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Messaggi

da Vatican.va
Testamento del Santo Padre Francesco
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Miserando atque Eligendo

Nel Nome della Santissima Trinità.

Amen.

Sentendo che si avvicina il tramonto della mia vita terrena e con viva speranza nella Vita Eterna, desidero esprimere la mia volontà testamentaria solamente per quanto riguarda il luogo della mia sepoltura.

La mia vita e il ministero sacerdotale ed episcopale ho sempre affidato alla Madre del Nostro Signore, Maria Santissima.

Perciò, chiedo che le mie spoglie mortali riposino aspettando il giorno della risurrezione nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore.

Desidero che il mio ultimo viaggio terreno si concluda proprio in questo antichissimo santuario Mariano dove mi recavo per la preghiera all’inizio e al termine di ogni Viaggio Apostolico ad affidare fiduciosamente le mie intenzioni alla Madre Immacolata e ringraziarLa per la docile e materna cura.

Chiedo che la mia tomba sia preparata nel loculo della navata laterale tra la Cappella Paolina (Cappella della Salus Populi Romani) e la Cappella Sforza della suddetta Basilica Papale come indicato nell’accluso allegato.

Il sepolcro deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro e con l’unica iscrizione: Franciscus.

Le spese per la preparazione della mia sepoltura saranno coperte con la somma del benefattore che ho disposto, a trasferire alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore e di cui ho provveduto dare opportune istruzioni a Mons.

Rolandas Makrickas, Commissario Straordinario del Capitolo Liberiano.

Il Signore dia la meritata ricompensa a coloro che mi hanno voluto bene continueranno a pregare per me.

La sofferenza che si è fatta presente nell’ultima parte della mia vita l’offerta al Signore per la pace nel mondo e la fratellanza tra i popoli.

Santa Marta, 29 giugno 2022

FRANCESCO

"Urbi et Orbi" - Pasqua 2025
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Cristo è risorto, alleluia!

Fratelli e sorelle, buona Pasqua!

Oggi nella Chiesa finalmente risuona l’alleluia, riecheggia di bocca in bocca, da cuore a cuore, e il suo canto fa piangere di gioia il popolo di Dio nel mondo intero.

Dal sepolcro vuoto di Gerusalemme giunge fino a noi l’annuncio inaudito: Gesù, il Crocifisso, «non è qui, è risorto» (Lc 24,6).

Non è nella tomba, è il vivente!

L’amore ha vinto l’odio.

La luce ha vinto le tenebre.

La verità ha vinto la menzogna.

Il perdono ha vinto la vendetta.

Il male non è scomparso dalla nostra storia, rimarrà fino alla fine, ma non ha più il dominio, non ha più potere su chi accoglie la grazia di questo giorno.

Sorelle e fratelli, specialmente voi che siete nel dolore e nell’angoscia, il vostro grido silenzioso è stato ascoltato, le vostre lacrime sono state raccolte, nemmeno una è andata perduta! Nella passione e nella morte di Gesù, Dio ha preso su di sé tutto il male del mondo e con la sua infinita misericordia l’ha sconfitto: ha sradicato l’orgoglio diabolico che avvelena il cuore dell’uomo e semina ovunque violenza e corruzione.

L’Agnello di Dio ha vinto! Per questo oggi esclamiamo: «Cristo, mia speranza, è risorto!» (Sequenza pasquale).

Sì, la risurrezione di Gesù è il fondamento della speranza: a partire da questo avvenimento, sperare non è più un’illusione.

No.

Grazie a Cristo crocifisso e risorto, la speranza non delude! Spes non confundit! (cfr Rm 5,5).

E non è una speranza evasiva, ma impegnativa; non è alienante, ma responsabilizzante.

Quanti sperano in Dio pongono le loro fragili mani nella sua mano grande e forte, si lasciano rialzare e si mettono in cammino: insieme con Gesù risorto diventano pellegrini di speranza, testimoni della vittoria dell’Amore, della potenza disarmata della Vita.

Cristo è risorto! In questo annuncio è racchiuso tutto il senso della nostra esistenza, che non è fatta per la morte ma per la vita.

La Pasqua è la festa della vita! Dio ci ha creati per la vita e vuole che l’umanità risorga! Ai suoi occhi ogni vita è preziosa! Quella del bambino nel grembo di sua madre, come quella dell’anziano o del malato, considerati in un numero crescente di Paesi come persone da scartare.

Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo! Quanta violenza vediamo spesso anche nelle famiglie, nei confronti delle donne o dei bambini! Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti!

In questo giorno, vorrei che tornassimo a sperare e ad avere fiducia negli altri, anche in chi non ci è vicino o proviene da terre lontane con usi, modi di vivere, idee, costumi diversi da quelli a noi più familiari, poiché siamo tutti figli di Dio!

Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile! Dal Santo Sepolcro, Chiesa della Risurrezione, dove quest’anno la Pasqua è celebrata nello stesso giorno da cattolici e ortodossi, s’irradi la luce della pace su tutta la Terra Santa e sul mondo intero.

Sono vicino alle sofferenze dei cristiani in Palestina e in Israele, così come a tutto il popolo israeliano e a tutto il popolo palestinese.

Preoccupa il crescente clima di antisemitismo che si va diffondendo in tutto il mondo.

In pari tempo, il mio pensiero va alla popolazione e in modo particolare alla comunità cristiana di Gaza, dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria.

Faccio appello alle parti belligeranti: cessate il fuoco, si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira ad un futuro di pace!

Preghiamo per le comunità cristiane in Libano e in Siria che, mentre quest’ultimo Paese sperimenta un passaggio delicato della sua storia, ambiscono alla stabilità e alla partecipazione alle sorti delle rispettive Nazioni.

Esorto tutta la Chiesa ad accompagnare con l’attenzione e con la preghiera i cristiani dell’amato Medio Oriente.

Un pensiero speciale rivolgo anche al popolo dello Yemen, che sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie “prolungate” del mondo a causa della guerra, e invito tutti a trovare soluzioni attraverso un dialogo costruttivo.

Cristo Risorto effonda il dono pasquale della pace sulla martoriata Ucraina e incoraggi tutti gli attori coinvolti a proseguire gli sforzi volti a raggiungere una pace giusta e duratura.

In questo giorno di festa pensiamo al Caucaso Meridionale e preghiamo affinché si giunga presto alla firma e all’attuazione di un definitivo Accordo di pace tra l’Armenia e l’Azerbaigian, che conduca alla tanto desiderata riconciliazione nella Regione.

La luce della Pasqua ispiri propositi di concordia nei Balcani occidentali e sostenga gli attori politici nell’adoperarsi per evitare l’acuirsi di tensioni e crisi, come pure i partner della Regione nel respingere comportamenti pericolosi e destabilizzanti.

Cristo Risorto, nostra speranza, conceda pace e conforto alle popolazioni africane vittime di violenze e conflitti, soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo, in Sudan e Sud Sudan, e sostenga quanti soffrono a causa delle tensioni nel Sahel, nel Corno d’Africa e nella Regione dei Grandi Laghi, come pure i cristiani che in molti luoghi non possono professare liberamente la loro fede.

Nessuna pace è possibile laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui.

Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo.

La luce della Pasqua ci sprona ad abbattere le barriere che creano divisioni e sono gravide di conseguenze politiche ed economiche.

Ci sprona a prenderci cura gli uni degli altri, ad accrescere la solidarietà reciproca, ad adoperarci per favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana.

In questo tempo non manchi il nostro aiuto al popolo birmano, già tormentato da anni di conflitto armato, che affronta con coraggio e pazienza le conseguenze del devastante terremoto a Sagaing, causa di morte per migliaia di persone e motivo di sofferenza per moltissimi sopravvissuti, tra cui orfani e anziani.

Preghiamo per le vittime e per i loro cari e ringraziamo di cuore tutti i generosi volontari che svolgono le attività di soccorso.

L’annuncio del cessate-il-fuoco da parte di vari attori nel Paese è un segno di speranza per tutto il Myanmar.

Faccio appello a tutti quanti nel mondo hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica della paura che chiude, ma a usare le risorse a disposizione per aiutare i bisognosi, combattere la fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo.

Sono queste le “armi” della pace: quelle che costruiscono il futuro, invece di seminare morte!

Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano.

Davanti alla crudeltà di conflitti che coinvolgono civili inermi, attaccano scuole e ospedali e operatori umanitari, non possiamo permetterci di dimenticare che non vengono colpiti bersagli, ma persone con un’anima e una dignità.

E in quest’anno giubilare, la Pasqua sia anche l’occasione propizia per liberare i prigionieri di guerra e quelli politici!

Cari fratelli e sorelle,

nella Pasqua del Signore, la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello, ma il Signore ora vive per sempre (cfr Sequenza pasquale) e ci infonde la certezza che anche noi siamo chiamati a partecipare alla vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte.

Affidiamoci a Lui che solo può far nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5)!

Buona Pasqua a tutti!

Da di Pasqua nella Risurrezione del Signore (20 Apr 2025)
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Maria di Magdala, vedendo che la pietra del sepolcro era stata rotolata via, si mise a correre per andare a dirlo a Pietro e Giovanni.

Anche i due discepoli, ricevuta la sconvolgente notizia, uscirono e – dice il Vangelo – «correvano insieme tutti e due» (Gv 20,4).

I protagonisti dei racconti della Pasqua corrono tutti! E questo “correre” esprime, da un lato, la preoccupazione che avessero portato via il corpo del Signore; ma, dall’altro, la corsa della Maddalena, di Pietro e di Giovanni dice il desiderio, la spinta del cuore, l’atteggiamento interiore di chi si mette alla ricerca di Gesù.

Egli, infatti, è risorto dalla morte e perciò non si trova più nel sepolcro.

Bisogna cercarlo altrove.

Questo è l’annuncio della Pasqua: bisogna cercarlo altrove.

Cristo è risorto, è vivo! Egli non è rimasto prigioniero della morte, non è più avvolto nel sudario, e dunque non si può rinchiuderlo in una bella storia da raccontare, non si può fare di Lui un eroe del passato o pensarlo come una statua sistemata nella sala di un museo! Al contrario, bisogna cercarlo e per questo non possiamo stare fermi.

Dobbiamo metterci in movimento, uscire per cercarlo: cercarlo nella vita, cercarlo nel volto dei fratelli, cercarlo nel quotidiano, cercarlo ovunque tranne che in quel sepolcro.

Cercarlo sempre.

Perché, se è risorto dalla morte, allora Egli è presente ovunque, dimora in mezzo a noi, si nasconde e si rivela anche oggi nelle sorelle e nei fratelli che incontriamo lungo il cammino, nelle situazioni più anonime e imprevedibili della nostra vita.

Egli è vivo e rimane sempre con noi, piangendo le lacrime di chi soffre e moltiplicando la bellezza della vita nei piccoli gesti d’amore di ciascuno di noi.

Per questo la fede pasquale, che ci apre all’incontro con il Signore Risorto e ci dispone ad accoglierlo nella nostra vita, è tutt’altro che una sistemazione statica o un pacifico accomodarsi in qualche rassicurazione religiosa.

Al contrario, la Pasqua ci consegna al movimento, ci spinge a correre come Maria di Magdala e come i discepoli; ci invita ad avere occhi capaci di “vedere oltre”, per scorgere Gesù, il Vivente, come il Dio che si rivela e anche oggi si fa presente, ci parla, ci precede, ci sorprende.

Come Maria di Magdala, ogni giorno possiamo fare l’esperienza di perdere il Signore, ma ogni giorno noi possiamo correre per cercarlo ancora, sapendo con certezza che Egli si fa trovare e ci illumina con la luce della sua risurrezione.

Fratelli e sorelle, ecco la speranza più grande della nostra vita: possiamo vivere questa esistenza povera, fragile e ferita aggrappati a Cristo, perché Lui ha vinto la morte, vince le nostre oscurità e vincerà le tenebre del mondo, per farci vivere con Lui nella gioia, per sempre.

Verso questa meta, come dice l’Apostolo Paolo, anche noi corriamo, dimenticando ciò che ci sta alle spalle e vivendo protesi verso ciò che abbiamo di fronte (cfr Fil 3,12-14).

Ci affrettiamo allora per andare incontro a Cristo, col passo svelto della Maddalena, di Pietro e di Giovanni.

Il Giubileo ci chiama a rinnovare in noi il dono di questa speranza, a immergere in essa le nostre sofferenze e le nostre inquietudini, a contagiarne coloro che incontriamo sul cammino, ad affidare a questa speranza il futuro della nostra vita e il destino dell’umanità.

E perciò non possiamo parcheggiare il cuore nelle illusioni di questo mondo o rinchiuderlo nella tristezza; dobbiamo correre, pieni di gioia.

Corriamo incontro a Gesù, riscopriamo la grazia inestimabile di essere suoi amici.

Lasciamo che la sua Parola di vita e di verità illumini il nostro cammino.

Come ebbe a dire il grande teologo Henri de Lubac, «dovrà esserci sufficiente di comprendere questo: il cristianesimo è Cristo.

No, veramente, non c’è nient’altro che questo.

In Cristo noi abbiamo tutto» (Les responsabilités doctrinales des catholiques dans le monde d’aujourd’hui, Paris 2010, 276).

E questo “tutto” che è il Cristo risorto apre la nostra vita alla speranza.

Lui è vivo, Lui ancora oggi vuole rinnovare la nostra vita.

A Lui, vincitore del peccato e della morte, vogliamo dire:

«Signore, in questa festa noi ti chiediamo questo dono: di essere noi pure nuovi per vivere questa perenne novità.

Scrostaci, o Dio, la triste polvere dell’abitudine, della stanchezza e del disincanto; dacci la gioia di svegliarci, ogni mattino, con occhi stupiti per vedere gli inediti colori di quel mattino, unico e diverso da ogni altro.

[…] Tutto è nuovo, Signore, e niente ripetuto, niente vecchio» (A.

Zarri, Quasi una preghiera).

Sorelle, fratelli, nello stupore della fede pasquale, portando nel cuore ogni attesa di pace e di liberazione, possiamo dire: con Te, o Signore, tutto è nuovo.

Con Te, tutto ricomincia.

Veglia Pasquale nella Notte Santa (19 Apr 2025)
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È notte quando il cero pasquale avanza lentamente fino all’altare.

È notte quando il canto dell’Inno apre i nostri cuori all’esultanza, perché la terrà è «inondata di così grande splendore: la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo» (Preconio pasquale).

Sul finire della notte avvengono i fatti narrati nel Vangelo appena proclamato (cfr Lc 24,1-12): la luce divina della Risurrezione si accende e la Pasqua del Signore accade quando il sole sta ancora per spuntare; ai primi chiarori dell’alba si vede che la grande pietra, posta sul sepolcro di Gesù, è stata ribaltata e alcune donne arrivano in quel luogo portando il velo del lutto.

Il buio avvolge lo sconcerto e la paura dei discepoli.

Tutto succede nella notte.

Così, la Veglia pasquale ci ricorda che la luce della Risurrezione rischiara il cammino passo dopo passo, irrompe nelle tenebre della storia senza clamore, rifulge nel nostro cuore in modo discreto.

E ad essa corrisponde una fede umile, priva di ogni trionfalismo.

La Pasqua del Signore non è un evento spettacolare con cui Dio afferma sé stesso e obbliga a credere in Lui; non è una mèta che Gesù raggiunge per una via facile, aggirando il Calvario; e nemmeno noi possiamo viverla in modo disinvolto e senza esitazione interiore.

Al contrario, la Risurrezione è simile a piccoli germogli di luce che si fanno strada a poco a poco, senza fare rumore, talvolta ancora minacciati dalla notte e dall’incredulità.

Questo “stile” di Dio ci libera da una religiosità astratta, illusa dal pensare che la risurrezione del Signore risolva tutto in maniera magica.

Tutt’altro: non possiamo celebrare la Pasqua senza continuare a fare i conti con le notti che portiamo nel cuore e con le ombre di morte che spesso si addensano sul mondo.

Cristo ha vinto il peccato e ha distrutto la morte ma, nella nostra storia terrena, la potenza della sua Risurrezione si sta ancora compiendo.

E questo compimento, come un piccolo germoglio di luce, è affidato a noi, perché lo custodiamo e lo facciamo crescere.

Fratelli e sorelle, questa è la chiamata che, soprattutto nell’anno giubilare, dobbiamo sentire forte dentro di noi: facciamo germogliare la speranza della Pasqua nella nostra vita e nel mondo!

Quando sentiamo ancora il peso della morte dentro il nostro cuore, quando vediamo le ombre del male continuare la loro marcia rumorosa sul mondo, quando sentiamo bruciare nella nostra carne e nella nostra società le ferite dell’egoismo o della violenza, non perdiamoci d’animo, ritorniamo all’annuncio di questa notte: la luce lentamente risplende anche se siamo nelle tenebre; la speranza di una vita nuova e di un mondo finalmente liberato ci attende; un nuovo inizio può sorprenderci benché a volte ci sembri impossibile, perché Cristo ha vinto la morte.

Questo annuncio, che allarga il cuore, ci riempie di speranza.

In Gesù Risorto abbiamo infatti la certezza che la nostra storia personale e il cammino dell’umanità, pur immersi ancora in una notte dove le luci appaiono fioche, sono nelle mani di Dio; e Lui, nel suo grande amore, non ci lascerà vacillare e non permetterà che il male abbia l’ultima parola.

Allo stesso tempo, questa speranza, già compiuta in Cristo, per noi rimane anche una mèta da raggiungere: a noi è stata affidata perché ne diventiamo testimoni credibili e perché il Regno di Dio si faccia strada nel cuore delle donne e degli uomini di oggi.

Come ci ricorda Sant’Agostino, «la resurrezione del nostro Signore Gesù Cristo segna la nuova vita di quanti credono in Lui; e questo mistero della sua morte e resurrezione voi dovete conoscerlo in profondità e riprodurlo nella vostra vita» (Discorso 231, 2).

Riprodurre la Pasqua nella nostra vita e diventare messaggeri di speranza, costruttori di speranza mentre tanti venti di morte soffiano ancora su di noi.

Possiamo farlo con le nostre parole, con i nostri piccoli gesti quotidiani, con le nostre scelte ispirate al Vangelo.

Tutta la nostra vita può essere presenza di speranza.

Vogliamo esserlo per coloro ai quali manca la fede nel Signore, per chi ha smarrito la strada, per quelli che si sono arresi o hanno la schiena curva sotto i pesi della vita; per chi è solo o si è chiuso nel proprio dolore; per tutti i poveri e gli oppressi della Terra; per le donne umiliate e uccise; per i bambini mai nati e per quelli maltrattati; per le vittime della guerra.

A ciascuno e a tutti portiamo la speranza della Pasqua!

Mi piace ricordare una mistica del duecento, Hadewijch di Anversa, che ispirandosi al Cantico dei Cantici e descrivendo la sofferenza per la mancanza dell’amato, invoca il ritorno dell’amore perché – dice – «ci sia alla mia tenebra una svolta» (Hadewijch, Poesie Visioni Lettere, Genova 2000, 23).

Il Cristo risorto è la svolta definitiva della storia umana.

Lui è la speranza che non tramonta.

Lui è l’amore che ci accompagna e ci sostiene.

Lui è il futuro della storia, la destinazione ultima verso cui camminiamo, per essere accolti in quella nuova vita in cui il Signore stesso asciugherà ogni nostra lacrima «e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno» (Ap 21,4).

E questa speranza della Pasqua, questa “svolta nelle tenebre”, dobbiamo annunciarla a tutti.

Sorelle, fratelli, il tempo di Pasqua è stagione di speranza.

«C’è ancora paura, ancora c’è una dolorosa coscienza di peccato, ma c’è anche una luce che irrompe.

[…] Pasqua porta la buona notizia che, sebbene le cose sembrino andare peggio nel mondo, il male è già stato vinto.

Pasqua ci permette di affermare che, sebbene Dio sembri molto lontano e noi rimaniamo assorbiti da tante piccole realtà, il nostro Signore cammina sulla strada con noi.

[…] Vi sono molti raggi di speranza che gettano luce sul cammino della nostra vita» (H.

Nouwen, Preghiere dal silenzio.

Il sentiero della speranza, Brescia 2000, 55-56).

Facciamo spazio alla luce del Risorto! E diventeremo costruttori di speranza per il mondo.

Le meditazioni e le preghiere per la Via Crucis 2025 scritte dal Santo Padre Francesco (18 Apr 2025)
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Introduzione

La via del Calvario passa in mezzo alle nostre strade di tutti i giorni.

Noi, Signore, andiamo solitamente nella direzione opposta alla tua.

Proprio così può capitarci di incontrare il tuo volto, di incrociare il tuo sguardo.

Noi procediamo come sempre e tu vieni verso di noi.

I tuoi occhi ci leggono il cuore.

Allora esitiamo a proseguire come se nulla fosse successo.

Possiamo voltarci, guardarti, seguirti.

Possiamo immedesimarci nel tuo cammino e intuire che è meglio cambiare direzione.

Dal Vangelo secondo Marco (10,21)

Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!».

Gesù è il tuo nome e davvero in te «Dio salva».

Il Dio di Abramo che chiama, il Dio di Isacco che provvede, il Dio di Giacobbe che benedice, il Dio di Israele che libera: nel tuo sguardo, Signore che attraversi Gerusalemme, c’è un’intera rivelazione.

Nei tuoi passi che escono dalla città c’è il nostro esodo verso una terra nuova.

Sei venuto a cambiare il mondo: significa per noi cambiare direzione, vedere la bontà delle tue tracce, lasciare lavorare nel nostro cuore la memoria dei tuoi occhi.

La Via Crucis è la preghiera di chi si muove.

Interrompe i nostri percorsi consueti, affinché dalla stanchezza andiamo verso la gioia.

È vero, ci costa la via di Gesù: in questo mondo che calcola tutto, la gratuità ha un caro prezzo.

Nel dono, però, tutto rifiorisce: una città divisa in fazioni e lacerata dai conflitti va verso la riconciliazione; una religiosità inaridita riscopre la fecondità delle promesse di Dio; persino un cuore di pietra può cambiarsi in un cuore di carne.

Soltanto, occorre ascoltare l’invito: «Vieni! Seguimi!».

E fidarsi di quello sguardo d’amore.

 

I stazione

Gesù è condannato a morte

Dal Vangelo secondo Luca (23,13-16)

Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo.

Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato.

Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte.

Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà».

Non andò così.

Non ti rimise in libertà.

Eppure, sarebbe potuta andare diversamente.

È il drammatico gioco delle nostre libertà.

Quello per cui, Signore, tanto ci hai stimati.

Hai dato fiducia a Erode, a Pilato, ad amici e nemici.

Sei irrevocabile nella fiducia con cui ti metti nelle nostre mani.

Possiamo trarne meraviglie: liberando chi è ingiustamente accusato, approfondendo la complessità delle situazioni, contrastando i giudizi che uccidono.

Persino Erode avrebbe potuto seguire la santa inquietudine che lo attraeva a te: non lo ha fatto, nemmeno quando si trovò finalmente in tua presenza.

Pilato avrebbe potuto liberarti: già ti aveva assolto.

Non lo ha fatto.

La via della croce, Gesù, è una possibilità che già troppe volte abbiamo lasciato cadere.

Lo confessiamo: prigionieri dei ruoli da cui non siamo voluti uscire, preoccupati dei fastidi di un cambio di direzione.

Tu sei ancora, silenziosamente, davanti a noi: in ogni sorella e in ogni fratello esposti a giudizi e pregiudizi.

Ritornano argomenti religiosi, cavilli giuridici, l’apparente buon senso che non si coinvolge nel destino altrui: mille ragioni ci tirano dalla parte di Erode, dei sacerdoti, di Pilato e della folla.

Eppure, può andare diversamente.

Tu, Gesù, non te ne lavi le mani.

Ami ancora, in silenzio.

La tua scelta l’hai fatta, e ora tocca a noi.

Preghiamo dicendo: Apri il mio cuore, Gesù

Quando davanti a me c’è una persona giudicata.   Apri il mio cuore, Gesù
Quando le mie certezze sono pregiudizi.   Apri il mio cuore, Gesù
Quando mi condiziona la rigidità.   Apri il mio cuore, Gesù
Quando il bene segretamente mi attrae.   Apri il mio cuore, Gesù
Quando vorrei avere coraggio, ma ho paura di rimetterci.   Apri il mio cuore, Gesù

 

II stazione

Gesù è caricato della croce

Dal Vangelo secondo Luca (9,43b-45)

Mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».

Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

Da mesi, forse da anni, quel peso era sulle tue spalle, Gesù.

Quando ne parlavi, nessuno ti dava retta: resistenza invincibile, anche solo a intuire.

Non te la sei cercata, ma hai sentito la croce venire verso di te, sempre più distintamente.

Se l’hai accolta, è perché ne avvertivi, oltre che il peso, la responsabilità.

La strada della tua croce, Gesù, non è solo in salita.

È la tua discesa verso coloro che hai amato, verso il mondo che Dio ama.

È una risposta, un’assunzione di responsabilità.

Costa, come costano i legami più veri, gli amori più belli.

Il peso che porti racconta il respiro che ti muove, quello Spirito “che è Signore e dà la vita”.

Chissà perché temiamo persino di interrogarti, su questo.

In realtà, siamo noi ad avere il fiato corto, a forza di evitare responsabilità.

Basterebbe non scappare e restare: tra coloro che ci hai dato, nei contesti in cui ci hai posto.

Legarci, sentendo che solo così smettiamo di essere prigionieri di noi stessi.

Pesa più l’egoismo della croce.

Pesa più l’indifferenza della condivisione.

Lo aveva annunciato il profeta: Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano in te riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi (cfr Is 40,30-31).

Preghiamo dicendo: Liberaci dalla stanchezza, Signore

Se ci affanniamo attorno a noi stessi.    Liberaci dalla stanchezza, Signore
Se ci pare di non avere forze per dedicarci agli altri.     Liberaci dalla stanchezza, Signore
Se cerchiamo scuse per scansare le responsabilità.   Liberaci dalla stanchezza, Signore
Se abbiamo talenti e competenze da mettere in campo.   Liberaci dalla stanchezza, Signore
Se il nostro cuore vibra ancora davanti all’ingiustizia.   Liberaci dalla stanchezza, Signore

 

III stazione

Gesù cade la prima volta

Dal Vangelo secondo Luca (10,13-15)

«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite.

Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi.

E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!».

Fu come un primo toccare il fondo e ti uscirono parole dure, Gesù, per quei luoghi che ti erano tanto cari.

Il seme della tua parola pareva caduto nel vuoto e così ciascuno dei tuoi gesti di liberazione.

Ogni profeta si è sentito cadere nel vuoto dell’insuccesso, per avanzare ancora, poi, nelle vie di Dio.

La tua vita, Gesù, è una parabola: non cadi mai invano nella nostra terra.

Persino quella prima volta, la delusione fu presto interrotta dalla gioia dei tuoi, che avevi inviato: tornavano a te dalla loro missione e ti narravano i segni del Regno di Dio.

Allora tu esultasti di gioia spontanea, prorompente, che fa balzare in piedi con un’energia contagiosa.

Benedicesti il Padre, che nasconde i suoi disegni ai dotti e agli intelligenti per rivelarli a piccoli.

Anche la via della croce è tracciata a fondo nella terra: i grandi se ne distaccano, vorrebbero toccare il cielo.

Invece il cielo è qui, si è abbassato, lo si incontra persino cadendo, rimanendo a terra.

Ci raccontano, i costruttori di Babele, che non si può sbagliare e chi cade è perduto.

È il cantiere dell’inferno.

L’economia di Dio invece non uccide, non scarta, non schiaccia.

È umile, fedele alla terra.

La tua via, Gesù, è la via delle Beatitudini.

Non distrugge, ma coltiva, ripara, custodisce.

Preghiamo dicendo: Venga il tuo Regno

Per coloro che si sentono falliti.   Venga il tuo Regno
A contestare un’economia che uccide.   Venga il tuo Regno
A ridare forza a chi è caduto.   Venga il tuo Regno
Nelle società competitive e fra chi insegue i primi posti.   Venga il tuo Regno
In chi giace alle frontiere e sente finito il suo viaggio.   Venga il tuo Regno

 

IV stazione

Gesù incontra sua Madre

Dal Vangelo secondo Luca (8,19-21)

E andarono da lui la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla.

Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti».

Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

Tua madre c’è, sulla via della croce: fu lei la tua prima discepola.

Con delicata determinazione, con la sua intelligenza che nel cuore custodisce e ripensa, tua madre c’è.

Dall’istante in cui le fu proposto di accoglierti in grembo si voltò, si convertì a te.

Piegò le sue vie alle tue.

Non fu una rinuncia, ma una scoperta continua, fino al Calvario: seguirti è lasciarti andare; averti è fare spazio alla tua novità.

Lo sa ogni madre: un figlio sorprende.

Figlio amato, tu riconosci che tua madre e tuoi fratelli sono quelli che ascoltano e si lasciano cambiare.

Non parlano, ma fanno.

In Dio le parole sono fatti, le promesse sono realtà: sulla via della croce, o Madre, sei fra le poche che lo ricorda.

Ora è il Figlio che ha bisogno di te: lui sente che tu non disperi.

Sente che stai generando ancora nel tuo grembo la Parola.

Anche noi, Gesù, riusciamo a seguirti generati da chi ti ha seguito.

Anche noi siamo rimessi al mondo dalla fede di tua madre e di innumerevoli testimoni che generano anche là dove tutto parla di morte.

Quella volta, in Galilea, erano stati loro a volerti vedere.

Ora, salendo al Calvario, tu stesso cerchi lo sguardo di chi ascolta e mette in pratica.

Indicibile intesa.

Alleanza indissolubile.

Preghiamo dicendo: Ecco mia madre

Maria ascolta e parla.   Ecco mia madre
Maria domanda e riflette.   Ecco mia madre
Maria esce di casa e viaggia decisa.   Ecco mia madre
Maria gioisce e consola.   Ecco mia madre
Maria accoglie e si prende cura.   Ecco mia madre
Maria rischia e protegge.   Ecco mia madre
Maria non teme giudizi e insinuazioni.   Ecco mia madre
Maria attende e rimane.   Ecco mia madre
Maria orienta e accompagna.   Ecco mia madre
 Maria non concede nulla alla morte.   Ecco mia madre

 

V stazione

Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la croce

Dal Vangelo secondo Luca (23,26)

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.

Non si offrì, lo fermarono.

Simone tornava dal suo lavoro e gli misero addosso la croce di un condannato.

Avrà avuto il fisico adatto, ma certo la sua direzione era un’altra, il suo programma era un altro.

In Dio ci si può imbattere così.

Chissà perché, Gesù, quel nome – Simone di Cirene – divenne presto indimenticabile fra i tuoi discepoli.

Sulla via della croce loro non c’erano e noi nemmeno, Simone invece sì.

Vale fino a oggi: mentre qualcuno offre tutto di sé, si può essere altrove, persino in fuga, oppure si può venire coinvolti.

Noi crediamo, Gesù, di ricordare il nome di Simone perché quell’imprevisto lo cambiò per sempre.

Non smise più di pensarti.

Diventò parte del tuo corpo, testimone di prima mano della tua differenza da qualsiasi altro condannato.

Simone di Cirene si trovò addosso la tua croce senza averla chiesta, come il giogo di cui un giorno avevi parlato: «Il mio giogo è dolce, il mio peso è leggero» (cfr Mt 11,30).

Anche gli animali lavorano meglio, se avanzano insieme.

E tu, Gesù, ami coinvolgerci nel tuo lavoro, che dissoda la terra, perché sia nuovamente seminata.

Noi abbiamo bisogno di questa sorprendente leggerezza.

Abbiamo bisogno di chi ci fermi, talvolta, e ci metta sulle spalle qualche pezzo di realtà che va semplicemente portato.

Si può lavorare tutto il giorno, ma senza di te si disperde.

Invano faticano i costruttori, invano veglia il custode della città che Dio non costruisce (cfr Sal 127).

Ecco: sulla via della croce sorge la Gerusalemme nuova.

E noi, come Simone di Cirene, cambiamo strada e lavoriamo con te.

Preghiamo dicendo: Ferma la nostra corsa, Signore

Quando andiamo per la nostra strada, senza guardare in faccia nessuno.   Ferma la nostra corsa, Signore
Quando le notizie non ci commuovono.      Ferma la nostra corsa, Signore
Quando le persone diventano numeri.        Ferma la nostra corsa, Signore
Quando per ascoltare non c’è mai tempo.    Ferma la nostra corsa, Signore
Quando abbiamo fretta di decidere.       Ferma la nostra corsa, Signore
Quando i cambiamenti di programma non sono ammessi.   Ferma la nostra corsa, Signore

 

VI stazione

La Veronica asciuga il volto di Gesù

Dal Vangelo secondo Luca (9,29-31)

Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.

Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

Dal Libro dei Salmi (27,8-9a)

Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco.

Non nascondermi il tuo volto.

Nel tuo volto, Gesù, vediamo il tuo cuore.

La tua decisione ti si legge negli occhi, scava il tuo viso, rende i tuoi lineamenti espressione di un’attenzione inconfondibile.

Ti accorgi di Veronica, come di me.

Io cerco il tuo volto, che racconta la decisione di amarci sino all’ultimo respiro: e anche oltre, perché forte come la morte è l’amore (cfr Ct 8,6).

A cambiarci il cuore è il tuo volto, che vorrei fissare e custodire.

Tu ti consegni a noi, giorno dopo giorno, nel volto di ogni essere umano, memoria viva della tua incarnazione.

Ogni volta che ci volgiamo al più piccolo, infatti, diamo attenzione alle tue membra e tu resti con noi.

Così ci illumini il cuore e l’espressione del viso.

Invece di respingere, ora accogliamo.

Sulla via della croce il nostro volto, come il tuo, può finalmente diventare raggiante e diffondere benedizione.

Ne hai impressa in noi la memoria, presentimento del tuo ritorno, quando ci riconoscerai al primo sguardo, uno a uno.

Allora, forse, ti somiglieremo.

E saremo faccia a faccia, in un dialogo senza fine, nell’intimità di cui mai saremo stanchi, famiglia di Dio.

Preghiamo dicendo: Imprimi in noi il tuo ricordo, Gesù

Se il nostro volto è inespressivo   Imprimi in noi il tuo ricordo, Gesù
Se il nostro cuore è distaccato   Imprimi in noi il tuo ricordo, Gesù
Se i nostri gesti dividono   Imprimi in noi il tuo ricordo, Gesù
Se le nostre scelte feriscono   Imprimi in noi il tuo ricordo, Gesù
Se i nostri progetti escludono   Imprimi in noi il tuo ricordo, Gesù

 

VII stazione

Gesù cade per la seconda volta

Dal Vangelo secondo Luca (15, 2-6)

I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta"».

Cadere e rialzarsi; cadere e ancora rialzarsi.

Così ci hai insegnato a leggere, Gesù, l’avventura della vita umana.

Umana perché aperta.

Alle macchine noi non consentiamo di sbagliare: le pretendiamo perfette.

Le persone invece tentennano, si distraggono, si perdono.

Eppure, conoscono la gioia: quella dei nuovi inizi, quella delle rinascite.

Gli umani non vengono alla luce meccanicamente, ma artigianalmente: siamo pezzi unici, intreccio di grazia e di responsabilità.

Gesù, ti sei fatto uno di noi; non hai temuto di inciampare e di cadere.

Chi ne prova imbarazzo, chi ostenta infallibilità, chi nasconde le proprie cadute e non perdona quelle altrui rinnega la via che tu hai scelto.

Tu sei, Gesù, il Signore della gioia.

In te siamo tutti ritrovati e portati a casa, come l’unica pecora che si era smarrita.

Disumana è l’economia in cui novantanove vale più di uno.

Eppure, abbiamo costruito un mondo che funziona così: un mondo di calcoli e algoritmi, di logiche fredde e interessi implacabili.

La legge della tua casa, economia divina, è un’altra, Signore.

Volgerci a te, che cadi e ti rialzi, è un cambio di rotta e un cambio di passo.

Conversione che ridona gioia e ci porta a casa.

Preghiamo dicendo: Rialzaci, Dio, nostra salvezza

Siamo bambini che a volte piangono.   Rialzaci, Dio, nostra salvezza
Siamo adolescenti che si sentono insicuri.   Rialzaci, Dio, nostra salvezza
Siamo giovani che troppi adulti disprezzano.   Rialzaci, Dio, nostra salvezza
Siamo adulti che hanno sbagliato.   Rialzaci, Dio, nostra salvezza
Siamo anziani che vogliono ancora sognare.   Rialzaci, Dio, nostra salvezza

 

VIII stazione

Gesù incontra le donne di Gerusalemme

Dal Vangelo secondo Luca (23,27-31)

Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui.

Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli.

Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: "Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato".

Allora cominceranno a dire ai monti: "Cadete su di noi!", e alle colline: "Copriteci!".

Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».

Nelle donne hai riconosciuto da sempre, Gesù, una particolare corrispondenza col cuore di Dio.

Per questo, nella grande moltitudine di popolo che quel giorno cambiò direzione e ti seguiva, immediatamente vedesti le donne e, ancora una volta, stabilisti con loro un’intesa speciale.

La città è diversa quando se ne portano gli abitanti in grembo, quando se ne allattano i bambini: quando, insomma, non si conosce soltanto il registro del dominio, ma le cose si vivono dal di dentro.

Alle donne che per dovere svolgono il rito della compassione, tu colpisci il cuore.

Nel cuore, infatti, si collegano gli avvenimenti e nascono pensieri e decisioni.

«Non piangete per me».

Il cuore di Dio vibra per il suo popolo, genera una nuova città: «Piangete su voi stesse e sui vostri figli».

Esiste un pianto, infatti, in cui tutto rinasce.

Occorrono, però, lacrime di ripensamento, di cui non vergognarsi, lacrime da non rinchiudere nel privato.

La nostra convivenza ferita, o Signore, in questo mondo a pezzi, ha bisogno di lacrime sincere, non di circostanza.

Altrimenti si avvera quanto predissero gli apocalittici: non generiamo più nulla e poi tutto crolla.

La fede, invece, sposta le montagne.

Monti e colli non ci cadono addosso, ma in mezzo a loro si apre una strada.

È la tua strada, Gesù: una via in salita, su cui gli apostoli ti hanno abbandonato, ma le tue discepole – madri della Chiesa – ti hanno seguito.

Preghiamo dicendo: Donaci un cuore materno, Gesù

Hai popolato di sante donne la storia della Chiesa.    Donaci un cuore materno, Gesù
Hai sconfessato la prepotenza e il dominio.        Donaci un cuore materno, Gesù
Hai raccolto e consolato le lacrime delle madri.   Donaci un cuore materno, Gesù
Hai affidato alle donne il messaggio della risurrezione.   Donaci un cuore materno, Gesù
Hai ispirato nella Chiesa nuovi carismi e sensibilità.   Donaci un cuore materno, Gesù

 

IX stazione

Gesù cade per la terza volta

Dal Vangelo secondo Luca (7,44-49)

[Gesù] disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli.

Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi.

Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo.

Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato.

Invece colui al quale si perdona poco, ama poco».

Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati».

Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?».

Non solo una o due volte, Gesù: tu cadi ancora.

Cadevi già da bambino, come ogni bambino.

Così hai compreso e accolto la nostra umanità, che cade e cade ancora.

Se il peccato ci allontana, il tuo esistere senza peccato ti avvicina a ogni peccatore, ti unisce indissolubilmente alle sue cadute.

E questo muove a conversione.

Scandalo per chi prende le distanze dagli altri e da sé stesso.

Scandalo di chi vive diviso in due, tra ciò che dovrebbe essere e ciò che realmente è.

Nella tua misericordia, Gesù, cade ogni ipocrisia.

Le maschere, le belle facciate non servono più.

Dio vede il cuore.

Ama il cuore.

Scalda il cuore.

E così mi rialzi e mi rimetti in cammino su strade mai percorse, audaci, generose.

Chi sei, Gesù, che perdoni anche i peccati? Di nuovo a terra, sulla via della croce, sei il Salvatore di questa nostra terra.

Non soltanto la abitiamo, ma ne siamo plasmati.

Tu, in terra, ci modelli ancora, come un abile vasaio.

Preghiamo dicendo: Noi siamo argilla nelle tue mani

Quando le cose sembrano non poter cambiare, ricordaci:   Noi siamo argilla nelle tue mani
Quando dei conflitti non si vede la fine, ricordaci:   Noi siamo argilla nelle tue mani
Quando la tecnologia ci illude di onnipotenza, ricordaci:   Noi siamo argilla nelle tue mani
Quando i successi ci distaccano dalla terra, ricordaci:   Noi siamo argilla nelle tue mani
Quando ci preoccupa più l’apparenza del cuore, ricordaci:   Noi siamo argilla nelle tue mani

 

X stazione

Gesù è spogliato delle vesti

Dal libro di Giobbe (1,20-22)

Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello; si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse:
«Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò.
Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!».
In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.

Non ti spogli, vieni spogliato.

La differenza è chiara a tutti noi, Gesù.

Solo chi ci ama può accogliere la nostra nudità fra le sue mani e nel suo sguardo.

Temiamo, invece, gli occhi di chi non ci conosce e sa solo possedere.

Sei spogliato ed esposto a tutti, ma tu trasformi persino l’umiliazione in familiarità.

Vuoi rivelarti intimo persino a chi ti distrugge, guardi a coloro che ti spogliano come a persone amate che il Padre ti ha dato.

Qui c’è più della pazienza di Giobbe, persino più della sua fede.

In te lo Sposo che si lascia prendere, toccare e volge tutto al bene.

Ci lasci le tue vesti, come reliquie di un amore consumato.

Sono in mano nostra, perché tu sei stato da noi, sei stato con noi.

Noi abbiamo tenuto le tue vesti e ora le tiriamo a sorte, ma la sorte, qui, è favorevole non a uno, ma a tutti.

Ci conosci uno a uno, per salvare tutti, tutti, tutti.

E se la Chiesa ti appare oggi come una veste lacerata, insegnaci a ritessere la nostra fraternità, fondata sul tuo dono.

Siamo il tuo corpo, la tua tunica indivisibile, la tua Sposa.

Lo siamo insieme.

Per noi la sorte è caduta su luoghi deliziosi; è magnifica la nostra eredità (cfr Sal 16,6).

Preghiamo dicendo: Dona alla tua Chiesa pace e unità

Signore Gesù, che vedi divisi i tuoi discepoli.       Dona alla tua Chiesa pace e unità
Signore Gesù, che porti le ferite della nostra storia.       Dona alla tua Chiesa pace e unità
Signore Gesù, che conosci la fragilità dei nostri amori.   Dona alla tua Chiesa pace e unità
Signore Gesù, che ci vuoi membra del tuo corpo.        Dona alla tua Chiesa pace e unità
Signore Gesù, che vesti la tunica della misericordia.    Dona alla tua Chiesa pace e unità

 

XI stazione

Gesù è inchiodato sulla croce

Dal Vangelo secondo Luca (23,32-34a)

Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra.

Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

Niente ci spaventa più dell’immobilità.

E tu sei inchiodato, immobilizzato, bloccato.

Lo sei, però, insieme ad altri: mai solo, determinato a rivelarti anche in croce come il Dio con noi.

La rivelazione non si ferma, non si inchioda.

Tu, Gesù, ci mostri che in ogni circostanza c’è una scelta da fare.

È questa la vertigine della libertà.

Nemmeno sulla croce sei neutralizzato: tu decidi per chi sei lì.

Tu dai attenzione all’uno e all’altro dei crocifissi con te: lasci scivolare gli insulti di uno e accogli l’invocazione dell’altro.

Tu dai attenzione a chi ti crocifigge e sai leggere il cuore di chi non sa ciò che fa.

Tu dai attenzione al cielo: lo vorresti più chiaro, ma squarci la barriera del buio con la luce dell’intercessione.

Inchiodato, infatti, intercedi: ti metti in mezzo tra le parti, fra gli opposti.

E li porti a Dio, perché la tua croce fa cadere i muri, cancella i debiti, annulla le sentenze, stabilisce la riconciliazione.

Sei il vero Giubileo.

Convertici a te, Gesù, che inchiodato tutto puoi.

Preghiamo dicendo: Insegnaci ad amare

Quando abbiamo le forze e quando ci pare di non averne più.   Insegnaci ad amare
Quando siamo immobilizzati da leggi o da decisioni ingiuste.   Insegnaci ad amare
Quando siamo contrastati da chi non vuole verità e giustizia.   Insegnaci ad amare
Quando siamo tentati di disperare.   Insegnaci ad amare
Quando si dice “non c’è più niente da fare”.   Insegnaci ad amare

 

XII stazione

Gesù muore sulla croce

Dal Vangelo secondo Luca (23,45-49)

Il sole si era eclissato.

Il velo del tempio si squarciò a metà.

Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».

Detto questo, spirò.

Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto».

Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto.

Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.

Dove siamo noi sul Calvario? Sotto la croce? Un po’ a distanza? Lontano? O forse, come gli apostoli, non ci siamo più.

Tu spiri, e questo respiro, ultimo e primo, chiede solo di essere accolto.

Signore Gesù, piega le nostre strade verso il tuo dono.

Non permettere che il tuo soffio di vita sia disperso.

Il nostro buio cerca luce.

I nostri templi vogliono rimanere definitivamente aperti.

Ora il Santo non è più oltre il velo: il suo segreto è offerto a tutti.

Lo percepisce un militare, che osservando da vicino come muori riconosce un nuovo tipo di forza.

Lo comprende la folla che aveva gridato contro di te: prima distante, incontra adesso lo spettacolo di un amore mai visto, bellezza che fa ricredere.

A chi ti guarda morire, Signore, tu dai tempo di tornare battendosi il petto: colpendosi il cuore, perché vada in frantumi la sua durezza.

A noi, Gesù, che spesso ti guardiamo ancora da lontano, concedi di vivere nella memoria di te, perché un giorno, quando verrai, anche la morte ci trovi vivi.

Preghiamo dicendo: Spirito Santo, vieni!

Ci siamo mantenuti a distanza dalle piaghe del Signore.    Spirito Santo, vieni!
Davanti al fratello caduto ci siamo voltati dall’altra parte.     Spirito Santo, vieni!
I misericordiosi e i poveri di spirito sembrano perdenti.     Spirito Santo, vieni!
Credenti e non credenti stanno davanti al crocifisso.    Spirito Santo, vieni!
Il mondo intero cerca un nuovo inizio.      Spirito Santo, vieni!

 

XIII stazione

Gesù è deposto dalla croce

Dal Vangelo secondo Luca (23,50-53a)

Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto.

Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri.

Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio.

Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù.

Lo depose dalla croce.

Il tuo corpo, finalmente, è fra le mani di un uomo buono e giusto.

Tu sei avvolto nel sonno della morte, Gesù, ma a caricarsi di te è un cuore vivo, che ha scelto.

Giuseppe non era di quelli che dicono e non fanno.

“Non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri”, dice il Vangelo.

Ed è una buona notizia: ti abbraccia, Gesù, uno che non ha abbracciato l’opinione comune.

Si carica di te uno che si è caricato delle proprie responsabilità.

Sei al tuo posto, Gesù, in grembo a Giuseppe d’Arimatea, che “aspettava il Regno di Dio”.

Sei al tuo posto fra chi spera ancora, fra chi non si rassegna a pensare che l’ingiustizia è inevitabile.

Tu rompi la catena dell’ineluttabile, Gesù.

Rompi gli automatismi che distruggono la casa comune e la fraternità.

A quelli che attendono il tuo Regno dai il coraggio di presentarsi all’autorità: come Mosè al Faraone, come Giuseppe d’Arimatea a Pilato.

Ci abiliti a grandi responsabilità, ci rendi audaci.

Così, sei morto e ancora regni.

E per noi, Gesù, servire te è regnare.

Preghiamo dicendo: Servire te è regnare

Dando da mangiare agli affamati.   Servire te è regnare
Dando da bere agli assetati.   Servire te è regnare
Vestendo chi è nudo.     Servire te è regnare
Ospitando i forestieri.             Servire te è regnare
Visitando i malati.     Servire te è regnare
Visitando i carcerati.      Servire te è regnare
Seppellendo i morti.    Servire te è regnare

 

XIV stazione

Gesù è deposto nel sepolcro

Dal Vangelo secondo Luca (23,53b-56)

Lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto.

Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato.

Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati.

Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.

In un sistema che non si ferma mai, Gesù, tu vivi il tuo sabato.

Lo vivono anche le donne, alle quali aromi e profumi vorrebbero già parlare di risurrezione.

Insegnaci a non fare niente, quando ci è chiesto solo di aspettare.

Educaci ai tempi della terra, che non sono quelli dell’artificio.

Deposto nel sepolcro, Gesù, condividi la condizione che tutti ci accomuna e raggiungi gli abissi che tanto ci spaventano.

Vedi come li sfuggiamo, moltiplicando le nostre attività.

Giriamo spesso a vuoto, ma il sabato splende con le sue luci: ci educa e ci chiede riposo.

Vita divina, vita a misura d’uomo, quella che conosce la pace del sabato.

«Siederanno ognuno tranquillo sotto la vite e sotto il fico e più nessuno li spaventerà» (Mi 4,4), profetizzava Michea.

E Zaccaria, a fargli eco: «In quel giorno – oracolo del Signore – ogni uomo inviterà il suo vicino sotto la sua vite e sotto il suo fico» (cfr Zc 3,10).

Gesù, che sembri dormire nel mondo in tempesta, portaci tutti nella pace del sabato.

Allora la creazione intera ci apparirà molto bella e buona, destinata alla risurrezione.

E sarà pace sul tuo popolo e fra tutte le nazioni.

Preghiamo dicendo: Venga la tua pace

Per la terra, l’aria e l’acqua.       Venga la tua pace
Per i giusti e per gli ingiusti.   Venga la tua pace
Per chi è invisibile e senza voce.     Venga la tua pace
Per chi non ha potere né denaro.       Venga la tua pace
Per chi attende un germoglio giusto.   Venga la tua pace

 

Invocazione conclusiva

«“Laudato si’, mi’ Signore”, cantava san Francesco d’Assisi.

In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella […].

Questa sorella protesta per il male che le provochiamo» (Enc.

Laudato si’, 1-2).

«“Fratelli tutti” – scriveva ancora San Francesco – per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo» (Enc.

Fratelli tutti, 1).

«“Ci ha amati”, dice San Paolo riferendosi a Cristo […], per farci scoprire che da questo amore nulla “potrà mai separarci”» (Enc.

Dilexit nos, 1).

 

Abbiamo percorso la Via della Croce; ci siamo volti all’amore da cui nulla potrà separaci.

Ora, mentre il Re dorme e un grande silenzio scende su tutta la terra, facendo nostre le parole di San Francesco invochiamo il dono della conversione del cuore.

Alto e glorioso Dio,
illumina le tenebre del cuore mio.
Dammi fede retta,
speranza certa,
carità perfetta
e umiltà profonda.
Dammi, Signore, senno e discernimento
per compiere la tua vera e santa volontà.

Amen.

Santa Messa del Crisma (17 Apr 2025)
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Carissimi Vescovi e sacerdoti,
cari fratelli e sorelle!

«L’Alfa e l’Omega, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente» (Ap 1,8) è Gesù.

Proprio il Gesù che Luca ci descrive nella sinagoga di Nazaret, tra coloro che lo conoscono fin da bambino e ora si stupiscono di Lui.

La rivelazione – “apocalisse” – si offre nei limiti del tempo e dello spazio: ha la carne come cardine che sostiene la speranza.

La carne di Gesù e la nostra.

L’ultimo libro della Bibbia racconta questa speranza.

Lo fa in modo originale, sciogliendo tutte le paure apocalittiche al sole dell’amore crocifisso.

In Gesù si apre il libro della storia e lo si può leggere.

Anche noi sacerdoti abbiamo una storia: rinnovando il Giovedì Santo le promesse dell’Ordinazione, confessiamo di poterla leggere soltanto in Gesù di Nazaret.

«Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue» (Ap 1,5) apre anche il rotolo della nostra vita e ci insegna a trovare i passi che ne rivelano il senso e la missione.

Quando lasciamo che sia Lui a istruirci, il nostro diventa un ministero di speranza, perché in ognuna delle nostre storie Dio apre un giubileo, cioè un tempo e un’oasi di grazia.

Chiediamoci: sto imparando a leggere la mia vita? Oppure ho paura a farlo?

È un popolo intero a trovare ristoro, quando il giubileo inizia nella nostra vita: non una volta ogni venticinque anni – speriamo! – ma in quella prossimità quotidiana del prete alla sua gente in cui le profezie di giustizia e di pace si adempiono.

«Ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,6): ecco il popolo di Dio.

Questo regno di sacerdoti non coincide con un clero.

Il «noi» che Gesù plasma è un popolo di cui non vediamo i confini, in cui cadono i muri e le dogane.

Colui che dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5) ha squarciato il velo del tempio e ha in serbo per l’umanità una città- giardino, la nuova Gerusalemme che ha porte sempre aperte (Ap 21,25).

Così, Gesù legge e ci insegna a leggere il sacerdozio ministeriale come puro servizio al popolo sacerdotale, che abiterà presto una città che non ha bisogno di tempio.

L’anno giubilare rappresenta così, per noi sacerdoti, una specifica chiamata a ricominciare nel segno della conversione.

Pellegrini di speranza, per uscire dal clericalismo e diventare annunciatori di speranza.

Certo, se Alfa e Omega della nostra vita è Gesù, anche noi potremo incontrare il dissenso da Lui sperimentato a Nazaret.

Il pastore che ama il suo popolo non vive alla ricerca di consenso e approvazione a ogni costo.

Eppure, la fedeltà dell’amore converte, lo riconoscono per primi i poveri, ma lentamente inquieta e attrae anche gli altri.

«Ecco, […] ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto.

Sì, Amen!» (Ap 1,7).

Siamo qui radunati, carissimi, a fare nostro e ripetere questo «Sì, Amen!».

È la confessione di fede del popolo di Dio: «Sì, è così, tiene come una roccia!».

Passione, morte e risurrezione di Gesù, che ci apprestiamo a rivivere, sono il terreno che sostiene saldamente la Chiesa e, in essa, il nostro ministero sacerdotale.

E che terreno è questo? In che humus noi possiamo non soltanto reggere, ma fiorire? Per comprenderlo bisogna ritornare a Nazaret, come intuì tanto acutamente San Charles de Foucauld.

«Venne a Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere» (Lc 4,16).

Abbiamo qui evocate almeno due abitudini: quella a frequentare la sinagoga e quella a leggere.

La nostra vita è sostenuta da buone abitudini.

Esse possono inaridirsi, ma rivelano dov’è il nostro cuore.

Quello di Gesù è un cuore innamorato della Parola di Dio: a dodici anni lo si capiva già e ora, divenuto adulto, le Scritture sono casa sua.

Ecco il terreno, l’humus vitale che troviamo diventando suoi discepoli.

«Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo» (Lc 4,17).

Gesù sa che cosa cerca.

Il rituale della sinagoga lo consentiva: dopo la lettura della Torah ogni rabbi poteva trovare pagine profetiche per attualizzarne il messaggio.

Ma qui c’è di più: c’è la pagina della sua vita.

Luca intende questo: tra molte profezie, Gesù sceglie quale adempiere.

Cari sacerdoti, ognuno di noi ha una Parola da adempiere.

Ognuno di noi ha un rapporto con la Parola di Dio che viene da lontano.

Lo mettiamo a servizio di tutti solo quando la Bibbia rimane la nostra prima casa.

Al suo interno, ciascuno di noi ha delle pagine più care.

Questo è bello e importante! Aiutiamo anche altri a trovare le pagine della loro vita: forse gli sposi, quando scelgono le Letture del loro matrimonio; o chi è nel lutto e cerca dei brani per affidare alla misericordia di Dio e alla preghiera della comunità la persona defunta.

C’è una pagina della vocazione, in genere, all’inizio del cammino di ciascuno di noi.

Per suo tramite, Dio ci chiama ancora, se la custodiamo, perché non si intiepidisca l’amore.

Tuttavia, per ognuno di noi è importante anche, e in modo speciale, la pagina scelta da Gesù.

Noi seguiamo Lui e per ciò stesso ci riguarda e ci coinvolge la sua missione.

«Aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l'anno di grazia del Signore.
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette» (Lc 4,17-20).

Tutti i nostri occhi ora sono fissi su di Lui.

Ha appena annunciato un giubileo.

Lo ha fatto non come chi parla d’altri.

Ha detto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me» come uno che sa di quale Spirito sta parlando.

E in effetti aggiunge: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Questo è divino: che la Parola divenga realtà.

I fatti ora parlano, le parole si realizzano.

Questo è nuovo, è forte.

«Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

Non c’è grazia, non c’è Messia, se le promesse restano promesse, se quaggiù non diventano realtà.

Tutto si trasforma.

È questo lo Spirito che invochiamo sul nostro sacerdozio: ne siamo stati investiti e proprio lo Spirito di Gesù rimane silenzioso protagonista del nostro servizio.

Il popolo ne avverte il soffio quando in noi le parole diventano realtà.

I poveri, prima degli altri, e i bambini, gli adolescenti, le donne e anche coloro che nel rapporto con la Chiesa sono stati feriti, hanno il “fiuto” dello Spirito Santo: lo distinguono da altri spiriti mondani, lo riconoscono nella coincidenza in noi tra l’annuncio e la vita.

Noi possiamo diventare una profezia adempiuta, e questo è bello! Il sacro Crisma, che oggi consacriamo, sigilla questo mistero trasformativo nelle diverse tappe della vita cristiana.

E attenzione: mai scoraggiarsi, perché è un’opera di Dio.

Credere, sì! Credere che Dio non fallisce con me! Dio non fallisce mai.

Ricordiamo quella parola nell’Ordinazione: «Dio porti a compimento l’opera che in te ha iniziato».

E lo fa.

È l’opera di Dio, non la nostra: portare ai poveri un lieto messaggio, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, la libertà agli oppressi.

Se Gesù nel rotolo ha trovato questo passo, oggi lo continua a leggere nella biografia di ognuno di noi.

Primariamente perché, fino all’ultimo giorno, è sempre Lui a evangelizzarci, a liberarci dalle prigioni, ad aprirci gli occhi, a sollevare i pesi caricati sulle nostre spalle.

E poi perché, chiamandoci alla sua missione e inserendoci sacramentalmente nella sua vita, Egli libera anche altri attraverso di noi.

In genere, senza che ce ne accorgiamo.

Il nostro sacerdozio diventa un ministero giubilare, come il suo, senza suonare il corno né la tromba: in una dedizione non gridata, ma radicale e gratuita.

È il Regno di Dio, quello che narrano le parabole, efficace e discreto come il lievito, silenzioso come il seme.

Quante volte i piccoli l’hanno riconosciuto in noi? E siamo capaci di dire grazie?

Dio solo sa quanto la messe sia abbondante.

Noi operai viviamo la fatica e la gioia della mietitura.

Viviamo dopo Cristo, nel tempo messianico.

Bando alla disperazione! Restituzione, invece, e remissione dei debiti; ridistribuzione di responsabilità e di risorse: il popolo di Dio si attende questo.

Vuole partecipare e, in forza del Battesimo, è un grande popolo sacerdotale.

Gli oli che in questa solenne celebrazione consacriamo sono per la sua consolazione e la gioia messianica.

Il campo è il mondo.

La nostra casa comune, tanto ferita, e la fraternità umana, così negata, ma incancellabile, ci chiamano a scelte di campo.

Il raccolto di Dio è per tutti: un campo vivo, in cui cresce cento volte più di quello che si è seminato.

Ci animi, nella missione, la gioia del Regno, che ripaga ogni fatica.

Ogni contadino, infatti, conosce stagioni in cui non si vede nascere nulla.

Non ne mancano anche nella nostra vita.

È Dio che fa crescere e che unge i suoi servi con olio di letizia.

Cari fedeli, popolo della speranza, pregate oggi per la gioia dei sacerdoti.

Venga a voi la liberazione promessa dalle Scritture e alimentata dai Sacramenti.

Molte paure ci abitano e tremende ingiustizie ci circondano, ma un mondo nuovo è già sorto.

Dio ha tanto amato il mondo da dare a noi il suo Figlio, Gesù.

Egli unge le nostre ferite e asciuga le nostre lacrime.

«Ecco, viene con le nubi» (Ap 1,7).

Suo è il Regno e la gloria nei secoli.

Amen.

Catechesi del Santo Padre preparata per l'Udienza Generale del 16 Apr 2025 - Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. II. La vita di Gesù. Le parabole. 5. Il Padre misericordioso. Era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15,32)
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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025.

Gesù Cristo nostra speranza.

II.

La vita di Gesù.

Le parabole.

5.

Il Padre misericordioso.

Era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15,32)

Cari fratelli e sorelle,

dopo aver meditato sugli incontri di Gesù con alcuni personaggi del Vangelo, vorrei fermarmi, a cominciare da questa catechesi, su alcune parabole.

Come sappiamo, sono racconti che riprendono immagini e situazioni della realtà quotidiana.

Per questo toccano anche la nostra vita.

Ci provocano.

E ci chiedono di prendere posizione: dove sono io in questo racconto?

Partiamo dalla parabola più famosa, quella che tutti noi ricordiamo forse da quando eravamo piccoli: la parabola del padre e dei due figli (Lc 15,1-3.11-32).

In essa troviamo il cuore del Vangelo di Gesù, cioè la misericordia di Dio.

L’evangelista Luca dice che Gesù racconta questa parabola per i farisei e gli scribi, i quali mormoravano per il fatto che Lui mangiava con i peccatori.

Per questo si potrebbe dire che è una parabola rivolta a coloro che si sono persi, ma non lo sanno e giudicano gli altri.

Il Vangelo vuole consegnarci un messaggio di speranza, perché ci dice che dovunque ci siamo persi, in qualunque modo ci siamo persi, Dio viene sempre a cercarci! Ci siamo persi forse come una pecora, uscita dal sentiero per brucare l’erba, o rimasta indietro per la stanchezza (cfr Lc 15,4-7).

O forse ci siamo persi come una moneta, che magari è caduta per terra e non si trova più, oppure qualcuno l’ha messa da qualche parte e non ricorda dove.

Oppure ci siamo persi come i due figli di questo padre: il più giovane perché si è stancato di stare dentro una relazione che sentiva come troppo esigente; ma anche il maggiore si è perso, perché non basta rimanere a casa se nel cuore ci sono orgoglio e rancore.

L’amore è sempre un impegno, c’è sempre qualcosa che dobbiamo perdere per andare incontro all’altro.

Ma il figlio minore della parabola pensa solo a sé stesso, come accade in certe fasi dell’infanzia e dell’adolescenza.

In realtà, intorno a noi vediamo anche tanti adulti così, che non riescono a portare avanti una relazione perché sono egoisti.

Si illudono di ritrovare sé stessi e invece si perdono, perché solo quando viviamo per qualcuno viviamo veramente.

Questo figlio più giovane, come tutti noi, ha fame di affetto, vuole essere voluto bene.

Ma l’amore è un dono prezioso, va trattato con cura.

Egli invece lo sperpera, si svende, non si rispetta.

Se ne accorge nei tempi di carestia, quando nessuno si cura di lui.

Il rischio è che in quei momenti ci mettiamo a elemosinare l’affetto e ci attacchiamo al primo padrone che capita.

Sono queste esperienze che fanno nascere dentro di noi la convinzione distorta di poter stare in una relazione solo da servi, come se dovessimo espiare una colpa o come se non potesse esistere l’amore vero.

Il figlio minore, infatti, quando ha toccato il fondo, pensa di tornare a casa del padre per raccogliere da terra qualche briciola d’affetto.

Solo chi ci vuole veramente bene può liberarci da questa visione falsa dell’amore.

Nella relazione con Dio facciamo proprio questa esperienza.

Il grande pittore Rembrandt, in un famoso dipinto, ha rappresentato in maniera meravigliosa il ritorno del figlio prodigo.

Mi colpiscono soprattutto due particolari: la testa del giovane è rasata, come quella di un penitente, ma sembra anche la testa di un bambino, perché questo figlio sta nascendo di nuovo.

E poi le mani del padre: una maschile e l’altra femminile, per descrivere la forza e la tenerezza nell’abbraccio del perdono.

Ma è il figlio maggiore che rappresenta coloro per i quali la parabola viene raccontata: è il figlio che è sempre rimasto a casa con il padre, eppure era distante da lui, distante nel cuore.

Questo figlio forse avrebbe voluto andarsene anche lui, ma per timore o per dovere è rimasto lì, in quella relazione.

Quando però ti adatti contro voglia, cominci a covare rabbia dentro di te, e prima o poi questa rabbia esplode.

Paradossalmente, è proprio il figlio maggiore che alla fine rischia di rimanere fuori di casa, perché non condivide la gioia del padre.

Il padre esce anche incontro a lui.

Non lo rimprovera e non lo richiama al dovere.

Vuole solo che senta il suo amore.

Lo invita a entrare e lascia la porta aperta.

Quella porta rimane aperta anche per noi.

È questo, infatti, il motivo della speranza: possiamo sperare perché sappiamo che il Padre ci aspetta, ci vede da lontano, e lascia sempre la porta aperta.

Cari fratelli e sorelle, chiediamoci allora dove siamo noi in questo meraviglioso racconto.

E chiediamo a Dio Padre la grazia di poter ritrovare anche noi la strada per tornare verso casa.

Angelus, 13 Apr 2025, Da delle Palme
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Testo preparato dal Santo Padre

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, Domenica delle Palme, nel Vangelo abbiamo ascoltato il racconto della Passione del Signore secondo Luca (cfr Lc 22,14-23,56).

Abbiamo sentito Gesù rivolgersi più volte al Padre: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (22,42); «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (23,34); «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46).

Indifeso e umiliato, l’abbiamo visto camminare verso la croce con i sentimenti e il cuore di un bambino aggrappato al collo del suo papà, fragile nella carne, ma forte nell’abbandono fiducioso, fino ad addormentarsi, nella morte, tra le sue braccia.

Sono sentimenti che la liturgia ci chiama a contemplare e a fare nostri.

Tutti abbiamo dolori, fisici o morali, e la fede ci aiuta a non cedere alla disperazione, non chiuderci nell’amarezza, ma ad affrontarli sentendoci avvolti, come Gesù, dall’abbraccio provvidente e misericordioso del Padre.

Sorelle e fratelli, vi ringrazio tanto per le vostre preghiere.

In questo momento di debolezza fisica mi aiutano a sentire ancora di più la vicinanza, la compassione e la tenerezza di Dio.

Anch’io prego per voi, e vi chiedo di affidare con me al Signore tutti i sofferenti, specialmente chi è colpito dalla guerra, dalla povertà o dai disastri naturali.

In particolare, Dio accolga nella sua pace le vittime del crollo di un locale a Santo Domingo, e conforti i loro familiari.

Il 15 aprile ricorrerà il secondo triste anniversario dell’inizio del conflitto in Sudan, con migliaia di morti e milioni di famiglie costrette ad abbandonare le proprie case.

La sofferenza dei bambini, delle donne e delle persone vulnerabili grida al cielo e ci implora di agire.

Rinnovo il mio appello alle parti coinvolte, affinché pongano fine alle violenze e intraprendano percorsi di dialogo, e alla Comunità internazionale, perché non manchino gli aiuti essenziali alle popolazioni.

E ricordiamo anche il Libano, dove cinquant’anni fa cominciò la tragica guerra civile: con l’aiuto di Dio possa vivere in pace e prosperità.

Venga finalmente la pace nella martoriata Ucraina, in Palestina, Israele, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Sud Sudan.

Maria, Madre Addolorata, ci ottenga questa grazia e ci aiuti a vivere con fede la Settimana Santa.

Da delle Palme (13 Apr 2025)
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«Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore» (Lc 19,38).

È così che la folla acclama Gesù, mentre entra in Gerusalemme.

Il Messia passa dalla porta della città santa, spalancata per accogliere Colui che pochi giorni dopo ne uscirà maledetto e condannato, carico della croce.

Oggi anche noi abbiamo seguito Gesù, prima con un corteo festoso e poi su una via dolorosa, inaugurando la Settimana Santa che ci prepara a celebrare la passione, morte e risurrezione del Signore.

Mentre guardiamo, tra la folla, i volti dei soldati e le lacrime delle donne, la nostra attenzione viene attirata da uno sconosciuto, il cui nome entra nel Vangelo all’improvviso: Simone di Cirene.

Quest’uomo viene preso dai soldati, che «gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù» (Lc 23,26).

Arrivava in quel momento dalla campagna, passava di là, e si è imbattuto in una vicenda che lo travolge, come il pesante legno sulle sue spalle.

Mentre siamo in cammino verso il Calvario, riflettiamo un momento sul gesto di Simone, cerchiamo il suo cuore, seguiamo il suo passo accanto a Gesù.

Anzitutto il suo gesto, che è così ambivalente.

Da un lato, infatti, il Cireneo viene obbligato a portare la croce: non aiuta Gesù per convinzione, ma per costrizione.

Dall’altro, egli si trova a partecipare in prima persona alla passione del Signore.

La croce di Gesù diventa la croce di Simone.

Non però di quel Simone detto Pietro che aveva promesso di seguire sempre il Maestro.

Quel Simone è scomparso nella notte del tradimento, dopo aver proclamato: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte» (Lc 22,33).

Dietro a Gesù non cammina ora il discepolo, ma questo cireneo.

Eppure il Maestro aveva insegnato chiaramente: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23).

Simone di Galilea dice, ma non fa.

Simone di Cirene fa, ma non dice: tra lui e Gesù non c’è alcun dialogo, non viene pronunciata una parola.

Tra lui e Gesù c’è solo il legno della croce.

Per sapere se il Cireneo ha soccorso o detestato l’esausto Gesù, col quale deve spartire la pena, per capire se porta o sopporta la croce, dobbiamo guardare al suo cuore.

Mentre sta per aprirsi il cuore di Dio, trafitto da un dolore che rivela la sua misericordia, il cuore dell’uomo resta chiuso.

Non sappiamo cosa abiti nel cuore del Cireneo.

Mettiamoci nei suoi panni: sentiamo rabbia o pietà, tristezza o fastidio? Se ricordiamo che cosa ha fatto Simone per Gesù, ricordiamo pure che cosa ha fatto Gesù per Simone – come per me, per te, per ognuno di noi –: ha redento il mondo.

La croce di legno, che il Cireneo sopporta, è quella di Cristo, che porta il peccato di tutti gli uomini.

Lo porta per amore nostro, in obbedienza al Padre (cfr Lc 22,42), soffrendo con noi e per noi.

È proprio questo il modo, inatteso e sconvolgente, col quale il Cireneo viene coinvolto nella storia della salvezza, dove nessuno è straniero, nessuno è estraneo.

Seguiamo allora il passo di Simone, perché ci insegna che Gesù viene incontro a tutti, in qualsiasi situazione.

Quando vediamo la moltitudine di uomini e donne che odio e violenza gettano sulla via del Calvario, ricordiamoci che Dio trasforma questa via in luogo di redenzione, perché l’ha percorsa dando la sua vita per noi.

Quanti cirenei portano la croce di Cristo! Li riconosciamo? Vediamo il Signore nei loro volti, straziati dalla guerra e dalla miseria? Davanti all’atroce ingiustizia del male, portare la croce di Cristo non è mai vano, anzi, è la maniera più concreta di condividere il suo amore salvifico.

La passione di Gesù diventa compassione quando tendiamo la mano a chi non ce la fa più, quando solleviamo chi è caduto, quando abbracciamo chi è sconfortato.

Fratelli, sorelle, per sperimentare questo grande miracolo della misericordia, scegliamo lungo la Settimana Santa come portare la croce: non al collo, ma nel cuore.

Non solo la nostra, ma anche quella di chi soffre accanto a noi; magari di quella persona sconosciuta che il caso – ma è proprio un caso? – ci ha fatto incontrare.

Prepariamoci alla Pasqua del Signore diventando cirenei gli uni per gli altri.

Catechesi del Santo Padre preparata per l'Udienza Generale del 9 Apr 2025 - Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. II. La vita di Gesù. Gli incontri. 4. L’uomo ricco. Gesù fissò lo sguardo su di lui (Mc 10,21)
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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025.

Gesù Cristo nostra speranza.

II.

La vita di Gesù.

Gli incontri.

4.

L’uomo ricco.

Gesù fissò lo sguardo su di lui (Mc 10,21)

Cari fratelli e sorelle,

oggi ci soffermiamo su un altro degli incontri di Gesù narrati dai Vangeli.

Questa volta però la persona incontrata non ha nome.

L’evangelista Marco la presenta semplicemente come «un tale» (10,17).

Si tratta di un uomo che fin da giovane ha osservato i comandamenti, ma che, malgrado questo, non ha ancora trovato il senso della sua vita.

Lo sta cercando.

Forse è uno che non si è deciso fino in fondo, nonostante l’apparenza di persona impegnata.

Al di là, infatti, delle cose che facciamo, dei sacrifici o dei successi, ciò che veramente conta per essere felici è quello che portiamo nel cuore.

Se una nave deve salpare e lasciare il porto per navigare in mare aperto, può anche essere una nave meravigliosa, con un equipaggio d’eccezione, ma se non tira su le zavorre e le ancore che la tengono ferma, non riuscirà mai a partire.

Quest’uomo si è costruito una nave di lusso, ma è rimasto nel porto!

Mentre Gesù va per la strada, questo tale gli corre incontro, si inginocchia davanti a Lui e gli chiede: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» (v.

17).

Notiamo i verbi: “che cosa devo fare per avere la vita eterna”.

Poiché l’osservanza della Legge non gli ha dato la felicità e la sicurezza di essere salvato, si rivolge al maestro Gesù.

Quello che colpisce è che quest’uomo non conosce il vocabolario della gratuità! Tutto sembra dovuto.

Tutto è un dovere.

La vita eterna è per lui un’eredità, qualcosa che si ottiene per diritto, attraverso una meticolosa osservanza degli impegni.

Ma in una vita vissuta così, anche certamente a fin di bene, quale spazio può avere l’amore?

Come sempre, Gesù va al di là dell’apparenza.

Se da un lato quest’uomo mette davanti a Gesù il suo bel curriculum, Gesù va oltre e guarda dentro.

Il verbo che usa Marco è molto significativo: «guardandolo dentro» (v.

21).

Proprio perché Gesù guarda dentro ognuno di noi, ci ama come siamo veramente.

Cosa avrà visto infatti dentro questa persona? Cosa vede Gesù quando guarda dentro di noi e ci ama, nonostante le nostre distrazioni e i nostri peccati? Vede la nostra fragilità, ma anche il nostro desiderio di essere amati così come siamo.

Guardandolo dentro – dice il Vangelo – «lo amò» (v.

21).

Gesù ama quest’uomo prima ancora di avergli rivolto l’invito a seguirlo.

Lo ama così com’è.

L’amore di Gesù è gratuito: esattamente il contrario della logica del merito che assillava questa persona.

Siamo veramente felici quando ci rendiamo conto di essere amati così, gratuitamente, per grazia.

E questo vale anche nelle relazioni tra noi: fin quando cerchiamo di comprare l’amore o di elemosinare l’affetto, quelle relazioni non ci faranno mai sentire felici.

La proposta che Gesù fa a quest’uomo è di cambiare il suo modo di vivere e di relazionarsi con Dio.

Gesù infatti riconosce che dentro di lui, come in tutti noi, c’è una mancanza.

È il desiderio che portiamo nel cuore di essere voluti bene.

C’è una ferita che ci appartiene come esseri umani, la ferita attraverso cui può passare l’amore.

Per colmare questa mancanza non bisogna “comprare” riconoscimenti, affetto, considerazione; occorre invece “vendere” tutto quello che ci appesantisce, per rendere più libero il nostro cuore.

Non serve continuare a prendere per noi stessi, ma piuttosto dare ai poveri, mettere a disposizione, condividere.

Infine Gesù invita quest’uomo a non rimanere da solo.

Lo invita a seguirlo, a stare dentro un legame, a vivere una relazione.

Solo così, infatti, sarà possibile uscire dall’anonimato.

Possiamo ascoltare il nostro nome solo all’interno di una relazione, nella quale qualcuno ci chiama.

Se restiamo da soli, non sentiremo mai pronunciare il nostro nome e continueremo a restare dei “tali”, anonimi.

Forse oggi, proprio perché viviamo in una cultura dell’autosufficienza e dell’individualismo, ci scopriamo più infelici, perché non sentiamo più pronunciare il nostro nome da qualcuno che ci vuole bene gratuitamente.

Quest’uomo non accoglie l’invito di Gesù e rimane da solo, perché le zavorre della sua vita lo trattengono nel porto.

La tristezza è il segno che non è riuscito a partire.

A volte pensiamo che siano ricchezze e invece sono solo pesi che ci stanno bloccando.

La speranza è che questa persona, come ognuno di noi, prima o poi possa cambiare e decidere di prendere il largo.

Sorelle e fratelli, affidiamo al Cuore di Gesù tutte le persone tristi e indecise, perché possano sentire lo sguardo d’amore del Signore, che si commuove guardando con tenerezza dentro di noi.

Messaggio del Santo Padre ai giovani partecipanti al Congresso Internazionale UNIV 2025 [Roma, 12-20 Apr 2025] (8 Apr 2025)
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Cari giovani,

il Congresso Internazionale univ  che state realizzando a Roma vi riunisce in questi giorni nella celebrazione di un duplice avvenimento giubilare: l’Anno Santo 2025 e il centenario dell’ordinazione sacerdotale di san Josemaría Escrivá.

Quanti motivi per rendere grazie a Dio e continuare a camminare entusiasti nella fede, diligenti nella carità e perseveranti nella speranza (cfr.

1 Ts 1, 3)!

Mi unisco alla vostra gioia e vi accompagno con la mia preghiera, chiedendo al Signore che questo tempo di pellegrinaggio e di incontro fraterno vi spinga a portare a tutti il Vangelo di Gesù Cristo, morto e risorto, come annuncio della speranza che realizza le promesse, conduce alla gloria e, fondata sull’amore, non delude (cfr.

Bolla Spes non confundit, 2).

Che Gesù vi benedica e la Santa Vergine vi custodisca.

E vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.

Fraternamente,

Roma, San Giovanni in Laterano, 8 aprile 2025

Francesco

_______________________

L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n.

84, sabato 12 aprile 2025, p. 2.

Messaggio del Santo Padre ai pellegrini delle Diocesi di Grosseto e Pitigliano-Sovana-Orbetello (7 Apr 2025)
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Cari fratelli e sorelle delle Diocesi di Grosseto e di Pitigliano-Sovana-Orbetello, benvenuti!

Saluto il vostro nuovo Vescovo, S.E.

Mons.

Bernardino Giordano, insieme a ciascuno di voi, pellegrini a Roma per il Giubileo.

Il passaggio attraverso la Porta Santa possa rinnovare tutti nella fede, così da camminare uniti, pastore e gregge.

Rivolgo in particolare il mio pensiero a quanti tra voi sono ammalati e anziani: viviamo questo tempo di prova contemplando il Signore Gesù sulla croce, fonte di consolazione e di salvezza.

Davanti alle difficoltà che vediamo nel mondo e che sentiamo nel cuore, vi raccomando di perseverare nella preghiera, testimoniando ogni giorno quella speranza che ci fa sale della terra.

 

Vi affido all’intercessione della Vergine Maria e dei vostri Santi Patroni e vi benedico tutti di cuore.

Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Dal Vaticano, 7 aprile 2025

 FRANCESCO

Angelus, 6 Apr 2025
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Testo preparato dal Santo Padre

Cari fratelli e sorelle,

il Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima ci presenta l’episodio della donna colta in adulterio (Gv 8,1-11).

Mentre gli scribi e i farisei vogliono lapidarla, Gesù restituisce a questa donna la bellezza perduta: lei è caduta nella polvere; Gesù su quella polvere passa il suo dito e scrive per lei una storia nuova: è il “dito di Dio”, che salva i suoi figli (cfr Es 8,15) e li libera dal male (cfr Lc 11,20).

Carissimi, come durante il ricovero, anche ora nella convalescenza sento il “dito di Dio” e sperimento la sua carezza premurosa.

Nel giorno del Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, chiedo al Signore che questo tocco del suo amore raggiunga coloro che soffrono e incoraggi chi si prende cura di loro.

E prego per i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, che non sempre sono aiutati a lavorare in condizioni adeguate e, talvolta, sono perfino vittime di aggressioni.

La loro missione non è facile e va sostenuta e rispettata.

Auspico che si investano le risorse necessarie per le cure e per la ricerca, perché i sistemi sanitari siano inclusivi e attenti ai più fragili e ai più poveri.

Ringrazio le detenute del carcere femminile di Rebibbia per il biglietto che mi hanno mandato.

Prego per loro e per le loro famiglie.

Nella Giornata mondiale dello sport per la pace e lo sviluppo, auspico che lo sport sia segno di speranza per tante persone che hanno bisogno di pace e di inclusione sociale, e ringrazio le associazioni sportive che educano concretamente alla fraternità.

Continuiamo a pregare per la pace: nella martoriata Ucraina, colpita da attacchi che provocano molte vittime civili, tra cui tanti bambini.

E lo stesso accade a Gaza, dove le persone sono ridotte a vivere in condizioni inimmaginabili, senza tetto, senza cibo, senza acqua pulita.

Tacciano le armi e si riprenda il dialogo; siano liberati tutti gli ostaggi e si soccorra la popolazione.

Preghiamo per la pace in tutto il Medio Oriente; in Sudan e Sud Sudan; nella Repubblica Democratica del Congo; in Myanmar, duramente provato anche dal terremoto; e ad Haiti, dove infuria la violenza, che alcuni giorni fa ha ucciso due religiose.

La Vergine Maria ci custodisca e interceda per noi.

Giubileo degli Ammalati e del Mondo della Sanità - Santa Messa (6 Apr 2025)
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«Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19).

Sono le parole che Dio, attraverso il profeta Isaia, rivolge al popolo d’Israele in esilio a Babilonia.

Per gli Israeliti è un momento difficile, sembra che tutto sia andato perduto.

Gerusalemme è stata conquistata e devastata dai soldati del re Nabucodonosor II e al popolo, deportato, non è rimasto nulla.

L’orizzonte appare chiuso, il futuro oscuro, ogni speranza vanificata.

Tutto potrebbe indurre gli esuli a lasciarsi andare, a rassegnarsi amaramente, a sentirsi non più benedetti da Dio.

Eppure, proprio in questo contesto, l’invito del Signore è a cogliere qualcosa di nuovo che sta nascendo.

Non una cosa che avverrà in futuro, ma che già accade, che sta spuntando come un germoglio.

Di che si tratta? Cosa può nascere, anzi cosa può essere già germogliato in un panorama desolato e disperato come questo?

Quello che sta nascendo è un popolo nuovo.

Un popolo che, crollate le false sicurezze del passato, ha scoperto ciò che è essenziale: restare uniti e camminare insieme nella luce del Signore (cfr Is 2,5).

Un popolo che potrà ricostruire Gerusalemme perché, lontano dalla Città santa, con il tempio ormai distrutto, senza più poter celebrare solenni liturgie, ha imparato a incontrare il Signore in un altro modo: nella conversione del cuore (cfr Ger 4,4), nel praticare il diritto e la giustizia, nel prendersi cura di chi è povero e bisognoso (cfr Ger 22,3), nelle opere di misericordia.

È lo stesso messaggio che, in modo diverso, possiamo cogliere anche nel brano del Vangelo (cfr Gv 8,1-11).

Pure qui c’è una persona, una donna, la cui vita è distrutta: non da un esilio geografico, ma da una condanna morale.

È una peccatrice, e perciò lontana dalla legge e condannata all’ostracismo e alla morte.

Anche per lei sembra non ci sia più speranza.

Ma Dio non l’abbandona.

Anzi, proprio quando già i suoi aguzzini stringono le pietre nelle mani, proprio lì, Gesù entra nella sua vita, la difende e la sottrae alla loro violenza, dandole la possibilità di cominciare un'esistenza nuova: «Va’» – le dice – “sei libera”, “sei salva” (cfr v.

11).

Con questi racconti drammatici e commoventi, la liturgia ci invita oggi a rinnovare, nel cammino Quaresimale, la fiducia in Dio, che è sempre presente vicino a noi per salvarci.

Non c’è esilio, né violenza, né peccato, né alcun’altra realtà della vita che possa impedirgli di stare alla nostra porta e di bussare, pronto ad entrare non appena glielo permettiamo (cfr Ap 3,20).

Anzi, specialmente quando le prove si fanno più dure, la sua grazia e il suo amore ci stringono ancora più forte per risollevarci.

Sorelle e fratelli, noi leggiamo questi testi mentre celebriamo il Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, e certamente la malattia è una delle prove più difficili e dure della vita, in cui tocchiamo con mano quanto siamo fragili.

Essa può arrivare a farci sentire come il popolo in esilio, o come la donna del Vangelo: privi di speranza per il futuro.

Ma non è così.

Anche in questi momenti, Dio non ci lascia soli e, se ci abbandoniamo a Lui, proprio là dove le nostre forze vengono meno, possiamo sperimentare la consolazione della sua presenza.

Egli stesso, fatto uomo, ha voluto condividere in tutto la nostra debolezza (cfr Fil 2,6-8) e sa bene che cos’è il patire (cfr Is 53,3).

Perciò a Lui possiamo dire e affidare il nostro dolore, sicuri di trovare compassione, vicinanza e tenerezza.

Ma non solo.

Nel suo amore fiducioso, infatti, Egli ci coinvolge perché possiamo diventare a nostra volta, gli uni per gli altri, “angeli”, messaggeri della sua presenza, al punto che spesso, sia per chi soffre sia per chi assiste, il letto di un malato si può trasformare in un “luogo santo” di salvezza e di redenzione.

Cari medici, infermieri e membri del personale sanitario, mentre vi prendete cura dei vostri pazienti, specialmente dei più fragili, il Signore vi offre l’opportunità di rinnovare continuamente la vostra vita, nutrendola di gratitudine, di misericordia, di speranza (cfr Bolla Spes non confundit, 11).

Vi chiama a illuminarla con l’umile consapevolezza che nulla è scontato e che tutto è dono di Dio; ad alimentarla con quell’umanità che si sperimenta quando, lasciate cadere le apparenze, resta ciò che conta: i piccoli e grandi gesti dell’amore.

Permettete che la presenza dei malati entri come un dono nella vostra esistenza, per guarire il vostro cuore, purificandolo da tutto ciò che non è carità e riscaldandolo con il fuoco ardente e dolce della compassione.

Con voi, poi, carissimi fratelli e sorelle malati, in questo momento della mia vita condivido molto: l’esperienza dell’infermità, di sentirci deboli, di dipendere dagli altri in tante cose, di aver bisogno di sostegno.

Non è sempre facile, però è una scuola in cui impariamo ogni giorno ad amare e a lasciarci amare, senza pretendere e senza respingere, senza rimpiangere e senza disperare, grati a Dio e ai fratelli per il bene che riceviamo, abbandonati e fiduciosi per quello che ancora deve venire.

La camera dell’ospedale e il letto dell’infermità possono essere luoghi in cui sentire la voce del Signore che dice anche a noi: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19).

E così rinnovare e rafforzare la fede.

Benedetto XVI – che ci ha dato una bellissima testimonianza di serenità nel tempo della sua malattia – ha scritto che «la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza» e che «una società che non riesce ad accettare i sofferenti […] è una società crudele e disumana» (Lett.

enc.

Spe salvi, 38).

È vero: affrontare insieme la sofferenza ci rende più umani e condividere il dolore è una tappa importante di ogni cammino di santità.

Carissimi, non releghiamo chi è fragile lontano dalla nostra vita, come purtroppo oggi a volte fa un certo tipo di mentalità, non ostracizziamo il dolore dai nostri ambienti.

Facciamone piuttosto un’occasione per crescere insieme, per coltivare la speranza grazie all’amore che per primo Dio ha riversato nei nostri cuori (cfr Rm 5,5) e che, al di là di tutto, è ciò che rimane per sempre (cfr 1Cor 13,8-10.13).

Messaggio del Santo Padre ai partecipanti al XXIX Capitolo Generale della Congregazione Salesiana [Valdocco, Torino, 16 Feb – 12 Apr 2025] (2 Apr 2025)
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Cari fratelli,

non potendo purtroppo incontrarvi, vi mando questo messaggio in occasione del XXIX Capitolo Generale della Congregazione Salesiana, e anche del 150° anniversario della prima spedizione missionaria di Don Bosco in Argentina.

Saluto il nuovo Rettor Maggiore, Don Fabio Attard, augurandogli buon lavoro, e ringrazio il Cardinale Ángel Fernández Artime per il servizio che ha reso in questi anni all’Istituto e che offre ora alla Chiesa universale.

Seppure a distanza, desidero incoraggiarvi a vivere con fiducia e impegno questo tempo di ascolto dello Spirito e di discernimento sinodale.

Avete scelto, come tema per i vostri lavori, il motto: “Salesiani appassionati di Gesù Cristo e consegnati ai giovani”.

È un bel programma: essere “appassionati” e “consegnati”, lasciarsi coinvolgere pienamente dall’amore del Signore e servire gli altri senza tenere nulla per sé, proprio come ha fatto, a suo tempo, il vostro Fondatore.

Anche se oggi, rispetto ad allora, le sfide da affrontare sono in parte cambiate, la fede e l’entusiasmo rimangono gli stessi, arricchiti di nuovi doni, come quello dell’interculturalità.

Cari fratelli, vi ringrazio per il bene che fate in tutto il mondo e vi incoraggio a continuare con perseveranza.

Benedico di cuore voi e i vostri lavori capitolari, come pure i confratelli sparsi nei cinque continenti, e chiedo per favore di pregare per me.

Maria Ausiliatrice vi accompagni sempre.

Dal Vaticano, 2 aprile 2025

FRANCESCO

Catechesi del Santo Padre preparata per l'Udienza Generale del 2 Apr 2025 - Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. II. La vita di Gesù. Gli incontri. 3. Zaccheo. «Oggi devo fermarmi a casa tua!» (Lc 19,5)
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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza.

II.

La vita di Gesù.

Gli incontri.

3. Zaccheo.

«Oggi devo fermarmi a casa tua!» (Lc 19,5)

Cari fratelli e sorelle,

continuiamo a contemplare gli incontri di Gesù con alcuni personaggi del Vangelo.

Questa volta vorrei soffermarmi sulla figura di Zaccheo: un episodio che mi sta particolarmente a cuore, perché ha un posto speciale nel mio cammino spirituale.

Il Vangelo di Luca ci presenta Zaccheo come uno che sembra irrimediabilmente perso.

Forse anche noi a volte ci sentiamo così: senza speranza.

Zaccheo invece scoprirà che il Signore lo stava già cercando.

Gesù infatti è sceso a Gerico, città situata sotto il livello del mare, considerata un’immagine degli inferi, dove Gesù vuole andare a cercare coloro che si sentono perduti.

E in realtà il Signore Risorto continua a scendere negli inferi di oggi, nei luoghi di guerra, nel dolore degli innocenti, nel cuore delle madri che vedono morire i loro figli, nella fame dei poveri.

Zaccheo in un certo senso si è perso, forse ha fatto delle scelte sbagliate o forse la vita l’ha messo dentro situazioni da cui fatica a uscire.

Luca insiste infatti nel descrivere le caratteristiche di quest’uomo: non solo è un pubblicano, cioè uno che raccoglie le tasse dei propri concittadini per gli invasori romani, ma è addirittura il capo dei pubblicani, come a dire che il suo peccato è moltiplicato.

 

Luca aggiunge poi che Zaccheo è ricco, lasciando intendere che si è arricchito sulle spalle degli altri, abusando della sua posizione.

Ma tutto questo ha delle conseguenze: Zaccheo probabilmente si sente escluso, disprezzato da tutti.

Quando viene a sapere che Gesù sta attraversando la città, Zaccheo sente il desiderio di vederlo.

Non osa immaginare un incontro, gli basterebbe guardarlo da lontano.

I nostri desideri però trovano anche degli ostacoli e non si realizzano automaticamente: Zaccheo è basso di statura! È la nostra realtà, abbiamo dei limiti con cui dobbiamo fare i conti.

E poi ci sono gli altri, che a volte non ci aiutano: la folla impedisce a Zaccheo di vedere Gesù.

Forse è anche un po’ la loro rivincita.

Ma quando hai un desiderio forte, non ti perdi d’animo.

Una soluzione la trovi.

Occorre però avere coraggio e non vergognarsi, ci vuole un po’ della semplicità dei bambini e non preoccuparsi troppo della propria immagine.

Zaccheo, proprio come un bambino, sale su un albero.

Doveva essere un buon punto di osservazione, soprattutto per guardare senza essere visto, nascondendosi dietro le fronde.

Ma con il Signore accade sempre l’inaspettato: Gesù, quando arriva lì vicino, alza lo sguardo.

Zaccheo si sente scoperto e probabilmente si aspetta un rimprovero pubblico.

La gente magari l’avrà sperato, ma resterà delusa: Gesù chiede a Zaccheo di scendere subito, quasi meravigliandosi di vederlo sull’albero, e gli dice: «Oggi devo fermarmi a casa tua!» (Lc 19,5).

Dio non può passare senza cercare chi è perduto.

Luca mette in evidenza la gioia del cuore di Zaccheo.

È la gioia di chi si sente guardato, riconosciuto e soprattutto perdonato.

Lo sguardo di Gesù non è uno sguardo di rimprovero, ma di misericordia.

È quella misericordia che a volte facciamo fatica ad accettare, soprattutto quando Dio perdona coloro che secondo noi non lo meritano.

Mormoriamo perché vorremmo mettere dei limiti all’amore di Dio.

Nella scena a casa, Zaccheo, dopo aver ascoltato le parole di perdono di Gesù, si alza in piedi, come se risorgesse dalla sua condizione di morte.

E si alza per prendere un impegno: restituire il quadruplo di ciò che ha rubato.

Non si tratta di un prezzo da pagare, perché il perdono di Dio è gratuito, ma si tratta del desiderio di imitare Colui dal quale si è sentito amato.

Zaccheo si prende un impegno a cui non era tenuto, ma lo fa perché capisce che quello è il suo modo di amare.

E lo fa mettendo insieme sia la legislazione romana relativa al furto, sia quella rabbinica circa la penitenza.

Zaccheo allora non è solo l’uomo del desiderio, è anche uno che sa compiere passi concreti.

Il suo proposito non è generico o astratto, ma parte proprio dalla sua storia: ha guardato la sua vita e ha individuato il punto da cui iniziare il suo cambiamento.

Cari fratelli e sorelle, impariamo da Zaccheo a non perdere la speranza, anche quando ci sentiamo messi da parte o incapaci di cambiare.

Coltiviamo il nostro desiderio di vedere Gesù, e soprattutto lasciamoci trovare dalla misericordia di Dio che sempre viene a cercarci, in qualunque situazione ci siamo persi.

Angelus, 30 Mar 2025
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Testo preparato dal Santo Padre

Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Nel Vangelo di oggi (Lc 15,1-3.11-32) Gesù si accorge che i farisei, invece di essere contenti perché i peccatori si avvicinano a Lui, si scandalizzano e mormorano alle sue spalle.

Allora Gesù racconta loro di un padre che ha due figli: uno se ne va di casa ma poi, finito in miseria, ritorna e viene accolto con gioia; l’altro, il figlio “obbediente”, sdegnato col padre non vuole entrare alla festa.

Così Gesù rivela il cuore di Dio: sempre misericordioso verso tutti; guarisce le nostre ferite perché possiamo amarci come fratelli.

Carissimi, viviamo questa Quaresima, tanto più nel Giubileo, come tempo di guarigione.

Anch’io la sto sperimentando così, nell’animo e nel corpo.

Perciò ringrazio di cuore tutti coloro che, a immagine del Salvatore, sono per il prossimo strumenti di guarigione con la loro parola e con la loro scienza, con l’affetto e con la preghiera.

La fragilità e la malattia sono esperienze che ci accomunano tutti; a maggior ragione, però, siamo fratelli nella salvezza che Cristo ci ha donato.

Confidando nella misericordia di Dio Padre, continuiamo a pregare per la pace: nella martoriata Ucraina, in Palestina, Israele, Libano, Repubblica Democratica del Congo e Myanmar, che soffre tanto anche per il terremoto.

Seguo con preoccupazione la situazione in Sud Sudan.

Rinnovo il mio appello accorato a tutti i Leader, perché pongano il massimo impegno per abbassare la tensione nel Paese.

Occorre mettere da parte le divergenze e, con coraggio e responsabilità, sedersi attorno a un tavolo e avviare un dialogo costruttivo.

Solo così sarà possibile alleviare le sofferenze dell’amata popolazione sud-sudanese e costruire un futuro di pace e stabilità.

E in Sudan la guerra continua a mietere vittime innocenti.

Esorto le parti in conflitto a mettere al primo posto la salvaguardia della vita dei loro fratelli civili; e auspico che siano avviati al più presto nuovi negoziati, capaci di assicurare una soluzione duratura alla crisi.

La Comunità internazionale aumenti gli sforzi per far fronte alla spaventosa catastrofe umanitaria.

Grazie a Dio ci sono anche fatti positivi: cito ad esempio la ratifica dell’Accordo sulla delimitazione del confine tra il Tajikistan e il Kyrgyzstan, che rappresenta un ottimo risultato diplomatico.

Incoraggio entrambi i Paesi a proseguire su questa strada.

Maria, Madre di misericordia, aiuti la famiglia umana a riconciliarsi nella pace.

Messaggio del Santo Padre ai pellegrini della Diocesi di Rieti (29 Mar 2025)
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Cari fratelli e sorelle della Diocesi di Rieti,

con gioia saluto il vostro Vescovo, S.

E.

Mons.

Vito Piccinonna e con Lui ciascuno di voi: sacerdoti, diaconi, persone consacrate, coloro che hanno responsabilità civili, fedeli tutti e specialmente quanti, ammalati e anziani, offrono preghiere e sofferenze per il bene della Chiesa.

Auspico che la visita alle tombe degli Apostoli e il passaggio alla Porta Santa rafforzino la vostra fede e vi aiutino a comprendere e accogliere sempre più l'amore di Dio, sorgente e motivo della vera gioia.

Soprattutto alle persone più deboli e bisognose siamo chiamati a testimoniare questo amore che, come fiamma viva, dona forza al cammino della vita.

Con questi sentimenti, vi incoraggio ad essere ogni giorno testimoni di speranza nei diversi ambienti ecclesiali ed esistenziali in cui vivete, per contribuire all'edificazione di un mondo più fraterno e solidale e, mentre vi chiedo di continuare a pregare per me, invoco su tutti voi la materna protezione della Vergine Maria e di Santa Barbara, e di cuore imparto la Benedizione Apostolica, che estendo all'intera Comunità diocesana reatina.

Dal Vaticano, 29 marzo 2025

FRANCESCO

Messaggio del Santo Padre ai partecipanti al pellegrinaggio giubilare del Servizio Internazionale per il Rinnovamento Carismatico Cattolico [3 Apr 2025] (29 Mar 2025)
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Cari fratelli e sorelle!

Saluto tutti voi che, invitati dal Servizio Internazionale per il Rinnovamento Carismatico Cattolico, celebrate il vostro Giubileo “nel cuore della Chiesa”, elevando al Signore un’intensa preghiera di intercessione per il Popolo di Dio e per il mondo intero.

Così facendo – secondo il movimento proprio del cuore nel corpo umano –, voi intendete non solo “concentrarvi” sulla Chiesa, ma nello stesso tempo aprirvi ai suoi orizzonti universali, assumendo le intenzioni del Papa, in modo speciale quella per la pace e la riconciliazione.

Lo Spirito Santo, dono del Signore Risorto, crea comunione, armonia, fraternità.

E questa è la Chiesa: una nuova umanità riconciliata.

Carissimi, questa esperienza non è solo per voi, è per tutti! Portatela nel mondo come sorgente di speranza e di pace.

Lo Spirito può donare la vera pace al cuore umano, e questa è la condizione per superare i conflitti nelle famiglie, nella società, nei rapporti tra le nazioni.

Perciò, vi esorto ad essere testimoni e artigiani di pace e di unità; a cercare sempre la comunione, a partire dai vostri gruppi e comunità.

L’attaccamento ai leader non diventi mai motivo di conflitto.

Abbiate il gusto della collaborazione, specialmente con le comunità parrocchiali, e il Signore vi benedirà con tanti frutti.

Vi ringrazio per la vostra vicinanza e vi accompagno con la mia benedizione.

Prego per voi, e anche voi, per favore, pregate per me!

Dal Vaticano, 29 marzo 2025

FRANCESCO 

Messaggio del Santo Padre ai partecipanti alla II Assemblea Sinodale delle Chiese in Italia [31 Mar – 3 Apr 2025] (28 Mar 2025)
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Cari fratelli e sorelle!

Bentornati a Roma per la Seconda Assemblea Sinodale delle Chiese in Italia.

È l’ultima tappa del percorso, pastorale e sociale, che avete compiuto negli ultimi cinque anni.

Tante iniziative, tanti incontri, tante buone pratiche: tutto viene dallo Spirito, che «introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cfr Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti» (Lumen gentium, 4).

Riprendo il titolo delle Proposizioni: «Perché la gioia sia piena».

La gioia cristiana non è mai esclusiva, ma sempre inclusiva, è per tutti.

Si compie nelle pieghe della quotidianità (cfr Evangelii gaudium, 5) e nella condivisione: è una gioia dai larghi orizzonti, che accompagna uno stile accogliente.

È dono di Dio – ricordiamolo sempre –; non è una facile allegria, non nasce da comode soluzioni ai problemi, non evita la croce, ma sgorga dalla certezza che il Signore non ci lascia mai soli.

Ne ho fatto esperienza anch’io nel ricovero in ospedale, e ora in questo tempo di convalescenza.

La gioia cristiana è affidamento a Dio in ogni situazione della vita.

In queste giornate avrete modo di approfondire e votare le Proposizioni, frutto di quanto emerso finora e snodo per il futuro delle Chiese in Italia.

Lasciatevi guidare dall’armonia creativa che è generata dallo Spirito Santo.

La Chiesa non è fatta di maggioranze o minoranze, ma del santo popolo fedele di Dio che cammina nella storia illuminato dalla Parola e dallo Spirito.

Andate avanti con gioia e sapienza! Vi benedico.

Per favore, continuate a pregare per me.

Grazie e buon lavoro!

Roma, San Giovanni in Laterano, 28 marzo 2025

FRANCESCO

Messaggio del Santo Padre ai partecipanti al XXXV Corso sul Foro interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica [24-28 Mar 2025] (27 Mar 2025)
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Cari fratelli!

Saluto tutti voi che partecipate al XXXV Corso sul Foro interno, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica, e ringrazio il Penitenziere Maggiore, il Reggente, i Prelati, gli Officiali e il Personale della Penitenzieria, come pure i Collegi dei Penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche Papali.

Il corso si svolge durante la Quaresima dell’Anno Santo 2025: tempo di conversione, di penitenza e di accoglienza della misericordia di Dio.

Celebrare la Misericordia, soprattutto con i pellegrini del Giubileo, è un privilegio: Dio ci ha fatti ministri di Misericordia per sua grazia, un dono che accogliamo perché siamo stati, e siamo, noi per primi oggetto del suo perdono.

Cari fratelli, vi esorto ad essere uomini di preghiera, perché nella preghiera affondano le radici della vostra azione ministeriale, con la quale prolungate l’opera di Gesù, che ancora e sempre ripete: «Nemmeno io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).

Possa riecheggiare, in tutta la Chiesa, nell’Anno giubilare, questa liberante parola del Signore, per il rinnovamento dei cuori, che sgorga dalla riconciliazione con Dio e apre a nuovi rapporti fraterni.

Anche la pace, tanto desiderata, nasce dalla Misericordia, come la speranza che non delude.

Grazie per il vostro indispensabile ministero sacramentale! La Madonna vi custodisca nell’amore e nella pazienza di Cristo.

Vi benedico di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me.

Dal Vaticano, 27 marzo 2025

FRANCESCO

Messaggio del Santo Padre in occasione del Pellegrinaggio nazionale giubilare slovacco [4 Apr 2025] (27 Mar 2025)
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Cari fratelli nell’Episcopato,
Cari sacerdoti, religiose e religiosi,
Care sorelle, cari fratelli nel Signore!

Avrei tanto desiderato essere presente tra voi per condividere questo momento di fede e di comunione, ma sono ancora convalescente e dunque mi unisco a voi attraverso la preghiera e con tutto il mio affetto.

Do il benvenuto a tutti voi, giunti a Roma per il pellegrinaggio nazionale in questo anno giubilare.

Saluto Sua Eccellenza Mons.

Bernard Bober, Presidente della Conferenza Episcopale, i Vescovi, i sacerdoti, i consacrati e i fedeli laici.

Un cordiale saluto va alle Autorità civili, in particolare sono lieto di rivolgerlo al Signor Presidente Peter Pellegrini.

Il vostro pellegrinaggio è segno concreto del desiderio di rinnovare la fede, di rafforzare il legame con il Successore di Pietro e di testimoniare con gioia la speranza che non delude (cfr Rm 5,5), perché nasce dall’amore effuso dal Cuore trafitto di Cristo e riversato in noi dallo Spirito Santo.

Di questa speranza il presente Giubileo ci chiama a diventare pellegrini in tutta la nostra vita, e il viaggio a Roma, con il passaggio delle Porte Sante e le soste presso le tombe degli Apostoli e dei Martiri, è il pegno di questo cammino di ogni giorno, proteso verso l’eternità.

Per voi, sorelle e fratelli slovacchi, è un itinerario che si inserisce nella ricca tradizione cristiana della vostra terra, fecondata dalla testimonianza dei santi Cirillo e Metodio e di tanti altri santi e sante, che da oltre mille anni la irrigano con il Vangelo di Cristo.

La fede, carissimi, è un tesoro da condividere con gioia.

Ogni tempo porta con sé sfide e fatiche, ma anche opportunità per crescere nella fiducia e nell’abbandono a Dio.

E come la Vergine Maria, che con il suo umile e coraggioso “sì” ha aperto la porta alla redenzione del mondo, anche il nostro “sì”, semplice e sincero, può diventare strumento nelle mani di Dio per realizzare qualcosa di grande.

Accogliere il suo disegno non significa avere già tutte le risposte, ma confidare che, là dove Egli ci guida, ci precede anche con la sua grazia.

Dire “sì” oggi può permettere di aprire nuovi orizzonti di fede, di speranza e di pace, per noi e per quanti il Signore ci fa incontrare.

Con stile sinodale, ascoltate ciò che lo Spirito dice alle vostre Chiese, senza temere il nuovo ma discernendo in esso l’iniziativa di Dio che sempre ci sorprende.

Sorelle e fratelli, continuate a camminare insieme, pastori e fedeli, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, nostra salvezza.

Vi guidi e vi custodisca la Vergine Maria, Patrona della Slovacchia, che voi venerate in particolare quale Madonna “dei sette dolori” e che proprio per la sua unione alla passione del Figlio è Madre della Speranza.

Benedico di cuore tutti voi, le vostre famiglie e il vostro popolo.

Non dimenticatevi di pregare per me.

Dal Vaticano, 27 marzo 2025

FRANCESCO

Catechesi del Santo Padre preparata per l'Udienza Generale del 26 Mar 2025. Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. II. La vita di Gesù. Gli incontri. 2. La Samaritana. «Dammi da bere!» (Gv 4,7)
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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza.

II.

La vita di Gesù.

Gli incontri.

2.

La Samaritana.

«Dammi da bere!» (Gv 4,7)

Cari fratelli e sorelle,

dopo aver meditato sull’incontro di Gesù con Nicodemo, il quale era andato a cercare Gesù, oggi riflettiamo su quei momenti in cui sembra proprio che Lui ci stesse aspettando proprio lì, in quell’incrocio della nostra vita.

Sono incontri che ci sorprendono, e all’inizio forse siamo anche un po’ diffidenti: cerchiamo di essere prudenti e di capire che cosa sta succedendo.

Questa probabilmente è stata anche l’esperienza della donna samaritana, di cui si parla nel capitolo quarto del Vangelo di Giovanni (cfr 4,5-26).

Lei non si aspettava di trovare un uomo al pozzo a mezzogiorno, anzi sperava di non trovare proprio nessuno.

In effetti, va a prendere l’acqua al pozzo in un’ora insolita, quando è molto caldo.

Forse questa donna si vergogna della sua vita, forse si è sentita giudicata, condannata, non compresa, e per questo si è isolata, ha rotto i rapporti con tutti.

Per andare in Galilea dalla Giudea, Gesù avrebbe potuto scegliere un’altra strada e non attraversare la Samaria.

Sarebbe stato anche più sicuro, visti i rapporti tesi tra giudei e samaritani.

Lui invece vuole passare da lì e si ferma a quel pozzo proprio a quell’ora! Gesù ci attende e si fa trovare proprio quando pensiamo che per noi non ci sia più speranza.

Il pozzo, nel Medio Oriente antico, è un luogo di incontro, dove a volte si combinano matrimoni, è un luogo di fidanzamento.

Gesù vuole aiutare questa donna a capire dove cercare la risposta vera al suo desiderio di essere amata.

Il tema del desiderio è fondamentale per capire questo incontro.

Gesù è il primo a esprimere il suo desiderio: «Dammi da bere!» (v.

10).

Pur di aprire un dialogo, Gesù si fa vedere debole, così mette l’altra persona a suo agio, fa in modo che non si spaventi.

La sete è spesso, anche nella Bibbia, l’immagine del desiderio.

Ma Gesù qui ha sete prima di tutto della salvezza di quella donna.

«Colui che chiedeva da bere – dice Sant’Agostino – aveva sete della fede di questa donna».

[1]

Se Nicodemo era andato da Gesù di notte, qui Gesù incontra la donna samaritana a mezzogiorno, il momento in cui c’è più luce.

È infatti un momento di rivelazione.

Gesù si fa conoscere da lei come il Messia e inoltre fa luce sulla sua vita.

La aiuta a rileggere in modo nuovo la sua storia, che è complicata e dolorosa: ha avuto cinque mariti e adesso sta con un sesto che non è marito.

Il numero sei non è casuale, ma indica di solito imperfezione.

Forse è un’allusione al settimo sposo, quello che finalmente potrà saziare il desiderio di questa donna di essere amata veramente.

E quello sposo può essere solo Gesù.

Quando si accorge che Gesù conosce la sua vita, la donna sposta il discorso sulla questione religiosa che divideva giudei e samaritani.

Questo capita a volte anche a noi mentre preghiamo: nel momento in cui Dio sta toccando la nostra vita coi suoi problemi, ci perdiamo a volte in riflessioni che ci danno l’illusione di una preghiera riuscita.

In realtà, abbiamo alzato delle barriere di protezione.

Il Signore però è sempre più grande, e a quella donna samaritana, alla quale secondo gli schemi culturali non avrebbe dovuto neppure rivolgere la parola, regala la rivelazione più alta: le parla del Padre, che va adorato in spirito e verità.

E quando lei, ancora una volta sorpresa, osserva che su queste cose è meglio aspettare il Messia, Lui le dice: «Sono io, che parlo con te» (v.

26).

È come una dichiarazione d’amore: Colui che aspetti sono io; Colui che può rispondere finalmente al tuo desiderio di essere amata.

A quel punto la donna corre a chiamare la gente del villaggio, perché è proprio dall’esperienza di sentirsi amati che scaturisce la missione.

E quale annuncio potrà mai aver portato se non la sua esperienza di essere capita, accolta, perdonata? È un’immagine che dovrebbe farci riflettere sulla nostra ricerca di nuovi modi per evangelizzare.

Proprio come una persona innamorata, la samaritana dimentica la sua anfora ai piedi di Gesù.

Il peso di quell’anfora sulla sua testa, ogni volta che tornava a casa, le ricordava la sua condizione, la sua vita travagliata.

Ma adesso l’anfora è deposta ai piedi di Gesù.

Il passato non è più un peso; lei è riconciliata.

Ed è così anche per noi: per andare ad annunciare il Vangelo, abbiamo bisogno prima di deporre il peso della nostra storia ai piedi del Signore, consegnare a Lui il peso del nostro passato.

Solo persone riconciliate possono portare il Vangelo.

Cari fratelli e care sorelle, non perdiamo la speranza! Anche se la nostra storia ci appare pesante, complicata, forse addirittura rovinata, abbiamo sempre la possibilità di consegnarla a Dio e di ricominciare il nostro cammino.

Dio è misericordia e ci attende sempre!

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[1]  Omelia 15,11.

Messaggio del Santo Padre ai partecipanti al Pellegrinaggio nazionale della Cechia [29 Mar 2025] (26 Mar 2025)
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Cari fratelli nell’Episcopato,
cari sacerdoti, religiose e religiosi,
care sorelle e cari fratelli nel Signore!

Avrei voluto essere con voi di persona per condividere questo momento di fede e di comunione, ma, a causa della mia convalescenza, mi unisco a voi spiritualmente, ringraziandovi di cuore per le vostre preghiere.

Rivolgo il mio saluto affettuoso a voi che dalla Repubblica Ceca siete venuti a Roma per compiere il pellegrinaggio nazionale in quest’anno giubilare.

Saluto con gratitudine il Presidente della Conferenza Episcopale, Mons.

Jan Graubner, tutti i Vescovi presenti, i sacerdoti, i consacrati e i fedeli laici.

Il vostro cammino è un segno concreto del desiderio di rinnovare la fede, di confermare il legame con il Successore di Pietro e di professare con gioia la vostra adesione al Signore che sempre cammina con noi, ci sostiene nelle prove e ci chiama ad essere testimoni della sua pace e del suo amore.

Egli è fedele alle sue promesse, perciò la speranza non delude mai! (cfr Rm 5,5; Bolla Spes non confundit).

Il vostro cammino di fede si inserisce nella ricca tradizione cristiana della vostra terra, illuminata dalla testimonianza dei santi Adalberto, Cirillo e Metodio e tanti altri.

Essi portarono la luce del Vangelo con coraggio e pazienza, anche in luoghi dove sembrava impossibile.

Il loro esempio ci insegna che la missione cristiana non si basa sui risultati visibili, ma sulla fedeltà a Dio.

Anche noi siamo chiamati ad annunciare il Vangelo con fiducia, senza temere difficoltà e ostacoli.

San Paolo ci ricorda: «Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere» (1 Cor 3,6).

Il nostro compito è seminare e annaffiare con amore e perseveranza, senza scoraggiarci.

Dio ci chiede di offrire il poco che siamo e che abbiamo.

Pensiamo a quei cinque pani e due pesci: nelle mani di Gesù diventarono nutrimento abbondante per una moltitudine (cfr Mt 14,13-21).

Così avviene anche con il nostro impegno nella fede: se lo affidiamo al Signore con cuore generoso, sarà Lui a moltiplicarlo e a farlo fruttificare in modi che non possiamo nemmeno immaginare.

Per questo, non dobbiamo mai perdere la fiducia.

Dio opera anche quando non ne vediamo subito gli effetti.

La storia dei vostri santi ce lo insegna: pensiamo alla perseveranza di Giovanni Nepomuceno e di tanti altri testimoni della fede della vostra terra.

La loro vita ci mostra che chi confida in Dio non è mai abbandonato, anche nei momenti di prova, come quelli della persecuzione.

Camminiamo insieme, pastori e popolo, su questa bella strada della fede.

Sosteniamoci gli uni gli altri e diventiamo, con la nostra vita, testimoni di pace e di speranza in un mondo che ne ha tanto bisogno, anche in Europa.

La nostra fede non è solo per noi, ma è dono da condividere con gioia.

Affido il vostro pellegrinaggio alla Vergine Maria, Madre della Speranza, perché siate rafforzati nella fede, nella speranza e nella carità.

Benedico di cuore tutti voi e il vostro popolo.

E vi chiedo per favore di pregare per me.

Dal Vaticano, 26 marzo 2025

FRANCESCO

Messaggio del Santo Padre in occasione dell’Intronizzazione dell’Arcivescovo di Tirana, Durrës e di tutta l'Albania [29 Mar 2025] (25 Mar 2025)
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A Sua Beatitudine Joani
Arcivescovo di Tirana, Durrës
e di tutta l’Albania

È con particolare gioia che porgo a Lei, Beatitudine, il mio saluto fraterno nell’amore di Cristo in occasione della sua intronizzazione come Arcivescovo di Tirana, Durrës e di tutta l’Albania.

Nell’esprimere la mia vicinanza spirituale, L’assicuro delle mie preghiere perché Dio Padre, fonte di ogni bene, Le conceda gli abbondanti doni dello Spirito Santo mentre guida il gregge affidato alle Sue cure.

Lei è ora il successore del nostro amato fratello di venerata memoria, Sua Beatitudine Anastas, la cui testimonianza di vita cristiana e di zelo apostolico ha lasciato un’eredità profonda e duratura in Albania.

Tra le tante attività svolte nel corso del suo ministero, Anastas si è distinto per il suo impegno per la pacifica coesistenza di uomini e donne appartenenti a Chiese e tradizioni religiose differenti e ha contribuito in modo significativo al miglioramento delle relazioni tra le nostre Chiese.

Sono certo che Lei, Beatitudine, seguendo l’esempio del Suo predecessore, continuerà a promuovere il dialogo come mezzo per superare le divisioni e a promuovere la ricerca della piena comunione tra tutti i discepoli di Cristo.

Di fatto, in questi tempi difficili segnati da guerra e violenza, è ancora più urgente che i cristiani diano una testimonianza credibile dell’unità, di modo che il mondo possa abbracciare pienamente il messaggio evangelico di solidarietà fraterna e di pace.

Abbiamo dunque la responsabilità di procedere insieme per manifestare in modo sempre più visibile la vera comunione, benché purtroppo non ancora completa, che già ci unisce.

È dunque mia sentita speranza che, sotto la sua guida paterna, le relazioni tra la Chiesa di Albania e la Chiesa cattolica crescano ulteriormente, cercando nuove forme di cooperazione feconda nel proclamare il Vangelo, servire i più bisognosi e rinnovare il nostro impegno a risolvere le questioni che ancora ci dividono attraverso il dialogo di carità e di verità.

Con questi sentimenti, ed esprimendo ancora una volta l’assicurazione delle mie preghiere e dei miei ferventi buoni auspici, chiedo a Dio Onnipotente di concederLe ogni grazia e benedizione celeste nel Suo alto ministero e scambio con Lei, Beatitudine, un abbraccio fraterno in Cristo nostro Signore.

Dal Vaticano, 25 marzo 2025

Francesco

________________________________

L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n.

72, sabato 29 marzo 2025, p. 3.

 

 

Chirografo del Santo Padre con il quale viene riformata la Pontificia Accademia Ecclesiatica (25 Mar 2025)
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Il ministero petrino, nell’operare a vantaggio di tutta la Chiesa, ha sempre manifestato la sua attenzione fraterna alle Chiese locali e ai loro Pastori perché sentissero sempre viva quella comunione di verità e di grazia che il Signore ha posto a fondamento della Sua Chiesa.

Nel costante servizio di portare ai popoli e alle Chiese la vicinanza del Papa, sono punti di riferimento i Rappresentanti Pontifici inviati nelle diverse Nazioni e territori.

Sono essi custodi di quella sollecitudine che dal centro si muove verso le periferie, per renderle partecipi dello slancio missionario della Chiesa, per poi farvi ritorno con necessità, riflessioni e aspirazioni.

Anche nei momenti in cui sembra che le ombre del male abbiano segnato ogni agire di smarrimento e sfiducia, essi rimangono «l’occhio vigile e lucido del Successore di Pietro sulla Chiesa e sul mondo» (Francesco, Discorso ai Partecipanti all’Incontro dei Rappresentanti Pontifici, 17 settembre 2016). Chiamati a far sentire nel Paese in cui sono inviati la presenza del Vescovo di Roma«perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi, sia della moltitudine dei fedeli» (Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 23), svolgono un’azione pastorale che ne evidenzia lo spirito sacerdotale, le doti umane e le capacità professionali.

A questa azione, sacerdotale ed evangelizzatrice ad un tempo, posta a servizio delle singole Chiese, la missione affidata ai diplomatici del Papa unisce la rappresentanza presso le Autorità pubbliche.

Un compito che manifesta l’effettivo esercizio di quel diritto nativo e indipendente di legazione anch’esso parte dell’ufficio petrino, che nel realizzarsi domanda il rispetto delle regole del diritto internazionale alla base della vita della Comunità delle genti (cfr.

Codice di Diritto Canonico, can.

362).

I nostri giorni mostrano come questo servizio non sia più limitato a quei Paesi dove l’annuncio della salvezza ha radicato la presenza della Chiesa, ma si realizza anche nei territori in cui essa è comunità nascente; o nei consessi internazionali dove, mediante i suoi rappresentanti, la Sede di Pietro si rende attenta ai dibattiti, ne valuta i contenuti e, alla luce della dimensione etica e religiosa che le è propria, offre una lettura sui grandi temi che coinvolgono l’oggi e il futuro della famiglia umana. 

Per adempiere adeguatamente alle proprie funzioni, il diplomatico deve essere costantemente impegnato in un percorso formativo solido e continuativo.

Non è sufficiente limitarsi all'acquisizione di conoscenze teoriche, ma è necessario sviluppare un metodo di lavoro e uno stile di vita che gli consentano di comprendere a fondo le dinamiche delle relazioni internazionali e di farsi apprezzare nell'interpretare i traguardi e le difficoltà, che una Chiesa sempre più sinodale deve affrontare.

Solo attraverso un'accurata osservazione della realtà in continuo cambiamento e l'adozione di un sano discernimento è possibile attribuire significato agli eventi e proporre azioni concrete.

In questo contesto, qualità come la prossimità, l'ascolto attento, la testimonianza, l'approccio fraterno e il dialogo si rivelano fondamentali.

Tali qualità devono essere coniugate con l'umiltà e la mitezza, affinché il presbitero e, in modo particolare, il diplomatico pontificio, possa esercitare il dono del sacerdozio ricevuto a immagine di Cristo Buon Pastore (cfr.

Mt 11,28-30; Gv 10,11-18).    

Tutto questo impone oggi una preparazione più adeguata alle esigenze dei tempi di quegli ecclesiastici che, provenienti dalle diverse Diocesi del mondo e avendo già acquisito la formazione nelle scienze sacre e svolto una prima attività pastorale, dopo accurata selezione, si preparano a proseguire la loro missione sacerdotale nel servizio diplomatico della Santa Sede.

Non si tratta solo di fornire un’educazione accademica e scientifica con un livello di alta qualificazione, ma di avere cura che la loro sarà un’azione ecclesiale, chiamata al necessario confronto con la realtà del nostro mondo «soprattutto in un tempo come il nostro segnato da veloci, costanti e vistosi cambiamenti nel campo delle scienze e delle tecnologie» (Cost.

Ap.

Veritatis Gaudium, Proemio, 5).

Da trecento anni svolge questa peculiare funzione la Pontificia Accademia Ecclesiastica, istituzione che, superando i difficili momenti determinati dalla storia, si è confermata come la “scuola diplomatica della Santa Sede”, formando generazioni di sacerdoti che hanno posto la loro vocazione al servizio dell’ufficio petrino, operando presso le Rappresentanze Pontificie e la Segreteria di Stato.

Perché essa possa sempre meglio rispondere alle finalità conferitele, sull’esempio dei miei Predecessori di v.m., ho deciso di aggiornarne la struttura e di approvarne, in forma specifica, il nuovo Statuto, che di questo atto è parte integrante.

Pertanto, costituisco la Pontificia Accademia Ecclesiastica in Istituto ad instar Facultatis per lo studio delle Scienze Diplomatiche, andando così ad ampliare il novero delle analoghe Istituzioni previste dalla Cost.

Ap.

Veritatis Gaudium (cfr.

Norme Applicative, 70).

Dotata di personalità giuridica pubblica (cfr.

Veritatis Gaudium, Art.

62 § 3), l’Accademia sarà retta dalle norme comuni o particolari dell’ordinamento canonico, ad essa applicabili, e da altre disposizioni date dalla Santa Sede per le sue istituzioni di educazione superiore (cfr.

Ibid., Norme Applicative, Art.

1 § 1).

Per autorità della Santa Sede (cfr.

Veritatis Gaudium, Artt.

2 e 6; Norme Applicative, Art.

1) essa conferirà i gradi accademici di Secondo e Terzo Ciclo in Scienze Diplomatiche.

L’Accademia realizzerà la sua funzione nelle forme più avanzate oggi richieste alla formazione e alla ricerca nel particolare settore disciplinare delle scienze diplomatiche, a cui concorre lo studio delle discipline giuridiche, storiche, politologiche, economiche, quello delle lingue in uso nelle relazioni internazionali e la competenza scientifica.

In tale rinnovamento si avrà cura di prevedere che i programmi di insegnamento abbiano una stretta connessione con le discipline ecclesiastiche, con il metodo di lavoro della Curia Romana, con le necessità delle Chiese locali e più ampiamente con l’opera di evangelizzazione, l’azione della Chiesa e la sua relazione con la cultura e la società umana (cfr.

Ibid., Art.

85; Norme Applicative, Art.

4).

Sono questi, infatti, altrettanti elementi costitutivi dell’azione diplomatica della Sede Apostolica e della sua capacità di operare, mediare, superare barriere e così sviluppare percorsi concreti di dialogo e negoziato per garantire la pace, la libertà di religione per ogni credente e l’ordine tra le Nazioni.

Inoltre, dispongo che a motivo della sua natura di Istituzione accademica designata alla peculiare formazione dei diplomatici pontifici e per le finalità dei suoi programmi di istruzione e ricerca, la Pontificia Accademia Ecclesiastica sia, ad ogni effetto, parte integrante della Segreteria di Stato, nel cui ambito essa opera e nella cui struttura è inquadrata a titolo speciale (cfr.

Cost.

Ap.

Praedicate Evangelium, Art.

52 § 2).

A quanto è stabilito con il presente Chirografo, è dato immediato, pieno e stabile valore, nonostante qualsiasi disposizione contraria, pur meritevole di speciale menzione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 marzo dell’anno 2025,
Solennità dell'Annunciazione del Signore, tredicesimo del Pontificato.

 FRANCESCO

Giovanni Paolo II
G.P.II: VEGLIA DI PREGHIERA GMG XV


PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE
XV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ
GIOVANNI PAOLO II

Tor Vergata, sabato 19 agosto 2000

1. "Voi chi dite che io sia?" (Mt 16, 15).

Carissimi giovani e ragazze, con grande gioia mi incontro nuovamente con voi in occasione di questa Veglia di preghiera, durante la quale vogliamo metterci insieme in ascolto di Cristo, che sentiamo presente tra noi. E' Lui che ci parla.

"Voi chi dite che io sia?". Gesù pone questa domanda ai suoi discepoli, nei pressi di Cesarea di Filippo. Risponde Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16). A sua volta il Maestro gli rivolge le sorprendenti parole: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16, 17).

Qual è il significato di questo dialogo? Perché Gesù vuole sentire ciò che gli uomini pensano di Lui? Perché vuol sapere che cosa pensano di Lui i suoi discepoli?

Gesù vuole che i discepoli si rendano conto di ciò che è nascosto nelle loro menti e nei loro cuori e che esprimano la loro convinzione. Allo stesso tempo, tuttavia, egli sa che il giudizio che manifesteranno non sarà soltanto loro, perché vi si rivelerà ciò che Dio ha versato nei loro cuori con la grazia della fede.

Questo evento nei pressi di Cesarea di Filippo ci introduce in un certo senso nel "laboratorio della fede". Vi si svela il mistero dell'inizio e della maturazione della fede. Prima c'è la grazia della rivelazione: un intimo, un inesprimibile concedersi di Dio all'uomo. Segue poi la chiamata a dare una risposta. Infine, c'è la risposta dell'uomo, una risposta che d'ora in poi dovrà dare senso e forma a tutta la sua vita.

Ecco che cosa è la fede! E' la risposta dell'uomo ragionevole e libero alla parola del Dio vivente. Le domande che Cristo pone, le risposte che vengono date dagli Apostoli, e infine da Simon Pietro, costituiscono quasi una verifica della maturità della fede di coloro che sono più vicini a Cristo.

2. Il colloquio presso Cesarea di Filippo ebbe luogo nel periodo prepasquale, cioè prima della passione e della resurrezione di Cristo. Bisognerebbe richiamare ancora un altro evento, durante il quale Cristo, ormai risorto, verificò la maturità della fede dei suoi Apostoli. Si tratta dell'incontro con Tommaso apostolo. Era l'unico assente quando, dopo la resurrezione, Cristo venne per la prima volta nel Cenacolo. Quando gli altri discepoli gli dissero di aver visto il Signore, egli non volle credere. Diceva: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò" (Gv 20, 25). Dopo otto giorni i discepoli si trovarono nuovamente radunati e Tommaso era con loro. Venne Gesù attraverso la porta chiusa, salutò gli Apostoli con le parole: "Pace a voi!" (Gv 20, 26) e subito dopo si rivolse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!" (Gv 20, 27). E allora Tommaso rispose: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20, 28).

Anche il Cenacolo di Gerusalemme fu per gli Apostoli una sorta di "laboratorio della fede". Tuttavia quanto lì avvenne con Tommaso va, in un certo senso, oltre quello che successe nei pressi di Cesarea di Filippo. Nel Cenacolo ci troviamo di fronte ad una dialettica della fede e dell'incredulità più radicale e, allo stesso tempo, di fronte ad una ancor più profonda confessione della verità su Cristo. Non era davvero facile credere che fosse nuovamente vivo Colui che avevano deposto nel sepolcro tre giorni prima.

Il Maestro divino aveva più volte preannunciato che sarebbe risuscitato dai morti e più volte aveva dato le prove di essere il Signore della vita. E tuttavia l'esperienza della sua morte era stata così forte, che tutti avevano bisogno di un incontro diretto con Lui, per credere nella sua resurrezione: gli Apostoli nel Cenacolo, i discepoli sulla via per Emmaus, le pie donne accanto al sepolcro... Ne aveva bisogno anche Tommaso. Ma quando la sua incredulità si incontrò con l'esperienza diretta della presenza di Cristo, l'Apostolo dubbioso pronunciò quelle parole in cui si esprime il nucleo più intimo della fede: Se è così, se Tu davvero sei vivo pur essendo stato ucciso, vuol dire che sei "il mio Signore e il mio Dio".

Con la vicenda di Tommaso, il "laboratorio della fede" si è arricchito di un nuovo elemento. La Rivelazione divina, la domanda di Cristo e la risposta dell'uomo si sono completate nell'incontro personale del discepolo col Cristo vivente, con il Risorto. Quell'incontro divenne l'inizio di una nuova relazione tra l'uomo e Cristo, una relazione in cui l'uomo riconosce esistenzialmente che Cristo è Signore e Dio; non soltanto Signore e Dio del mondo e dell'umanità, ma Signore e Dio di questa mia concreta esistenza umana. Un giorno san Paolo scriverà: "Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo" (Rm 10, 8-9).

3. Nelle Letture dell'odierna Liturgia troviamo descritti gli elementi di cui si compone quel "laboratorio della fede", dal quale gli Apostoli uscirono come uomini pienamente consapevoli della verità che Dio aveva rivelato in Gesù Cristo, verità che avrebbe modellato la loro vita personale e quella della Chiesa nel corso della storia. L'odierno incontro romano, carissimi giovani, è anch'esso una sorta di "laboratorio della fede" per voi, discepoli di oggi, per i confessori di Cristo alla soglia del terzo millennio.

Ognuno di voi può ritrovare in se stesso la dialettica di domande e risposte che abbiamo sopra rilevato. Ognuno può vagliare le proprie difficoltà a credere e sperimentare anche la tentazione dell'incredulità. Al tempo stesso, però, può anche sperimentare una graduale maturazione nella consapevolezza e nella convinzione della propria adesione di fede. Sempre, infatti, in questo mirabile laboratorio dello spirito umano, il laboratorio appunto della fede, s'incontrano tra loro Dio e l'uomo. Sempre il Cristo risorto entra nel cenacolo della nostra vita e permette a ciascuno di sperimentare la sua presenza e di confessare: Tu, o Cristo, sei "il mio Signore e il mio Dio".

Cristo disse a Tommaso: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Gv 20, 29). Ogni essere umano ha dentro di sé qualcosa dell'apostolo Tommaso. E' tentato dall'incredulità e pone le domande di fondo: E' vero che c'è Dio? E' vero che il mondo è stato creato da Lui? E' vero che il Figlio di Dio si è fatto uomo, è morto ed è risorto? La risposta si impone insieme con l'esperienza che la persona fa della Sua presenza. Occorre aprire gli occhi e il cuore alla luce dello Spirito Santo. Allora parleranno a ciascuno le ferite aperte di Cristo risorto: "Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto crederanno".

4. Carissimi amici, anche oggi credere in Gesù, seguire Gesù sulle orme di Pietro, di Tommaso, dei primi apostoli e testimoni, comporta una presa di posizione per Lui e non di rado quasi un nuovo martirio: il martirio di chi, oggi come ieri, è chiamato ad andare contro corrente per seguire il Maestro divino, per seguire "l'Agnello dovunque va" (Ap 14,4). Non per caso, carissimi giovani, ho voluto che durante l'Anno Santo fossero ricordati presso il Colosseo i testimoni della fede del ventesimo secolo.

Forse a voi non verrà chiesto il sangue, ma la fedeltà a Cristo certamente sì! Una fedeltà da vivere nelle situazioni di ogni giorno: penso ai fidanzati ed alla difficoltà di vivere, entro il mondo di oggi, la purezza nell'attesa del matrimonio. Penso alle giovani coppie e alle prove a cui è esposto il loro impegno di reciproca fedeltà. Penso ai rapporti tra amici e alla tentazione della slealtà che può insinuarsi tra loro.

Penso anche a chi ha intrapreso un cammino di speciale consacrazione ed alla fatica che deve a volte affrontare per perseverare nella dedizione a Dio e ai fratelli. Penso ancora a chi vuol vivere rapporti di solidarietà e di amore in un mondo dove sembra valere soltanto la logica del profitto e dell'interesse personale o di gruppo.

Penso altresì a chi opera per la pace e vede nascere e svilupparsi in varie parti del mondo nuovi focolai di guerra; penso a chi opera per la libertà dell'uomo e lo vede ancora schiavo di se stesso e degli altri; penso a chi lotta per far amare e rispettare la vita umana e deve assistere a frequenti attentati contro di essa, contro il rispetto ad essa dovuto.

5. Cari giovani, è difficile credere in un mondo così? Nel Duemila è difficile credere? Sì! E' difficile. Non è il caso di nasconderlo. E' difficile, ma con l'aiuto della grazia è possibile, come Gesù spiegò a Pietro: "Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).

Questa sera vi consegnerò il Vangelo. E' il dono che il Papa vi lascia in questa veglia indimenticabile. La parola contenuta in esso è la parola di Gesù. Se l'ascolterete nel silenzio, nella preghiera, facendovi aiutare a comprenderla per la vostra vita dal consiglio saggio dei vostri sacerdoti ed educatori, allora incontrerete Cristo e lo seguirete, impegnando giorno dopo giorno la vita per Lui!

In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E' Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna.

Carissimi giovani, in questi nobili compiti non siete soli. Con voi ci sono le vostre famiglie, ci sono le vostre comunità, ci sono i vostri sacerdoti ed educatori, ci sono tanti di voi che nel nascondimento non si stancano di amare Cristo e di credere in Lui. Nella lotta contro il peccato non siete soli: tanti come voi lottano e con la grazia del Signore vincono!

6. Cari amici, vedo in voi le "sentinelle del mattino" (cfr Is 21,11-12) in quest'alba del terzo millennio. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti.

Cari giovani del secolo che inizia, dicendo «sì» a Cristo, voi dite «sì» ad ogni vostro più nobile ideale. Io prego perché Egli regni nei vostri cuori e nell'umanità del nuovo secolo e millennio. Non abbiate paura di affidarvi a Lui. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione.

Maria Santissima, la Vergine che ha detto «sì» a Dio durante tutta la sua vita, i Santi Apostoli Pietro e Paolo e tutti i Santi e le Sante che hanno segnato attraverso i secoli il cammino della Chiesa, vi conservino sempre in questo santo proposito!

A tutti ed a ciascuno offro con affetto la mia Benedizione.

Alla fine del suo discorso ai giovani, Giovanni Paolo II ha così proseguito:

Voglio concludere questo mio discorso, questo mio messaggio, dicendovi che ho aspettato tanto di potervi incontrare, vedere, prima nella notte e poi nel giorno. Vi ringrazio per questo dialogo, scandito con grida ed applausi. Grazie per questo dialogo. In virtù della vostra iniziativa, della vostra intelligenza, non è stato un monologo, è stato un vero dialogo.

Al termine della celebrazione il Papa ha salutato i giovani con queste parole:

C’è un proverbio polacco che dice: "Kto z kim przestaje, takim si? staje". Vuol dire: se vivi con i giovani, dovrai diventare anche tu giovane. Così ritorno ringiovanito. E saluto ancora una volta tutti voi, specialmente quelli che sono più indietro, in ombra, e non vedono niente. Ma se non hanno potuto vedere, certamente hanno potuto sentire questo "chiasso". Questo "chiasso" ha colpito Roma e Roma non lo dimenticherà mai!

G.P.II: Ho aspettato tanto
Alla fine del suo discorso ai giovani, Giovanni Paolo II ha così proseguito:

Voglio concludere questo mio discorso, questo mio messaggio, dicendovi che ho aspettato tanto di potervi incontrare, vedere, prima nella notte e poi nel giorno. Vi ringrazio per questo dialogo, scandito con grida ed applausi. Grazie per questo dialogo. In virtù della vostra iniziativa, della vostra intelligenza, non è stato un monologo, è stato un vero dialogo.

Al termine della celebrazione il Papa ha salutato i giovani con queste parole:

C’è un proverbio polacco che dice: "Kto z kim przestaje, takim si? staje". Vuol dire: se vivi con i giovani, dovrai diventare anche tu giovane. Così ritorno ringiovanito. E saluto ancora una volta tutti voi, specialmente quelli che sono più indietro, in ombra, e non vedono niente. Ma se non hanno potuto vedere, certamente hanno potuto sentire questo "chiasso". Questo "chiasso" ha colpito Roma e Roma non lo dimenticherà mai!

G.P.II: Preghiera per i giovani nel mondo.

Dio, nostro Padre, Ti affidiamo i giovani e le giovani del mondo, con i loro problemi, aspirazioni e speranze. Ferma su di loro il tuo sguardo d'amore e rendili operatori di pace e costruttori della civiltà dell'amore. Chiamali a seguire Gesù, tuo Figlio. Fa' loro comprendere che vale la pena di donare interamente la vita per Te e per l'umanità. Concedi generosità e prontezza nella risposta. Accogli, Signore, la nostra lode e la nostra preghiera anche per i giovani che, sull'esempio di Maria, Madre della Chiesa, hanno creduto alla tua parola e si stanno preparando ai sacri Ordini, alla professione dei consigli evangelici, all'impegno missionario. Aiutali a comprendere che la chiamata che Tu hai dato loro è sempre attuale e urgente. Amen!

G.P.II: Le sentinelle del mattino
Cari amici, vedo in voi le "sentinelle del mattino" (cfr Is 21,11-12) in quest'alba del terzo millennio. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti.

Cari giovani del secolo che inizia, dicendo «sì» a Cristo, voi dite «sì» ad ogni vostro più nobile ideale. Io prego perché Egli regni nei vostri cuori e nell'umanità del nuovo secolo e millennio. Non abbiate paura di affidarvi a Lui. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione.

Maria Santissima, la Vergine che ha detto «sì» a Dio durante tutta la sua vita, i Santi Apostoli Pietro e Paolo e tutti i Santi e le Sante che hanno segnato attraverso i secoli il cammino della Chiesa, vi conservino sempre in questo santo proposito!

G.P.II: Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo

Spalancate le porte a Cristo.
Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la Sua potestà! Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l'uomo e l'umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo Lui lo sa! Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo Lui ha parole di vita, sì! di vita eterna.

G.P.II: Preghiere per i giovani alla Madonna Nera

Preghiera con i Giovani.
Madonna Nera della «Chiara Montagna», volgi il tuo sguardo materno ai giovani di tutto il mondo, a chi già crede nel tuo Figlio e a chi non l'ha ancora incontrato sul suo cammino. Ascolta, o Maria, le loro aspirazioni, chiarisci i loro dubbi, da' vigore ai loro propositi, fa' che vivano in se stessi i sentimenti di un vero «spirito da figli», per contribuire efficacemente all'edificazione di un mondo più giusto. Tu vedi la loro disponibilità, tu conosci il loro cuore. Tu sei Madre di tutti! In questa collina di luce, dove forte è l'invito alla fede e alla conversione del cuore, Maria vi accoglie con Materna premura. Madonna «dal dolce volto», ella distende da questo antico Santuario il suo sguardo vigile e provvidente su tutti i popoli del mondo, desideroso di pace. Di questo mondo voi, giovani, siete l'avvenire e la speranza. Proprio per questo Cristo ha bisogno di voi: per far giungere in ogni angolo della terra il Vangelo della salvezza. Siate disposti e pronti a compiere tale missione con vero «spirito di figli». Siate gli apostoli, siate i messaggeri generosi della soprannaturale speranza che dà nuovo slancio al cammino dell'uomo
G.P.II: Il senso della vita
G.P.II
Pensieri per la gioventù.
Certamente è un periodo della vita, in cui ciascuno di noi scopre molto. Era ancora un'età tranquilla, ma già si avvicinava un grande cataclisma europeo. Ora tutto questo appartiene alla storia del nostro secolo. E questa storia io l'ho vissuta negli anni giovanili. Tanti miei amici hanno perso la vita, nelle guerre, nella II guerra mondiale, in diversi fronti, hanno dato, donato la vita, in campi di concentramento... Ho imparato attraverso queste sofferenze a vedere la realtà del mondo in modo più profondo. Si è dovuto cercare più profondamente una luce. In queste tenebre c'era la luce. La luce era il Vangelo, la luce era Cristo. Io vorrei augurarvi di trovare questa luce con cui si può camminare.

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