes!] Adesso, tutti insieme diciamo: “Viva i nonni!” [I ragazzi rispondono: Long live grandparents!] Thank you very much.
Thank you.
Thank you.
Torniamo al racconto biblico dei discendenti di Noè.
Ognuno parlava una diversa lingua, anche tanti dialetti.
Vi domando: quanti dialetti ci sono qui? Uno? Due? Tre? Ma voi, avete una lingua comune? Pensate bene: avete una lingua comune? [I ragazzi rispondono: yes!].
La lingua del cuore! La lingua dell’amore! La lingua della vicinanza! E anche, la lingua del servizio.
Vi ringrazio della vostra presenza qui.
E mi auguro che tutti voi parliate la lingua più profonda: che tutti voi siate “wantok” dell’amore!
Cari giovani, sono contento del vostro entusiasmo e sono contento di tutto quello che fate, quello che pensate.
Ma mi domando – state attenti alla domanda! – un giovane, può sbagliare? [I ragazzi rispondono: yes!].
E una persona adulta, può sbagliare? [I ragazzi rispondono: yes!].
E un vecchio come me, può sbagliare? [I ragazzi rispondono: yes!].
Tutti possiamo sbagliare.
Tutti.
Ma l’importante è rendersi conto dello sbaglio.
Questo è importante.
Noi non siamo superman.
Noi possiamo sbagliare.
E questo ci dà anche una certezza: che dobbiamo sempre correggerci.
Nella vita tutti possiamo cadere, tutti.
Ma c’è una canzone molto bella, mi piacerebbe che voi l’imparaste, è una canzone che cantano i giovani quando stanno salendo sulle Alpi, sulle montagne.
La canzone dice così: “Nell’arte di salire, quello che importante non è non cadere, ma non rimanere caduto”.
Avete capito questo? [I ragazzi rispondono: yes!] Nella vita tutti possiamo cadere, tutti! È importante non cadere? È importante non cadere? Vi domando.
[I ragazzi rispondono: no!] Sì, ma cosa è più importante? [I ragazzi rispondono: get back up!] Non rimanere caduti.
E se tu vedi un amico, un compagno, un’amica, una compagna della vostra età che è caduto, che è caduta, cosa devi fare? Ridere di quello? [I ragazzi rispondono: no!] Tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi.
Pensate che noi soltanto in una situazione della vita possiamo guardare l’altro dall’alto in basso: per aiutarlo a sollevarsi.
Per aiutarlo a sollevarsi.
Siete d’accordo o non siete d’accordo? [I ragazzi rispondono: yes!] Se uno di voi è caduto, è un po’ giù nella vita morale, se è caduto, tu, voi, dovete dargli una botta, così? [I ragazzi rispondono: no!] Bravi, bravi.
Adesso ripetiamo insieme, per finire.
Nella vita l’importante non è non cadere, ma non rimanere caduto.
Ripetete.
Thank you very much.
Cari giovani, vi ringrazio della vostra gioia, della vostra presenza, delle vostre illusioni.
I pray for you.
I pray for you.
And you don’t forget to pray for me, because the job is not easy.
Thank you very much for your presence.
Thank you very much for your hope.
And now, all together, pray.
Pray for all us.
[Recita del Padre Nostro in inglese]
Thank you very much.
But, I forgot: se uno cade, deve rimanere caduto? [I giovani rispondono: no!] Bravi.
E se noi vediamo un amico, un’amica, un compagno, una compagna, che cade, dobbiamo lasciarlo lì o dargli una botta? [I giovani rispondono: no!] Cosa dobbiamo fare? [I ragazzi rispondono: get back up!]
Thank you very much.
God bless you.
Pray for me, don’t forget.
* * *
Parole a braccio dopo la benedizione:
Prima del canto finale, ho dimenticato qualcosa.
Vorrei domandarvi, non ricordo: quando voi trovate qualcuno caduto sulla strada, caduto per tanti problemi, cosa dovete fare, dargli una botta? [I giovani rispondono: no!] Qual è il gesto che dovete fare davanti a qualcuno che è caduto? [I giovani rispondono: get back up!] Facciamolo insieme!
Thank you very much.
Parole a braccio dopo il canto finale:
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno preparato questo bell’incontro.
Questo, me lo ha fatto notare questo Vescovo salesiano che è venuto da voi vestito come un vero operaio! Adesso, tutti insieme, un applauso a tutti coloro che hanno preparato questo incontro.
C’è una cosa che ho dimenticato: come si deve fare? Così? [sollevare una persona caduta]
Cari fratelli e sorelle,
Sono lieto di poter partecipare, anche se a distanza, a questo Congresso Eucaristico Internazionale che si celebra nella città di San Francisco de Quito, con il bel motto: “Fratellanza per guarire il mondo”.
Le lezioni che possiamo recepire dalla Santissima Eucaristia ci sorprendono sempre.
Potremmo dire con il salmo, “le ritengo terminate, e ancora mi resti Tu, Signore”, che sei silenziosamente presente nel Tabernacolo (cfr. Salmo 139,18). Tra questi insegnamenti voi avete voluto scegliere quello della fratellanza, come condizione essenziale per un mondo nuovo, un mondo più giusto, un mondo più umano.
Già i primi Padri della Chiesa ci dicevano che il segno del pane accende nel Popolo di Dio il desidero di fratellanza, poiché, proprio come non si può impastare il pane con un solo chicco, così anche noi dobbiamo camminare insieme, perché “pur essendo molti, siamo un unico corpo, un unico pane” (cfr.
Sant’Agostino Sermone 227).
È così che cresciamo come fratelli, è così che cresciamo come Chiesa, uniti dall’acqua del battesimo e purificati dal fuoco dello Spirito Santo (cfr. Ibidem).
Una fratellanza profonda, che nasce dall’unione con Dio, che nasce dal lasciarci macinare, come il grano, per poter diventare pane, corpo di Cristo, partecipando in tal modo pienamente all’Eucarestia e all’assemblea dei santi (cfr.
Sant’Ignazio di Antiochia, Lett.
ai Romani, 4,1).
Questa fratellanza dev’essere inoltre proattiva.
Un esempio di ciò, che mi viene in mente ora, è il pensiero di una religiosa tedesca morta nel campo di concentramento di Auschwitz, Angela Autsh.
Ancor prima di essere arrestata, quando il male che incombeva sul mondo era già evidente, invitava i nipotini, che si avvicinavano per la prima volta alla Santa Comunione, invitava i suoi parenti che si erano un po’ allontanati, e invitava anche quelli che erano restati devoti, a ribellarsi contro quel male con gesti semplici e, in certi ambiti, pericolosi, ad avvicinarsi il più possibile al Sacramento dell’altare, a ribellarsi comunicandosi.
Per lei esortare alla comunione frequente, soprattutto nell’ambito della preghiera per il Papa e la Chiesa, che in quel momento era perseguitata, era trovare nell’Eucaristia un vincolo che rafforza il vigore della Chiesa stessa, un vincolo che rafforza questo vigore tra i suoi membri e con Dio, e per lei era “organizzare” la trama di una resistenza che il nemico non può sbaragliare, perché non risponde a un disegno umano.
Sono questi gesti semplici a renderci più consapevoli del fatto che, se un membro soffre, tutto il corpo soffre con lui, sono loro ad aiutarci a diventare cirenei di Cristo, che prese su di sé il peso del dolore del mondo per per guarire il mondo.
Sorelle, fratelli, Impariamo questa lezione, recuperiamo questa fratellanza radicale con Dio e tra gli uomini.
Siamo uno, nell’unico Signore della nostra vita; siamo uno in un modo che non siamo in grado di capire pienamente, ma ciò che sì capiamo è che soltanto in quell’unità possiamo servire il mondo e guarirlo.
Che Gesù vi benedica e la Vergine santa di El Quinche vi ricopra con il suo mantello.
Grazie.
Cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio!
Ringrazio il Vescovo per le parole che mi ha rivolto.
Saluto le Autorità, i sacerdoti, le religiose e i religiosi, i missionari, i catechisti, i giovani, i fedeli – alcuni venuti da molto lontano – e voi, carissimi bambini! Grazie a Maria Joseph, Steven, Suor Jaisha Joseph, David e Maria per quello che avete condiviso.
Sono contento di incontrarvi in questa terra meravigliosa, terra giovane e missionaria!
Come abbiamo sentito, dalla metà del XIX secolo la missione qui non si è mai interrotta: religiose, religiosi, catechisti e missionari laici non hanno smesso di predicare la Parola di Dio e di offrire aiuto ai fratelli, nella cura pastorale, nell’istruzione, nell’assistenza sanitaria e in molti altri ambiti, affrontando non poche difficoltà, per essere per tutti strumento “di pace e di amore”, come ha detto Suor Jaisha Joseph.
Così le chiese, le scuole, gli ospedali e i centri missionari testimoniano attorno a noi che Cristo è venuto a portare salvezza a tutti, perché ciascuno fiorisca in tutta la sua bellezza per il bene comune (cfr Esort.
ap.
Evangelii gaudium, 182).
Voi qui siete “esperti” di bellezza, perché siete circondati di bellezza! Vivete in una terra magnifica, ricca di una grande varietà di piante e di uccelli, in cui si resta a bocca aperta davanti ai colori, suoni e profumi, e allo spettacolo grandioso di una natura che esplode di vita, evocando l’immagine dell’Eden!
Ma questa ricchezza il Signore ve l’affida come un segno e uno strumento, perché viviate anche voi così, uniti in armonia con Lui e con i fratelli, rispettando la casa comune e custodendovi a vicenda (cfr Messaggio per la celebrazione della V Giornata Mondiale di Preghiera per la cura del creato, 1° settembre 2019).
Guardandoci attorno, vediamo quanto è dolce lo scenario della natura.
Ma rientrando in noi stessi, ci accorgiamo che c’è uno spettacolo ancora più bello: quello di ciò che cresce in noi quando ci amiamo a vicenda, come hanno testimoniato David e Maria, parlando del loro cammino di sposi, nel sacramento del Matrimonio.
E la nostra missione è proprio questa: diffondere ovunque, attraverso l’amore di Dio e dei fratelli, la bellezza del Vangelo di Cristo (cfr Evangelii gaudium, 120)!
Abbiamo sentito come alcuni di voi, per farlo, affrontano lunghi viaggi, per raggiungere anche le comunità più lontane, a volte lasciando la propria casa, come ci ha detto Steven.
Fanno una cosa bellissima, ed è importante che non siano lasciati soli, ma che tutta la comunità li sostenga, perché possano svolgere serenamente il loro mandato, specialmente quando devono conciliare le esigenze della missione con le responsabilità della famiglia.
C’è però anche un altro modo in cui possiamo aiutarli, ed è che ciascuno di noi promuova l’annuncio missionario là dove vive (cfr Conc.
Ecum.
Vat.
II, Decr.
Ad gentes, 23): a casa, a scuola, negli ambienti di lavoro, perché dappertutto, nelle foreste, nei villaggi e nelle città, alla bellezza dei panorami corrisponda la bellezza di una comunità in cui ci si vuole bene, come Gesù ci ha insegnato quando ci ha detto: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35; cfr Mt 22,35-40).
Formeremo così, sempre più, come una grande orchestra – che piace tanto a Maria Joseph, la nostra violinista – capace, con le sue note, di ricomporre le rivalità, di vincere le divisioni – personali, familiari e tribali –; di scacciare dal cuore delle persone la paura, la superstizione e la magia; di porre fine a comportamenti distruttivi come la violenza, l’infedeltà, lo sfruttamento, l’uso di alcool e droghe: mali che imprigionano e rendono infelici tanti fratelli e sorelle, anche qui.
Ricordiamolo: l’amore è più forte di tutto questo e la sua bellezza può guarire il mondo, perché ha le sue radici in Dio (cfr Catechesi, 9 settembre 2020).
Diffondiamolo, perciò, e difendiamolo, anche quando il farlo può costarci qualche incomprensione, qualche opposizione.
Ce lo ha testimoniato, con le parole e con l’esempio, il Beato Pietro To Rot – sposo, padre, catechista e martire di questa terra –, che ha donato la sua vita proprio per difendere l’unità della famiglia di fronte a chi voleva minarne le fondamenta.
Cari amici, molti turisti, dopo aver visitato il vostro Paese, tornano a casa dicendo di aver visto “il paradiso”.
Si riferiscono, in genere, alle attrazioni paesaggistiche e ambientali di cui hanno goduto.
Noi però sappiamo che, come abbiamo detto, il tesoro più grande non è quello.
Ce n’è un altro, più bello e affascinante, che si trova nei vostri cuori e che si manifesta nella carità con cui vi amate.
È questo il dono più prezioso che potete condividere e far conoscere a tutti, rendendo Papua Nuova Guinea famosa non solo per la sua varietà di flora e di fauna, per le sue spiagge incantevoli e per il suo mare limpido, ma anche e soprattutto per le persone buone che vi si incontrano; e lo dico specialmente a voi, bambini, con i vostri sorrisi contagiosi e con la vostra gioia prorompente, che sprizza in ogni direzione.
Siete l’immagine più bella che chi parte da qui può portare con sé e conservare nel cuore!
Vi incoraggio, perciò, ad abbellire sempre più questa terra felice con la vostra presenza di Chiesa che ama.
Vi benedico e prego per voi.
E vi raccomando: anche voi pregate per me.
Grazie.
Cari fratelli e sorelle,
prima di concludere questa celebrazione, ci rivolgiamo alla Vergine Maria con la preghiera dell’Angelus.
A lei affido il cammino della Chiesa in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone.
Maria aiuto dei cristiani – Maria Helpim vi accompagni e vi protegga sempre: rafforzi l’unione delle famiglie, renda belli e coraggiosi i sogni dei giovani, sostenga e consoli gli anziani, conforti i malati e i sofferenti!
E da questa terra così benedetta dal Creatore, vorrei insieme a voi invocare, per intercessione di Maria Santissima, il dono della pace per tutti i popoli.
In particolare, lo chiedo per questa grande regione del mondo tra Asia, Oceania e Oceano Pacifico.
Pace, pace per le Nazioni e anche per il creato.
No al riarmo e allo sfruttamento della casa comune! Sì all’incontro tra i popoli e le culture, sì all’armonia dell’uomo con le creature!
Maria Helpim, Regina della pace, aiutaci a convertirci ai disegni di Dio, che sono disegni di pace e di giustizia per la grande famiglia umana!
In questa domenica, in cui ricorre la festa liturgica della Natività di Maria, il nostro pensiero lo rivolgiamo al Santuario di Lourdes, che purtroppo è stato colpito da un’inondazione.
La prima parola che oggi il Signore ci rivolge è: «Coraggio, non temete!» (Is 35,4).
Il profeta Isaia lo dice a tutti coloro che sono smarriti di cuore.
Egli in questo modo incoraggia il suo popolo e, pur in mezzo alle difficoltà e alle sofferenze, lo invita a levare lo sguardo in alto, verso un orizzonte di speranza e di futuro: Dio viene a salvarci, Egli verrà e, in quel giorno, «si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi» (Is 35,5).
Questa profezia si realizza in Gesù.
Nel racconto di San Marco vengono messe in evidenza soprattutto due cose: la lontananza del sordomuto e la vicinanza di Gesù.
La lontananza del sordomuto.
Quest’uomo si trova in una zona geografica che, con il linguaggio di oggi, chiameremmo “periferia”.
Il territorio della Decapoli si trova oltre il Giordano, lontano dal centro religioso che è Gerusalemme.
Ma quell’uomo sordomuto vive anche un altro tipo di lontananza; egli è lontano da Dio, è lontano dagli uomini perché non ha la possibilità di comunicare: è sordo e quindi non può ascoltare gli altri, è muto e quindi non può parlare con gli altri.
Quest’uomo è tagliato fuori dal mondo, è isolato, è prigioniero della sua sordità e del suo mutismo e, perciò, non può aprirsi agli altri per comunicare.
E allora possiamo leggere questa condizione di sordomuto anche in un altro senso, perché può accaderci di essere tagliati fuori dalla comunione e dell’amicizia con Dio e con i fratelli quando, più che le orecchie e la lingua, ad essere bloccato è il cuore.
Ci sono una sordità interiore e un mutismo del cuore che dipendono da tutto ciò che ci chiude in noi stessi, ci chiude a Dio, ci chiude agli altri: l’egoismo, l’indifferenza, la paura di rischiare e di metterci in gioco, il risentimento, l’odio, e l’elenco potrebbe continuare.
Tutto ciò ci allontana da Dio, ci allontana dai fratelli, e anche da noi stessi; e ci allontana dalla gioia di vivere.
A questa lontananza, fratelli e sorelle, Dio risponde con il contrario, con la vicinanza di Gesù.
Nel suo Figlio, Dio vuole mostrare anzitutto questo: che Egli è il Dio vicino, il Dio compassionevole, che si prende cura della nostra vita, che supera tutte le distanze.
E nel brano del Vangelo, infatti, vediamo Gesù che si reca in quei territori periferici, uscendo dalla Giudea per andare incontro ai pagani (cfr Mc 7,31).
Con la sua vicinanza, Gesù guarisce, guarisce il mutismo e la sordità dell’uomo: quando infatti ci sentiamo lontani, oppure scegliamo di tenerci a distanza – a distanza da Dio, a distanza dai fratelli, a distanza da chi è diverso da noi – allora ci chiudiamo, ci barrichiamo in noi stessi e finiamo per ruotare solo intorno al nostro io, sordi alla Parola di Dio e al grido del prossimo e perciò incapaci di parlare con Dio e col prossimo.
E voi, fratelli e sorelle, che abitate questa terra così lontana, forse avete l’immaginazione di essere separati, separati dal Signore, separati dagli uomini, e questo non va, no: voi siete uniti, uniti nello Spirito Santo, uniti nel Signore! E il Signore dice ad ognuno di voi: “Apriti!”.
Questa è la cosa più importante: aprirci a Dio, aprirci ai fratelli, aprirci al Vangelo e farlo diventare la bussola della nostra vita.
Anche a voi oggi il Signore dice: “Coraggio, non temere, popolo papuano! Apriti! Apriti alla gioia del Vangelo, apriti all’incontro con Dio, apriti all’amore dei fratelli”.
Che nessuno di noi rimanga sordo e muto dinanzi a questo invito.
E in questo cammino vi accompagni il Beato Giovanni Mazzucconi: tra tanti disagi e ostilità, egli ha portato Cristo in mezzo a voi, perché nessuno restasse sordo dinanzi al gioioso Messaggio della salvezza, e a tutti si potesse sciogliere la lingua per cantare l’amore di Dio.
Che sia così, oggi, anche per voi!
Cari fratelli e sorelle, buonasera!
Vi saluto tutti con affetto: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi e catechisti.
Ringrazio il Presidente della Conferenza Episcopale per le sue parole, come pure James, Grace, Suor Lorena e don Emmanuel per le loro testimonianze.
Sono contento di stare qui, in questa bella chiesa salesiana: i salesiani sanno fare bene le cose.
Complimenti.
Questo è un Santuario diocesano dedicato a Maria Aiuto dei Cristiani: Maria Ausiliatrice – io sono stato battezzato nella parrocchia di Maria Ausiliatrice a Buenos Aires – un titolo tanto caro a San Giovanni Bosco; Maria Helpim, come con affetto la invocate qui.
Quando, nel 1844, la Madonna ispirò a don Bosco di costruire a Torino una chiesa in suo onore, gli fece questa promessa: “Qui è la mia casa, da qui la mia gloria”.
Maria gli promise che, se avesse avuto il coraggio di cominciare la costruzione di quel Santuario, grandi grazie ne sarebbero seguite.
E così è successo: la chiesa è stata costruita, ed è meravigliosa – ma è più bella quella di Buenos Aires! – ed è diventata centro di irradiazione del Vangelo, di formazione dei giovani e di carità, è diventata punto di riferimento per tanta gente.
Così il bel Santuario in cui ci troviamo, che si ispira a quella storia, può essere un simbolo anche per noi, particolarmente in riferimento a tre aspetti del nostro cammino cristiano e missionario, come hanno sottolineato le testimonianze che abbiamo ascoltato: il coraggio di cominciare, la bellezza di esserci e la speranza di crescere.
Primo: il coraggio di cominciare.
I costruttori di questa chiesa hanno iniziato l’impresa facendo un grande atto di fede, che ha portato i suoi frutti, e che però è stato possibile solo grazie a tanti altri inizi coraggiosi, di chi li ha preceduti.
I missionari sono arrivati in questo Paese alla metà del XIX secolo e i primi passi del loro lavoro non sono stati facili, anzi alcuni tentativi sono falliti.
Ma loro non si sono arresi: con grande fede e con zelo apostolico hanno continuato a predicare il Vangelo e a servire i fratelli, ricominciando molte volte dove non avevano avuto successo, con tanti sacrifici.
Ce lo ricordano queste vetrate – che adesso non si vedono perché è notte –, attraverso le quali la luce del sole ci sorride nei volti dei Santi e Beati: donne e uomini di ogni provenienza, legati alla storia della vostra comunità: Pietro Chanel, protomartire dell’Oceania, Giovanni Mazzucconi e Pietro To Rot, martiri della Nuova Guinea, e poi Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II, Mary McKillop, Maria Goretti, Laura Vicuña, Zeffirino Namuncurà, Francesco di Sales, Giovanni Bosco, Maria Domenica Mazzarello.
Tutti fratelli e sorelle che, in modi e tempi diversi, cominciando e ricominciando tante volte opere e cammini, hanno contribuito a portare il Vangelo tra voi, con una variopinta ricchezza di carismi, animati dallo stesso Spirito e dalla stessa carità di Cristo (cfr 1 Cor 12,4-7; 2 Cor 5,14).
È grazie a loro, alle loro “partenze” e “ripartenze” – i missionari sono donne e uomini di “partenza”, e se tornano, di “ripartenza”: questa è la vita del missionario, partire e ripartire –, è grazie a loro che siamo qui e che oggi, nonostante le sfide che pure non mancano, continuiamo ad andare avanti, senza paura – non so se sempre –, sapendo che non siamo soli, che è il Signore che agisce, in noi e con noi (cfr Gal 2,20), rendendoci, come loro, strumenti della sua grazia (cfr 1 Pt 4,10).
Questa è la nostra vocazione: essere strumenti.
E in proposito, anche alla luce di ciò che abbiamo sentito, vorrei raccomandarvi una via importante verso cui dirigere le vostre “partenze”: quella delle periferie di questo Paese.
Penso alle persone appartenenti alle fasce più disagiate delle popolazioni urbane, come anche a quelle che vivono nelle zone più remote e abbandonate, dove a volte manca il necessario.
E ancora penso a quelle emarginate e ferite, sia moralmente che fisicamente, dal pregiudizio e dalla superstizione, a volte fino a rischio della vita, come ci hanno ricordato James e Suor Lorena.
A questi fratelli e sorelle la Chiesa desidera essere particolarmente vicina, perché in loro Gesù è presente in modo speciale (cfr Mt 25,31-40), e dove c’è Lui, il nostro capo, ci siamo anche noi, sue membra, appartenenti allo stesso corpo, «ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture» (Ef 4,16).
E per favore, non dimenticatevi: vicinanza, vicinanza! Voi sapete che i tre atteggiamenti più belli sono la vicinanza, la compassione e la tenerezza.
Se una consacrata o un consacrato, un prete, un vescovo, i diaconi non sono vicini, non sono compassionevoli e non sono teneri, non hanno lo Spirito di Gesù.
Non dimenticate questo: vicinanza, compassione, tenerezza.
E questo ci porta al secondo aspetto: la bellezza di esserci.
Possiamo vederla simboleggiata nelle conchiglie kina, con cui è ornato il presbiterio di questa chiesa, e che sono segno di prosperità.
Esse ci ricordano che qui il tesoro più bello agli occhi del Padre siamo noi, stretti attorno a Gesù, sotto il manto di Maria, spiritualmente uniti a tutti i fratelli e le sorelle che il Signore ci ha affidato e che non possono essere qui, accesi dal desiderio che il mondo intero possa conoscere il Vangelo e condividerne con noi la forza e la luce.
James chiedeva come si fa a trasmettere ai giovani l’entusiasmo della missione.
Non penso che ci siano “tecniche” per questo.
Un modo collaudato, però, è proprio quello di coltivare e condividere con loro la nostra gioia di essere Chiesa (cfr Benedetto XVI, Omelia nella Messa di Inaugurazione della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi, Aparecida, 13 maggio 2007) casa accogliente fatta di pietre vive, scelte e preziose, poste dal Signore le une accanto alle altre e cementate dal suo amore (cfr 1 Pt 2,4-5).
Così, come ci ha ricordato Grace, richiamando l’esperienza del Sinodo, stimandoci e rispettandoci a vicenda e mettendoci al servizio gli uni degli altri, possiamo mostrare a loro e a chiunque ci incontri quanto è bello seguire insieme Gesù e annunciare il suo Vangelo.
La bellezza di esserci, allora, non si sperimenta tanto in occasione dei grandi eventi e nei momenti di successo, quanto piuttosto nella fedeltà e nell’amore con cui ogni giorno ci si impegna a crescere insieme.
E così giungiamo al terzo e ultimo aspetto: la speranza di crescere.
In questa Chiesa c’è un’interessante “catechesi in immagini” del passaggio del Mar Rosso, con le figure di Abramo, Isacco e Mosè: i Patriarchi resi fecondi dalla fede, che per aver creduto hanno ricevuto in dono una numerosa discendenza (cfr Gen 15,5; 26,3-5; Es 32,7-14).
E questo è un segno importante, perché incoraggia anche noi, oggi, ad avere fiducia nella fecondità del nostro apostolato, continuando a gettare piccoli semi di bene nei solchi del mondo.
Sembrano minuscoli, come un granello di senape, ma se ci fidiamo e non smettiamo di spargerli, per grazia di Dio germoglieranno, daranno un raccolto abbondante (cfr Mt 13,3-9) e produrranno alberi capaci di accogliere gli uccelli del cielo (cfr Mc 4,30-32).
Lo dice San Paolo, quando ci ricorda che la crescita di ciò che noi seminiamo non è opera nostra, ma del Signore (cfr 1Cor 3,7), e lo insegna la Madre Chiesa, quando sottolinea che, pur attraverso i nostri sforzi, è Dio «a far sì che venga il suo regno sulla terra» (Conc.
Ecum.
Vat.
II, Decr. Ad gentes, 42).
Perciò noi continuiamo ad evangelizzare, pazientemente, senza lasciarci scoraggiare da difficoltà e incomprensioni, nemmeno quando queste si presentano là dove meno vorremmo incontrarle: in famiglia, ad esempio, come abbiamo sentito.
Cari fratelli e sorelle, ringraziamo insieme il Signore per come il Vangelo attecchisce e si diffonde in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone.
Continuate così la vostra missione, come testimoni di coraggio, di bellezza e di speranza! E non dimenticate lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza.
Sempre avanti con questo stile del Signore! Vi ringrazio per quello che fate, vi benedico tutti di cuore e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me, perché ne ho bisogno, grazie!
Complimenti a voi che avete cantato e ballato: lo fate bene!
Carissimi sorelle e fratelli, buonasera!
Saluto Sua Eminenza, che ringrazio per le parole che mi ha rivolto, la Superiora della Comunità, la Direttrice, tutti i presenti, laici e religiosi, e specialmente voi bambini, che siete meravigliosi!
Sono molto contento di incontrarvi e di condividere con voi questo momento di festa.
Ringrazio anche i vostri compagni, che mi hanno fatto due domande impegnative.
Uno di loro mi ha chiesto: «Perché non sono come gli altri?».
Davvero mi viene una sola risposta a questa domanda ed è: «Perché nessuno di noi è come gli altri: perché siamo tutti unici davanti a Dio!».
Perciò, non solo confermo che “c’è speranza per tutti” – come è stato detto – ma aggiungo anche che ciascuno di noi, nel mondo, ha un ruolo e una missione che nessun altro può svolgere e che questo, anche se comporta delle fatiche, dona allo stesso tempo un mare di gioia, in modo diverso per ogni persona.
La pace e la gioia è per tutti.
È vero, tutti abbiamo dei limiti, delle cose che sappiamo fare meglio, e altre che invece facciamo fatica o non possiamo fare mai, ma non è questo che determina la nostra felicità: piuttosto è l’amore che mettiamo in qualsiasi cosa facciamo, doniamo e riceviamo.
Donare amore, sempre, e accogliere a braccia aperte l’amore che riceviamo dalle persone che ci vogliono bene: è questa la cosa più bella e più importante della nostra vita, in qualsiasi condizione e per qualsiasi persona… anche per il Papa, sapete? La nostra gioia non dipende da altro: la nostra gioia dipende dall’amore!
E questo ci porta all’altra domanda: «Come possiamo rendere più bello e felice il nostro mondo?».
Certamente con la stessa “ricetta”: imparando giorno per giorno ad amare Dio e gli altri con tutto il cuore! E cercando di apprendere – anche a scuola – tutto quello che possiamo, per farlo nel modo migliore, studiando e impegnandoci al massimo in ogni opportunità che ci viene offerta per crescere, migliorare e affinare i nostri doni e le nostre capacità.
Avete mai visto come si prepara un gatto quando deve fare un bel salto? Prima si concentra e punta tutte le sue forze e i suoi muscoli nella direzione giusta.
Magari lo fa in un momento veloce, e non lo notiamo nemmeno, ma lo fa.
E così anche noi: concentrare tutte le nostre forze sulla meta, che è l’amore di per Gesù e in Lui per tutti i fratelli e le sorelle che incontriamo sulla nostra strada, e poi con slancio riempire tutto e tutti con il nostro affetto! In questo senso, nessuno di noi è “di peso” – come avete detto –: tutti siamo doni bellissimi di Dio, un tesoro gli uni per gli altri!
Grazie, bambini, grazie tante per questo incontro, e grazie a tutti voi che lavorate insieme, qui, con amore.
Tenete sempre accesa questa luce, che è un segno di speranza non solo per voi, ma per tutti quelli che incontrate, e pure per il nostro mondo, a volte tanto egoista e preoccupato delle cose che non contano.
Tenete accesa la luce dell’amore! E, mi raccomando, pregate anche per me!
Signor Governatore Generale,
Signor Primo Ministro,
distinti Rappresentanti della società civile,
Signori Ambasciatori,
Signore e signori!
Sono lieto di essere oggi qui con voi e di poter visitare la Papua Nuova Guinea.
Ringrazio il Governatore Generale per le sue cordiali parole di benvenuto e ringrazio tutti voi per la calorosa accoglienza.
Rivolgo il mio saluto all’intero popolo del Paese, augurandogli pace e prosperità.
E fin d’ora esprimo la mia gratitudine alle Autorità per l’aiuto che offrono a molte attività della Chiesa nello spirito di mutua collaborazione per il bene comune.
Nella vostra Patria, un arcipelago con centinaia di isole, si parlano più di ottocento lingue, in corrispondenza ad altrettanti gruppi etnici: questo evidenzia una straordinaria ricchezza culturale e umana; e vi confesso che si tratta di un aspetto che mi affascina molto, anche sul piano spirituale, perché immagino che questa enorme varietà sia una sfida per lo Spirito Santo, che crea l’armonia delle differenze!
Il vostro Paese, poi, oltre che di isole e di idiomi, è ricco anche di risorse della terra e delle acque.
Questi beni sono destinati da Dio all’intera collettività e, anche se per il loro sfruttamento è necessario coinvolgere più vaste competenze e grandi imprese internazionali, è giusto che nella distribuzione dei proventi e nell’impiego della mano d’opera si tengano nel dovuto conto le esigenze delle popolazioni locali, in modo da produrre un effettivo miglioramento delle loro condizioni di vita.
Questa ricchezza ambientale e culturale rappresenta al tempo stesso una grande responsabilità, perché impegna tutti, i governanti insieme ai cittadini, a favorire ogni iniziativa necessaria a valorizzare le risorse naturali e umane, in modo tale da dar vita a uno sviluppo sostenibile ed equo, che promuova il benessere di tutti, nessuno escluso, attraverso programmi concretamente eseguibili e mediante la cooperazione internazionale, nel mutuo rispetto e con accordi vantaggiosi per tutti i contraenti.
Condizione necessaria per ottenere tali risultati duraturi è la stabilità delle istituzioni, la quale è favorita dalla concordia su alcuni punti essenziali tra le differenti concezioni e sensibilità presenti nella società.
Accrescere la solidità istituzionale e costruire il consenso sulle scelte fondamentali rappresenta infatti un requisito indispensabile per uno sviluppo integrale e solidale.
Esso richiede inoltre una visione di lungo periodo e un clima di collaborazione tra tutti, pur nella distinzione dei ruoli e nella differenza delle opinioni.
Auspico, in particolare, che cessino le violenze tribali, che causano purtroppo molte vittime, non permettono di vivere in pace e ostacolano lo sviluppo.
Faccio pertanto appello al senso di responsabilità di tutti, affinché si interrompa la spirale di violenza e si imbocchi invece risolutamente la via che conduce a una fruttuosa collaborazione, a vantaggio dell’intero popolo del Paese.
Nel clima generato da questi atteggiamenti, potrà trovare un assetto definitivo anche la questione dello status dell’isola di Bougainville, evitando il riaccendersi di antiche tensioni.
Consolidando la concordia sui fondamenti della società civile, e con la disponibilità di ciascuno a sacrificare qualcosa delle proprie posizioni a vantaggio del bene di tutti, si potranno mettere in moto le forze necessarie a migliorare le infrastrutture, ad affrontare i bisogni sanitari ed educativi della popolazione e ad accrescere le opportunità di lavoro dignitoso.
Tuttavia, anche se a volte ce ne dimentichiamo, l’essere umano ha bisogno, oltre che del necessario per vivere, di una grande speranza nel cuore, che lo faccia vivere bene, gli dia il gusto e il coraggio di intraprendere progetti di ampio respiro e gli consenta di elevare lo sguardo verso l’alto e verso vasti orizzonti.
L’abbondanza dei beni materiali, senza questo respiro dell’anima, non basta a dar vita a una società vitale e serena, laboriosa e gioiosa, anzi, la fa ripiegare su sé stessa.
L’aridità del cuore le fa perdere l’orientamento e dimenticare la giusta scala dei valori; le toglie slancio e la blocca fino al punto – come accade in alcune società opulente – che essa smarrisce la speranza nell’avvenire e non trova più ragioni per trasmettere la vita.
Per questo è necessario orientare lo spirito verso realtà più grandi; occorre che i comportamenti siano sostenuti da una forza interiore, che li metta al riparo dal rischio di corrompersi e di perdere lungo la strada la capacità di riconoscere il significato del proprio operare e di eseguirlo con dedizione e costanza.
I valori dello spirito influenzano in notevole misura la costruzione della città terrena e di tutte le realtà temporali, infondono un’anima – per così dire –, ispirano e irrobustiscono ogni progetto.
Lo ricordano anche il logo e il motto di questa mia visita in Papua Nuova Guinea.
Il motto dice tutto con una sola parola: “Pray” – “Pregare”.
Forse qualcuno, troppo osservante del “politicamente corretto”, potrà stupirsi di questa scelta; ma in realtà si sbaglia, perché un popolo che prega ha un futuro, attingendo forza e speranza dall’alto.
E anche l’emblema dell’uccello del paradiso, nel logo del viaggio, è simbolo di libertà: di quella libertà che niente e nessuno può soffocare perché è interiore, ed è custodita da Dio che è amore e vuole che i suoi figli siano liberi.
Per tutti coloro che si professano cristiani – la grande maggioranza del vostro popolo – auspico vivamente che la fede non si riduca mai all’osservanza di riti e di precetti, ma che consista nell’amore, nell’amare Gesù Cristo e seguirlo, e che possa farsi cultura vissuta, ispirando le menti e le azioni e diventando un faro di luce che illumina la rotta.
In questo modo, la fede potrà aiutare anche la società nel suo insieme a crescere e a individuare buone ed efficaci soluzioni alle sue grandi sfide.
Illustri Signore e Signori, sono venuto qui per incoraggiare i fedeli cattolici a proseguire il loro cammino e per confermarli nella professione della fede; sono venuto a gioire con loro per i progressi che vanno facendo e a condividere le loro difficoltà; sono qui, come direbbe San Paolo, quale «collaboratore della vostra gioia» (2 Cor 1,24).
Mi congratulo con le comunità cristiane per le opere di carità che svolgono nel Paese, e le esorto a cercare sempre la collaborazione con le istituzioni pubbliche e con tutte le persone di buona volontà, a partire dai fratelli appartenenti ad altre confessioni cristiane e ad altre religioni, a favore del bene comune di tutti i cittadini della Papua Nuova Guinea.
La fulgida testimonianza del Beato Pietro To Rot – come affermò San Giovanni Paolo II durante la Messa per la Beatificazione – “insegna a mettersi generosamente al servizio degli altri per garantire che la società si sviluppi in onestà e giustizia, in armonia e solidarietà” (cfr Omelia, Port Moresby, 17 gennaio 1995).
Il suo esempio, insieme a quelli del Beato Giovanni Mazzucconi, del PIME, e di tutti i missionari che hanno annunciato il Vangelo in questa vostra terra, vi doni forza e speranza.
San Michele Arcangelo, Patrono della Papua Nuova Guinea, vegli sempre su di voi e vi difenda da ogni pericolo, protegga le Autorità e tutte le genti di questo Paese.
Eccellenza, Lei ha parlato delle donne.
Non dimentichiamo che sono loro a portare avanti un Paese.
Le donne hanno la forza di dare vita, di costruire, di far crescere un Paese.
Non dimentichiamo le donne, che sono al primo posto dello sviluppo umano e spirituale.
Eccellenza, Signore e Signori!
Inizio con gioia la mia visita in mezzo a voi.
Vi ringrazio di avermi aperto le porte del vostro bel Paese, così lontano da Roma eppure così vicino al cuore della Chiesa cattolica.
Perché nel cuore della Chiesa c’è l’amore di Gesù Cristo, che sulla croce ha abbracciato tutti gli uomini.
Il suo Vangelo è per tutti i popoli, non è legato a nessun potere terreno, ma è libero per fecondare ogni cultura e far crescere nel mondo il Regno di Dio.
Il Vangelo si incultura e le culture vanno evangelizzate.
Possa questo Regno di Dio trovare piena accoglienza in questa terra, così che tutte le popolazioni della Papua Nuova Guinea, con la varietà delle loro tradizioni, vivano insieme in armonia e diano al mondo un segno di fraternità.
Grazie tante.
L’incontro con Gesù ci chiama a vivere due atteggiamenti fondamentali, che ci permettono di diventare suoi discepoli.
Il primo atteggiamento: ascoltare la Parola; il secondo: vivere la Parola.
Prima ascoltare, perché tutto nasce dall’ascolto, dall’aprirsi a Lui, dall’accogliere il dono prezioso della sua amicizia.
Ma poi è importante vivere la Parola ricevuta, per non essere ascoltatori vani che illudono sé stessi (cfr Gc 1,22); per non rischiare di ascoltare soltanto con le orecchie senza che il seme della Parola scenda nel cuore e cambi il nostro modo di pensare, di sentire, di agire, e questo non è buono.
La Parola che ci viene donata e che ascoltiamo chiede di diventare vita, di trasformare la vita, di incarnarsi nella nostra vita.
Questi due atteggiamenti essenziali: ascoltare la Parola e vivere la Parola, possiamo contemplarli nel Vangelo che è stato appena proclamato.
Anzitutto, ascoltare la Parola.
L’Evangelista racconta che tanta gente accorreva da Gesù e «la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio» (Lc 5,1).
Cercano Lui, hanno fame e sete della Parola del Signore e la sentono risuonare nelle parole di Gesù.
Dunque, questa scena, che si ripete tante volte nel Vangelo, ci dice che il cuore dell’uomo è sempre alla ricerca di una verità capace di sfamare e saziare il suo desiderio di felicità; che non possiamo accontentarci delle sole parole umane, dei criteri di questo mondo, dei giudizi terreni; sempre abbiamo bisogno di una luce che venga dall’alto a illuminare i nostri passi, di un’acqua viva che possa dissetare i deserti dell’anima, di una consolazione che non deluda perché proviene dal cielo e non dalle effimere cose di quaggiù.
In mezzo allo stordimento e alla vanità delle parole umane, fratelli e sorelle, c’è bisogno della Parola di Dio, l’unica che è bussola per il nostro cammino, l’unica che tra tante ferite e smarrimenti è in grado di ricondurci al significato autentico della vita.
Fratelli e sorelle, non dimentichiamo questo: il primo compito del discepolo – noi tutti siamo discepoli! – non è quello di indossare l’abito di una religiosità esteriormente perfetta, di fare cose straordinarie o impegnarsi in imprese grandiose.
No.
Il primo compito, il primo passo, invece, consiste nel sapersi mettere in ascolto dell’unica Parola che salva, quella di Gesù, come possiamo vedere nell’episodio evangelico, quando il Maestro sale sulla barca di Pietro per distanziarsi un po’ dalla riva e così predicare meglio alla gente (cfr Lc 5,3).
La nostra vita di fede inizia quando umilmente accogliamo Gesù sulla barca della nostra esistenza, gli facciamo spazio, ci mettiamo in ascolto della sua Parola e da essa ci facciamo interrogare, scuotere e cambiare.
Allo stesso tempo, fratelli e sorelle, la Parola del Signore chiede di incarnarsi concretamente in noi: siamo perciò chiamati a vivere la Parola.
Ripetere soltanto la Parola, senza viverla, ci fa diventare come pappagalli: sì, la dico, ma non si capisce, non si vive.
Infatti, dopo che ha finito di predicare alle folle dalla barca, Gesù si rivolge a Pietro e lo esorta a rischiare scommettendo su quella Parola: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca» (v.
4).
La Parola del Signore non può restare una bella idea astratta o suscitare soltanto l’emozione di un momento; essa ci chiede di cambiare il nostro sguardo, di lasciarci trasformare il cuore a immagine di quello di Cristo; la Parola ci chiama a gettare con coraggio le reti del Vangelo in mezzo al mare del mondo, “correndo il rischio”, sì, correndo il rischio di vivere l’amore che Lui ci ha insegnato e ha vissuto per primo.
Anche a noi, fratelli e sorelle, il Signore, con la forza bruciante della sua Parola, chiede di prendere il largo, di staccarci dalle rive stagnanti delle cattive abitudini, delle paure e delle mediocrità, per osare una nuova vita.
La mediocrità piace al diavolo! Perché entra in noi e ci rovina.
Certo, gli ostacoli e le scuse per dire di no non mancano mai; ma guardiamo ancora all’atteggiamento di Pietro: veniva da una notte difficile, in cui non aveva pescato nulla, era arrabbiato, era stanco, era deluso; eppure, invece di rimanere paralizzato in quel vuoto e bloccato dal proprio fallimento, dice: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti» (v.
5).
Sulla tua parola getterò le reti.
E allora accade l’inaudito, il miracolo di una barca che si riempie di pesci fino quasi ad affondare (cfr v.
7).
Fratelli e sorelle, dinanzi ai tanti compiti della nostra vita quotidiana; davanti alla chiamata, che tutti avvertiamo, a costruire una società più giusta, ad andare avanti sulla via della pace e del dialogo – quella via che qui in Indonesia da tempo è stata tracciata –, possiamo sentirci a volte inadeguati, sentire il peso di tanto impegno che non sempre porta i frutti sperati oppure dei nostri errori che sembrano arrestare il cammino.
Ma con la stessa umiltà e la stessa fede di Pietro, anche a noi è chiesto di non restare prigionieri dei nostri fallimenti.
Questa è una cosa molto brutta, perché i fallimenti ci prendono e noi possiamo diventare prigionieri dei fallimenti.
No, per favore: non restiamo prigionieri dei nostri fallimenti; invece di rimanere con lo sguardo fisso sulle nostre reti vuote, guardiamo a Gesù e fidiamoci di Lui.
Non guardare le tue reti vuote, guarda Gesù, guarda Gesù! Lui ti farà camminare, Lui ti farà andare bene, fidati di Gesù! Sempre possiamo rischiare di prendere il largo e gettare nuovamente le reti, anche quando abbiamo attraversato la notte del fallimento, il tempo della delusione in cui non abbiamo preso nulla.
Adesso farò un piccolo momento di silenzio e ognuno di voi pensi ai propri fallimenti.
[pausa] E guardando questi fallimenti, rischiamo, andiamo avanti con il coraggio della Parola di Dio.
Santa Teresa di Calcutta, della quale oggi celebriamo la memoria e che instancabilmente si è presa cura dei più poveri e si è fatta promotrice di pace e di dialogo, diceva: “Quando non abbiamo nulla da dare, diamogli quel nulla.
E ricorda: anche se non dovessi raccogliere niente, non stancarti mai di seminare”.
Fratello e sorella, non stancarti mai di seminare, perché questo è vita.
Questo, fratelli e sorelle, vorrei dire anche a voi, a questa Nazione, a questo meraviglioso e variegato arcipelago: non stancatevi di prendere il largo, non stancatevi di gettare le reti, non stancatevi di sognare, non stancatevi di sognare e costruire ancora una civiltà della pace! Osate sempre il sogno della fraternità, che è un vero tesoro fra voi.
Sulla Parola del Signore vi incoraggio a seminare amore, a percorrere fiduciosi la strada del dialogo, a praticare ancora la vostra bontà e gentilezza col sorriso tipico che vi contraddistingue.
Vi hanno detto che voi siete un popolo sorridente? Non perdete il sorriso, per favore, e andate avanti! E siate costruttori di pace.
Siate costruttori di speranza!
Questo è il desiderio espresso di recente dai Vescovi del Paese, ed è l’augurio che anch’io vorrei rivolgere a tutto il popolo indonesiano: camminare insieme per il bene della società e della Chiesa! Siate costruttori di speranza.
Sentite bene:siate costruttori di speranza! Quella speranza del Vangelo che non delude (cfr Rm 5,5), non delude mai, e che ci apre alla gioia senza fine.
Grazie tante.
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Ringraziamento al termine della Messa
Ringrazio il Cardinale Ignatius, come pure il Presidente della Conferenza Episcopale e gli altri Pastori della Chiesa in Indonesia, che insieme ai presbiteri e ai diaconi servono il popolo santo di Dio in questo grande Paese.
Grazie alle religiose, ai religiosi e a tutti i volontari; e con tanto affetto agli anziani, ai malati e ai sofferenti che hanno offerto le loro preghiere.
Grazie!
La mia visita in mezzo a voi volge al termine e voglio esprimere la mia gioiosa gratitudine per la squisita accoglienza che mi è stata riservata.
La rinnovo al Signor Presidente della Repubblica, che oggi era qui presente, alle altre Autorità civili e alle forze dell’ordine, e la estendo all’intero popolo indonesiano.
Si dice nel Libro degli Atti degli Apostoli che il giorno della Pentecoste c’è stato a Gerusalemme un grande chiasso.
E tutti facevano chiasso per predicare il Vangelo.
Mi raccomando, cari fratelle e sorelle, fate chiasso! Fate chiasso!
Il Signore vi benedica.
Grazie!
Carissimi fratelli e sorelle, buongiorno!
Sono molto contento di incontrarvi.
Saluto tutti voi, in particolare il presidente della Conferenza episcopale indonesiana, che ringrazio per le parole che mi ha rivolto.
Ringrazio anche Mimi e Andrew per ciò che hanno condiviso.
È molto bello che i vescovi indonesiani abbiano scelto di celebrare i 100 anni della loro Conferenza nazionale con voi.
Grazie, grazie! Grazie a voi per questa scelta.
Grazie, Presidente! Si vede che il tuo spirito certosino ci aiuta a fare queste cose.
Voi siete piccole stelle luminose nel cielo di questo arcipelago, le membra più preziose di questa Chiesa, i suoi “tesori”, come fin dai primi secoli del cristianesimo insegnava il diacono martire San Lorenzo.
E in proposito voglio sottolineare che condivido pienamente ciò che ha detto Mimi: Dio ha creato gli esseri umani con capacità uniche per arricchire la diversità del nostro mondo – sei stata brava, Mimi, grazie! –; e lei stessa ce lo ha dimostrato parlandoci in modo meraviglioso di Gesù, “nostro faro di speranza”.
Grazie per questo!
Affrontare insieme le difficoltà, fare tutti del nostro meglio portando ognuno il proprio contributo irripetibile, ci arricchisce e ci aiuta a scoprire giorno per giorno quanto vale il nostro stare insieme, nel mondo, nella Chiesa, in famiglia, come ci ha ricordato Andrew, al quale facciamo anche i complimenti per la sua partecipazione ai Giochi Paralimpici: bravo! Facciamo un bell’applauso ad Andrew.
E facciamone uno anche a tutti noi, chiamati a diventare insieme campioni dell’amore nelle grandi olimpiadi della vita.
Un applauso a tutti noi!
Carissimi, tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri, e questo non è un male.
Ci aiuta, infatti, a capire sempre meglio che l’amore è la cosa più importante della nostra esistenza (cfr 1 Cor 13,13), ad accorgerci di quante persone buone ci sono attorno a noi.
Ci ricorda, poi, quanto il Signore ci vuole bene, a tutti, al di là di qualsiasi limite e difficoltà.
Ciascuno di noi è unico ai suoi occhi, agli occhi del Signore, e Lui non si dimentica mai di noi, mai.
Ricordiamolo, per tenere viva la nostra speranza e per impegnarci a nostra volta, senza mai stancarci, a fare della nostra vita un dono per gli altri (cfr Gv 15,12-13).
Grazie! Grazie per questo incontro e per quello che voi fate, tutti insieme.
Vi benedico e prego per voi.
E per favore, anche voi non dimenticatevi di pregare per me.
Grazie.
Oggi vorrei fare gli auguri a quella mamma che non è potuta venire, è a letto, ma oggi compie 87 anni.
Le mandiamo gli auguri, da qui, tutti insieme.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Sono felice di trovarmi qui, nella più grande Moschea dell’Asia, insieme a tutti voi.
Saluto il Grande Imam e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto, ricordando che questo luogo di culto e di preghiera è anche “una grande casa per l’umanità”, in cui ciascuno può entrare per fermarsi con sé stesso, per dare spazio a quell’anelito di infinito che porta nel cuore, per cercare l’incontro con il divino e vivere la gioia dell’amicizia con gli altri.
Mi piace ricordare che questa Moschea è stata progettata dall’architetto Friedrich Silaban, che era cristiano e si aggiudicò la vittoria del concorso.
Ciò attesta che, nella storia di questa Nazione e nella cultura che vi si respira, la Moschea, come anche gli altri luoghi di culto, sono spazi di dialogo, di rispetto reciproco, di armonica convivenza tra le religioni e le diverse sensibilità spirituali.
Questo è un grande dono, che ogni giorno siete chiamati a coltivare, perché l’esperienza religiosa sia punto di riferimento di una società fraterna e pacifica e mai motivo di chiusura e di scontro.
A tale proposito va menzionata la costruzione di un tunnel sotterraneo – il “tunnel dell’amicizia” – che collega la Moschea Istiqlal e la Cattedrale di Santa Maria dell’Assunzione.
Si tratta di un segno eloquente, che permette a questi due grandi luoghi di culto di essere non soltanto l’uno “di fronte” all’altro, ma anche l’uno “collegato” all’altro.
Questo passaggio infatti permette un incontro, un dialogo, una reale possibilità di «scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, […] di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (Esort.
ap.
Evangelii gaudium, 87).
Vi incoraggio a proseguire su questa strada: che tutti, tutti insieme, ciascuno coltivando la propria spiritualità e praticando la propria religione, possiamo camminare alla ricerca di Dio e contribuire a costruire società aperte, fondate sul rispetto reciproco e sull’amore vicendevole, capaci di isolare le rigidità, i fondamentalismi e gli estremismi, che sono sempre pericolosi e mai giustificabili.
In questa prospettiva, simboleggiata dal tunnel sotterraneo, vorrei lasciarvi due consegne, per incoraggiare il cammino dell’unità e dell’armonia che già avete intrapreso.
La prima è: guardare sempre in profondità, perché solo lì si può trovare ciò che unisce al di là delle differenze.
Infatti, mentre in superficie ci sono gli spazi della Moschea e della Cattedrale, ben definiti e frequentati dai rispettivi fedeli, sotto terra, lungo il tunnel, quelle stesse persone diverse si incontrano e possono accedere al mondo religioso dell’altro.
Questa immagine ci ricorda una cosa importante: che gli aspetti visibili delle religioni – i riti, le pratiche e così via – sono un patrimonio tradizionale che va tutelato e rispettato; ma ciò che sta “sotto”, quello che scorre in modo sotterraneo, proprio come il “tunnel dell’amicizia”, potremmo dire la radice comune a tutte le sensibilità religiose è una sola: la ricerca dell’incontro con il divino, la sete di infinito che l’Altissimo ha posto nel nostro cuore, la ricerca di una gioia più grande e di una vita più forte di ogni morte, che anima il viaggio della nostra vita e ci spinge a uscire dal nostro io per andare incontro a Dio.
Ecco, ricordiamoci questo: guardando in profondità, cogliendo ciò che scorre nell’intimo della nostra vita, il desiderio di pienezza che abita il profondo del nostro cuore, noi ci scopriamo tutti fratelli, tutti pellegrini, tutti in cammino verso Dio, al di là di ciò che ci differenzia.
Il secondo invito è: avere cura dei legami.
Il tunnel è stato costruito da una parte all’altra per creare un collegamento tra due luoghi diversi e distanti.
Questo fa il passaggio sotterraneo: collega, cioè crea un legame.
A volte noi pensiamo che l’incontro tra le religioni sia una questione che riguarda il cercare a tutti i costi dei punti in comune tra le diverse dottrine e professioni religiose.
In realtà, può succedere che un approccio del genere finisca per dividerci, perché le dottrine e i dogmi di ogni esperienza religiosa sono diversi.
Quello che realmente ci avvicina è creare un collegamento tra le nostre diversità, avere cura di coltivare legami di amicizia, di attenzione, di reciprocità.
Sono relazioni in cui ciascuno si apre all’altro, in cui ci impegniamo a ricercare insieme la verità imparando dalla tradizione religiosa dell’altro, a venirci incontro nelle necessità umane e spirituali.
Sono legami che ci permettono di lavorare insieme, di marciare uniti nel perseguire qualche obiettivo, nella difesa della dignità dell’uomo, nella lotta alla povertà, nella promozione della pace.
L’unità nasce dai vincoli personali di amicizia, dal rispetto reciproco, dalla difesa vicendevole degli spazi e delle idee altrui.
Che possiate sempre avere cura di questo!
Cari fratelli e sorelle, “promuovere l’armonia religiosa per il bene dell’umanità” è l’ispirazione che siamo chiamati a seguire e che dà anche il titolo alla Dichiarazione congiunta preparata per questa occasione.
In essa assumiamo con responsabilità le gravi e talvolta drammatiche crisi che minacciano il futuro dell’umanità, in particolare le guerre e i conflitti, purtroppo alimentati anche dalle strumentalizzazioni religiose, ma anche la crisi ambientale, diventata un ostacolo per la crescita e la convivenza dei popoli.
E davanti a questo scenario, è importante che i valori comuni a tutte le tradizioni religiose siano promossi e rafforzati, aiutando la società a «sconfiggere la cultura della violenza e dell’indifferenza» (Dichiarazione congiunta di Istiqlal) e a promuovere la riconciliazione e la pace.
Vi ringrazio per questo cammino comune che portate avanti.
L’Indonesia è un grande Paese, un mosaico di culture, di etnie e tradizioni religiose, una ricchissima diversità, che si rispecchia anche nella varietà dell’ecosistema e dell’ambiente circostante.
E se è vero che ospitate la più grande miniera d’oro del mondo, sappiate che il tesoro più prezioso è la volontà che le differenze non diventino motivo di conflitto ma si armonizzino nella concordia e nel rispetto reciproco.
L’armonia, questo che voi fate.
Non smarrite questo dono! Non impoveritevi mai di questa ricchezza così grande, anzi, coltivatela e trasmettetela soprattutto ai più giovani.
Che nessuno ceda al fascino dell’integralismo e della violenza, che tutti siano invece affascinati dal sogno di una società e di un’umanità libera, fraterna e pacifica!
Grazie! Grazie per il vostro sorriso gentile, che sempre splende sui vostri volti ed è segno della vostra bellezza e della vostra apertura interiore.
Dio vi conceda questo dono.
Con il suo aiuto e la sua benedizione andate avanti, Bhinneka Tunggal Ika, uniti nella diversità.
Grazie!
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Saluto del Santo Padre nel Tunnel dell’Amicizia
Cari fratelli e sorelle,
mi congratulo con tutti voi perché questo “Tunnel dell’Amicizia” vuole essere un luogo di dialogo e di incontro.
Se pensiamo a un tunnel, facilmente immaginiamo un percorso buio che, specialmente se siamo soli, può farci paura.
Qui invece è diverso, perché tutto è illuminato.
Vorrei dirvi, però, che siete voi la luce che lo rischiara, con la vostra amicizia, la concordia che coltivate, il sostenervi a vicenda, e con il vostro camminare insieme che vi conduce, alla fine della strada, verso la piena luce.
Noi credenti, che apparteniamo a diverse tradizioni religiose, abbiamo un ruolo da svolgere: aiutare tutti ad attraversare il tunnel con lo sguardo rivolto verso la luce.
Così, al termine del percorso, si può riconoscere, in chi ha camminato accanto a noi, un fratello, una sorella, con cui condividere la vita e sostenersi reciprocamente.
Ai tanti segnali di minaccia, ai tempi bui, contrapponiamo il segno della fratellanza che, accogliendo l’altro e rispettandone l’identità, lo sollecita a un cammino comune, fatto in amicizia, e che porta verso la luce.
Grazie a tutti coloro che operano convinti che si possa vivere in armonia e in pace, consapevoli della necessità di un mondo più fraterno.
Auspico che le nostre comunità possano essere sempre più aperte al dialogo interreligioso e siano un simbolo della coesistenza pacifica che caratterizza l’Indonesia.
Elevo la mia preghiera a Dio, Creatore di tutti, perché benedica tutti coloro che attraverseranno questo Tunnel in spirito di amicizia, armonia e fraternità.
Grazie!
Il Santo Padre prende la parola dopo aver ascoltato alcune testimonianze.
E chiede alla catechista che ha appena concluso di rimanere un momento al suo fianco.
Con te qui davanti, vorrei dirvi una cosa.
La Chiesa - dobbiamo pensare questo -, la Chiesa la portano avanti i catechisti.
I catechisti sono coloro che vanno avanti, che vanno avanti.
Poi vengono le suore - subito dopo i catechisti -; poi vengono i preti, il vescovo… Ma i catechisti sono “al fronte”, sono la forza della Chiesa.
Una volta, in uno dei viaggi in Africa, un Presidente della Repubblica mi ha detto che era stato battezzato dal suo papà catechista.
La fede si trasmette a casa.
La fede si trasmette in dialetto.
E le catechiste, insieme alle mamme e alle nonne, portano avanti questa fede.
Ringrazio tanto tutti i catechisti: sono bravi, sono molto bravi! Grazie!
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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Ci sono cardinali, ci sono vescovi, ci sono preti, ci sono suore, ci sono le laiche, i laici, ci sono i bambini, ma tutti siamo fratelli.
Non è più importate il Papa, il cardinale, il vescovo… Tutti fratelli.
Ognuno ha il suo compito per far crescere il popolo di Dio.
Capito?
Saluto il Cardinale, i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, le consacrate e i consacrati, i seminaristi e i catechisti presenti.
Ringrazio il Presidente della Conferenza Episcopale per le sue parole, e anche i fratelli e le sorelle che hanno condiviso con noi le loro testimonianze.
Come è stato ricordato, il motto scelto per questa Visita Apostolica è “Fede, fraternità, compassione”.
Penso che siano tre virtù che esprimono bene sia il vostro cammino di Chiesa sia la vostra indole di popolo, etnicamente e culturalmente molto varia, ma al tempo stesso caratterizzata da una connaturale tensione all’unità e alla convivenza pacifica, come testimoniano i principi tradizionali della Pancasila.
Vorrei riflettere insieme con voi su queste tre parole.
La prima è fede.
L’Indonesia è un grande Paese, con enormi ricchezze naturali, a livello di flora, di fauna, di risorse energetiche e di materie prime, e così via.
Una ricchezza così grande potrebbe facilmente trasformarsi, letta con superficialità, in motivo di orgoglio e di presunzione, ma, se considerata con mente e cuore aperti, può essere invece un richiamo a Dio, alla sua presenza nel cosmo, nella sua vita e nella nostra vita, come ci insegna la Sacra Scrittura (cfr Gen 1; Sir 42,15-43,33).
È il Signore, infatti, che dona tutto questo.
Non c’è un centimetro del meraviglioso territorio indonesiano, né un istante della vita di ognuno dei suoi milioni di abitanti che non sia dono del Signore, segno del suo amore gratuito e preveniente di Padre.
E guardare a tutto questo con umili occhi di figli ci aiuta a credere, a riconoscerci piccoli e amati (cfr Sal 8), e a coltivare sentimenti di gratitudine e di responsabilità.
Ce ne ha parlato Agnes, a proposito del nostro rapporto con il creato e con i fratelli, specialmente i più bisognosi, da vivere con uno stile personale e comunitario improntato al rispetto, alla civiltà e all’umanità, con sobrietà e carità francescana.
Dopo la fede, la seconda parola del motto è fraternità.
Una poetessa del novecento ha usato un’espressione molto bella per descrivere questo atteggiamento: ha scritto che essere fratelli vuol dire amarsi riconoscendosi «diversi come due gocce d’acqua».
[1] Bello! Ed è proprio così.
Non ci sono due gocce d’acqua uguali l’una all’altra, né ci sono due fratelli, nemmeno gemelli, completamente identici.
Vivere la fraternità, allora, vuol dire accogliersi a vicenda riconoscendosi uguali nella diversità.
Anche questo è un valore caro alla tradizione della Chiesa indonesiana, che si manifesta nell’apertura con cui essa si relaziona alle varie realtà che la compongono e la circondano, a livello culturale, etnico, sociale e religioso, valorizzando l’apporto di tutti e donando generosamente il suo in ogni contesto.
Questo, fratelli e sorelle, è importante, perché annunciare il Vangelo non vuol dire imporre o contrapporre la propria fede a quella degli altri, non vuol dire fare proselitismo, vuol dire donare e condividere la gioia dell’incontro con Cristo (cfr 1 Pt 3,15-17), sempre con grande rispetto e affetto fraterno per chiunque.
E in questo vi invito a mantenervi sempre così: aperti e amici di tutti – quell’espressione mi piace tanto: “mano nella mano”, andare così, come ha detto don Maxi –, profeti di comunione, in un mondo dove sembra invece stia crescendo sempre più la tendenza a dividersi, imporsi e provocarsi a vicenda (cfr Esort.
ap.
Evangelii gaudium, 67).
E su questo voglio dirvi una cosa: voi sapete chi è la persona che nel mondo fa la più grandi divisioni? Lo sapete chi è? Il grande divisore, che sempre divide, divide… Gesù unisce e questo divide.
È il diavolo.
State attenti!
È importante cercare di arrivare a tutti, come ci ha ricordato Suor Rina, con l’auspicio di poter tradurre in Bahasa Indonesia, oltre ai testi della Parola di Dio, anche gli insegnamenti della Chiesa, per renderli accessibili a più persone possibile.
E lo ha evidenziato anche Nicholas, descrivendo la missione del catechista con l’immagine di un “ponte” che unisce.
Questo mi ha colpito, e mi ha fatto pensare allo spettacolo meraviglioso, nel grande arcipelago indonesiano, di migliaia di “ponti del cuore” che uniscono tutte le isole, e ancora di più a milioni di tali “ponti” che uniscono tutte le persone che vi abitano! Ecco un’altra bella immagine della fraternità: un ricamo immenso di fili d’amore che attraversano il mare, superano le barriere e abbracciano ogni diversità, facendo di tutti «un cuore solo e un’anima sola» (cfr At 4,32).
Il linguaggio del cuore, non dimenticate!
E veniamo alla terza parola: compassione, che è molto legata alla fraternità.
Compassione vuol dire patire con l’altro, condividere i sentimenti: è una bella parola! Come sappiamo, infatti, la compassione non consiste nel dispensare elemosine a fratelli e sorelle bisognosi guardandoli dall’alto in basso, guardandoli dalle proprie sicurezze e dai propri privilegi, ma al contrario, compassione significa farci vicini gli uni agli altri, spogliandoci di tutto ciò che può impedirci di chinarci per entrare davvero in contatto con chi sta a terra, e così sollevarlo e ridargli speranza (cfr Lett.
enc.
Fratelli tutti, 70).
E questo è importante: toccare la povertà.
Quando io confesso, domando sempre alle persone adulte: “Tu fai elemosina?”, e mi dicono di sì, generalmente, perché è gente buona.
Ma la seconda domanda è: “Tu, quando fai l’elemosina, tocchi la mano del mendicante? Guardi nei suoi occhi? O gli butti la moneta da lontano per non toccarlo? Questa è una cosa che dobbiamo imparare tutti: la compassione significa soffrire, patire, accompagnare nei sentimenti chi sta soffrendo e abbracciarlo, accompagnarlo.
E non solo: vuol dire anche abbracciarne i sogni e desideri di riscatto e di giustizia, prendersene cura, farsene promotori e cooperatori, coinvolgendo anche altri, allargando la “rete” e i confini in un grande dinamismo espansivo di carità (cfr ivi, 203).
E questo non vuol dire essere comunista, questo vuol dire carità, vuol dire amore.
C’è chi ha paura della compassione, ci sono persone che hanno paura della compassione, perché la considera una debolezza – soffrire con l’altro una debolezza – ed esalta invece, come se fosse una virtù, la scaltrezza di chi fa i propri interessi mantenendosi a distanza da tutti, non lasciandosi “toccare” da niente e da nessuno, pensando così di essere più lucido e libero nel raggiungere i propri scopi.
Purtroppo io ricordo una persona molto ricca, ricchissima, a Buenos Aires, ma che aveva il vizio di prendere, prendere, prendere, sempre più soldi.
È morto e ha lasciato un’eredità enorme.
Sapete quali erano le battute che faceva la gente? “Poveretto, non hanno potuto chiudere la bara!”.
Voleva prendersi tutto e non ha preso niente.
Fa ridere, ma non dimenticate una cosa: il diavolo entra dalle tasche, sempre! È vero.
Il fatto di avere le ricchezze come sicurezza è un modo falso di guardare alla realtà.
Ciò che manda avanti il mondo non sono i calcoli di interesse – che finiscono in genere col distruggere il creato e dividere le comunità – ma la carità che si dona.
Questo porta avanti: la carità che si dona.
E la compassione non offusca la visione reale della vita, anzi, ci fa vedere meglio le cose, nella luce dell’amore, cioè ci fa vedere meglio le cose con gli occhi del cuore.
E vorrei ripeterlo, per favore, state attenti, non dimenticate: il diavolo entra dalle tasche!
Il portale di questa Cattedrale, nella sua architettura, mi sembra riassuma molto bene quanto abbiamo detto, in chiave mariana.
Esso infatti è sorretto, al centro dell’arco a sesto acuto, da una colonna sulla quale è posta una statua della Vergine Maria.
Ci mostra così la Madre di Dio prima di tutto come modello di fede, mentre simbolicamente sostiene, col suo piccolo “sì” (cfr Lc 1,38), tutto l’edificio della Chiesa.
Il suo corpo fragile, appoggiato alla colonna, alla roccia che è Cristo, sembra infatti portare con Lui su di sé il peso di tutta la costruzione, come a dire che essa, opera del lavoro e dell’ingegno dell’uomo, non può sostenersi da sola.
Maria appare poi come immagine di fraternità, nel gesto di accogliere, in mezzo al portale principale, tutti coloro che vogliono entrare.
È la madre che accoglie.
E infine è anche icona di compassione, nel suo vigilare e proteggere il popolo di Dio che, con le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze si raduna nella casa del Padre.
È la madre della compassione.
Cari fratelli e sorelle, mi piace concludere questa conversazione riprendendo ciò che San Giovanni Paolo II, in visita qui alcuni decenni orsono, ha detto proprio rivolgendosi ai vescovi, ai sacerdoti,ai religiosi e alle religiose.
Citava il versetto del Salmo: «Laetentur insulae multae» – «Gioiscano le isole tutte» (Sal 96,1) e invitava i suoi ascoltatori a realizzarlo, «rendendo testimonianza alla gioia della Risurrezione e dando la […] vita cosicché anche le isole più lontane possano “gioire” udendo il Vangelo, di cui voi siete veri predicatori, insegnanti e testimoni» (Incontro con i Vescovi, il clero e i religiosi dell’Indonesia, Jakarta, 10 ottobre 1989).
Anch’io vi rinnovo questa esortazione, e vi incoraggio a continuare la vostra missione forti nella fede, aperti a tutti nella fraternità e vicini a ciascuno nella compassione.
Forti, aperti e vicini, con la fortezza della fede.
L’apertura per accogliere tutti, tutti! Mi colpisce tanto quella parabola del Vangelo, quando gli invitati a nozze non hanno voluto venire e non sono venuti.
Che cosa fa il Signore? Si amareggia? No, ha capito qualcosa quell’uomo e manda i suoi servi: “Andate agli incroci delle strade e portate tutti, tutti, tutti dentro.
Tutti dentro, con questo stile tanto bello che è andare avanti con la fratellanza, con la compassione, con l’unità… Tutti.
E penso a tante isole, tante isole… E il Signore dice alla gente buona, a voi: “Tutti, tutti” – “Ma, Signore, quello…” – “Tutti, tutti”.
Anzi, il Signore dice: “buoni e cattivi”, tutti!
Anch’io vi rinnovo questa esortazione e vi incoraggio a continuare la vostra missione, forti nella fede, aperti a tutti nella fraternità e vicini a ciascuno nella compassione.
Fede, fraternità e compassione.
Tre parole che vi lascio, e voi dopo ci pensate.
Fede, fraternità e compassione. Vi benedico, vi ringrazio per il tanto bene che fate ogni giorno in tutte queste belle isole! Prego per voi.
Prego ma, per favore, vi chiedo di pregare per me.
E state attenti a una cosa: pregate a favore, non contro! Grazie.
______________________________________
[1] W.
Szymborska, “Nulla due volte accade”, in La gioia di scrivere.
Tutte le poesie (1945-2009), Milano, 2009, p.
45.
Signor Presidente,
distinte Autorità,
eminentissimi Signori Cardinali,
Signori Vescovi,
illustri Rappresentanti delle comunità religiose, delle diverse religioni,
illustri Rappresentanti della società civile,
Membri del Corpo Diplomatico!
Ringrazio cordialmente Lei, Signor Presidente, per il gradito invito a visitare il Paese e per le sue gentili parole di saluto.
Rivolgo al Presidente eletto il mio più sentito augurio per un fruttuoso lavoro al servizio dell’Indonesia, immenso arcipelago di migliaia e migliaia di isole bagnate dal mare che collega l’Asia all’Oceania.
Si potrebbe quasi affermare che, come l’oceano è l’elemento naturale che unisce tutte le isole indonesiane, così il mutuo rispetto per le specifiche caratteristiche culturali, etniche, linguistiche e religiose di tutti i gruppi umani di cui si compone l’Indonesia è il tessuto connettivo indispensabile a rendere unito e fiero il popolo indonesiano.
Il vostro motto nazionale “Bhinneka tunggal ika” (“Uniti nelle diversità”, letteralmente “Molti, ma uno”) manifesta bene questa realtà multiforme di popoli diversi saldamente uniti in una sola Nazione.
E inoltre mostra che, come la grande biodiversità presente in questo arcipelago è fonte di ricchezza e splendore, analogamente le differenze specifiche contribuiscono a formare un magnifico mosaico, nel quale ogni tessera è insostituibile elemento per comporre una grande opera originale e preziosa.
E questo è il vostro tesoro, è la vostra ricchezza più grande.
L’armonia nel rispetto delle diversità si raggiunge quando ogni visione particolare tiene conto delle necessità comuni e quando ogni gruppo etnico e confessione religiosa agiscono in spirito di fraternità, perseguendo il nobile fine di servire il bene di tutti.
La consapevolezza di partecipare a una storia condivisa, nella quale ciascuno porta il proprio contributo e dove è fondamentale la solidarietà di ogni parte verso il tutto, aiuta a individuare le giuste soluzioni, a evitare l’esasperazione dei contrasti e a trasformare la contrapposizione in fattiva collaborazione.
Questo saggio e delicato equilibrio, tra la molteplicità delle culture e delle differenti visioni ideologiche e le ragioni che cementano l’unità, va continuamente difeso da ogni sbilanciamento.
Si tratta di un lavoro artigianale, ripeto, un lavoro artigianale affidato a tutti, ma in maniera speciale all’azione svolta dalla politica, quando essa si pone come obiettivo l’armonia, l’equità, il rispetto dei diritti fondamentali dell’essere umano, uno sviluppo sostenibile, la solidarietà e il perseguimento della pace, sia all’interno della società sia con gli altri popoli e Nazioni.
E da qui la grandezza della politica.
Diceva un saggio che la politica è la forma più alta della carità.
È bello questo.
Per favorire una pacifica e costruttiva armonia, che assicuri la pace e unisca le forze per sconfiggere gli squilibri e le sacche di miseria, che ancora persistono in alcune zone, la Chiesa desidera incrementare il dialogo interreligioso.
Si potranno eliminare in questo modo i pregiudizi e far crescere un clima di rispetto e di fiducia reciproca, indispensabile per affrontare le sfide comuni, tra le quali quella di contrastare l’estremismo e l’intolleranza, i quali – distorcendo la religione – tentano di imporsi servendosi dell’inganno e della violenza.
Invece la vicinanza, l’ascoltare l’opinione degli altri, questo crea la fratellanza di una Nazione.
E questa è una cosa molto bella, molto bella.
La Chiesa Cattolica si pone al servizio del bene comune e desidera rafforzare la collaborazione con le istituzioni pubbliche e altri soggetti della società civile, ma mai facendo proselitismo, mai; rispetta la fede di ogni persona.
E con questo, incoraggia la formazione di un tessuto sociale più equilibrato e per assicurare una distribuzione più efficiente ed equa dell’assistenza sociale.
Permettetemi di fare ora un riferimento al Preambolo della vostra Costituzione del 1945, il quale offre indicazioni preziose sulla direzione del cammino che l’Indonesia democratica e indipendente ha scelto.
E questa è una storia molto bella; quando uno la legge, vede che è stata una scelta di tutti.
Per ben due volte in poche righe il Preambolo fa riferimento a Dio onnipotente e alla necessità che la sua benedizione scenda sul nascente Stato dell’Indonesia.
Similmente, il testo che apre la vostra Legge fondamentale a due riprese tratta della giustizia sociale, auspicando che si instauri un ordinamento internazionale fondato su di essa, considerata tra i principali obiettivi da realizzare a vantaggio dell’intero popolo indonesiano.
Unità nella molteplicità, giustizia sociale, benedizione divina sono dunque i principi fondamentali, destinati a ispirare e orientare i programmi specifici, sono come la struttura portante, la solida base sulla quale costruire la casa.
E come non notare che tali principi si accordano molto bene con il motto di questa mia visita in Indonesia: “Fede, fraternità, compassione”?
Purtroppo, invece, si riscontrano nel mondo attuale alcune tendenze che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale (cfr Lett.
enc.
Fratelli tutti, 9).
In diverse regioni constatiamo il sorgere di violenti conflitti, che sono spesso il risultato di una mancanza di rispetto reciproco, della volontà intollerante di far prevalere a tutti i costi i propri interessi, la propria posizione, o la propria parziale narrazione storica, anche quando ciò comporta sofferenze senza fine per intere collettività e sfocia in vere e proprie guerre sanguinose.
A volte poi si sviluppano violente tensioni all’interno degli Stati, per la ragione che chi detiene il potere vorrebbe tutto uniformare, imponendo la propria visione anche in questioni che dovrebbero essere lasciate all’autonomia dei singoli o dei gruppi.
D’altra parte, malgrado le suadenti dichiarazioni programmatiche, sono molte le situazioni in cui manca un effettivo e lungimirante impegno per costruire la giustizia sociale.
Ne deriva che una parte considerevole dell’umanità viene lasciata ai margini, senza i mezzi per un’esistenza dignitosa e senza difesa per far fronte a gravi e crescenti squilibri sociali, che innescano acuti conflitti.
E come si risolve questo? Con una legge di morte, cioè limitare le nascite, limitare la ricchezza più grande che ha un Paese, che sono le nascite.
Il vostro Paese, invece, ha famiglie di tre, quattro, cinque figli che vanno avanti.
E questo si vede nel livello d’età del Paese.
Continuate così.
È un esempio per tutti i Paesi.
Forse questo fa ridere; forse certe famiglie preferiscono avere un gatto, un cagnolino, e non un figlio.
Questo non va.
In altri contesti, invece, si ritiene di poter o dover prescindere dal ricercare la benedizione di Dio, giudicandola superflua per l’essere umano e per la società civile, che si dovrebbero promuovere con le loro proprie forze, ma che, così facendo, incontrano spesso la frustrazione e il fallimento.
Al contrario, vi sono casi in cui la fede in Dio viene continuamente posta in primo piano, ma spesso per essere purtroppo manipolata e per servire non a costruire pace, comunione, dialogo, rispetto, collaborazione, fraternità, a costruire il Paese, ma per fomentare divisioni e odio.
Fratelli e sorelle, di fronte a queste ombre, rallegra osservare come la filosofia che ispira l’organizzazione dello Stato indonesiano manifesti saggezza ed equilibrio.
Faccio mie, a tale proposito, le parole pronunciate da San Giovanni Paolo II, proprio in questo Palazzo, in occasione della sua visita del 1989.
Egli tra l’altro affermò: «Nel riconoscere la presenza di una legittima diversità, nel rispettare i diritti umani e politici di tutti i cittadini e nel promuovere la crescita dell’unità nazionale fondata sulla tolleranza e il rispetto per gli altri, voi gettate le fondamenta di quella società giusta e pacifica che tutti gli Indonesiani desiderano per se stessi e che vogliono trasmettere ai propri figli» (Discorso al Presidente della Repubblica indonesiana e alle Autorità, Jakarta, 9 ottobre 1989).
Anche se a volte, nel corso delle vicende storiche, i principi ispiratori sopra richiamati non sempre hanno avuto la forza di imporsi in ogni circostanza, essi rimangono validi e affidabili, come un faro che mostra la direzione da percorrere e avverte circa i più pericolosi errori da evitare.
Signor Presidente, Signore e Signori,
auspico che tutti, nel loro quotidiano agire, sappiano trarre ispirazione da questi principi e renderli effettivi nell’adempimento ordinario dei rispettivi doveri, perché opus justitiae pax, la pace è frutto della giustizia.
L’armonia infatti si ottiene quando ciascuno si impegna non solo per i propri interessi e la propria visione, ma in vista del bene di tutti, per costruire ponti, per favorire accordi e sinergie, per unire le forze allo scopo di sconfiggere ogni forma di miseria morale, economica, sociale, e promuovere pace e concordia.
Cari fratelli e sorelle, continuate sulla vostra strada, che è così bella e così giusta.
E così porto la benedizione a tutto il popolo: Dio benedica l’Indonesia con la pace, per un futuro ricco di speranza.
Dio benedica tutti voi!