• conotrolla update PregaOgniGiorno.it







    "perché non a me?" - Carlotta Nobile, malata a 23 anni


    Messaggi di Maria: uno a caso · cerca
    Pensieri: uno a caso · per 100 giorni
    Seguici: sulla App o su sendTelegram


    Preghiere Messaggi

    da Twitter:


    Rito ambrosiano

    Da Evangelizo.org:

    Me 15 Mag : Cantico dei Cantici 1,5-6b.7-8b.
    Visita il link

    Bruna sono ma bella, o figlie di Gerusalemme, come le tende di Kedar, come i padiglioni di Salma. Non state a guardare che sono bruna, poiché mi ha abbronzato il sole.

    I figli di mia madre si sono sdegnati con me: mi hanno messo a guardia delle vigne; la mia vigna, la mia, non l'ho custodita. Dimmi, o amore dell'anima mia, dove vai a pascolare il gregge, dove lo fai riposare al meriggio, perché io non sia come vagabonda dietro i greggi dei tuoi compagni. Se non lo sai, o bellissima tra le donne, segui le orme del gregge e mena a pascolare le tue caprette presso le dimore dei pastori.

    Me 15 Mag : Salmi 23(22),1-6.
    Visita il link

    Salmo.

    Di Davide.

    Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me.

    Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici.

    Cospargi di olio il mio capo.

    Il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.

    Me 15 Mag : Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 2,1-10.
    Visita il link

    Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle potenze dell'aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Nel numero di quei ribelli, del resto, siamo vissuti anche tutti noi, un tempo, con i desideri della nostra carne, seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.

    Me 15 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 15,12-17.
    Visita il link

    Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.

    Me 15 Mag : San Giovanni Cassiano
    Visita il link

    Radicati nella perfezione della carità, si arriverà a un grado ancor più eccellente e sublime: il timore d'amore.

    Questo nasce non dalla paura della punizione né dal desiderio della ricompensa, ma dalla grandezza stessa dell'amore.

    E' un insieme di rispetto e affetto premuroso che un figlio ha per il padre pieno d'indulgenza, il fratello per il fratello, l'amico per l'amico, la sposa per lo sposo.

    Non teme percosse né rimproveri; piuttosto teme di ferire l'amore, anche minimamente.

    (...) Così, c'è una considerevole distanza fra il timore a cui nulla manca, tesoro della sapienza e della scienza, e il timore imperfetto.

    Quest'ultimo non è che "il principio della sapienza" (Sal 111,10) e, in quanto implica una punizione, è scacciato dal cuore dei perfetti, quando si arriva alla pienezza della carità: infatti "Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore" (1Gv 4,18).

    Quindi, se il principio della sapienza è il timore, dove sarà la sua perfezione se non nella carità di Cristo che comprende il timore di amore perfetto, e merita perciò di essere chiamato, non più principio, ma il tesoro della sapienza e della scienza? (...) Così è il timore dei perfetti di cui si dice fosse colmo l'Uomo-Dio, che non è venuto solo per riscattarci, ma doveva anche darci nella sua persona il modello della perfezione e l'esempio delle virtù.

    Ma 14 Mag : Atti degli Apostoli 1,15-26.
    Visita il link

    In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli (il numero delle persone radunate era circa centoventi) e disse: "Fratelli, era necessario che si adempisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, che fece da guida a quelli che arrestarono Gesù. Egli era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. Giuda comprò un pezzo di terra con i proventi del suo delitto e poi precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere. La cosa è divenuta così nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, che quel terreno è stato chiamato nella loro lingua Akeldamà, cioè Campo di sangue. Infatti sta scritto nel libro dei Salmi: La sua dimora diventi deserta, e nessuno vi abiti, il suo incarico lo prenda un altro. Bisogna dunque che tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di tra noi assunto in cielo, uno divenga, insieme a noi, testimone della sua risurrezione". Ne furono proposti due, Giuseppe detto Barsabba, che era soprannominato Giusto, e Mattia. Allora essi pregarono dicendo: "Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostraci quale di questi due hai designato a prendere il posto in questo ministero e apostolato che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto da lui scelto". Gettarono quindi le sorti su di loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli.

    Ma 14 Mag : Salmi 113(112),1-4.7-8.
    Visita il link

    Alleluia.

    Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore. Sia benedetto il nome del Signore, ora e sempre. Dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore. Su tutti i popoli eccelso è il Signore, più alta dei cieli è la sua gloria. Solleva l'indigente dalla polvere, dall'immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo.

    Ma 14 Mag : Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 1,3-14.
    Visita il link

    Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà.

    E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l'ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria.

    Ma 14 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 19,27-29.
    Visita il link

    In quel tempo, Pietro disse al Signore Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.

    Ma 14 Mag : San Francesco di Sales
    Visita il link

    I beni che possediamo non sono nostri.

    Dio ce li ha dati da coltivare e vuole che li facciamo fruttare e li rendiamo utili...

    Lasciate dunque sempre qualcosa dei vostri mezzi dandoli ai poveri di buon cuore...

    E' vero che Dio ve li renderà, non solo nell'altro mondo, ma in questo, poiché niente fa prosperare gli affari quanto l'elemosina; in attesa che Dio ve li renda sarete già più povera di quello che avete dato, e come è santo e ricco diventare povero attraverso l'elemosina! Amate i poveri e la povertà, poiché con questo amore diventerete veramente povera, poiché, come dice la Scrittura: «Si diviene come ciò che si ama» (cfr Os 9,10).

    L'amore rende uguali coloro che si amano: «Chi è debole, che anch'io non lo sia?», dice San Paolo (2Cor 11,29).

    Avrebbe potuto dire: «Chi è povero, che anch'io non lo sia?», perché l'amore lo faceva essere come coloro che amava.

    Se dunque amate i poveri, diventerete partecipe della loro povertà, e povera come loro.

    Se amate i poveri, state spesso fra loro: rallegratevi di vederli a casa vostra e di visitarli a casa loro; parlate volentieri con loro, siate contenta che vi siano vicini in chiesa, per strada e altrove.

    Con loro siate povera a parole, parlando da amica, piuttosto siate ricca a fatti, dando ampiamente i vostri beni, poiché ne avete in più grande abbondanza. Volete fare ancor di più? ...

    Fatevi serva dei poveri; andate a servirli..., con le vostre mani...

    e a vostre spese.

    Questo servizio è un trionfo più grande che esser re.

    Lu 13 Mag : Cantico dei Cantici 5,2a.5-6b.
    Visita il link

    Io dormo, ma il mio cuore veglia.

    Un rumore! È il mio diletto che bussa: "Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne". Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello. Ho aperto allora al mio diletto, ma il mio diletto già se n'era andato, era scomparso.

    Io venni meno, per la sua scomparsa.

    L'ho cercato, ma non l'ho trovato, l'ho chiamato, ma non m'ha risposto.

    Lu 13 Mag : Salmi 42(41),2-6.
    Visita il link

    Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Le lacrime sono mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: "Dov'è il tuo Dio?". Questo io ricordo, e il mio cuore si strugge: attraverso la folla avanzavo tra i primi fino alla casa di Dio, in mezzo ai canti di gioia di una moltitudine in festa. Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

    Lu 13 Mag : Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinti 10,23.27-33.
    Visita il link

    "Tutto è lecito!".

    Ma non tutto è utile! "Tutto è lecito!".

    Ma non tutto edifica. Se qualcuno non credente vi invita e volete andare, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza. Ma se qualcuno vi dicesse: "È carne immolata in sacrificio", astenetevi dal mangiarne, per riguardo a colui che vi ha avvertito e per motivo di coscienza; della coscienza, dico, non tua, ma dell'altro.

    Per qual motivo, infatti, questa mia libertà dovrebbe esser sottoposta al giudizio della coscienza altrui? Se io con rendimento di grazie partecipo alla mensa, perché dovrei essere biasimato per quello di cui rendo grazie? Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l'utile mio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.

    Lu 13 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 9,14-15.
    Visita il link

    Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno.

    Lu 13 Mag : San Massimo di Torino
    Visita il link

    Trascorso questo tempo consacrato all'osservanza del digiuno, l'anima, purificata e spossata, giunge al battesimo.

    Riprende le forze immergendosi nelle acque dello Spirito; ciò che era stato bruciato dalle fiamme delle malattie, ora rinasce dalla rugiada della grazia celeste.

    Lasciando la corruzione dell'uomo vecchio, il neofita acquista una giovinezza nuova...

    Per mezzo di una nuova nascita, rinasce altra persona, nonostante sia lo stesso che aveva peccato prima. Elia, con un digiuno ininterrotto di quaranta giorni e quaranta notti, ha meritato di porre fine, grazie all'acqua del cielo, ad una siccità prolungata sulla terra intera (1 R 19,8 ; 18, 41); ha spento la sete bruciante del suolo, portandogli una pioggia abbondante.

    Questo successe per darci un esempio, affinché meritassimo, dopo un digiuno di quaranta giorni, la pioggia benedetta del battesimo, e l'acqua del cielo annaffiasse tutta la terra, arida da lungo tempo presso i nostri fratelli del mondo intero.

    Il battesimo, come una rugiada di salvezza, porrà fine alla lunga sterilità del mondo pagano.

    Infatti, chiunque non è stato immerso nella grazia del battesimo soffre la siccità e l'aridità spirituali. Con uno stesso digiuno di quaranta giorni e quaranta notti, il santo Mosè ha meritato di parlare con Dio, di stare con lui, di dimorare con lui, di ricevere dalle sue mani i precetti della Legge (Es 24, 18)...

    Anche noi, fratelli carissimi, digiuniamo con fervore lungo tutto questo periodo affinché...anche per noi si aprano i cieli e si chiudano gli inferi.


    Rito romano

    Da Evangelizo.org:

    Me 15 Mag : Atti degli Apostoli 20,28-38.
    Visita il link

    In quel tempo, Paolo diceva agli anziani della Chiesa di Efeso: "Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé. Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi. Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati. Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!". Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò. Tutti scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano, addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto.

    E lo accompagnarono fino alla nave.

    Me 15 Mag : Salmi 68(67),29-30.33-35a.35b-36c.
    Visita il link

    Dispiega, Dio, la tua potenza, conferma, Dio, quanto hai fatto per noi. Per il tuo tempio, in Gerusalemme, a te i re porteranno doni. Regni della terra, cantate a Dio, cantate inni al Signore; egli nei cieli cavalca, nei cieli eterni, ecco, tuona con voce potente. Riconoscete a Dio la sua potenza. La sua maestà su Israele, la sua potenza sopra le nubi. sia benedetto Dio.

    Me 15 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 17,11b-19.
    Visita il link

    In quel tempo, Gesù, alzati gli occhi al cielo, così pregò: «Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. Quand'ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità.

    La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità».

    Me 15 Mag : Sant'Aelredo di Rievaulx
    Visita il link

    Dio di misericordia, ascolta la preghiera che faccio per il tuo popolo.

    Mi obbliga a ciò la mia funzione, tende lì il mio cuore e mi porta lì la considerazione della tua bontà.

    Tu sai, dolce Signore, quanto li amo, come il mio cuore è per loro e a quale punto è giunta loro la mia tenerezza.

    Tu sai, mio Signore, che senza durezza né spirito di dominio comando e quanto desidero essere a loro più utile nella carità piuttosto che essere il primo, essere loro sottomesso nell'umiltà e unito nell'affetto, come uno di loro. Ascoltami ancora, Signore mio Dio: ascoltami, i tuoi occhi siano aperti su di loro giorno e notte.

    Spiega le ali e proteggili, Signore tanto buono; stendi la tua destra santa e benedicili; metti nei loro cuori lo Spirito Santo, e lui li custodisca nell'unità di spirito e il legame della pace, nella castità della carne e l'umiltà dell'anima.

    (...) Sotto l'azione del tuo Spirito, dolce Signore, abbiano la pace in se stessi, fra loro e con me; siano modesti, benevoli; obbediscano, si aiutino e si supportino reciprocamente.

    Abbiano il fervore dello spirito, la gioia della speranza, una pazienza inscalfibile nella povertà, astinenza, lavoro e veglia, silenzio e raccoglimento.

    Resta in mezzo a loro come hai promesso.

    E poiché sai ciò di cui ognuno ha bisogno, ti prego, rafforza in loro ciò che è fragile, (...), guarisci ciò che è malato, consola i loro dolori, rianima i tiepidi, rassicura gli incerti, tutti si sentano aiutati dalla tua grazia nei loro bisogni e tentazioni.

    Ma 14 Mag : Atti degli Apostoli 1,15-17.20-26.
    Visita il link

    In quei giorni, Pietro si alzò in mezzo ai fratelli (il numero delle persone radunate era circa centoventi) e disse: "Fratelli, era necessario che si adempisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, che fece da guida a quelli che arrestarono Gesù. Egli era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. Infatti sta scritto nel libro dei Salmi: La sua dimora diventi deserta, e nessuno vi abiti, il suo incarico lo prenda un altro. Bisogna dunque che tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di tra noi assunto in cielo, uno divenga, insieme a noi, testimone della sua risurrezione". Ne furono proposti due, Giuseppe detto Barsabba, che era soprannominato Giusto, e Mattia. Allora essi pregarono dicendo: "Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostraci quale di questi due hai designato a prendere il posto in questo ministero e apostolato che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto da lui scelto". Gettarono quindi le sorti su di loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli.

    Ma 14 Mag : Salmi 113(112),1-2.3-4.5-6.7-8.
    Visita il link

    Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore. Sia benedetto il nome del Signore, ora e sempre. Dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore. Su tutti i popoli eccelso è il Signore, più alta dei cieli è la sua gloria. Chi è pari al Signore nostro Dio che siede nell'alto che si china a guardare nei cieli e sulla terra? Solleva l'indigente dalla polvere, dall'immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo.

    Ma 14 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 15,9-17.
    Visita il link

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi.

    Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri».

    Ma 14 Mag : Beato Maria Eugenio di Gesù Bambino
    Visita il link

    La Sapienza è Sapienza d'amore.

    E' al servizio di Dio che è amore.

    Ora l'amore è il bene diffusivo per se stesso.

    Ha bisogno di spandersi e trova gioia nel donarsi.

    La gioia è la misura del dono che fa e della sua qualità.

    Perché lei è interamente al servizio di Dio, la Sapienza utilizza tutte le risorse per diffondere amore.

    Quindi non sorprende che la Sapienza d'amore trova gioia nei figli degli uomini perché nella loro anima può spandere il migliore dei doni creati, la grazia, che è una partecipazione alla natura e alla vita di Dio.

    (...) La Sapienza d'amore è essenzialmente attiva.

    Il moto non è un suo stato passeggero: è costante.

    Se il bene diffusivo per se stesso che è l'amore cessasse un istante di spandersi, non sarebbe più amore.

    L'amore che si ferma si trasforma in egoismo.

    Dio genera senza sosta suo Figlio, dal Padre e dal Figlio procede costantemente lo Spirito Santo; ecco perché Dio è eterno Amore.

    L'amore che ci è dato non potrebbe fermarsi alla nostra anima.

    Ha bisogno di tornare alla sua sorgente e vuole attraverso di noi continuare il movimento di diffusione di se stesso. Conquistandoci, la Sapienza d'amore ci fa entrare nell'intimità divina, ma ci trascina verso il suo scopo nella realizzazione dei suoi disegni d'amore.

    Ci trasforma immediatamente in canali della grazia e in strumenti del suo agire.

    L'amore è essenzialmente dinamico e creatore di dinamismo.

    (...) La Sapienza d'amore conquista le anime, più che per esse, per la sua opera.

    Non ha che un fine che è la Chiesa.

    Ci sceglie come membri della Chiesa, affinché al nostro posto vi compiamo la nostra missione.

    Lu 13 Mag : Atti degli Apostoli 19,1-8.
    Visita il link

    Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, attraversate le regioni dell'altopiano, giunse a Efeso.

    Qui trovò alcuni discepoli e disse loro: "Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?".

    Gli risposero: "Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo". Ed egli disse: "Quale battesimo avete ricevuto?".

    "Il battesimo di Giovanni", risposero. Disse allora Paolo: "Giovanni ha amministrato un battesimo di penitenza, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù". Dopo aver udito questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù e, non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo e parlavano in lingue e profetavano. Erano in tutto circa dodici uomini. Entrato poi nella sinagoga, vi potè parlare liberamente per tre mesi, discutendo e cercando di persuadere gli ascoltatori circa il regno di Dio.

    Lu 13 Mag : Salmi 68(67),2-3.4-5ac.6-7ab.
    Visita il link

    Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano. Come si disperde il fumo, tu li disperdi; come fonde la cera di fronte al fuoco, periscano gli empi davanti a Dio. I giusti invece si rallegrino, esultino davanti a Dio e cantino di gioia. Cantate a Dio, inneggiate al suo nome, gioite davanti a lui. Padre degli orfani e difensore delle vedove è Dio nella sua santa dimora. Ai derelitti Dio fa abitare una casa, fa uscire con gioia i prigionieri.

    Lu 13 Mag : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 16,29-33.
    Visita il link

    In quel tempo, i discepoli dissero a Gesù : «Ecco, adesso parli chiaramente e non fai più uso di similitudini. Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t'interroghi.

    Per questo crediamo che sei uscito da Dio». Rispose loro Gesù: «Adesso credete? Ecco, verrà l'ora, anzi è gia venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me.

    Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!».

    Lu 13 Mag : Beato Columba Marmion
    Visita il link

    Ciò che rende la nostra vittoria tanto preziosa è che essa stessa è un insigne dono d'amore che Cristo ci fa: lui l'ha pagato col suo sangue.

    Sentite quanto diceva Nostro Signore ai discepoli alla fine della vita: "Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo" (cfr.

    Gv 16,33). E come ha vinto questo mondo? Con l'oro? Con la meraviglia di azioni esteriori? No, per il mondo Cristo non era che "il figlio di un falegname" (cfr.

    Mt 13,55).

    E' stato umile tutta la vita.

    E' nato in una stalla, ha vissuto in una bottega; mentre andava predicando non sempre aveva un tetto, persino un posto dove poggiare il capo.

    La sapienza del mondo avrebbe alzato le spalle all'idea che si potesse trionfare con la povertà e la rinuncia.

    Allora ha vinto col successo temporale, immediato, delle sue opere o per altri vantaggi umani tipici per imporsi e dominare? No, ancora: è stato beffeggiato e crocifisso.

    Agli occhi dei "sapienti" di allora sulla croce la sua missione era fallita tristemente.

    I suoi discepoli dispersi, la folla scuote la testa; i farisei sogghignano: "Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d'Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui" (Mt 27,42). E invece il fallimento non era che apparente; é lì che Cristo in verità riportava la vittoria; agli occhi del mondo, dal punto di vista naturale, Cristo era un vinto; ma agli occhi di Dio era in quel momento stesso vincitore del principe delle tenebre e vincitore del mondo: "Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo".

    (...) Gesù dà ai suoi discepoli il potere di vincere pure loro il mondo.

    Ma come li fa partecipare alla sua vittoria? Dando loro, per la fede che hanno in lui, l'adozione divina che li rende figli di Dio.


    Santa Marta

    Omelie di Papa Francesco da Santa Marta, via 'cosa resta del giorno':

    Lo Spirito Santo ci ricorda l’accesso al Padre (17 maggio 2020)

    Discorsi e omelie di Papa Francesco

    A docenti e alunni della Scuola Vaticana Paleografica, Diplomatica e Archivistica; e della Scuola Vaticana di Biblioteconomia (13 Mag 2024)
    Visita il link

    Eccellenza,
    Onorevoli Ministri,
    Reverendissimi Prefetti,
    Cari professori e cari studenti!

    Vi ringrazio per essere venuti oggi a festeggiare due significativi anniversari delle Scuole dell’Archivio Apostolico e della Biblioteca Apostolica: i 140 anni della Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica e i 90 anni della Scuola Vaticana di Biblioteconomia.

    Sono due istituzioni di alta formazione che giungono a traguardi importanti di cui mi felicito, perché conosco e apprezzo l’impegno che tutti voi profondete in un servizio che ha preparato e prepara molti archivisti e bibliotecari nella Chiesa e nel mondo.

    È un compito importante, il vostro, quello di favorire e sostenere, con ogni disponibilità, persone che, come dice l’evangelista Luca nel prologo del suo Vangelo, decidono di “fare ricerche accurate in ogni circostanza” per giungere alla verità.

    Il vostro è veramente un servizio alla “solidità degli insegnamenti ricevuti”, in senso cristiano e umano (cfr Lc 1,3-4).

    Una solidità tanto necessaria in tempi di notizie a volte diffuse senza verifiche e senza ricerche.

    Ed è bello per me vedere questo vostro lavoro formativo, che richiede continuo aggiornamento, e constatare la stima di cui queste due Scuole sono circondate.

    Perciò sono grato per l’impegno profuso in vista del pieno riconoscimento istituzionale di cui queste Scuole possono godere.

    Dobbiamo però essere consapevoli che non bisogna mai compiacersi dei risultati ottenuti: siamo di fronte a sfide culturali decisive ed epocali.

    Mi permetto di indicarvene alcune che – sono convinto – sono ben presenti anche a quanti vi guidano a livello formativo.

    Penso ad esempio ai grandi temi legati alla globalizzazione, al rischio dell’appiattimento e della svalutazione delle conoscenze; penso al rapporto sempre più complesso con le tecnologie; alle riflessioni sulle tradizioni culturali che devono essere coltivate e proposte senza imposizioni reciproche; penso al bisogno di includere e non escludere mai nessuno dalle fonti della conoscenza e, nello stesso tempo, di difendere tutti da ciò che di tossico, malsano e violento si può annidare nel mondo dei social e delle conoscenze tecnologiche.

    In tale contesto, la prima capacità che vi verrà richiesta sarà quella di una grande apertura al confronto e al dialogo, la disponibilità all’accoglienza, soprattutto delle marginalità e delle povertà materiali, culturali e spirituali.

    Possano davvero gli studi misurarsi con la fragilità e con la ricchezza degli uomini di oggi! E questo non vale solo per voi allievi, ma anche per i professori che vi guidano.

    Le nostre due Scuole hanno conosciuto in questi anni riforme profonde, ma devono continuare a confrontarsi con le necessità dei luoghi di conservazione del sapere e con altri analoghi istituti di formazione professionale, per apprendere e condividere idee ed esperienze, per crescere in apertura ed evitare l’autoreferenzialità.

    Che brutta! Come noi diciamo in Argentina: “yo, me, mi, conmigo, para mí”, io, me, mi, con me, per me.

    Questo è brutto! Tutto ciò deve costituire il punto di partenza per un vero rilancio.

    Credo infatti che a questo devono servire anniversari come quelli che oggi stiamo celebrando: non solo rendere onore a vecchie glorie, o a ricordare con gratitudine quanti hanno voluto e sostenuto in passato queste istituzioni, ma a guardare avanti, al futuro, per avere il coraggio di ripensarsi di fronte alle istanze provenienti dal mondo culturale e professionale.

    Queste Scuole possiedono, dalle loro origini, una caratteristica decisiva: quella di avere un’impostazione eminentemente pratica e un approccio concreto ai problemi e agli studi, secondo una linea che ho più volte indicato, perché il confronto con la realtà delle cose vale di più dell’ideologia.

    Le ideologie uccidono sempre.

    Da voi si insegna e si impara a essere archivisti e bibliotecari a contatto, oltre che con gli studi, con l’esperienza viva di chi svolge in Biblioteca e in Archivio questa professione; a voi è concesso il privilegio di formarvi attingendo direttamente dal patrimonio secolare che l’Archivio e la Biblioteca hanno il compito e la responsabilità di custodire e di trasmettere alle generazioni presenti e future.

    E questi contatti, oltre che occasione di apprendimento tecnico, sono anche stimolo di apertura mentale e umana.

    Questa concretezza e questa apertura siano le stelle polari del vostro futuro cammino e di un deciso rilancio delle due Scuole vaticane.

    Con queste speranze benedico di cuore tutti voi e il vostro lavoro.

    E vi chiedo per favore di pregare per me.

    Grazie!

    Alla comunità monastica dell'Abbazia di Montevergine (13 Mag 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Do il benvenuto a tutti voi, al Padre Abate, ai monaci e ai collaboratori.

    Avete voluto questo incontro in occasione del Giubileo per il nono centenario di fondazione dell’Abbazia di Montevergine, avvenuta nel 1124 ad opera di San Guglielmo da Vercelli.

    All’origine della vostra storia non ci sono miracoli o eventi straordinari, ma la sollecitudine di un Pastore, il Vescovo di Avellino, che volle costruire, in quel luogo elevato, una chiesa e raccogliervi un piccolo numero di persone al servizio di Dio, per farne un centro di preghiera, di evangelizzazione e di carità.

    Vorrei perciò sottolineare, in questo nostro incontro, l’importanza di queste due dimensioni nella vostra vita e nel vostro apostolato, e lo faccio con alcune parole attribuite a Sant’Agostino: «Esto donum Deo ut sis donum Dei», fatevi dono per Dio, per essere dono di Dio.

    Farsi “dono per Dio”.

    È il senso della vocazione monastica, che mette alla radice di ogni azione l’opera di Dio, e cioè la preghiera, a cui San Benedetto raccomanda di non anteporre nulla (cfr Regola 43,3).

    Il Santuario della Madonna di Montevergine, posto in alto, come una vedetta, è visibile da tutta l’Irpinia, e i fedeli vi accorrono, spesso a piedi, per trovarvi consolazione e speranza, per ricevere durante il pellegrinaggio nuova forza, come ancora oggi ricordano molti canti tradizionali, anche dialettali, che accompagnano i pellegrinaggi.

    Ad accoglierli c’è la bellissima icona della Madre di Dio, con i suoi grandi occhi a mandorla, pronti a raccogliere lacrime e preghiere, che mostra a tutti, sulle ginocchia, il Bambino Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo.

    Ebbene, farsi “dono per Dio” vuol dire pregare per avere anche voi quegli occhi grandi e buoni, e per mostrare, a chiunque incontrate, come Maria, il Signore, presente nei vostri cuori.

    Durante la seconda guerra mondiale, la vostra comunità ha avuto la grazia di accogliere la Sacra Sindone, portata in segreto presso il vostro Santuario, perché vi fosse custodita e venerata, al sicuro dal rischio dei bombardamenti.

    Anche questa è un’immagine bellissima della vostra vocazione primaria: custodire l’immagine di Cristo in voi, per poterla mostrare ai fratelli.

    Poi il secondo punto: essere “dono di Dio”.

    Donarsi cioè con generosità a chi sale al Santuario, perché, accostandosi ai Sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, si senta, nell’attenzione e nella preghiera, accolto e portato sotto il manto della Madre di Dio.

    E l’essere monaci, fisicamente lontani dal mondo, ma spiritualmente vicinissimi ai suoi problemi e alle sue angosce, custodi nel silenzio della comunione con il Signore, e al tempo stesso suoi ospiti generosi nell’accoglienza degli altri (cfr Regola 53,1), e questo può rendervi, per chi vi incontra, un segno vivente ed eloquente della presenza di Dio.

    Perciò, cari fratelli, vi raccomando di non cedere alla tentazione di conformarvi alla mentalità e agli stili del mondo, di lasciarvi trasformare costantemente da Dio, rinnovando il vostro cuore e crescendo in Lui (cfr Rm 12,2), perché chi viene da voi in cerca di luce non resti deluso.

    Cari amici, a Montevergine avete la fortuna di essere ospiti nella Casa di Maria, di vivere sotto il suo sguardo misericordioso, custoditi da “Mamma Schiavona”, come affettuosamente è chiamata.

    Fate tesoro di questo dono e coltivatelo in voi per poterlo condividere con tutti.

    Vi ringrazio di essere venuti.

    Vi benedico di cuore.

    E vi chiedo per favore di pregare per me.

    Grazie!

    Ai fedeli della Chiesa Siro-Malabarese (13 Mag 2024)
    Visita il link

    Beatitudine,
    Eccellenze,
    cari fratelli e sorelle,

    Sono lieto di incontrarvi e di dare il benvenuto a Lei, ai fratelli Vescovi e a quanti L’accompagnano nel Suo primo viaggio a Roma dopo l’elezione.

    È stata bella l’elezione! Saluto fraternamente anche i rappresentanti della comunità siro-malabarese di Roma.

    I fedeli della vostra amata Chiesa sono conosciuti, non solo in India ma nel mondo intero, per il vigore della fede e della devozione.

    La vostra è una fedeltà antica, radicata nella testimonianza, fino al martirio, di San Tommaso, Apostolo dell’India: siete custodi ed eredi della predicazione apostolica.

    Avete avuto tante sfide nel corso della vostra storia, lunga e travagliata, la quale in passato ha pure visto dei fratelli nella fede commettere contro di voi azioni sciagurate, insensibili alle peculiarità della vostra fiorente Chiesa.

    Eppure siete rimasti fedeli al Successore di Pietro.

    E io sono felice oggi di accogliervi e di confermarvi nella gloriosa eredità che avete ricevuto e che portate avanti.

    Voi siete obbedienti, e dove c’è obbedienza c’è Ecclesia; dove c’è disobbedienza c’è lo scisma.

    E voi siete obbedienti, questa è una gloria vostra: l’obbedienza.

    Anche con la sofferenza, ma andare avanti.

    È la vostra storia, singolare e preziosa, ed è un patrimonio unico per tutto il Popolo santo di Dio.

    Ne approfitto per ricordare che le tradizioni orientali sono tesori imprescindibili nella Chiesa.

    Specialmente in un tempo come il nostro, che taglia le radici e misura tutto, purtroppo anche l’atteggiamento religioso, sull’utile e sull’immediato, l’Oriente cristiano permette di attingere a fonti antiche e sempre nuove di spiritualità.

    Queste fresche sorgenti apportano vitalità alla Chiesa ed è perciò bello per me, in quanto Vescovo di Roma, incoraggiare voi, fedeli cattolici siro-malabaresi, ovunque vi troviate, a ben coltivare il senso di appartenenza alla vostra Chiesa sui iuris, affinché il suo grande patrimonio liturgico, teologico, spirituale e culturale possa ancor più risplendere.

    E inoltre ho detto a Sua Beatitudine di chiedere la giurisdizione per tutti i vostri migranti in tante parti del Medio Oriente.

    Ho detto che devono chiedere la giurisdizione con le carte, ma io oggi ho dato già la giurisdizione e possono agire con questo.

    Si deve fare anche tramite le carte, ma da oggi potete.

    Io desidero aiutarvi, senza però sostituirvi, proprio perché la natura della vostra Chiesa sui iuris vi abilita, oltre che ad un esame attento delle varie situazioni, anche ad adottare i provvedimenti opportuni per affrontare con responsabilità e coraggio evangelico, fedeli alla guida dell’Arcivescovo Maggiore e del Sinodo, le prove che state attraversando.

    È quello che vuole la Chiesa: fuori da Pietro, fuori dall’Arcivescovo Maggiore non è Ecclesia.

    In tal senso, negli ultimi tempi ho indirizzato delle lettere e ho rivolto ai fedeli un videomessaggio per avvertirli della pericolosa tentazione di volersi concentrare su un dettaglio, a cui non si vuole rinunciare, a discapito del bene comune della Chiesa.

    È la deriva dell’autoreferenzialità, che porta a non sentire nessun’altra ragione se non la propria.

    In spagnolo, noi diciamo che questa autoreferenzialità si dice “yo, me, mi, conmigo, para mí”: io, me, mi, con me, per me, tutto per me.

    Ed è qui che il diavolo – il diavolo esiste –, il divisore, si insinua, contrastando il desiderio più accorato che il Signore ha espresso prima di immolarsi per noi: che noi, suoi discepoli, fossimo «una sola cosa» (Gv 17,21), senza dividerci, senza rompere la comunione.

    Custodire l’unità, dunque, non è una pia esortazione, ma un dovere, e lo è soprattutto quando si tratta di sacerdoti che hanno promesso obbedienza e da cui il popolo credente si aspetta l’esempio della carità e della mansuetudine.

    Beatitudine, lavoriamo con determinazione per custodire la comunione e preghiamo senza stancarci perché i nostri fratelli, tentati dalla mondanità che porta a irrigidirsi e a dividere, possano rendersi conto di essere parte di una famiglia più grande, che vuole loro bene e li aspetta.

    Come il Padre nei riguardi del figlio prodigo, lasciamo le porte aperte e il cuore aperto perché, una volta ravveduti, non trovino difficoltà ad entrare (cfr Evangelii gaudium, 46): li aspettiamo.

    Ci si confronti e si discuta senza paura – questo va bene –, ma soprattutto si preghi, perché, alla luce dello Spirito, che armonizza le diversità e riconduce le tensioni in unità, si risolvano i conflitti.

    Con una certezza: che l’orgoglio, le recriminazioni, le invidie non vengono dal Signore e non portano mai alla concordia e alla pace.

    Mancare di rispetto gravemente al Santissimo Sacramento, Sacramento della carità e dell’unità, discutendo di dettagli celebrativi di quella Eucaristia che è il punto più alto della sua presenza adorata tra noi, è incompatibile con la fede cristiana.

    Il criterio guida, quello veramente spirituale, quello che deriva dallo Spirito Santo, è la comunione: significa verificarsi sull’adesione all’unità, sulla custodia fedele e umile, rispettosa e obbediente dei doni ricevuti.

    E vorrei dire a tutti: nei momenti di difficoltà e di crisi non ci si lasci prendere dallo scoraggiamento o da un senso di impotenza di fronte ai problemi.

    Fratelli e sorelle, non si spenga la speranza, non ci si stanchi di aver pazienza, non ci si chiuda in pregiudizi che portano ad alimentare animosità.

    Pensiamo ai grandi orizzonti della missione che il Signore ci affida, la missione di essere segno della sua presenza di amore nel mondo, non scandalo per chi non crede! Pensiamo, nel prendere ogni decisione, ai poveri e ai lontani, alle periferie, a quelle in India e nella diaspora, a quelle esistenziali.

    Pensiamo a chi soffre e attende segnali di speranza e di consolazione.

    So che la vita di tanti cristiani in molti luoghi è difficile, ma la differenza cristiana consiste nel rispondere al male col bene, nel lavorare senza stancarsi con tutti i credenti per il bene di tutti gli uomini.

    Io vi ringrazio per l’impegno della vostra Chiesa nei campi della formazione familiare e della catechesi, e sostengo il vostro lavoro pastorale rivolto ai giovani e alle vocazioni.

    Vi sono vicino nella preghiera e vi porto nel cuore ogni giorno.

    E voi, per favore, portate ai vostri fratelli e sorelle il mio incoraggiamento.

    Insieme guardiamo a Gesù: a Lui crocifisso e risorto, a Lui che ci ama e fa di noi una cosa sola, a Lui che ci vuole riuniti come una sola famiglia attorno a un unico altare.

    Come l’apostolo Tommaso, guardiamo alle sue piaghe: sono visibili ancora oggi nel corpo di tanti affamati, assetati e scartati, nelle carceri, negli ospedali e lungo le strade; toccando questi fratelli con tenerezza, accogliamo il Dio vivente in mezzo a noi.

    Come San Tommaso, guardiamo le piaghe di Gesù e vediamo come da quelle ferite, che avevano tramortito i discepoli e potevano gettarli in un irreparabile senso di colpa, il Signore ha fatto scorrere canali di perdono e di misericordia.

    Cuore largo, cuore largo, sempre! Quale stupore avrà colto l’apostolo Tommaso nel contemplarle e nel vedere i suoi dubbi e le sue paure svanire di fronte alla grandezza di Dio! È lo stupore che genera speranza, è lo stupore che lo ha spinto a uscire, a valicare nuovi confini per diventare vostro padre nella fede.

    Coltiviamo questo stupore della fede, che permette di superare ogni ostacolo!

    E voi, cari fedeli della comunità siro-malabarese di Roma, discendenti dell’apostolo Tommaso nella città di Pietro e Paolo, avete un ruolo speciale: da questa Chiesa, che presiede alla comunione universale della carità (cfr S.

    Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani), siete chiamati a pregare e a cooperare in modo speciale per l’unità all’interno della vostra Chiesa, non solo nel Kerala ma in tutta l’India e in tutto il mondo.

    Il Kerala, che è una miniera di vocazioni! Preghiamo perché continui a esserlo.

    Beatitudine, grazie per questa visita fraterna, ne sono contento.

    Cari fratelli e sorelle, di cuore vi benedico e vi affido alla Vergine Maria, a San Tommaso Apostolo e ai vostri santi e martiri; e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.

    Grazie, grazie tante!

    Regina Caeli, 12 Mag 2024
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

    E adesso vorrei dare una buona domenica ai ragazzi di Genova!

    Oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra la Solennità dell’Ascensione del Signore.

    Il Vangelo della Messa afferma che Gesù, dopo aver affidato agli Apostoli il compito di continuare la sua opera, «fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (Mc 16,19).

    Così dice il Vangelo: «Fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio».

    Il ritorno di Gesù al Padre ci appare non come uno staccarsi da noi, ma piuttosto come un precederci alla meta, che è il Cielo.

    Come quando in montagna si sale verso una cima: si cammina, con fatica, e finalmente, a una svolta del sentiero, l’orizzonte si apre e si vede il panorama.

    Allora tutto il corpo ritrova forza per affrontare l’ultima salita.

    Tutto il corpo – braccia, gambe e ogni muscolo – si tende e si concentra per arrivare in vetta.

    E noi, la Chiesa, siamo proprio quel corpo che Gesù, asceso al Cielo, trascina con sé come in una “cordata”.

    È Lui che ci svela e ci comunica, con la sua Parola e la grazia dei Sacramenti, la bellezza della Patria verso la quale siamo incamminati.

    Così anche noi, sue membra – noi siamo membra di Gesù –, saliamo con gioia insieme con Lui, nostro capo, sapendo che il passo di uno è un passo per tutti, e che nessuno deve perdersi né restare indietro, perché siamo un corpo solo (cfr Col 1,18; 1 Cor 12,12-27).

    Ascoltiamo bene: passo dopo passo, gradino dopo gradino, Gesù ci mostra la via.

    Quali sono questi passaggi da fare? Il Vangelo oggi dice: “annunciare il Vangelo, battezzare, scacciare i demòni, affrontare i serpenti, guarire i malati” (cfr Mc 16,16-18); insomma, compiere le opere dell’amore: donare vita, portare speranza, tenersi lontano da ogni cattiveria e meschinità, rispondere al male col bene, farsi vicini a chi soffre.

    Questo è il “passo dopo passo”.

    E più noi facciamo così, più ci lasciamo trasformare dallo Spirito, più seguiamo il suo esempio, e più, come in montagna, sentiamo l’aria attorno a noi farsi leggera e pulita, l’orizzonte ampio e la meta vicina, le parole e i gesti diventano buoni, la mente e il cuore si allargano, respirano.

    Allora possiamo chiederci: è vivo in me il desiderio di Dio, il desiderio del suo amore infinito, della sua vita che è vita eterna? Oppure sono un po’ appiattito e ancorato alle cose che passano, o ai soldi, o ai successi, o ai piaceri? E il mio desiderio del Cielo, mi isola, mi chiude, oppure mi porta ad amare i fratelli con animo grande e disinteressato, a sentirli compagni di cammino verso il Paradiso?

    Maria ci aiuti, lei che è già arrivata alla meta, a camminare insieme con gioia verso la gloria del Cielo.

    ________________________

    Dopo il Regina Caeli

    Cari fratelli e sorelle!

    Mentre celebriamo l’Ascensione del Signore Risorto, che ci rende liberi e ci vuole liberi, rinnovo il mio appello per uno scambio generale di tutti i prigionieri tra Russia e Ucraina, assicurando la disponibilità della Santa Sede a favorire ogni sforzo a tale riguardo, soprattutto per quelli gravemente feriti e malati.

    E continuiamo a pregare per la pace in Ucraina, in Palestina, in Israele, in Myanmar...

    Preghiamo per la pace.

    Ricorre oggi la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema «Intelligenza artificiale e sapienza del cuore».

    Solo recuperando una sapienza del cuore possiamo interpretare le istanze del nostro tempo e riscoprire la via per una comunicazione pienamente umana.

    A tutti gli operatori della comunicazione va il nostro grazie per il loro lavoro!

    Oggi in tanti Paesi si celebra la festa della mamma; pensiamo con riconoscenza a tutte le mamme, e preghiamo anche per le mamme che sono andate in Cielo.

    E affidiamo le mamme alla protezione di Maria, la nostra madre celeste.

    E a tutte le mamme, un applauso grande!

    Saluto i pellegrini di Roma e di diverse parti d’Italia e del mondo, in particolare quelli provenienti dall’Ungheria e da Malta; gli studenti del Colégio de São Tomás di Lisbona; le bande musicali di Austria e Germania, che rendono omaggio alla memoria di Papa Benedetto XVI.

    Suonano bene! Grazie.

    Saluto inoltre i fedeli di Pesaro, Cagliari, Giulianova Lido, e quelli di Ponti sul Mincio venuti in bicicletta; i donatori di sangue AVIS, l’Associazione “Giovane Montagna” di Torino, i ragazzi della Cresima di Genova, e le persone affette da fibromialgia, nella Giornata dedicata a questa patologia.

    Ringrazio quanti hanno organizzato la mostra fotografica “Changes”, “Cambiamenti”, allestita sotto il Colonnato di Piazza San Pietro.

    Fotografi di tutto il mondo raccontano la bellezza della nostra casa comune, dono del Creatore che siamo chiamati a custodire.

    Vi invito a visitare questa mostra!

    Saluto tutti voi, e i ragazzi dell’Immacolata.

    Auguro a tutti buona domenica, e ai genovesi buon viaggio! Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Dialogo del Santo Padre Francesco con i bambini in occasione del "World Meeting on Human Fraternity: #BeHuman" al tavolo “Bambini: Generazione Futuro” (11 Mag 2024)
    Visita il link

    Cari bambini e bambine,

    vi ringrazio per la vostra presenza: buon pomeriggio!

    Ringrazio anche il Comandante [Aldo Cagnoli] che ha iniziato questo: ha fatto un bel decollo, complimenti! E adesso farò una domanda, vediamo chi è il più coraggioso a rispondere.

    Cos’è la felicità? Tu, dai, forte!...

    Lui sta pensando… Tu, dimmi tu.

    Bambino

    Ti voglio tanto bene!

    Bambina

    Per me, la felicità nel mondo è essere tutti uniti, essere una sola famiglia, la famiglia di Dio.

    Bambino

    Per me, la felicità nel mondo è la pace.

    Papa Francesco

    Ah, bene! Un altro che vuole dire… qualche coraggioso alzi la mano…

    Bambina

    Ti voglio bene, Papa!

    Papa Francesco

    Ma come si fa, la felicità? Dove si compra, come si fa? Dai…

    Bambino

    Facendo pace.

    Papa Francesco

    Facendo pace.

    Ma ho fatto una domanda: dove si compra, la felicità?

    Bambina

    È un’emozione che si prova quando provi qualcosa che ti piace.

    Papa Francesco

    Qualcosa che piace, va bene…

    Bambino

    La felicità non si compra: viene proprio da noi.

    Papa Francesco

    Bravo, bravo!

    Lui ha dato una bella risposta: io ho domandato dove si compra la felicità, e lui ha detto “la felicità non si compra”.

    È vero questo?

    Bambini

    Sì!

    Papa Francesco

    Ma se la felicità non si compra, come posso essere felice?

    Bambino

    Quando tutti stanno bene.

    Papa Francesco

    Bene: quando tutti stanno bene, è una parte di più.

    Bambino

    Come un regalo dolce, qualcosa…

    Papa Francesco

    Va bene.

    Un’altra risposta? Lì ci sono tanti…

    Bambina

    Quando facciamo pace.

    Papa Francesco

    Quando facciamo pace, siamo felici.

    Lì, da quella parte…

    Bambino

    Con le parole gentili.

    Papa Francesco

    Ah, ma questo è buono.

    E dimmi una cosa, tu: se uno insulta un altro, può essere felice?

    Bambino

    No.

    Papa Francesco

    Domando a tutti voi: se uno insulta un altro, può essere felice?

    Bambini

    No!

    Bambino

    Stando insieme.

    Papa Francesco

    Stando insieme: questo è vero, perché essere amici, giocare insieme, studiare insieme ci dà la felicità della comunità.

    Bambino

    Stando a contatto con Dio.

    Papa Francesco

    Ah, bravo.

    Sentiamo questo: lui ha detto una cosa, che possiamo essere felici stando a contatto con Dio.

    È vero questo o no?

    Bambini

    Sì!

    Papa Francesco

    Voi siete convinti?

    Bambini

    Sì!

    Papa Francesco

    Adesso io farò una domanda molto difficile, ascoltate bene: come si può stare in contatto con Dio? Tu, dai, sì, tu…

    Bambino

    Pregare ogni giorno.

    Papa Francesco

    Pregare ogni giorno.

    Io domando a te e a un’altra, qui …

    Bambina

    Amando.

    Papa Francesco

    Amando.

    E litigando tra noi, saremo felici?

    Bambini

    No!

    Papa Francesco

    È vero? E una domanda: oggi avete sentito che c’è tanta guerra nel mondo, nella guerra, c’è felicità?

    Bambini

    No!

    Papa Francesco

    Dov’è la felicità?

    Bambini

    Nella pace.

    Papa Francesco

    Non ho sentito bene…

    Bambini

    Nella pace!

    Papa Francesco

    Bravi, bravi…

    Bambina

    Si può trovare anche la pace pregando perché finisca la guerra.

    Papa Francesco

    Pregando perché finisca la guerra.

    Voi sapete che ci sono bambini che sono in guerra, sapete questo?

    Bambini

    Sì!

    Papa Francesco

    Quei bambini, a volte, non hanno da mangiare, hanno paura delle bombe, delle cose brutte… Ma se un bambino è da questa parte della guerra, e un altro da quest’altra parte della guerra – ascoltate la domanda – sono nemici?

    Bambini

    No!

    Papa Francesco

    Questa è la domanda difficile: perché non sono nemici?

    Bambini

    Perché non è colpa loro se c’è la guerra.

    Papa Francesco

    Non è colpa loro se c’è la guerra.

    Bambino

    Perché sono tutti una famiglia.

    Papa Francesco

    Tutti i bambini sono tutti una famiglia.

    Va bene.

    E tu? Forte…

    Bambino

    Per non fare la guerra devi condividere la pace con l’amore…

    Papa Francesco

    Con l’amore.

    Va bene.

    Presentatore

    Santo Padre, abbiamo un bambino che ha scritto una domanda: posso?

    Papa Francesco

    Dai…

    Bambino

    Ti vorrei chiedere di fare una preghiera per la mia nonna.

    Papa Francesco

    Lei ha chiesto – o lui, non lo vedo bene – lui ha chiesto una preghiera per la nonna.

    Faccio una domanda: voi avete nonni?

    Bambini

    Sì!

    Papa Francesco

    Avete una nonna e avete un nonno?

    Bambini

    Sì / No

    Papa Francesco

    Adesso facciamo una cosa: tutti insieme, in silenzio, preghiamo un’Ave Maria per i nonni.

    D’accordo? […] Viva i nonni!

    Presentatore

    Ci sono altre domande scritte, che avete preparato? Tu…

    Bambino

    Come si fa a diventare amici?

    Papa Francesco

    Prima di tutto, pensare bene degli altri.

    Com’è la prima cosa per diventare amici? [tutti: “Pensare bene degli altri”].

    Se uno pensa male dell’altro, potrà essere amico?

    Bambini

    No!

    Papa Francesco

    No, davvero.

    Io vi ringrazio tanto di questo.

    Non voglio annoiarvi con le domande.

    Grazie tante per quello che fate.

    Coraggio e avanti.

    Tutti insieme diciamo: coraggio e avanti!

    Bambini

    Coraggio e avanti!

    Papa Francesco

    Io non sento!

    Bambini

    Coraggio e avanti!

    Papa Francesco

    Grazie tante, grazie, grazie.

     

    Presentatore

    Santo Padre, un’ultima domanda: perché i bambini? Perché proprio questa Giornata? Ci sono tanti temi di attualità, perché Lei ha così insistito nel voler la Giornata mondiale dei bambini? Perché? Come Le nasce questa cosa?

    Papa Francesco

    Uno pensa che il futuro dell’umanità sia nelle persone adulte che possono fare questo, quello, quell’altro… Invece non è così.

    Il futuro dell’umanità è nelle due punte: è nei bambini e negli anziani.

    Quando si incontrano i bambini con i nonni.

    E questa è una cosa bellissima, e noi dobbiamo prenderci cura dei vecchietti, dei nonni e dei bambini.

    E questo sarà il futuro, perché i nonni danno saggezza a noi, e i bambini imparano la saggezza dei nonni.

    I nonni hanno tutto un passato che ci dà tanto, i bambini hanno un futuro che riceve dal passato.

    E per questo credo che sia molto importante aiutare i bambini a crescere, a svilupparsi.

    Ma c’è un’altra cosa.

    Una volta, io leggevo uno scrittore spirituale che diceva che lui voleva essere nelle braccia di Dio come un bambino nelle braccia della mamma.

    Io sto guardando questo bambino: questo bambino non si difende, questo bambino dorme, questo bambino è sicuro perché è nelle braccia della mamma.

    Noi, con Dio, dobbiamo essere così: sicuri nelle braccia di Dio come un bambino nelle braccia della mamma.

    Vediamo se abbiamo capito: noi, come dobbiamo essere con Dio?

    Bambini

    Come un bambino nelle braccia della mamma.

    Papa Francesco

    Non ho capito bene…

    Bambini

    Come un bambino nelle braccia della mamma.

    Papa Francesco

    Non dimenticare questo.

    Con Dio, essere come un bambino nelle braccia della mamma.

    E guardate questo bambino, che bello: dorme, sicuro, senza ansietà, perché ha la sicurezza.

    Guardatelo bene… Un applauso a questo bambino!

    E grazie tante di tutto questo; grazie a tutti voi, grazie al Comandante.

    E adesso speriamo che ci porti a un bell’atterraggio e così possiamo continuare.

    Grazie.

    [Firma della “Dichiarazione della fraternità dei bambini”]

    Adesso possiamo finire e do la benedizione a tutti.

    [Benedizione]

    Grazie tante, e a presto.

    Ai Partecipanti all'evento "World Meeting on Human Fraternity" (11 Mag 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Vi do il benvenuto.

    Vi ringrazio di essere qui, provenienti da molte parti del mondo, per il Meeting mondiale sulla fraternità umana.

    Ringrazio la Fondazione Fratelli tutti, che si propone di promuovere i princìpi esposti nell’Enciclica, «per suscitare intorno alla Basilica di San Pietro e all’abbraccio del suo colonnato iniziative legate alla spiritualità, all’arte, alla formazione e al dialogo con il mondo» (Chirografo, 8 dicembre 2021).

    In un pianeta in fiamme, vi siete riuniti con l’intento di ribadire il vostro “no” alla guerra e “sì” alla pace, testimoniando l’umanità che ci unisce e ci fa riconoscere fratelli, nel dono reciproco delle rispettive differenze culturali.

    In proposito, mi vengono alla mente le parole di un celebre discorso di Martin Luther King, quando disse: «Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli» (Martin Luther King, Discorso in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Pace, 11 dicembre 1964).

    È proprio così.

    E allora ci domandiamo: come possiamo, concretamente, tornare a far crescere l’arte di una convivenza che sia davvero umana?

    Vorrei riprendere l’atteggiamento-chiave proposto in Fratelli tutti: la compassione.

    Nel Vangelo (cfr Lc 10,25-37), Gesù racconta di un samaritano che, mosso da compassione, si avvicina a un giudeo che dei briganti hanno lasciato mezzo morto sul bordo della strada.

    Guardiamo questi due uomini.

    Le loro culture erano nemiche, le loro storie diverse e conflittuali, ma uno diventa fratello dell’altro nel momento in cui si lascia guidare dalla compassione che prova per lui – potremmo dire: si lascia attrarre da Gesù presente in quell’uomo ferito.

    Come un poeta fa dire, in una sua opera, a San Francesco d’Assisi: «Il Signore è là dove sono i tuoi fratelli» (É.

    Leclerc, La sapienza di un povero).

    Nel pomeriggio vi incontrerete in dodici punti della Città del Vaticano e di Roma, per esprimere il vostro intento di generare un movimento di fraternità in uscita.

    In questo contesto, i “tavoli” di lavoro, che si sono preparati in questi mesi, presenteranno alla società civile alcune proposte, centrate sulla dignità della persona umana, per costruire politiche buone, basate sul principio della fraternità, che «ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza» (Fratelli tutti, 103).

    Ho apprezzato questa scelta e vi incoraggio ad andare avanti nel vostro lavoro di semina silenziosa.

    Da esso può nascere una “Carta dell’umano”, che includa, insieme ai diritti, anche i comportamenti e le ragioni pratiche di ciò che ci rende più umani nella vita.

    E vi invito a non scoraggiarvi, perché il dialogo «perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto» (ivi, 198).

    In particolare, desidero ringraziare il gruppo degli illustri Premi Nobel presenti, sia per la Dichiarazione sulla fraternità umana elaborata il 10 giugno dello scorso anno, sia per l’impegno che avete assunto quest’anno nella ricostruzione di una “grammatica dell’umanità”, “grammatica dell’umano”, su cui basare scelte e comportamenti.

    Vi esorto ad andare avanti, a far crescere questa spiritualità della fraternità e a promuovere, con la vostra azione diplomatica, il ruolo degli organismi multilaterali.

    Cari fratelli e sorelle, la guerra è un inganno.

    La guerra sempre è una sconfitta, così come l’idea di una sicurezza internazionale basata sul deterrente della paura.

    È un altro inganno.

    Per garantire una pace duratura occorre tornare a riconoscersi nella comune umanità e a porre al centro della vita dei popoli la fraternità.

    Solo così riusciremo a sviluppare un modello di convivenza in grado di dare un futuro alla famiglia umana.

    La pace politica ha bisogno della pace dei cuori, affinché le persone si incontrino nella fiducia che la vita vince sempre su ogni forma di morte.

    Cari amici, nel salutarvi penso all’abbraccio che questa sera, come lo scorso anno, sarà realizzato da tanti giovani.

    Guardiamoli, impariamo da loro, come ci insegna il Vangelo: se «non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3).

    Facciamo tutti di questo abbraccio un impegno di vita e un gesto profetico di carità.

    Grazie di quello che fate! Vi sono vicino e vi chiedo di pregare per me.

    E adesso, tutti insieme, in silenzio, chiediamo e riceviamo la benedizione di Dio.

    Alla Delegazione dell'Istituto di Educazione Superiore "Merrimack College", in Massachusetts (10 Mag 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Saluto il Presidente e tutti voi: sono contento di incontrarvi.

    Il Merrimack College da quasi ottant’anni lavora per la formazione giovanile, ispirandosi al principio agostiniano di “coltivare la conoscenza per giungere alla saggezza”, come dice anche il motto che vi siete scelti: “per scientiam ad sapientiam” (cfr S.

    Agostino, De Trinitate, 13,19.24).

    Alla luce della vostra storia vorrei dunque riflettere brevemente con voi su questa missione, e in particolare su due aspetti tra loro connessi: educare i giovani ad affrontare le sfide per crescere nella solidarietà.

    Primo: educare ad affrontare le sfide.

    Ci farà bene, in proposito, ricordare le circostanze in cui avete iniziato la vostra opera educativa, fondata dai Padri Agostiniani nel 1947 a favore dei militari che tornavano dalla Seconda Guerra Mondiale.

    Chiaramente a questi giovani, reduci da esperienze traumatiche, testimoni degli orrori della guerra, non bastava offrire percorsi accademici: era necessario ridare loro senso, speranza e fiducia per il futuro, arricchendo le loro menti, sì, ma anche riaccendendo i loro cuori e ridando luce alla loro vita; bisognava cioè offrire loro, attraverso lo studio e la comunità scolastica, un cammino di rinascita integrale.

    A me piace dire: dalla mente al cuore e dal cuore alle mani.

    Sono i tre linguaggi: il linguaggio della mente, il linguaggio del cuore e il linguaggio della mano.

    Che si pensi quello che si sente e si fa; che si senta quello che si pensa e si fa; che si faccia quello che si sente e si pensa.

    Ricordo questo perché anche i nostri giovani, oggi, vivono in mezzo a parecchie “criticità”: a livello economico-finanziario, lavorativo, politico, ambientale e valoriale, demografico e migratorio (cfr Congr.

    per l’Educazione Cattolica, Educare all’umanesimo solidale, 2017, 3).

    Ed è importante che anche a loro, nel presente come in passato, si insegni ad affrontare uniti le sfide, senza lasciarsene schiacciare, anzi reagendo perché ogni crisi, pur nella sofferenza, si trasformi in un’occasione di crescita.

    E qui tocchiamo il secondo aspetto: crescere nella solidarietà.

    Papa Benedetto XVI scriveva che «non è la scienza che redime l'uomo.

    L'uomo viene redento mediante l'amore» (Lett.

    enc.

    Spe salvi, 26).

    Si tratta, allora, di formare le nuove generazioni a vivere le difficoltà come opportunità, non tanto per lanciarsi verso un futuro ricco di denaro e di successo, quanto d’amore: per edificare insieme un umanesimo solidale (cfr Messaggio per il lancio del patto educativo, 12 settembre 2019).

    Si tratta di insegnare loro a individuare e dirigere le risorse disponibili, con progettualità creativa, verso modelli di vita personale e sociale improntati a giustizia e misericordia, che rendano «l’esistenza di ciascuno e di tutti accettabile e dignitosa» (Congr.

    per l’Educazione Cattolica, Educare all’umanesimo solidale, 2017, 6).

    Ad esempio, è vero che la globalizzazione in atto presenta aspetti negativi, quali l’isolamento, l’emarginazione e la cultura dello scarto; al tempo stesso, però, ne ha anche di positivi, come la possibilità di amplificare e ingrandire la solidarietà e di promuovere l’equità, attraverso mezzi e potenzialità sconosciuti a chi ci ha preceduto, come abbiamo visto in tempi recenti, in occasione di disastri climatici e guerre.

    Ed è importante, nel lavoro didattico, indirizzare gli studenti a questa capacità di discernimento e di scelta, estendendo idealmente e praticamente i perimetri delle aule scolastiche, per giungere là dovunque «l’educazione può generare solidarietà, condivisione, comunione» (cfr ivi, 10).

    Cari amici, questa è la vostra responsabilità, ed è grande; così come è prezioso il lavoro che svolgete.

    Perciò vi ringrazio e di cuore vi benedico, affidandovi all’intercessione della Vergine Maria e di Sant’Agostino.

    E vi raccomando, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Messaggio del Santo Padre in occasione del 40° Anniversario della creazione della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel (7 Mag 2024)
    Visita il link

    A Sua Eminenza
    il Cardinale Michael Czerny
    Presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel

    Rivolgo i miei saluti ai Corpi diplomatici presenti, ai rappresentanti delle Istituzioni internazionali e nazionali e a tutti i partecipanti alla commemorazione del 40° anniversario della creazione della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel.

    Questo dialogo di alto livello, che verte sul tema della desertificazione, mi dà l’opportunità di ricordare il suo santo fondatore, attraverso l’appello solenne che ha rivolto al mondo intero a favore di questa parte dell’Africa il 10 maggio 1980 a Ouagadougou.

    Era una voce supplichevole e piena di sollecitudine che risuona ancora oggi per le persone povere e vulnerabili del Sahel.

    «La voce dei padri e delle madri che hanno visto morire i loro figli senza capire, o che vedranno sempre nei loro figli le conseguenze della fame patita; la voce delle future generazioni le quali non devono più vivere con la terribile incombente minaccia sulla loro esistenza» (Omelia a Ouagadougou, 10 maggio 1980).

    Era la voce di coloro che non hanno voce, la voce degli innocenti che sono morti perché mancavano loro l’acqua e il pane.

    È così che la Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel è stata costituita ed eretta dal Papa santo affinché il suo appello restasse un segno efficace dell’amore della Chiesa per i suoi figli e le sue figlie dell’Africa occidentale.

    La Santa Sede segue con particolare interesse la Fondazione attraverso il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, consapevole che le sue attività contribuiscono a migliorare la situazione umanitaria e sociale delle popolazioni del Sahel.

    Come il mio predecessore ha giustamente sottolineato, i deserti esterni possono essere il riflesso di deserti interiori, e «le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e, viceversa» (Benedetto XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate, n.

    51).

    La nostra azione di solidarietà e di responsabilità deriva dalla nostra fede in Dio creatore e dall’amore verso il prossimo (cfr.

    Mt 22, 37-40).

    Prendersi cura della casa comune e prendersi cura di ogni persona, creata a immagine e somiglianza di Dio, sono dunque atteggiamenti che vanno di pari passo.

    Rientrano nella carità e rendono testimonianza all’amore di Cristo, segno vivente della carità.

    Ogni incontro con una persona o un popolo in situazione di povertà o di vulnerabilità ci provoca e c’interroga.

    Come possiamo contribuire a eliminare, o almeno ad alleviare, la loro emarginazione e la loro sofferenza? Il popolo di Dio deve essere in prima linea, sempre e dovunque, per rispondere al grido silenzioso dei tanti poveri in tutto il mondo, in particolare nel Sahel, per dare loro una voce, per difenderli e per solidarizzare con loro dinanzi a tanta ipocrisia e tante promesse non mantenute (cfr.

    Messaggio per la IV Giornata Mondiale dei Poveri, 15 novembre 2020).

    Alcuni Paesi di questa Regione dell’Africa occidentale stanno ancora attraversando crisi che minacciano sempre più la pace, la stabilità, la sicurezza e lo sviluppo.

    Questi fenomeni legati al terrorismo, alla precarietà economica, al cambiamento climatico e alle lotte intercomunitarie, aggravano la vulnerabilità degli Stati e la povertà dei cittadini, con, come conseguenza, la migrazione dei giovani.

    Tale contesto rende il compito della Fondazione sempre più difficile ma sempre più indispensabile.

    In questa giornata di commemorazione, facendo eco al grido del cuore di san Giovanni Paolo II, reitero il suo appello a tutte le persone di buona volontà nel mondo intero: operate per la sicurezza, la giustizia e la pace nel Sahel! La pace permette lo sviluppo umano integrale che si costruisce giorno dopo giorno nella ricerca dell’ordine voluto da Dio, e può fiorire solo quando ognuno riconosce la propria responsabilità nella sua promozione (cfr.

    Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1974).

    Faccio appello a tutti gli attori, in Africa e nel resto del mondo, in particolare ai decisori politici ed economici.

    È in gioco la loro responsabilità.

    Non è più tempo di aspettare, bisogna agire! Nessuno può negare il diritto fondamentale di ogni essere umano a vivere nella dignità e a svilupparsi integralmente.

    «Se ciascuno vale tanto, bisogna dire con chiarezza e fermezza che il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità».

    «Ne consegue che è un atto di carità altrettanto indispensabile l’imp egno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria.

    È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza» (Lettera enciclica Fratelli tutti, nn.

    106 e 186).

    Formulo l’auspicio che questa commemorazione della creazione della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel permetta d’individuare, di promuovere e di mettere in atto, con determinazione, tutte le iniziative necessarie per la costruzione della giustizia e della pace, per uno sviluppo umano integrale e sostenibile di tutte le popolazioni del Sahel.

    Vi do la mia Benedizione.

    E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Dalla Basilica di San Giovanni in Laterano, 7 maggio 2024


    FRANCESCO

    ___________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    105, venerdì 10 maggio 2024, p.

    10.

    Alla Delegazione dell'Istituto Superiore di Liturgia, di Barcelona (Spagna) (10 Mag 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli, professori e studenti
    dell’Ateneo Universitario San Paciano,

    Vi do il benvenuto in questa casa di Pietro, e sono lieto di potervi ricevere in questo anno che, come sapete, ho voluto dedicare alla preghiera.

    È importante che nei vostri studi si rifletta sul bisogno di cercare questa unione con il Signore e sui mezzi che Egli, attraverso la Chiesa, ci ha dato per raggiungerla.

    La liturgia inoltre ci ricorda che questo incontro attorno a Dio è di tutti.

    Nell’opera di Dio, a cui starete partecipando in questi giorni di studio al Sant’Anselmo, la Chiesa, come Popolo convocato, si dedica alla ricerca del suo fine più essenziale, quello che si perpetuerà nella Gerusalemme celeste, quando ci uniremo ai cori degli angeli nel canto del Santo.

    L’uomo è per la liturgia, perché è per Dio, ma una liturgia senza questa unione dell’uomo con Dio è un’aberrazione.

    E un’ab errazione, per esempio, sarebbe una liturgia schiava del rubricismo, che non favorisce l’unione con Dio.

    Forse per questo, San Benedetto, agli albori del discernimento vocazionale dei suoi monaci — che possiamo accogliere come lezione per ogni cristiano e per ogni liturgo [chi celebra la liturgia] — ci pone come criterio per vedere se si cerca veramente Dio il fatto che il candidato sia pronto per l’opera di Dio, per la partecipazione alla Liturgia divina, nel suo significato d’incontro personale e comunitario con Dio.

    Ma senza dimenticare quella stessa urgenza per l’obbedienza, ossia per il servizio, per vivere il mandato supremo dell’amore fraterno, in ciò che Dio ci vorrà chiedere; e per le umiliazioni, abbracciando la croce, lasciandoci modellare da Dio e toccando la piaga aperta del Signore nelle membra del suo Corpo mistico (cfr.

    Regola LV I I I , 7).

    Vi chiedo pertanto di lavorare per rendere vita la nostra liturgia quotidiana, affinché esprima, interroghi e nutra questa relazione.

    In tal modo, le nostre comunità saranno “tabernacoli di Dio tra gli uomini”, che cercano nella loro preghiera “l’invisibile battito del cuore dello Sposo”.

    Anime “che non solo amino, adorino, lodino, ma che consolino, riparino ed espiino”, impegnate per la gloria di Dio e il bene degli uomini (cfr.

    Cristina de la Cruz, Escritos, 121).

    Che Egli vi benedica e la Vergine Santa vi custodisca.

    ___________________________

    L'Osservatore Romano, Edizione quotidiana, Anno CLXIV n.

    105, venerdì 10 maggio 2024, p.

    11.

    Alla Delegazione dell'International Network of Societies for Catholic Theology (INSeCT) (10 Mag 2024)
    Visita il link

    Discorso consegnato

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Sono contento di incontrare i teologi della “Rete internazionale delle società di teologia cattolica”.

    Vi dico grazie per il lavoro interdisciplinare che realizzate con progetti di ricerca e congressi, incoraggiando l’ecumenismo, il dialogo con le altre religioni e visioni del mondo.

    La teologia è davvero un prezioso ministero ecclesiale, di cui abbiamo bisogno.

    Anzitutto, perché appartiene alla fede cattolica il rendere ragione della speranza a chiunque lo chieda (cfr 1 Pt 3,15).

    E sappiamo che la speranza non è un’emozione o un sentimento, ma la persona stessa di Gesù, via verità e vita (Gv 14,5).

    Poi, la teologia è preziosa nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, in società multietniche in continua mobilità, con interconnessione di popoli, lingue e culture diverse da orientare, con consapevolezza critica, verso la costruzione di una convivenza nella pace, nella solidarietà e nella fratellanza universale (cfr Enc. Fratelli tutti) e nella cura della nostra casa comune (cfr Enc. Laudato si’).

    Inoltre, abbiamo bisogno della teologia perché le sfide poste dal progresso tecno-scientifico – pensiamo all’intelligenza artificiale – costringono oggi a “mettersi insieme” per comprendere cosa è umano, cosa è degno dell’uomo, cosa nell’uomo è irriducibile, perché divino, cioè immagine e somiglianza di Dio in Cristo.

    Qui, la teologia deve potersi fare compagna di strada delle scienze e di tutti i saperi critici, offrendo il proprio contributo sapienziale, affinché le differenti culture non giungano allo scontro ma, nel dialogo, diventino sinfonia.

    Pertanto, cari amici, mi sembra di poter indicare queste tre direttrici di sviluppo per la teologia: la fedeltà creativa alla tradizione, la transdisciplinarietà e la collegialità (cfr Discorso alla Commissione teologica internazionale, 4 novembre 2022).

    Sono gli “ingredienti” essenziali della vocazione del teologo cattolico nel cuore della Chiesa. I teologi, infatti, sono come gli esploratori mandati da Giosuè nella terra di Canaan: devono scoprire le giuste vie di accesso per l’inculturazione della fede.

    Sappiamo bene che la Tradizione è vivente.

    Allora deve crescere, incarnando il Vangelo in ogni angolo della terra e in tutte le culture.

    Perché il Vangelo annuncia l’evento di Gesù morto e risorto ed è sapienza di vita per tutti: è il sapere per l’esistenza umana, la cui luce entra nelle fibre di tutta la realtà indagata dalle scienze. La transdisciplinarietà dei saperi non è, pertanto, una moda del momento, ma è un’esigenza della scienza teologica: essa infatti “ascolta” le scoperte degli altri saperi per approfondire le dottrine delle fede, mentre offre la sapienza cristiana per lo sviluppo umano delle scienze.

    La responsabilità di tale arduo compito comporta anche la collegialità e sinodalità del cammino di ricerca.

    Soprattutto, questo servizio non si può realizzare senza riscoprire il carattere sapienziale della teologia, come ho avuto modo di precisare nella Lettera apostolica Ad Theologiam promovendam.

    Benedetto XVI chiedeva giustamente a tutte le scienze di allargare i confini della razionalità scientifica in senso sapienziale.

    Questo allargamento deve avvenire anche nella teologia, perché sia sapere critico per la vita di ogni essere umano e del Popolo di Dio, unendo scienza e virtù, ragione critica e amore.

    Perché la fede cattolica è fede che opera attraverso la carità, altrimenti è fede morta (cfr Gc 2,26).

    La teologia sapienziale è, allora, teologia dell’amore, infatti «chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1 Gv 4,8).

    Cari fratelli e sorelle, grazie di questa visita.

    Vi auguro buon lavoro! Vi benedico e vi chiedo per favore di pregare per me.

    Ai partecipanti alla quarta edizione degli "Stati Generali della Natalità" (10 Mag 2024)
    Visita il link

    Distinte Autorità,
    Rappresentanti della società civile,
    cari fratelli e sorelle, cari ragazzi e bambini, buongiorno!

    È bello fare un applauso quando uno dice “buongiorno”, perché tante volte non ci salutiamo.

    È bello l’applauso al “buongiorno”. E grazie a Gianluigi e a quanti lavorano per questa iniziativa.

    Sono contento di essere ancora con voi perché, come sapete, il tema della natalità mi sta molto a cuore.

    Ogni dono di un figlio, infatti, ci ricorda che Dio ha fiducia nell’umanità, come sottolinea il motto “Esserci, più giovani più futuro”.

    Il nostro “esserci” non è frutto del caso: Dio ci ha voluti, ha un progetto grande e unico su ciascuno di noi, nessuno escluso.

    In questa prospettiva, è importante incontrarsi, lavorare insieme per promuovere la natalità con realismo, lungimiranza e coraggio.

    Vorrei riflettere un po’ su queste tre parole-chiave.

    Prima:  realismo. In passato, non sono mancati studi e teorie che mettevano in guardia sul numero degli abitanti della Terra, perché la nascita di troppi bambini avrebbe creato squilibri economici, mancanza di risorse e inquinamento.

    Mi ha sempre colpito constatare come queste tesi, ormai datate e superate da tempo, parlassero di esseri umani come se si trattasse di problemi.

    Ma la vita umana non è un problema, è un dono.

    E alla base dell’inquinamento e della fame nel mondo non ci sono i bambini che nascono, ma le scelte di chi pensa solo a sé stesso, il delirio di un materialismo sfrenato, cieco e dilagante, di un consumismo che, come un virus malefico, intacca alla radice l’esistenza delle persone e della società.

    Il problema non è in quanti siamo al mondo, ma che mondo stiamo costruendo - questo è il problema -; non sono i figli, ma l’egoismo, che crea ingiustizie e strutture di peccato, fino a intrecciare malsane interdipendenze tra sistemi sociali, economici e politici.

    [1] L’egoismo rende sordi alla voce di Dio, che ama per primo e insegna ad amare, e alla voce dei fratelli che ci stanno accanto; anestetizza il cuore, fa vivere di cose, senza più capire per cosa; induce ad avere tanti beni, senza più saper fare il bene.

    E le case si riempiono di oggetti e si svuotano di figli, diventando luoghi molto tristi (cfr Omelia della Messa per la comunità cattolica congolese, 1° dicembre 2019).

    Non mancano i cagnolini, i gatti…, questi non mancano.

    Mancano i figli.

    Il problema del nostro mondo non sono i bambini che nascono: sono l’egoismo, il consumismo e l’individualismo, che rendono le persone sazie, sole e infelici.

    Il numero delle nascite è il primo indicatore della speranza di un popolo.

    Senza bambini e giovani, un Paese perde il suo desiderio di futuro.

    In Italia, ad esempio, l’età media attualmente è di quarantasette anni – ma ci sono Paesi del centro Europa che hanno l’età media si ventiquattro anni – e si continuano a segnare nuovi record negativi.

    Purtroppo, se dovessimo basarci su questo dato, saremmo costretti a dire che l’Italia sta progressivamente perdendo la sua speranza nel domani, come il resto d’Europa: il Vecchio Continente si trasforma sempre più in un continente vecchio, stanco e rassegnato, così impegnato ad esorcizzare le solitudini e le angosce da non saper più gustare, nella civiltà del dono, la vera bellezza della vita. E c’è un dato che mi ha detto uno studioso di demografia.

    In questo momento gli investimenti che danno più reddito sono la fabbrica di armi e gli anticoncezionali.

    Le une distruggono la vita, gli altri impediscono la vita.

    E questi sono gli investimenti che danno più reddito.

    Che futuro ci attende? È brutto.

    Nonostante tante parole e tanto impegno, non si arriva a invertire la rotta.

    Come mai? Perché non si riesce a frenare questa emorragia di vita?

    La questione è complessa, ma questo non può e non deve diventare un alibi per non affrontarla.

    Serve lungimiranza, che è la seconda parola-chiave.

    A livello istituzionale, urgono politiche efficaci, scelte coraggiose, concrete e di lungo termine, per seminare oggi affinché i figli possano raccogliere domani.

    C’è bisogno di un impegno maggiore da parte di tutti i governi, perché le giovani generazioni vengano messe nelle condizioni di poter realizzare i propri legittimi sogni.

    Si tratta di attuare serie ed efficaci scelte in favore della famiglia.

    Ad esempio, porre una madre nella condizione di non dover scegliere tra lavoro e cura dei figli; oppure liberare tante giovani coppie dalla zavorra della precarietà occupazionale e dell’impossibilità di acquistare una casa.

    È poi importante promuovere, a livello sociale, una cultura della generosità e della solidarietà intergenerazionale, per rivedere abitudini e stili di vita, rinunciando a ciò che è superfluo allo scopo di dare ai più giovani una speranza per il domani, come avviene in tante famiglie.

    Non dimentichiamolo: il futuro di figli e nipoti si costruisce anche con le schiene doloranti per anni di fatica e con i sacrifici nascosti di genitori e nonni, nel cui abbraccio c’è il dono silenzioso e discreto del lavoro di una vita intera.

    E d’altra parte, il riconoscimento e la gratitudine verso di loro da parte di chi cresce sono la sana risposta che, come l’acqua unita al cemento, rende solida e forte la società.

    Questi sono i valori da sostenere, questa è la cultura da diffondere, se vogliamo avere un domani.

    Terza parola: coraggio.

    E qui mi rivolgo particolarmente ai giovani.

    So che per molti di voi il futuro può apparire inquietante, e che tra denatalità, guerre, pandemie e mutamenti climatici non è facile mantenere viva la speranza.

    Ma non arrendetevi, abbiate fiducia, perchè il domani non è qualcosa di ineluttabile: lo costruiamo insieme, e in questo “insieme” prima di tutto troviamo il Signore.

    È Lui che, nel Vangelo, ci insegna quel “ma io vi dico” che cambia le cose (cfr Mt 5,38-48): un “ma” che profuma di salvezza, che prepara un “fuori schema”, una rottura.

    Facciamo nostro questo “ma”, tutti, qui e ora.

    Non rassegniamoci a un copione già scritto da altri, mettiamoci a remare per invertire la rotta, anche a costo di andare controcorrente! Come fanno le mamme e i papà della Fondazione per la Natalità, che ogni anno organizzano questo evento, questo “cantiere di speranza” che ci aiuta a pensare, e che cresce, coinvolgendo sempre più il mondo della politica, delle imprese, delle banche, dello sport, dello spettacolo e del giornalismo.

    Ma il futuro non si costruisce solo facendo figli.

    Manca un’altra parte molto importante: i nonni.

    Oggi c’è una cultura che nasconde i nonni, li manda alla casa di riposo.

    Adesso è cambiata un po’ per la pensione – purtoppo è così –, ma la tendenza è quella: scartare i nonni.

    Mi viene in mente una storia interessante.

    C’era una bella famiglia, dove il nonno viveva con loro.

    Ma con il tempo in nonno è invecchiato, e poi quando mangiava si sporcava… Allora il papà ha fatto costruire un tavolino, in cucina, perché ci mangiasse il nonno, così loro potevano invitare gente.

    Un giorno il papà torna a casa e trova uno dei bambini piccoli che lavorava con il legno.

    “Cosa stai facendo?” – “Un tavolino, papà” – “Ma perché?”- “Per te, per quando sarai vecchio”.

    Per favore, non dimenticare i nonni! Quando io, nell’altra diocesi, visitavo tanto le case di riposo, domandavo ai nonni – penso a un caso –: “Quanti figli ha?” - “Tanti” - “Ah, bene.

    E vengono a trovarla?” - “Sì sì, vengono sempre”.

    Poi, all’uscita, l’infermiere mi diceva: “Non vengono mai”.

    I nonni soli.

    I nonni scartati.

    Questo è un suicidio culturale! Il futuro lo fanno i giovani e i vecchi insieme; il coraggio e la memoria, insieme.

    Per favore, parlando di natalità, che è il futuro, parliamo anche dei nonni, che non sono il passato: aiutano il futuro.

    Per favore, abbiamo figli, tanti, ma abbiamo anche cura dei nonni! È molto importante.

    Cari amici, vi ringrazio per quello che fate, grazie a tutti voi.

    Grazie a te per il tuo coraggio.

    Vi sono vicino e vi accompagno con la mia preghiera.

    E per favore, vi chiedo di non dimenticarvi di pregare per me.

    Ma pregate a favore, non contro! Grazie.

    Questo “a favore e non contro” lo dico perché una volta, stavo finendo un’udienza e lì a venti metri c’era una signora, una vecchietta, piccolina, occhi bellissimi.

    Ha cominciato a dire: “Vieni, vieni!”.

    Simpatica.

    Mi sono avvicinato: “Signora come si chiama?” – mi ha detto il nome – “E quanti anni ha?” – “87” – “Ma cosa fa, cosa mangia per essere così forte?” – “Mangio i ravioli, li faccio io”.

    E mi ha dato la ricetta dei ravioli.

    E poi le ho detto: “Signora, per favore, preghi per me” – “Lo faccio tutti i giorni”.

    E io per scherzare le dissi: “Ma preghi a favore, non contro!”.

    E la vecchietta, sorridendo, mi disse: “Stia attento, Padre! Contro pregano lì dentro”.

    Furba! Un po’ anticlericale.

    E per favore: a favore, non contro, a favore.

    ____________________________

    [1] cfr S.

    Giovanni Paolo II, Lett.

    enc.  Sollicitudo rei socialis (1987), 36-37;  Catechismo della Chiesa Cattolica, n.

    1869.

     

    Spes non confundit - Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell'Anno 2025 (9 Mag 2024)
    Visita il link

    1. «Spes non confundit», «la speranza non delude» (Rm 5,5).

    Nel segno della speranza l’apostolo Paolo infonde coraggio alla comunità cristiana di Roma.

    La speranza è anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che secondo antica tradizione il Papa indice ogni venticinque anni.

    Penso a tutti i pellegrini di speranza che giungeranno a Roma per vivere l’Anno Santo e a quanti, non potendo raggiungere la città degli apostoli Pietro e Paolo, lo celebreranno nelle Chiese particolari.

    Per tutti, possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, «porta» di salvezza (cfr.

    Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale «nostra speranza» (1Tm 1,1).

    Tutti sperano.

    Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé.

    L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio.

    Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità.

    Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza.

    La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni.

    Lasciamoci condurre da quanto l’apostolo Paolo scrive proprio ai cristiani di Roma.

    Una Parola di speranza

    2. «Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo.

    Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.

    [...] La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,1-2.5).

    Sono molteplici gli spunti di riflessione che qui San Paolo propone.

    Sappiamo che la Lettera ai Romani segna un passaggio decisivo nella sua attività di evangelizzazione.

    Fino a quel momento l’ha svolta nell’area orientale dell’Impero e ora lo aspetta Roma, con quanto essa rappresenta agli occhi del mondo: una sfida grande, da affrontare in nome dell’annuncio del Vangelo, che non può conoscere barriere né confini.

    La Chiesa di Roma non è stata fondata da Paolo, e lui sente vivo il desiderio di raggiungerla presto, per portare a tutti il Vangelo di Gesù Cristo, morto e risorto, come annuncio della speranza che compie le promesse, introduce alla gloria e, fondata sull’amore, non delude.

    3. La speranza, infatti, nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce: «Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (Rm 5,10).

    E la sua vita si manifesta nella nostra vita di fede, che inizia con il Battesimo, si sviluppa nella docilità alla grazia di Dio ed è perciò animata dalla speranza, sempre rinnovata e resa incrollabile dall’azione dello Spirito Santo.

    È infatti lo Spirito Santo, con la sua perenne presenza nel cammino della Chiesa, a irradiare nei credenti la luce della speranza: Egli la tiene accesa come una fiaccola che mai si spegne, per dare sostegno e vigore alla nostra vita.

    La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? [...] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.

    Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» ( Rm 8,35.37-39).

    Ecco perché questa speranza non cede nelle difficoltà: essa si fonda sulla fede ed è nutrita dalla carità, e così permette di andare avanti nella vita.

    Sant’Agostino scrive in proposito: «In qualunque genere di vita, non si vive senza queste tre propensioni dell’anima: credere, sperare, amare».

    [1]

    4. San Paolo è molto realista.

    Sa che la vita è fatta di gioie e di dolori, che l’amore viene messo alla prova quando aumentano le difficoltà e la speranza sembra crollare davanti alla sofferenza.

    Eppure scrive: «Ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza» (Rm 5,3-4).

    Per l’Apostolo, la tribolazione e la sofferenza sono le condizioni tipiche di quanti annunciano il Vangelo in contesti di incomprensione e di persecuzione (cfr.

    2Cor 6,3-10).

    Ma in tali situazioni, attraverso il buio si scorge una luce: si scopre come a sorreggere l’evangelizzazione sia la forza che scaturisce dalla croce e dalla risurrezione di Cristo.

    E ciò porta a sviluppare una virtù strettamente imparentata con la speranza: la pazienza.

    Siamo ormai abituati a volere tutto e subito, in un mondo dove la fretta è diventata una costante.

    Non si ha più il tempo per incontrarsi e spesso anche nelle famiglie diventa difficile trovarsi insieme e parlare con calma.

    La pazienza è stata messa in fuga dalla fretta, recando un grave danno alle persone.

    Subentrano infatti l’insofferenza, il nervosismo, a volte la violenza gratuita, che generano insoddisfazione e chiusura.

    Nell’epoca di internet, inoltre, dove lo spazio e il tempo sono soppiantati dal “qui ed ora”, la pazienza non è di casa.

    Se fossimo ancora capaci di guardare con stupore al creato, potremmo comprendere quanto decisiva sia la pazienza.

    Attendere l’alternarsi delle stagioni con i loro frutti; osservare la vita degli animali e i cicli del loro sviluppo; avere gli occhi semplici di San Francesco che nel suo Cantico delle creature, scritto proprio 800 anni fa, percepiva il creato come una grande famiglia e chiamava il sole “fratello” e la luna “sorella”.

    [2] Riscoprire la pazienza fa tanto bene a sé e agli altri.

    San Paolo fa spesso ricorso alla pazienza per sottolineare l’importanza della perseveranza e della fiducia in ciò che ci è stato promesso da Dio, ma anzitutto testimonia che Dio è paziente con noi, Lui che è «il Dio della perseveranza e della consolazione» ( Rm 15,5).

    La pazienza, frutto anch’essa dello Spirito Santo, tiene viva la speranza e la consolida come virtù e stile di vita.

    Pertanto, impariamo a chiedere spesso la grazia della pazienza, che è figlia della speranza e nello stesso tempo la sostiene.

    Un cammino di speranza

    5. Da questo intreccio di speranza e pazienza appare chiaro come la vita cristiana sia un cammino, che ha bisogno anche di momenti forti per nutrire e irrobustire la speranza, insostituibile compagna che fa intravedere la meta: l’incontro con il Signore Gesù.

    Mi piace pensare che un percorso di grazia, animato dalla spiritualità popolare, abbia preceduto l’indizione, nel 1300, del primo Giubileo.

    Non possiamo infatti dimenticare le varie forme attraverso cui la grazia del perdono si è riversata con abbondanza sul santo Popolo fedele di Dio.

    Ricordiamo, ad esempio, la grande “perdonanza” che San Celestino V volle concedere a quanti si recavano nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L’Aquila, nei giorni 28 e 29 agosto 1294, sei anni prima che Papa Bonifacio VIII istituisse l’Anno Santo.

    La Chiesa già sperimentava, dunque, la grazia giubilare della misericordia.

    E ancora prima, nel 1216, Papa Onorio III aveva accolto la supplica di San Francesco che chiedeva l’indulgenza per quanti avrebbero visitato la Porziuncola nei primi due giorni di agosto.

    Lo stesso si può affermare per il pellegrinaggio a Santiago di Compostela: infatti Papa Callisto II, nel 1122, concesse di celebrare il Giubileo in quel Santuario ogni volta che la festa dell’apostolo Giacomo cadeva di domenica.

    È bene che tale modalità “diffusa” di celebrazioni giubilari continui, così che la forza del perdono di Dio sostenga e accompagni il cammino delle comunità e delle persone.

    Non a caso il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento giubilare.

    Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita.

    Il pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità.

    Anche nel prossimo anno i pellegrini di speranza non mancheranno di percorrere vie antiche e moderne per vivere intensamente l’esperienza giubilare.

    Nella stessa città di Roma, inoltre, saranno presenti itinerari di fede, in aggiunta a quelli tradizionali delle catacombe e delle Sette Chiese.

    Transitare da un Paese all’altro, come se i confini fossero superati, passare da una città all’altra nella contemplazione del creato e delle opere d’arte permetterà di fare tesoro di esperienze e culture differenti, per portare dentro di sé la bellezza che, armonizzata dalla preghiera, conduce a ringraziare Dio per le meraviglie da Lui compiute.

    Le chiese giubilari, lungo i percorsi e nell’Urbe, potranno essere oasi di spiritualità dove ristorare il cammino della fede e abbeverarsi alle sorgenti della speranza, anzitutto accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, insostituibile punto di partenza di un reale cammino di conversione.

    Nelle Chiese particolari si curi in modo speciale la preparazione dei sacerdoti e dei fedeli alle Confessioni e l’accessibilità al sacramento nella forma individuale.

    A questo pellegrinaggio un invito particolare voglio rivolgere ai fedeli delle Chiese Orientali, in particolare a coloro che sono già in piena comunione con il Successore di Pietro.

    Essi, che hanno tanto sofferto, spesso fino alla morte, per la loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa, si devono sentire particolarmente benvenuti in questa Roma che è Madre anche per loro e che custodisce tante memorie della loro presenza.

    La Chiesa Cattolica, che è arricchita dalle loro antichissime liturgie, dalla teologia e dalla spiritualità dei Padri, monaci e teologi, vuole esprimere simbolicamente l’accoglienza loro e dei loro fratelli e sorelle ortodossi, in un’epoca in cui già vivono il pellegrinaggio della Via Crucis, con cui sono spesso costretti a lasciare le loro terre d’origine, le loro terre sante, da cui li scacciano verso Paesi più sicuri la violenza e l’instabilità.

    Per loro la speranza di essere amati dalla Chiesa, che non li abbandonerà, ma li seguirà dovunque andranno, rende ancora più forte il segno del Giubileo.

    6.

    L’Anno Santo 2025 si pone in continuità con i precedenti eventi di grazia.

    Nell’ultimo Giubileo Ordinario si è varcata la soglia dei duemila anni della nascita di Gesù Cristo.

    In seguito, il 13 marzo 2015, ho indetto un Giubileo Straordinario con lo scopo di manifestare e permettere di incontrare il “Volto della misericordia” di Dio, [3] annuncio centrale del Vangelo per ogni persona in ogni epoca.

    Ora è giunto il tempo di un nuovo Giubileo, nel quale spalancare ancora la Porta Santa per offrire l’esperienza viva dell’amore di Dio, che suscita nel cuore la speranza certa della salvezza in Cristo.

    Nello stesso tempo, questo Anno Santo orienterà il cammino verso un’altra ricorrenza fondamentale per tutti i cristiani: nel 2033, infatti, si celebreranno i duemila anni della Redenzione compiuta attraverso la passione, morte e risurrezione del Signore Gesù.

    Siamo così dinanzi a un percorso segnato da grandi tappe, nelle quali la grazia di Dio precede e accompagna il popolo che cammina zelante nella fede, operoso nella carità e perseverante nella speranza (cfr.

    1Ts 1,3).

    Sostenuto da una così lunga tradizione e nella certezza che questo Anno giubilare potrà essere per tutta la Chiesa un’intensa esperienza di grazia e di speranza, stabilisco che la Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano sia aperta il 24 dicembre del presente anno 2024, dando così inizio al Giubileo Ordinario.

    La domenica successiva, 29 dicembre 2024, aprirò la Porta Santa della mia cattedrale di San Giovanni in Laterano, che il 9 novembre di quest’anno celebrerà i 1700 anni della dedicazione.

    A seguire, il 1° gennaio 2025, Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, verrà aperta la Porta Santa della Basilica papale di Santa Maria Maggiore.

    Infine, domenica 5 gennaio sarà aperta la Porta Santa della Basilica papale di San Paolo fuori le Mura.

    Queste ultime tre Porte Sante saranno chiuse entro domenica 28 dicembre dello stesso anno.

    Stabilisco inoltre che domenica 29 dicembre 2024, in tutte le cattedrali e concattedrali, i Vescovi diocesani celebrino la santa Eucaristia come solenne apertura dell’Anno giubilare, secondo il Rituale che verrà predisposto per l’occasione.

    Per la celebrazione nella chiesa concattedrale, il Vescovo potrà essere sostituito da un suo Delegato appositamente designato.

    Il pellegrinaggio da una chiesa, scelta per la collectio, verso la cattedrale sia il segno del cammino di speranza che, illuminato dalla Parola di Dio, accomuna i credenti.

    In esso si dia lettura di alcuni brani del presente Documento e si annunci al popolo l’Indulgenza Giubilare, che potrà essere ottenuta secondo le prescrizioni contenute nel medesimo Rituale per la celebrazione del Giubileo nelle Chiese particolari.

    Durante l’Anno Santo, che nelle Chiese particolari terminerà domenica 28 dicembre 2025, si abbia cura che il Popolo di Dio possa accogliere con piena partecipazione sia l’annuncio di speranza della grazia di Dio sia i segni che ne attestano l’efficacia.

    Il Giubileo Ordinario terminerà con la chiusura della Porta Santa della Basilica papale di San Pietro in Vaticano il 6 gennaio 2026, Epifania del Signore.

    Possa la luce della speranza cristiana raggiungere ogni persona, come messaggio dell’amore di Dio rivolto a tutti! E possa la Chiesa essere testimone fedele di questo annuncio in ogni parte del mondo!

    Segni di speranza

    7. Oltre ad attingere la speranza nella grazia di Dio, siamo chiamati a riscoprirla anche nei segni dei tempi che il Signore ci offre.

    Come afferma il Concilio Vaticano II, «è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche».

    [4] È necessario, quindi, porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza.

    Ma i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza.

    8. Il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra.

    Immemore dei drammi del passato, l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza.

    Cosa manca ancora a questi popoli che già non abbiano subito? Com’è possibile che il loro grido disperato di aiuto non spinga i responsabili delle Nazioni a voler porre fine ai troppi conflitti regionali, consapevoli delle conseguenze che ne possono derivare a livello mondiale? È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte? Il Giubileo ricordi che quanti si fanno «operatori di pace saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).

    L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti.

    Non venga a mancare l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura.

    9.

    Guardare al futuro con speranza equivale anche ad avere una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere.

    Purtroppo, dobbiamo constatare con tristezza che in tante situazioni tale prospettiva viene a mancare.

    La prima conseguenza è la perdita del desiderio di trasmettere la vita.

    A causa dei ritmi di vita frenetici, dei timori riguardo al futuro, della mancanza di garanzie lavorative e tutele sociali adeguate, di modelli sociali in cui a dettare l’agenda è la ricerca del profitto anziché la cura delle relazioni, si assiste in vari Paesi a un preoccupante calo della natalità.

    Al contrario, in altri contesti, «incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi».

    [5]

    L’apertura alla vita con una maternità e paternità responsabile è il progetto che il Creatore ha inscritto nel cuore e nel corpo degli uomini e delle donne, una missione che il Signore affida agli sposi e al loro amore.

    È urgente che, oltre all’impegno legislativo degli Stati, non venga a mancare il sostegno convinto delle comunità credenti e dell’intera comunità civile in tutte le sue componenti, perché il desiderio dei giovani di generare nuovi figli e figlie, come frutto della fecondità del loro amore, dà futuro ad ogni società ed è questione di speranza: dipende dalla speranza e genera speranza.

    La comunità cristiana perciò non può essere seconda a nessuno nel sostenere la necessità di un’alleanza sociale per la speranza, che sia inclusiva e non ideologica, e lavori per un avvenire segnato dal sorriso di tanti bambini e bambine che vengano a riempire le ormai troppe culle vuote in molte parti del mondo.

    Ma tutti, in realtà, hanno bisogno di recuperare la gioia di vivere, perché l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr.

    Gen 1,26), non può accontentarsi di sopravvivere o vivacchiare, di adeguarsi al presente lasciandosi soddisfare da realtà soltanto materiali.

    Ciò rinchiude nell’individualismo e corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore, rendendo acidi e insofferenti.

    10. Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio.

    Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto.

    Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi.

    È un richiamo antico, che proviene dalla Parola di Dio e permane con tutto il suo valore sapienziale nell’invocare atti di clemenza e di liberazione che permettano di ricominciare: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti» ( Lv 25,10).

    Quanto stabilito dalla Legge mosaica è ripreso dal profeta Isaia: «Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore» ( Is 61,1-2).

    Sono le parole che Gesù ha fatto proprie all’inizio del suo ministero, dichiarando in sé stesso il compimento dell’“anno di grazia del Signore” (cfr.

    Lc 4,18-19).

    In ogni angolo della terra, i credenti, specialmente i Pastori, si facciano interpreti di tali istanze, formando una voce sola che chieda con coraggio condizioni dignitose per chi è recluso, rispetto dei diritti umani e soprattutto l’abolizione della pena di morte, provvedimento contrario alla fede cristiana e che annienta ogni speranza di perdono e di rinnovamento.

    [6] Per offrire ai detenuti un segno concreto di vicinanza, io stesso desidero aprire una Porta Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita.

    11. Segni di speranza andranno offerti agli ammalati, che si trovano a casa o in ospedale.

    Le loro sofferenze possano trovare sollievo nella vicinanza di persone che li visitano e nell’affetto che ricevono.

    Le opere di misericordia sono anche opere di speranza, che risvegliano nei cuori sentimenti di gratitudine.

    E la gratitudine raggiunga tutti gli operatori sanitari che, in condizioni non di rado difficili, esercitano la loro missione con cura premurosa per le persone malate e più fragili.

    Non manchi l’attenzione inclusiva verso quanti, trovandosi in condizioni di vita particolarmente faticose, sperimentano la propria debolezza, specialmente se affetti da patologie o disabilità che limitano molto l’autonomia personale.

    La cura per loro è un inno alla dignità umana, un canto di speranza che richiede la coralità della società intera.

    12. Di segni di speranza hanno bisogno anche coloro che in sé stessi la rappresentano: i giovani.

    Essi, purtroppo, vedono spesso crollare i loro sogni.

    Non possiamo deluderli: sul loro entusiasmo si fonda l’avvenire.

    È bello vederli sprigionare energie, ad esempio quando si rimboccano le maniche e si impegnano volontariamente nelle situazioni di calamità e di disagio sociale.

    Ma è triste vedere giovani privi di speranza; d’altronde, quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando lo studio non offre sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un’occupazione sufficientemente stabile rischiano di azzerare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia.

    L’illusione delle droghe, il rischio della trasgressione e la ricerca dell’effimero creano in loro più che in altri confusione e nascondono la bellezza e il senso della vita, facendoli scivolare in baratri oscuri e spingendoli a compiere gesti autodistruttivi.

    Per questo il Giubileo sia nella Chiesa occasione di slancio nei loro confronti: con una rinnovata passione prendiamoci cura dei ragazzi, degli studenti, dei fidanzati, delle giovani generazioni! Vicinanza ai giovani, gioia e speranza della Chiesa e del mondo!

    13. Non potranno mancare segni di speranza nei riguardi dei migranti, che abbandonano la loro terra alla ricerca di una vita migliore per sé stessi e per le loro famiglie.

    Le loro attese non siano vanificate da pregiudizi e chiusure; l’accoglienza, che spalanca le braccia ad ognuno secondo la sua dignità, si accompagni con la responsabilità, affinché a nessuno sia negato il diritto di costruire un futuro migliore.

    Ai tanti esuli, profughi e rifugiati, che le controverse vicende internazionali obbligano a fuggire per evitare guerre, violenze e discriminazioni, siano garantiti la sicurezza e l’accesso al lavoro e all’istruzione, strumenti necessari per il loro inserimento nel nuovo contesto sociale.

    La comunità cristiana sia sempre pronta a difendere il diritto dei più deboli.

    Spalanchi con generosità le porte dell’accoglienza, perché a nessuno venga mai a mancare la speranza di una vita migliore.

    Risuoni nei cuori la Parola del Signore che, nella grande parabola del giudizio finale, ha detto: «Ero straniero e mi avete accolto», perché «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me» (Mt 25,35.40).

    14. Segni di speranza meritano gli anziani, che spesso sperimentano solitudine e senso di abbandono.

    Valorizzare il tesoro che sono, la loro esperienza di vita, la sapienza di cui sono portatori e il contributo che sono in grado di offrire, è un impegno per la comunità cristiana e per la società civile, chiamate a lavorare insieme per l’alleanza tra le generazioni.

    Un pensiero particolare rivolgo ai nonni e alle nonne, che rappresentano la trasmissione della fede e della saggezza di vita alle generazioni più giovani.

    Siano sostenuti dalla gratitudine dei figli e dall’amore dei nipoti, che trovano in loro radicamento, comprensione e incoraggiamento.

    15. Speranza invoco in modo accorato per i miliardi di poveri, che spesso mancano del necessario per vivere.

    Di fronte al susseguirsi di sempre nuove ondate di impoverimento, c’è il rischio di abituarsi e rassegnarsi.

    Ma non possiamo distogliere lo sguardo da situazioni tanto drammatiche, che si riscontrano ormai ovunque, non soltanto in determinate aree del mondo.

    Incontriamo persone povere o impoverite ogni giorno e a volte possono essere nostre vicine di casa.

    Spesso non hanno un’abitazione, né il cibo adeguato per la giornata.

    Soffrono l’esclusione e l’indifferenza di tanti.

    È scandaloso che, in un mondo dotato di enormi risorse, destinate in larga parte agli armamenti, i poveri siano «la maggior parte […], miliardi di persone.

    Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale.

    Di fatto, al momento dell’attuazione concreta, rimangono frequentemente all’ultimo posto».

    [7] Non dimentichiamo: i poveri, quasi sempre, sono vittime, non colpevoli.

    Appelli per la speranza

    16. Facendo eco alla parola antica dei profeti, il Giubileo ricorda che i beni della Terra non sono destinati a pochi privilegiati, ma a tutti.

    È necessario che quanti possiedono ricchezze si facciano generosi, riconoscendo il volto dei fratelli nel bisogno.

    Penso in particolare a coloro che mancano di acqua e di cibo: la fame è una piaga scandalosa nel corpo della nostra umanità e invita tutti a un sussulto di coscienza.

    Rinnovo l’appello affinché «con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa».

    [8]

    Un altro invito accorato desidero rivolgere in vista dell’Anno giubilare: è destinato alle Nazioni più benestanti, perché riconoscano la gravità di tante decisioni prese e stabiliscano di condonare i debiti di Paesi che mai potrebbero ripagarli.

    Prima che di magnanimità, è una questione di giustizia, aggravata oggi da una nuova forma di iniquità di cui ci siamo resi consapevoli: «C’è infatti un vero “debito ecologico”, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi».

    [9] Come insegna la Sacra Scrittura, la terra appartiene a Dio e noi tutti vi abitiamo come «forestieri e ospiti» ( Lv 25,23).

    Se veramente vogliamo preparare nel mondo la via della pace, impegniamoci a rimediare alle cause remote delle ingiustizie, ripianiamo i debiti iniqui e insolvibili, saziamo gli affamati.

    17. Durante il prossimo Giubileo cadrà una ricorrenza molto significativa per tutti i cristiani.

    Si compiranno, infatti, 1700 anni dalla celebrazione del primo grande Concilio ecumenico, quello di Nicea.

    È bene ricordare che, fin dai tempi apostolici, i Pastori si riunirono in diverse occasioni in assemblee allo scopo di trattare tematiche dottrinali e questioni disciplinari.

    Nei primi secoli della fede i Sinodi si moltiplicarono sia nell’Oriente sia nell’Occidente cristiano, mostrando quanto fosse importante custodire l’unità del Popolo di Dio e l’annuncio fedele del Vangelo.

    L’Anno giubilare potrà essere un’opportunità importante per dare concretezza a questa forma sinodale, che la comunità cristiana avverte oggi come espressione sempre più necessaria per meglio corrispondere all’urgenza dell’evangelizzazione: tutti i battezzati, ognuno con il proprio carisma e ministero, corresponsabili affinché molteplici segni di speranza testimonino la presenza di Dio nel mondo.

    Il Concilio di Nicea ebbe il compito di preservare l’unità, seriamente minacciata dalla negazione della divinità di Gesù Cristo e della sua uguaglianza con il Padre.

    Erano presenti circa trecento Vescovi, che si riunirono nel palazzo imperiale convocati su impulso dell’imperatore Costantino il 20 maggio 325.

    Dopo vari dibattimenti, tutti, con la grazia dello Spirito, si riconobbero nel Simbolo di fede che ancora oggi professiamo nella Celebrazione eucaristica domenicale.

    I Padri conciliari vollero iniziare quel Simbolo utilizzando per la prima volta l’espressione «Noi crediamo», [10] a testimonianza che in quel “Noi” tutte le Chiese si ritrovavano in comunione, e tutti i cristiani professavano la medesima fede.

    Il Concilio di Nicea è una pietra miliare nella storia della Chiesa.

    L’anniversario della sua ricorrenza invita i cristiani a unirsi nella lode e nel ringraziamento alla Santissima Trinità e in particolare a Gesù Cristo, il Figlio di Dio, «della stessa sostanza del Padre», [11] che ci ha rivelato tale mistero di amore.

    Ma Nicea rappresenta anche un invito a tutte le Chiese e Comunità ecclesiali a procedere nel cammino verso l’unità visibile, a non stancarsi di cercare forme adeguate per corrispondere pienamente alla preghiera di Gesù: «Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» ( Gv 17,21).

    Al Concilio di Nicea si trattò anche della datazione della Pasqua.

    A tale riguardo, vi sono ancora oggi posizioni differenti, che impediscono di celebrare nello stesso giorno l’evento fondante della fede.

    Per una provvidenziale circostanza, ciò avverrà proprio nell’Anno 2025.

    Possa essere questo un appello per tutti i cristiani d’Oriente e d’Occidente a compiere un passo deciso verso l’unità intorno a una data comune per la Pasqua.

    Molti, è bene ricordarlo, non hanno più cognizione delle diatribe del passato e non comprendono come possano sussistere divisioni a tale proposito.

    Ancorati alla speranza

    18. La speranza, insieme alla fede e alla carità, forma il trittico delle “virtù teologali”, che esprimono l’essenza della vita cristiana (cfr.

    1Cor 13,13; 1Ts 1,3).

    Nel loro dinamismo inscindibile, la speranza è quella che, per così dire, imprime l’orientamento, indica la direzione e la finalità dell’esistenza credente.

    Perciò l’apostolo Paolo invita ad essere «lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12).

    Sì, abbiamo bisogno di «abbondare nella speranza» (cfr.

    Rm 15,13)
    per testimoniare in modo credibile e attraente la fede e l’amore che portiamo nel cuore; perché la fede sia gioiosa, la carità entusiasta; perché ognuno sia in grado di donare anche solo un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito, sapendo che, nello Spirito di Gesù, ciò può diventare per chi lo riceve un seme fecondo di speranza.

    Ma qual è il fondamento del nostro sperare? Per comprenderlo è bene soffermarci sulle ragioni della nostra speranza (cfr.

    1Pt 3,15).

    19. «Credo la vita eterna»: [12] così professa la nostra fede e la speranza cristiana trova in queste parole un cardine fondamentale.

    Essa, infatti, «è la virtù teologale per la quale desideriamo […] la vita eterna come nostra felicità».

    [13] Il Concilio Ecumenico Vaticano II afferma: «Se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d’oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione».

    [14] Noi, invece, in virtù della speranza nella quale siamo stati salvati, guardando al tempo che scorre, abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria.

    Viviamo dunque nell’attesa del suo ritorno e nella speranza di vivere per sempre in Lui: è con questo spirito che facciamo nostra la commossa invocazione dei primi cristiani, con la quale termina la Sacra Scrittura: «Vieni, Signore Gesù!» ( Ap 22,20).

    20. Gesù morto e risorto è il cuore della nostra fede.

    San Paolo, nell’enunciare in poche parole, utilizzando solo quattro verbi, tale contenuto, ci trasmette il “nucleo” della nostra speranza: «A voi […] ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» ( 1Cor 15,3-5).

    Cristo morì, fu sepolto, è risorto, apparve.

    Per noi è passato attraverso il dramma della morte.

    L’amore del Padre lo ha risuscitato nella forza dello Spirito, facendo della sua umanità la primizia dell’eternità per la nostra salvezza.

    La speranza cristiana consiste proprio in questo: davanti alla morte, dove tutto sembra finire, si riceve la certezza che, grazie a Cristo, alla sua grazia che ci è stata comunicata nel Battesimo, «la vita non è tolta, ma trasformata», [15] per sempre.

    Nel Battesimo, infatti, sepolti insieme con Cristo, riceviamo in Lui risorto il dono di una vita nuova, che abbatte il muro della morte, facendo di essa un passaggio verso l’eternità.

    E se di fronte alla morte, dolorosa separazione che costringe a lasciare gli affetti più cari, non è consentita alcuna retorica, il Giubileo ci offrirà l’opportunità di riscoprire, con immensa gratitudine, il dono di quella vita nuova ricevuta nel Battesimo in grado di trasfigurarne il dramma.

    È significativo ripensare, nel contesto giubilare, a come tale mistero sia stato compreso fin dai primi secoli della fede.

    Per lungo tempo, ad esempio, i cristiani hanno costruito la vasca battesimale a forma ottagonale, e ancora oggi possiamo ammirare molti battisteri antichi che conservano tale forma, come a Roma presso San Giovanni in Laterano.

    Essa indica che nel fonte battesimale viene inaugurato l’ottavo giorno, cioè quello della risurrezione, il giorno che va oltre il ritmo abituale, segnato dalla scadenza settimanale, aprendo così il ciclo del tempo alla dimensione dell’eternità, alla vita che dura per sempre: questo è il traguardo a cui tendiamo nel nostro pellegrinaggio terreno (cfr.

    Rm 6,22).

    La testimonianza più convincente di tale speranza ci viene offerta dai martiri, che, saldi nella fede in Cristo risorto, hanno saputo rinunciare alla vita stessa di quaggiù pur di non tradire il loro Signore.

    Essi sono presenti in tutte le epoche e sono numerosi, forse più che mai, ai nostri giorni, quali confessori della vita che non conosce fine.

    Abbiamo bisogno di custodire la loro testimonianza per rendere feconda la nostra speranza.

    Questi martiri, appartenenti alle diverse tradizioni cristiane, sono anche semi di unità perché esprimono l’ecumenismo del sangue.

    Durante il Giubileo pertanto è mio vivo desiderio che non manchi una celebrazione ecumenica in modo da rendere evidente la ricchezza della testimonianza di questi martiri.

    21. Cosa sarà dunque di noi dopo la morte? Con Gesù al di là di questa soglia c’è la vita eterna, che consiste nella comunione piena con Dio, nella contemplazione e partecipazione del suo amore infinito.

    Quanto adesso viviamo nella speranza, allora lo vedremo nella realtà.

    Sant’Agostino in proposito scriveva: «Quando mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena dovunque.

    Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te».

    [16] Cosa caratterizzerà dunque tale pienezza di comunione? L’essere felici.

    La felicità è la vocazione dell’essere umano, un traguardo che riguarda tutti.

    Ma che cos’è la felicità? Quale felicità attendiamo e desideriamo? Non un’allegria passeggera, una soddisfazione effimera che, una volta raggiunta, chiede ancora e sempre di più, in una spirale di avidità in cui l’animo umano non è mai sazio, ma sempre più vuoto.

    Abbiamo bisogno di una felicità che si compia definitivamente in quello che ci realizza, ovvero nell’amore, così da poter dire, già ora: «Sono amato, dunque esisto; ed esisterò per sempre nell’Amore che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi».

    Ricordiamo ancora le parole dell’Apostolo: «Io sono […] persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39).

    22. Un’altra realtà connessa con la vita eterna è il giudizio di Dio, sia al termine della nostra esistenza che alla fine dei tempi.

    L’arte ha spesso cercato di rappresentarlo – pensiamo al capolavoro di Michelangelo nella Cappella Sistina – accogliendo la concezione teologica del tempo e trasmettendo in chi osserva un senso di timore.

    Se è giusto disporci con grande consapevolezza e serietà al momento che ricapitola l’esistenza, al tempo stesso è necessario farlo sempre nella dimensione della speranza, virtù teologale che sostiene la vita e permette di non cadere nella paura.

    Il giudizio di Dio, che è amore (cfr.

    1Gv 4,8.16), non potrà che basarsi sull’amore, in special modo su quanto lo avremo o meno praticato nei riguardi dei più bisognosi, nei quali Cristo, il Giudice stesso, è presente (cfr.


    Mt 25,31-46).

    Si tratta pertanto di un giudizio diverso da quello degli uomini e dei tribunali terreni; va compreso come una relazione di verità con Dio-amore e con sé stessi all’interno del mistero insondabile della misericordia divina.

    La Sacra Scrittura afferma in proposito: «Hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento […] e ci aspettiamo misericordia, quando siamo giudicati» ( Sap 12,19.22).

    Come scriveva Benedetto XVI, «nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male nel mondo e in noi.

    Il dolore dell’amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia».

    [17]

    Il giudizio, quindi, riguarda la salvezza nella quale speriamo e che Gesù ci ha ottenuto con la sua morte e risurrezione.

    Esso, pertanto, è volto ad aprire all’incontro definitivo con Lui.

    E poiché in tale contesto non si può pensare che il male compiuto rimanga nascosto, esso ha bisogno di venire purificato, per consentirci il passaggio definitivo nell’amore di Dio.

    Si comprende in tal senso la necessità di pregare per quanti hanno concluso il cammino terreno, solidarietà nell’intercessione orante che rinviene la propria efficacia nella comunione dei santi, nel comune vincolo che ci unisce in Cristo, primogenito della creazione.

    Così l’indulgenza giubilare, in forza della preghiera, è destinata in modo particolare a quanti ci hanno preceduto, perché ottengano piena misericordia.

    23. L’indulgenza, infatti, permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio.

    Non è un caso che nell’antichità il termine “misericordia” fosse interscambiabile con quello di “indulgenza”, proprio perché esso intende esprimere la pienezza del perdono di Dio che non conosce confini.

    Il Sacramento della Penitenza ci assicura che Dio cancella i nostri peccati.

    Ritornano con la loro carica di consolazione le parole del Salmo: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia.

    […] Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore.

    […] Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe.

    Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono; quanto dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe» (Sal 103,3-4.8.10-12).

    La Riconciliazione sacramentale non è solo una bella opportunità spirituale, ma rappresenta un passo decisivo, essenziale e irrinunciabile per il cammino di fede di ciascuno.

    Lì permettiamo al Signore di distruggere i nostri peccati, di risanarci il cuore, di rialzarci e di abbracciarci, di farci conoscere il suo volto tenero e compassionevole.

    Non c’è infatti modo migliore per conoscere Dio che lasciarsi riconciliare da Lui (cfr.

    2Cor 5,20), assaporando il suo perdono.

    Non rinunciamo dunque alla Confessione, ma riscopriamo la bellezza del sacramento della guarigione e della gioia, la bellezza del perdono dei peccati!

    Tuttavia, come sappiamo per esperienza personale, il peccato “lascia il segno”, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenze del male commesso, ma anche interiori, in quanto «ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio».

    [18] Dunque permangono, nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei “residui del peccato”.

    Essi vengono rimossi dall’indulgenza, sempre per la grazia di Cristo, il quale, come scrisse San Paolo VI, è «la nostra “indulgenza”».

    [19] La Penitenzieria Apostolica provvederà ad emanare le disposizioni per poter ottenere e rendere effettiva la pratica dell’Indulgenza Giubilare.

    Tale esperienza piena di perdono non può che aprire il cuore e la mente a perdonare.

    Perdonare non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia, il perdono può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta.

    Il futuro rischiarato dal perdono consente di leggere il passato con occhi diversi, più sereni, seppure ancora solcati da lacrime.

    Nello scorso Giubileo Straordinario ho istituito i Missionari della Misericordia, che continuano a svolgere un’importante missione.

    Possano anche durante il prossimo Giubileo esercitare il loro ministero, restituendo speranza e perdonando ogni volta che un peccatore si rivolge a loro con cuore aperto e animo pentito.

    Continuino ad essere strumenti di riconciliazione e aiutino a guardare l’avvenire con la speranza del cuore che proviene dalla misericordia del Padre.

    Auspico che i Vescovi possano avvalersi del loro prezioso servizio, specialmente inviandoli laddove la speranza è messa a dura prova, come nelle carceri, negli ospedali e nei luoghi in cui la dignità della persona viene calpestata, nelle situazioni più disagiate e nei contesti di maggior degrado, perché nessuno sia privo della possibilità di ricevere il perdono e la consolazione di Dio.

    24. La speranza trova nella Madre di Dio la più alta testimone.

    In lei vediamo come la speranza non sia fatuo ottimismo, ma dono di grazia nel realismo della vita.

    Come ogni mamma, tutte le volte che guardava al Figlio pensava al suo futuro, e certamente nel cuore restavano scolpite quelle parole che Simeone le aveva rivolto nel tempio: «Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,34-35).

    E ai piedi della croce, mentre vedeva Gesù innocente soffrire e morire, pur attraversata da un dolore straziante, ripeteva il suo “sì”, senza perdere la speranza e la fiducia nel Signore.

    In tal modo ella cooperava per noi al compimento di quanto suo Figlio aveva detto, annunciando che avrebbe dovuto «soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere»
    (Mc 8,31), e nel travaglio di quel dolore offerto per amore diventava Madre nostra, Madre della speranza.

    Non è un caso che la pietà popolare continui a invocare la Vergine Santa come Stella maris, un titolo espressivo della speranza certa che nelle burrascose vicende della vita la Madre di Dio viene in nostro aiuto, ci sorregge e ci invita ad avere fiducia e a continuare a sperare.

    In proposito, mi piace ricordare che il Santuario di Nostra Signora di Guadalupe, a Città del Messico, si sta preparando a celebrare, nel 2031, i 500 anni dalla prima apparizione della Vergine.

    Attraverso il giovane Juan Diego la Madre di Dio faceva giungere un rivoluzionario messaggio di speranza che anche oggi ripete a tutti i pellegrini e ai fedeli: «Non sto forse qui io, che sono tua madre?».

    [20] Un messaggio simile viene impresso nei cuori in tanti Santuari mariani sparsi nel mondo, mete di numerosi pellegrini, che affidano alla Madre di Dio preoccupazioni, dolori e attese.

    In questo Anno giubilare i Santuari siano luoghi santi di accoglienza e spazi privilegiati per generare speranza.

    Invito i pellegrini che verranno a Roma a fare una sosta di preghiera nei Santuari mariani della città per venerare la Vergine Maria e invocare la sua protezione.

    Sono fiducioso che tutti, specialmente quanti soffrono e sono tribolati, potranno sperimentare la vicinanza della più affettuosa delle mamme, che mai abbandona i suoi figli, lei che per il santo Popolo di Dio è «segno di sicura speranza e di consolazione».

    [21]

    25. In cammino verso il Giubileo, ritorniamo alla Sacra Scrittura e sentiamo rivolte a noi queste parole: «Noi, che abbiamo cercato rifugio in lui, abbiamo un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta.

    In essa infatti abbiamo come un’àncora sicura e salda per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato come precursore per noi» (Eb 6,18-20).

    È un invito forte a non perdere mai la speranza che ci è stata donata, a tenerla stretta trovando rifugio in Dio.

    L’immagine dell’àncora è suggestiva per comprendere la stabilità e la sicurezza che, in mezzo alle acque agitate della vita, possediamo se ci affidiamo al Signore Gesù.

    Le tempeste non potranno mai avere la meglio, perché siamo ancorati alla speranza della grazia, capace di farci vivere in Cristo superando il peccato, la paura e la morte.

    Questa speranza, ben più grande delle soddisfazioni di ogni giorno e dei miglioramenti delle condizioni di vita, ci trasporta al di là delle prove e ci esorta a camminare senza perdere di vista la grandezza della meta alla quale siamo chiamati, il Cielo.

    Il prossimo Giubileo, dunque, sarà un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio.

    Ci aiuti pure a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato.

    La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (cfr.

    2Pt 3,13), dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore.

    Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di noi diventi contagiosa per quanti la desiderano.

    Possa la nostra vita dire loro: «Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore» (Sal 27,14).

    Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora e per i secoli futuri.

    Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 9 maggio, Solennità dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo, dell’Anno 2024, dodicesimo di Pontificato.


    FRANCESCO

    ____________________________________
     

    [1] Agostino, Discorsi, 198 augm., 2.

    [2] Cfr.

    Fonti Francescane, n.

    263,6.10.

    [3] Cfr.

    Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della misericordia, 11 aprile 2015,
    nn.

    1-3.

    [4] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 7 dicembre 1965, n.

    4.

    [5] Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune, 24 maggio 2015, n.

    50.

    [6] Cfr.

    Catechismo della Chiesa Cattolica, n.

    2267.

    [7] Francesco, Laudato si’, cit., n.

    49.

    [8] Francesco, Lettera Enciclica Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale, 3 ottobre 2020, n.

    262.

    [9] Francesco, Laudato si’, cit., n.

    51.

    [10]Simbolo niceno: H.

    Denzinger – A.

    Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, n.

    125.

    [11]Ibid.

    [12]Simbolo degli Apostoli: H.

    Denzinger – A.

    Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, n.

    30.

    [13]Catechismo della Chiesa Cattolica, n.

    1817.

    [14] Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, cit., n.

    21.

    [15] Messale Romano, Prefazio dei defunti I.

    [16] Agostino, Confessioni, X, 28.

    [17] Benedetto XVI, Lettera Enciclica Spe salvi, 30 novembre 2007, n.

    47.

    [18]Catechismo della Chiesa Cattolica, n.

    1472.

    [19] Paolo VI, Lettera Apostolica Apostolorum limina, 23 maggio 1974, II.

    [20]Nican Mopohua, n.

    119.

    [21] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa, 21 novembre 1964, n.

    68.

    Ascensione del Signore – Consegna e lettura della Bolla di indizione del Giubileo 2025 e Secondi Vespri (9 Mag 2024)
    Visita il link

    Tra canti di gioia Gesù è asceso al Cielo, dove siede alla destra del Padre.

    Egli – come abbiamo appena ascoltato – ha ingoiato la morte perché noi diventassimo eredi della vita eterna (cfr 1 Pt 3,22Vulg.).

    L’Ascensione del Signore, perciò, non è un distacco, una separazione, un allontanarsi da noi, ma è il compimento della sua missione: Gesù è disceso fino a noi per farci salire fino al Padre; è disceso in basso per portarci in alto; è disceso nelle profondità della terra perché il Cielo si potesse spalancare sopra di noi.

    Egli ha distrutto la nostra morte perché noi potessimo ricevere la vita, e per sempre.

    Questo è il fondamento della nostra speranza: Cristo asceso al Cielo porta nel cuore di Dio la nostra umanità carica di attese e di domande, «per darci la serena fiducia che dove è Lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria» (cfr Prefazio dell’Ascensione).

    Fratelli e sorelle, è questa speranza, radicata in Cristo morto e risorto, che vogliamo celebrare, accogliere e annunciare al mondo intero nel prossimo Giubileo, che è ormai alle porte.

    Non si tratta di semplice ottimismo – diciamo ottimismo umano – o di un’effimera aspettativa legata a qualche sicurezza terrena, no, è una realtà già compiuta in Gesù e che ogni giorno è donata anche a noi, fino a quando saremo una cosa sola nell’abbraccio del suo amore.

    La speranza cristiana – scrive San Pietro – è «un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1 Pt 1,4).

    La speranza cristiana sostiene il cammino della nostra vita anche quando si presenta tortuoso e faticoso; apre davanti a noi strade di futuro quando la rassegnazione e il pessimismo vorrebbero tenerci prigionieri; ci fa vedere il bene possibile quando il male sembra prevalere; la speranza cristiana ci infonde serenità quando il cuore è appesantito dal fallimento e dal peccato; ci fa sognare una nuova umanità e ci rende coraggiosi nel costruire un mondo fraterno e pacifico, quando sembra che non valga la pena di impegnarsi.

    Questa è la speranza, il dono che il Signore ci ha dato con il Battesimo.

    Carissimi, mentre, con l’Anno della preghiera, ci prepariamo al Giubileo, eleviamo il cuore a Cristo, per diventare cantori di speranza in una civiltà segnata da troppe disperazioni.

    Con i gesti, con le parole, con le scelte di ogni giorno, con la pazienza di seminare un po’ di bellezza e di gentilezza ovunque ci troviamo, vogliamo cantare la speranza, perché la sua melodia faccia vibrare le corde dell’umanità e risvegli nei cuori la gioia, risvegli il coraggio di abbracciare la vita.

    Di speranza, infatti, abbiamo bisogno, ne abbiamo bisogno tutti.

    La speranza non delude, non dimentichiamo questo.

    Ne ha bisogno la società in cui viviamo, spesso immersa nel solo presente e incapace di guardare al futuro; ne ha bisogno la nostra epoca, che a volte si trascina stancamente nel grigiore dell’individualismo e del “tirare a campare”; ne ha bisogno il creato, gravemente ferito e deturpato dagli egoismi umani; ne hanno bisogno i popoli e le nazioni, che si affacciano al domani carichi di inquietudini e di paure, mentre le ingiustizie si protraggono con arroganza, i poveri vengono scartati, le guerre seminano morte, gli ultimi restano ancora in fondo alla lista e il sogno di un mondo fraterno rischia di apparire come un miraggio.

    Ne hanno bisogno i giovani, spesso disorientati ma desiderosi di vivere in pienezza; ne hanno bisogno gli anziani, che la cultura dell’efficienza e dello scarto non sa più rispettare e ascoltare; ne hanno bisogno gli ammalati e tutti coloro che sono piagati nel corpo e nello spirito, che possono ricevere sollievo attraverso la nostra vicinanza e la nostra cura.

    E inoltre, cari fratelli e sorelle, di speranza ha bisogno la Chiesa, perché, anche quando sperimenta il peso della fatica e della fragilità, non dimentichi mai di essere la Sposa di Cristo, amata di un amore eterno e fedele, chiamata a custodire la luce del Vangelo, inviata a trasmettere a tutti il fuoco che Gesù ha portato e acceso nel mondo una volta per sempre.

    Di speranza ha bisogno ciascuno di noi: le nostre vite talvolta affaticate e ferite, i nostri cuori assetati di verità, di bontà e di bellezza, i nostri sogni che nessun buio può spegnere.

    Tutto, dentro e fuori di noi, invoca speranza e va cercando, anche senza saperlo, la vicinanza di Dio.

    A noi sembra – diceva Romano Guardini – che il nostro sia il tempo della lontananza da Dio, in cui il mondo si riempie di cose e la Parola del Signore tramonta; tuttavia, egli afferma: «Se però verrà il tempo – e verrà, dopo che l’oscurità sarà stata superata – in cui l’uomo domanderà a Dio: “Signore, allora dov’eri?”, allora di nuovo udrà la risposta: “Più che mai vicino a voi!”.

    Forse Dio è più vicino al nostro tempo glaciale che al barocco con lo sfarzo delle sue chiese, al medioevo con la dovizia dei suoi simboli, al cristianesimo dei primordi con il suo giovanile coraggio di fronte alla morte.

    […] Però Egli attende […] che noi gli restiamo fedeli.

    Da questo potrebbe sorgere una fede non meno valida, anzi forse più pura, in ogni caso più intensa di quanto sia mai stata nei tempi della ricchezza interiore» (R.

    Guardini, Accettare se stessi, Brescia 1992, 72).

    Fratelli e sorelle, il Signore risorto e asceso al Cielo ci doni la grazia di riscoprire la speranza – riscoprire la speranza! –, di annunciare la speranza, di costruire la speranza.

    Udienza Generale dell'8 Mag 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 18. La speranza
    Visita il link

    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    18. La speranza

    Cari fratelli e sorelle!

    Nell’ultima catechesi abbiamo cominciato a riflettere sulle virtù teologali.

    Sono tre: fede, speranza e carità.

    La volta scorsa abbiamo riflettuto sulla fede, oggi tocca alla speranza.

    «La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.

    1817).

    Queste parole ci confermano che la speranza è la risposta offerta al nostro cuore, quando nasce in noi la domanda assoluta: “Che ne sarà di me? Qual è la meta del viaggio? Che ne è del destino del mondo?”.

    Tutti ci accorgiamo che una risposta negativa a queste domande produce tristezza.

    Se non c’è un senso al viaggio della vita, se all’inizio e alla fine c’è il nulla, allora ci domandiamo perché mai dovremmo camminare: da qui nasce la disperazione dell’uomo, la sensazione della inutilità di tutto.

    E molti potrebbero ribellarsi: mi sono sforzato di essere virtuoso, di essere prudente, giusto, forte, temperante.

    Sono stato anche un uomo o una donna di fede...

    A che cosa è servito il mio combattimento se tutto finisce qui?.

    Se manca la speranza, tutte le altre virtù rischiano di sgretolarsi e di finire in cenere.

    Se non esistesse un domani affidabile, un orizzonte luminoso, non resterebbe che concludere che la virtù sia una fatica inutile.

    «Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente», diceva Benedetto XVI (Lett.

    enc.

    Spe salvi, 2).

    Il cristiano ha speranza non per merito proprio.

    Se crede nel futuro è perché Cristo è morto e risorto e ci ha donato il suo Spirito.

    «La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente» (ivi, 1).

    In questo senso, ancora una volta, noi diciamo che la speranza è una virtù teologale: non promana da noi, non è una ostinazione di cui vogliamo autoconvincerci, ma è un regalo che viene direttamente da Dio.

    A tanti cristiani dubbiosi, che non erano completamente rinati alla speranza, l’apostolo Paolo pone davanti la logica nuova dell’esperienza cristiana: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.

    Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.

    Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (1 Cor 15,17-19).

    È come se dicesse: se credi nella risurrezione di Cristo, allora sai con certezza che nessuna sconfitta e nessuna morte è per sempre.

    Ma se non credi nella risurrezione di Cristo, allora tutto diventa vuoto, perfino la predicazione degli Apostoli.

    La speranza è una virtù contro cui pecchiamo spesso: nelle nostre cattive nostalgie, nelle nostre malinconie, quando pensiamo che le felicità del passato siano sepolte per sempre.

    Pecchiamo contro la speranza quando ci abbattiamo davanti ai nostri peccati, dimenticando che Dio è misericordioso ed è più grande del nostro cuore.

    Non dimentichiamo questo, fratelli e sorelle: Dio perdona tutto, Dio perdona sempre.

    Siamo noi a stancarci di chiedere perdono.

    Ma non dimentichiamo questa verità: Dio perdona tutto, Dio perdona sempre.

    Pecchiamo contro la speranza quando ci abbattiamo davanti ai nostri peccati; pecchiamo contro la speranza quando in noi l’autunno cancella la primavera; quando l’amore di Dio cessa di essere un fuoco eterno e non abbiamo il coraggio di prendere decisioni che ci impegnano per tutta la vita.

    Di questa virtù cristiana, il mondo oggi ha tanto bisogno! Il mondo ha bisogno della speranza, come ha tanto bisogno della pazienza, una virtù che cammina a stretto contatto con la speranza.

    Gli uomini pazienti sono tessitori di bene.

    Desiderano ostinatamente la pace, e anche se alcuni hanno fretta e vorrebbero tutto e subito, la pazienza ha la capacità dell’attesa.

    Anche quando intorno a sé molti hanno ceduto alla disillusione, chi è animato dalla speranza ed è paziente è in grado di attraversare le notti più buie.

    Speranza e pazienza vanno insieme.

    La speranza è la virtù di chi ha il cuore giovane; e qui non conta l’età anagrafica.

    Perché ci sono anche vecchi con gli occhi pieni di luce, che vivono una tensione permanente verso il futuro.

    Pensiamo a quei due grandi vecchi del Vangelo, Simeone e Anna: non si stancarono mai di attendere e videro l’ultimo tratto del loro cammino benedetto dall’incontro con il Messia, che riconobbero in Gesù, portato al Tempio dai suoi genitori.

    Che grazia se fosse così per tutti noi! Se dopo un lungo peregrinare, deponendo bisaccia e bastone, il nostro cuore si colmasse di una gioia mai provata prima e anche noi potessimo esclamare: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo / vada in pace, secondo la tua parola, / perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli: / luce per rivelarti alle genti / e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,29-32).

    Fratelli e sorelle, andiamo avanti e chiediamo la grazia di avere la speranza, la speranza con la pazienza.

    Sempre guardare a quell’incontro definitivo; sempre pensare che il Signore è vicino a noi, che mai, mai la morte sarà vittoriosa! Andiamo avanti e chiediamo al Signore ci dia questa grande virtù della speranza, accompagnata dalla pazienza.

    Grazie.

    _________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les personnes de langue française, particulièrement les pèlerins provenant des paroisses et des établissements scolaires de France, ainsi que ceux de l’Ile de la Réunion et du Sénégal.

    Face à l’avenir qui parfois peut sembler sombre, soyons des semeurs d’espérance et des tisseurs de bien, convaincus que la vie peut être vécue autrement et que la paix est possible.

    Que Dieu vous bénisse !

    [Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua francese, in particolare ai pellegrini provenienti dalle parrocchie e dagli Istituti scolastici di Francia, e a quelli dell'Isola della Riunione e del Senegal.

    Di fronte a un futuro che a volte può sembrare buio, cerchiamo di essere seminatori di speranza e tessitori di bene, convinti che la vita può essere vissuta in modo diverso e che la pace è possibile.

    Dio vi benedica!]

    I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially those from Cameroon, India, the Philippines and the United States of America.

    As we prepare to celebrate the Solemnity of the Ascension, I invoke upon you and your families the joy and peace of our Lord Jesus Christ, risen and ascended into heaven.

    May the Lord bless you all!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Camerun, India, Filippine e Stati Uniti d’America.

    Nell’imminenza della Solennità dell’Ascensione, invoco su voi e sulle vostre famiglie la gioia e la pace del Signore Gesú, risorto e salito al cielo! Il Signore vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern, das bevorstehende Hochfest Christi Himmelfahrt, ermutigt uns, unsere Blicke zum Himmel zu erheben, wo Christus zur Rechten des Vaters sitzt und für jeden von uns einen Platz vorbereitet hat.

    Leben wir also nach dem Evangelium und richten wir unseren Sinn auf das, was oben ist (vgl.

    Kol 3,2).

    [Cari fratelli e sorelle, l’imminente solennità dell’Ascensione ci esorta ad alzare i nostri sguardi verso il Cielo, dove Cristo siede alla destra del Padre e ha preparato un posto per ciascuno di noi.

    Viviamo dunque il Vangelo e rivolgiamo il pensiero alle cose di lassù (cfr.

    Col 3,2).]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.Que el Señor acrezca nuestra esperanza y nuestra paciencia, para ser artesanos de paz y de bien en el mundo que tiene mucha necesidad de la virtud.

    Hoy en mi patria, en Argentina, se celebra la solemnidad de Nuestra Señora de Luján, cuya imagen está aquí presente.

    Pidamos por Argentina, para que el Señor la ayude en su camino.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Saúdo cordialmente os peregrinos de língua portuguesa, em particular os fiéis de Ourinhos, e vos animo a procurar sempre o olhar de Nossa Senhora que conforta todos aqueles que estão na provação e mantém aberto o horizonte da esperança.

    Enquanto vos entrego, vós e as vossas famílias, à sua proteção, invoco sobre todos a Bênção de Deus.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua portoghese, in particolare i fedeli di Ourinhos; e li incoraggio a cercare sempre lo sguardo della Madonna che conforta quanti sono nella prova e tiene aperto l’orizzonte della speranza.

    Nell’affidare voi e le vostre famiglie alla sua protezione, invoco su tutti la Benedizione di Dio.]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    المَسِيحِيُّ يَجِدُ في الرَّجاءِ العزاءَ والأمانَ والثِّقَةَ باللهِ لِمُواجَهَةِ تَحَدِّياتِ الحياةِ بِشَجاعَة.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Il cristiano trova nella speranza consolazione, sicurezza e fiducia in Dio per affrontare con coraggio le sfide della vita.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie Polaków.

    Obchodzicie dziś uroczystość św.

    Stanisława, biskupa i męczennika, patrona waszej ojczyzny.

    Św.

    Jan Paweł II napisał o nim, że z wyżyn nieba uczestniczył w cierpieniach i nadziei waszego narodu, wspierając go w zmaganiach o przetrwanie szczególnie w czasie II wojny światowej.

    Niech również i dziś wstawiennictwo św.

    Stanisława wyjedna dar pokoju w Europie i na całym świecie, zwłaszcza na Ukrainie i Bliskim Wschodzie.

    Z serca wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i polacchi.

    Oggi celebrate la solennità di San Stanislao, Vescovo e Martire, patrono della vostra Patria.

    San Giovanni Paolo II scrisse di lui che dall’alto dei cieli partecipò alle sofferenze e alle speranze della vostra Nazione, sostenendone la sopravvivenza specialmente durante la seconda guerra mondiale.

    L’intercessione di San Stanislao ottenga anche oggi il dono della pace in Europa e in tutto il mondo, specialmente in Ucraina e in Medio Oriente.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto la Guardia di Finanza di L’Aquila, l’Associazione per l’Assistenza alle Forze Armate, il Centro di riabilitazione neuromotoria di Marcianise.

    Accolgo con affetto i gruppi di studenti, con un pensiero speciale per quelli dell’Istituto Caboto di Gaeta e dell’Istituto Marconi di Penne.

    Oggi la Chiesa eleva la preghiera della “Supplica” alla Madonna del Rosario di Pompei.

    Invito tutti ad invocare l’intercessione di Maria, affinché il Signore conceda pace al mondo intero, specialmente alla cara e martoriata Ucraina, alla Palestina, e a Israele, al Myanmar.

    Affido in particolare alla nostra Madre i giovani, gli ammalati, gli anziani e gli sposi novelli che oggi sono qui presenti, ed esorto tutti a valorizzare in questo mese di maggio la preghiera del santo Rosario.

    A tutti la mia benedizione!

    Al Card. Michael Czerny, con un gruppo di giovani imprenditori e lavoratori (8 Mag 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    In occasione di questo vostro incontro, sono lieto di dare il benvenuto a voi che siete partner dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, delle Conferenze Episcopali, delle Congregazioni religiose, delle organizzazioni di ispirazione cattolica e di altre confessioni, dei sindacati e di altri gruppi di base della società civile, impegnati nel progetto «Il futuro del lavoro: il lavoro dopo la Laudato si’».

    Negli ultimi sei anni avete portato avanti riflessioni, dialoghi e ricerche, proponendo modelli d’azione innovativi per un lavoro equo, giusto, dignitoso per tutte le persone del mondo.

    E ringrazio i Superiori del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale per aver incoraggiato questo impegno.

    Allo stesso modo, ringrazio la Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni, che si è adoperata per il coordinamento e la gestione del progetto.

    Grazie, grazie tante!

    Nei prossimi giorni il vostro raduno sarà incentrato sul tema “La cura è lavoro, il lavoro è cura”.

    Per costruire una comunità trasformativa globale.

    Ciò vi permetterà di passare a una seconda fase di questo progetto, impiegando il metodo del discernimento sociale comune.

    È necessario, infatti, mettere in comune tutte le nostre risorse personali e istituzionali, per avviare una lettura adeguata del contesto sociale in cui ci muoviamo, cercando di cogliere le potenzialità e, al contempo, di riconoscere in anticipo quei mali sistemici che possono diventare delle piaghe sociali.

    Avete individuato cinque tematiche che rivestono un’importanza cruciale per l’intera società.

    Vorrei ricordarle brevemente.

    Innanzitutto il lavoro dignitoso e le industrie estrattive.

    Come ho ricordato anche nell’Enciclica Laudato si’, le esportazioni di alcune materie prime al solo scopo di soddisfare i mercati del Nord industrializzato, non sono state esenti da conseguenze anche gravi, tra cui l’inquinamento da mercurio o da diossido di zolfo nelle miniere.

    È fondamentale che le condizioni del lavoro siano connesse con gli impatti ambientali, prestando molta attenzione ai possibili effetti in termini di salute fisica e mentale delle persone coinvolte, nonché di sicurezza. 

    Un secondo tema è il lavoro dignitoso e la sicurezza alimentare.

    Il Rapporto globale sulle crisi alimentari, pubblicato di recente, ha rilevato che, nel 2023, più di 280 milioni di persone in 59 Paesi e in diversi territori hanno sofferto livelli elevati di insicurezza alimentare acuta, che richiedono un intervento assistenziale urgente; senza dimenticare che in zone come Gaza e il Sudan, devastate dalla guerra, si trova il maggior numero di persone che stanno affrontando la carestia.I disastri naturali e le condizioni meteorologiche estreme, ora intensificate dal cambiamento climatico, oltre agli shock economici, sono altri importanti fattori che determinano l’insicurezza alimentare, legati a loro volta ad alcune vulnerabilità strutturali quali la povertà, l’elevata dipendenza dalle importazioni di prodotti alimentari e le infrastrutture precarie.

    Non dobbiamo dimenticare, poi, una terza questione che riguarda la relazione tra lavoro dignitoso e migrazione.

    Per molte ragioni, sono tante le persone che emigrano in cerca di lavoro, mentre altre sono costrette a farlo per fuggire dai loro Paesi di provenienza, spesso dilaniati dalla violenza e dalla povertà.

    Queste persone, anche a causa di pregiudizi e di una informazione imprecisa o ideologica, sono spesso viste come un problema e un aggravio per i costi di una Nazione, mentre essi in realtà, lavorando, contribuiscono allo sviluppo economico e sociale del Paese che li accoglie e di quello da cui provengono.

    E su questo vorrei sottolineare la poca natalità.

    Questi Paesi ricchi non fanno figli: tutti hanno un cagnolino, un gatto, tutti, ma non fanno figli.

    La denatalità è un problema, e la migrazione viene ad aiutare la crisi che provoca la denatalità.

    Questo è un problema molto grave.

    Tuttavia, molti migranti e lavoratori vulnerabili non sono ancora pienamente integrati nella pienezza dei diritti, sono cittadini “di seconda”, restando esclusi dall’accesso ai servizi sanitari, alle cure, all’assistenza, ai piani di protezione finanziaria e ai servizi psicosociali.

    Sempre in quest’ottica, è importante mettere a fuoco il rapporto tra lavoro dignitoso e giustizia sociale.

    Questa espressione, “giustizia sociale”, che è arrivata con le Encicliche sociali dei Papi, è una parola che non è accettata dall’economia liberale, dall’economia di punta.

    La giustizia sociale.

    In effetti, un rischio che corriamo nelle nostre attuali società è quello di accettare passivamente quanto accade attorno a noi, con una certa indifferenza oppure perché non siamo nelle condizioni di inquadrare problematiche spesso complesse e di trovare ad esse risposte adeguate.

    Ma ciò significa lasciar crescere le disuguaglianze sociali e le ingiustizie anche per quanto riguarda i rapporti di lavoro e i diritti fondamentali dei lavoratori.

    E questo non va bene!

    Infine, l’ultimo aspetto che avete considerato è quello del lavoro dignitoso connesso alla giusta transizione.

    Tenendo conto dell’interdipendenza tra lavoro e ambiente, si tratta di ripensare i tipi di lavoro che conviene promuovere in ordine alla cura della casa comune, specialmente sulla base delle fonti di energia che essi richiedono.

    Carissimi fratelli e sorelle, questi cinque aspetti rappresentano delle sfide importanti.

    Vi ringrazio perché le accogliete e le affrontate con passione e competenza.

    Il mondo ha bisogno di un rinnovato impegno, di un nuovo patto sociale che ci leghi insieme – generazioni più anziane e generazioni più giovani – per la cura del creato e per la solidarietà e la protezione reciproca all’interno della comunità umana.

    Dio benedica tutti voi e il vostro lavoro di questi giorni! E per favore, non dimenticatevi di pregare per me: questo lavoro non è facile! Grazie!

    Alle Guardie Svizzere Pontificie, in occasione del giuramento (6 Mag 2024)
    Visita il link

    Cari membri e familiari della Guardia Svizzera,
    illustri Autorità,
    cari fratelli e sorelle, cari bambini, buongiorno e benvenuti tutti!

    Saluto il Comandante, gli Ufficiali e tutti i membri della Guardia Svizzera Pontificia, insieme ai familiari venuti per la festa.

    Saluto con riconoscenza le Autorità civili e militari.

    Questo giorno giunge per me sempre atteso e gradito, perché mi offre l’occasione di esprimere pubblicamente il mio “grazie” per la presenza e il servizio della Guardia Svizzera.

    Prima di tutto per la presenza: una presenza che si distingue per la qualità, per lo stile gentile, attento, anzi scrupoloso.

    E naturalmente poi per il servizio quotidiano, sempre generoso e solerte.

    La mia gratitudine coinvolge con affetto anche le famiglie di questi giovani, perché, se sono qui, e se sono ben educati, lo si deve anzitutto all’ambiente in cui sono cresciuti.

    Vivo apprezzamento esprimo al Comandante, Signor Christoph Graf, e ai suoi collaboratori, tra i quali ringrazio in particolare il Cappellano, un bravo benedettino!

    Care Guardie, sono contento perché i vostri Superiori mi hanno riferito diversi aspetti positivi, che mi piace condividere in questo momento.

    Tra voi c’è un ottimo spirito di Corpo, un’atmosfera positiva e di rispetto in caserma, un comportamento cortese verso i Superiori e gli ospiti, nonostante periodi a volte anche lunghi di servizio intenso e faticoso, dovuti al fatto che siete numericamente un po’ al di sotto dell’effettivo.

    Dimostrate un alto livello di motivazione e di volontà di servire, e anche – questo mi rallegra molto – buoni rapporti tra di voi: fate escursioni insieme, trascorrete insieme i giorni di vacanza, uscite spesso in compagnia.

    E questo è molto bello!

    In effetti, la relazione è l’esperienza-chiave per noi cristiani: Gesù ci ha rivelato e testimoniato che Dio è amore, è in Sé stesso relazione, e in questo mistero troviamo la meta e il compimento della nostra esistenza.

    Le buone relazioni sono la strada maestra per la nostra crescita e maturazione umana e cristiana.

    Gran parte di ciò che caratterizza la nostra personalità lo abbiamo appreso attraverso le relazioni con i genitori, i fratelli e le sorelle, i compagni di scuola, gli insegnanti, gli amici, i colleghi di lavoro, e così via.

    Ecco perché la vita nella famiglia allargata della Guardia Svizzera, per almeno due anni di servizio, è un tempo così importante e formativo per voi.

    Non si tratta solo di un periodo di lavoro, ma di un tempo di vita e di relazione, di comunione intensa in una compagnia diversificata.

    Questa diversità e intensità di comunità e relazioni tra di voi nel vostro ambiente quotidiano della caserma costituisce per voi un aspetto essenziale e qualificante.

    In questa prospettiva, la nuova caserma, attualmente in fase di progettazione, dovrebbe dare un importante contributo al ricongiungimento delle Guardie e delle loro famiglie, che attualmente sono costrette a vivere un po’ disperse per mancanza di spazio, e così anche al sostegno e al rafforzamento di questo legame e del senso di famiglia all’interno del Corpo.

    Sempre a proposito della dimensione relazionale, vi esorto a coltivare attivamente la vita comunitaria.

    Oggi è diffusa tra i giovani l’abitudine di trascorrere il tempo libero da soli con il computer o il telefonino.

    Pertanto dico anche a voi, giovani Guardie: andate controcorrente! Per favore, andate controcorrente! È meglio utilizzare il tempo libero per attività comuni, per conoscere Roma, per momenti di fraternità in cui raccontarsi e condividere, per lo sport...

    Queste esperienze costruiscono dentro e vi accompagneranno per tutta la vita.

    Carissimi, vi auguro una buona festa e vi affido alla protezione della Vergine Maria e dei vostri Santi patroni.

    So che pregate per me, lo so: vi ringrazio tanto e vi chiedo per favore di continuare a farlo.

    Grazie a tutti voi!

    Regina Caeli, 5 Mag 2024
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi il Vangelo ci parla di Gesù che dice agli Apostoli: “Non vi chiamo più servi, ma amici” (cfr Gv 15,15).

    Cosa significa questo?

    Nella Bibbia i “servi” di Dio sono persone speciali, a cui Egli affida missioni importanti, come ad esempio Mosè (cfr Es 14,31), il re Davide (cfr 2 Sam 7,8), il profeta Elia (cfr 1 Re 18,36), fino alla Vergine Maria (cfr Lc 1,38).

    Sono persone nelle cui mani Dio pone i suoi tesori (cfr Mt 25,21).

          Ma tutto questo non basta, secondo Gesù, per dire chi siamo noi per Lui, non basta, ci vuole di più, qualcosa di più grande, che va al di là dei beni e degli stessi progetti: ci vuole l’amicizia.

    Fin da bambini impariamo quanto è bella questa esperienza: agli amici offriamo i nostri giocattoli e i doni più belli; poi crescendo, da adolescenti, confidiamo loro i primi segreti; da giovani offriamo lealtà; da adulti condividiamo soddisfazioni e preoccupazioni; da vecchi condividiamo i ricordi, le considerazioni e i silenzi di lunghe giornate.

    La Parola di Dio, nel Libro dei Proverbi, ci dice che «profumo e incenso allietano il cuore e il consiglio dell’amico addolcisce l’animo» (27,9).

    Pensiamo un momento ai nostri amici, alle nostre amiche, e ringraziamone il Signore! Uno spazio per pensare a loro…

    L’amicizia non è frutto di calcolo, e neanche di costrizione: nasce spontaneamente quando riconosciamo nell’altro qualcosa di noi.

    E, se è vera, l’amicizia è tanto forte che non viene meno neanche di fronte al tradimento.

    «Un amico vuol bene sempre» (Pr 17,17) – afferma ancora il Libro dei Proverbi –, come ci mostra Gesù quando a Giuda, che lo tradisce con un bacio, dice: «Amico, per questo sei qui!» (Mt 26,50).

    Un vero amico non ti abbandona, nemmeno quando sbagli: ti corregge, magari ti rimprovera, ma ti perdona e non ti abbandona.

    E oggi Gesù, nel Vangelo, ci dice che noi per Lui siamo proprio questo, amici: persone care al di là di ogni merito e di ogni attesa, alle quali tende la mano e offre il suo amore, la sua Grazia, la sua Parola; con le quali – con noi, amici – condivide quello che ha di più caro, tutto quello che ha udito dal Padre (cfr Gv 15,15).

    Fino a farsi fragile per noi, a mettersi nelle nostre mani senza difese e senza pretese, perché ci vuole bene.

    Il Signore ci vuole bene, come amico vuole il nostro bene e ci vuole partecipi del suo.

    E allora chiediamoci: che volto ha per me il Signore? Il volto di un amico o di un estraneo? Mi sento amato da Lui come una persona cara? E qual è il volto di Gesù che testimonio agli altri, specialmente a quelli che sbagliano e hanno bisogno di perdono?

    Maria ci aiuti a crescere nell’amicizia col suo Figlio e a diffonderla attorno a noi.
    ___________________

    DOPO REGINA CAELI

    Cari fratelli e sorelle!

    Invio con tanto affetto i miei auguri ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Ortodosse e di alcune Chiese Cattoliche Orientali che oggi, secondo il calendario giuliano, celebrano la Santa Pasqua.

    Il Signore risorto colmi di gioia e di pace tutte le comunità, e conforti quelle che sono nella prova.

    A loro, Buona Pasqua!

    Assicuro la mia preghiera per le popolazioni dello Stato di Rio Grande do Sul, in Brasile, colpite da grandi inondazioni.

    Il Signore accolga i defunti e conforti i familiari e quanti hanno dovuto lasciare le loro case.

    Saluto i fedeli di Roma e di diverse parti d’Italia e del mondo, in particolare i pellegrini provenienti dal Texas, dall’arcidiocesi di Chicago e da Berlino; gli studenti della Scuola Saint-Jean de Passy di Parigi e il gruppo Human Life International.

    Saluto i giovani di Certaldo e Lainate; i fedeli di Ancona e Rossano Cariati; i ragazzi della Cresima di Cassano D’Adda, dell’Unità pastorale del Tesino e della parrocchia S.

    Maria del Rosario in Roma.

    E saluto e ringrazio tanto le bande musicali di varie parti d’Italia: grazie a voi, che avete suonato tanto bene, e spero che continuate a suonare un po’.

    Grazie! Saluto il gruppo “Francigeni Monteviale”; come pure i cittadini di Livorno e Collesalvetti, che da tempo attendono la bonifica dei territori più inquinati, preghiamo per loro.

    Un saluto caloroso rivolgo alle nuove Guardie Svizzere e ai loro familiari, in occasione della festa di questo storico e benemerito Corpo.

    Un applauso alle Guardie Svizzere!

    Accolgo con piacere l’Associazione “Meter”, impegnata nel contrasto ad ogni forma di abuso sui minori.

    Grazie, grazie per il vostro impegno! E continuate con coraggio la vostra importante attività.

    E per favore, continuiamo a pregare per la martoriata Ucraina – soffre tanto! – e anche per Palestina e Israele, che ci sia la pace, affinché il dialogo si rafforzi e porti buoni frutti.

    No alla guerra, sì al dialogo!

    Auguro a tutti una buona domenica.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Saluto i ragazzi dell’Immacolata, così bravi.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Ai partecipanti al Colloquio Internazionale "Réparer l'irréparable" (4 Mag 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle!

    Sono contento di accogliervi e vi do il mio cordiale benvenuto.

    Ringrazio Monsignor Benoit Rivière e Padre Louis Dupont per aver preso l’iniziativa di questo incontro, nel quadro della celebrazione del 350° anniversario delle apparizioni di Gesù a Santa Margherita Maria.

    La riparazione è un concetto che troviamo spesso nelle Sacre Scritture.

    Nell’Antico Testamento essa assume una dimensione sociale di compensazione del male commesso.

    È il caso della legge mosaica che prevedeva la restituzione di ciò che era stato rubato o la riparazione del danno causato (cfr Es 22,1-15; Lv 6,1-7).

    Si trattava di un atto di giustizia volto a salvaguardare la vita sociale.

    Nel Nuovo Testamento, invece, essa si configura come un processo spirituale, nel quadro della redenzione operata da Cristo.

    La riparazione si manifesta pienamente nel sacrificio della Croce.

    La novità qui è che essa rivela la misericordia del Signore verso il peccatore.

    La riparazione contribuisce quindi alla riconciliazione degli uomini tra loro, ma anche alla riconciliazione con Dio, perché il male commesso contro il prossimo è anche un’offesa a Dio.

    Come dice Ben Sirac il Saggio, “le lacrime della vedova non scendono forse sulle guance di Dio?” (cfr Sir 35,18).

    Cari amici, quante lacrime scendono ancora sulle guance di Dio, mentre il nostro mondo sperimenta tanti abusi contro la dignità della persona, anche all’interno del Popolo di Dio!

    Il titolo del vostro convegno mette insieme due espressioni opposte: “Riparare l’irreparabile”.

    In questo modo ci invita a sperare che ogni ferita possa essere guarita, anche se è profonda.

    La riparazione completa a volte sembra impossibile, quando beni o persone care vengono persi definitivamente o quando certe situazioni sono diventate irreversibili.

    Ma l’intenzione di riparare e di farlo concretamente è essenziale per il processo di riconciliazione e il ritorno della pace nel cuore.

    La riparazione, per essere cristiana, per toccare il cuore della persona offesa e non essere un semplice atto di giustizia commutativa, presuppone due atteggiamenti impegnativi: riconoscersi colpevole e chiedere perdono.

    Riconoscersi colpevole.

    Qualsiasi riparazione, umana o spirituale, inizia con il riconoscimento del proprio peccato.

    «Accusarsi fa parte della saggezza cristiana, questo piace al Signore, perché il Signore accoglie il cuore contrito» (Omelia nella Messa a S.

    Marta, 6 marzo 2018).

    È da questo onesto riconoscimento del male arrecato al fratello, e dal sentimento profondo e sincero che l’amore è stato ferito, che nasce il desiderio di riparare.

    Chiedere perdono.

    È la confessione del male commesso, sull’esempio del figlio prodigo che dice al Padre: «Ho peccato contro il cielo e contro di te» (Lc 15,21).

    Chiedere perdono riapre il dialogo e manifesta la volontà di ristabilire il legame nella carità fraterna.

    E la riparazione – anche un inizio di riparazione o già semplicemente la volontà di riparare – garantisce l’autenticità della richiesta di perdono, manifesta la sua profondità, la sua sincerità, tocca il cuore del fratello, lo consola e suscita in lui l’accoglienza del perdono richiesto.

    Quindi, se l’irreparabile non può essere completamente riparato, l’amore può sempre rinascere, rendendo sopportabile la ferita.

    Gesù chiese a Santa Margherita Maria atti di riparazione per le offese causate dai peccati degli uomini.

    Se questi atti hanno consolato il suo cuore, ciò significa che la riparazione può consolare anche il cuore di ogni persona ferita.

    Possano i lavori del vostro convegno rinnovare e approfondire il significato di questa bella pratica della riparazione al Sacro Cuore di Gesù, pratica che oggi può essere un po’ dimenticata o a torto giudicata desueta.

    E possano anche contribuire a valorizzarne il giusto posto nel cammino penitenziale di ciascun battezzato nella Chiesa.

    Prego perché il vostro Giubileo del Sacro Cuore susciti in tanti pellegrini un più grande amore di gratitudine verso Gesù, un più grande affetto; e perché il santuario di Paray-le-Monial sia sempre luogo di consolazione e di misericordia per ogni persona in cerca di pace interiore.

    Vi do la mia Benedizione.

    E vi chiedo, per favore, di pregare per me.

    Grazie!

    Al Coro della Basilica di Amsterdam (4 Mag 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle!

    Un caloroso benvenuto a voi, pellegrini d Amsterdam: al Vescovo  Mons.

    Hendriks, a Sua Eccellenza il Signor Ed Nijpels, ai membri della Fondazione cattolica per la promozione dell’assistenza sociale di Amsterdam, alla famiglia Russel, al Rettore e al Coro della basilica di San Nicola e a tutti voi.

    L’occasione della vostra visita è il 750° anniversario della città di Amsterdam, le cui celebrazioni inizieranno quest’anno.

    Le origini e lo sviluppo di questa città sono legati anche alla fede e alla Chiesa cattolica.

    Un momento chiave della sua storia è il miracolo eucaristico avvenuto nel 1345 e ricordato ancora oggi con una processione silenziosa e l’adorazione del Santissimo Sacramento.

    Nello stesso tempo, Amsterdam è una città in cui molte persone lavorano per i poveri e per i migranti, collaborando con l’opera delle Suore di Madre Teresa, con la pastorale per i tossicodipendenti, con la comunità di Sant’Egidio e con tante altre iniziative.

    Amsterdam è una città abitata da persone di molte nazionalità, chiamate a vivere insieme come fratelli e sorelle.

    Le chiese, in particolare, sono luoghi in cui si riuniscono persone di ogni condizione sociale e culturale.

    Vi ringrazio, vi ringrazio tanto per il vostro impegno in tal senso!

    Auguro a tutti voi che possiate vivere e lavorare nella vostra bella città con la benedizione di Dio; che possiate testimoniare con gioia la fede e l’amore concreto per il prossimo, animati e sostenuti dall’Eucaristia; e che il vostro impegno continui a promuovere la fratellanza e la solidarietà tra gli abitanti di Amsterdam.

    La Vergine Maria, madre di tutti gli uomini, vi custodisca nella fede, nella speranza e nella carità.

    Vi benedico di cuore e vi accompagno con i miei migliori auguri.

    E per favore, vi chiedo di pregare per me.

    Grazie!

    Alle coppie responsabili delle Équipes Notre-Dame (4 Mag 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle! 

    Sono lieto di incontrare voi responsabili internazionali del Movimento Équipes Notre-Dame.

    Grazie di essere venuti e soprattutto grazie per il vostro impegno per le famiglie.

    Siete un movimento in espansione: migliaia di équipes sparse in tutto il mondo, tante famiglie che cercano di vivere il matrimonio cristiano come un dono.

    La famiglia cristiana sta attraversando in questo cambiamento d’epoca una vera e propria “tempesta culturale” e si trova minacciata e tentata su vari fronti.

    Il vostro lavoro, perciò, è prezioso per la Chiesa.

    Voi accompagnate da vicino gli sposi perché non si sentano soli nelle difficoltà della vita e nella loro relazione coniugale.

    In questo modo siete espressione della Chiesa “in uscita”, che si fa vicina alle situazioni e ai problemi della gente e si spende senza riserve per il bene delle famiglie di oggi e di domani.

    È una vera missione oggi accompagnare gli sposi! Custodire il matrimonio, infatti, significa custodire una famiglia intera, significa salvare tutte le relazioni che dal matrimonio sono generate: l’amore tra gli sposi, tra genitori e figli, tra nonni e nipoti; significa salvare quella testimonianza di un amore possibile e per sempre, nel quale i giovani faticano a credere.

    I bambini, infatti, hanno bisogno di ricevere dai genitori la certezza che Dio li ha creati per amore, e che un giorno anche loro potranno amare e sentirsi amati come hanno fatto mamma e papà.

    Siate certi che il seme dell’amore, deposto nel loro cuore dai genitori, prima o poi germoglierà.

    Vedo una grande urgenza oggi: aiutare i giovani a scoprire che il matrimonio cristiano è una vocazione, una chiamata specifica che Dio rivolge a un uomo e a una donna perché possano realizzarsi in pienezza facendosi generativi, diventando padre e madre, e portando la Grazia del loro Sacramento nel mondo.

    Questa Grazia è l’amore di Cristo unito a quello degli sposi, la sua presenza tra loro, è la fedeltà di Dio al loro amore: è Lui che dà loro la forza di crescere insieme ogni giorno e di rimanere uniti.

    Oggi si pensa che la buona riuscita di un matrimonio dipenda solo dalla forza di volontà delle persone.

    Non è così.

    Se fosse così sarebbe un peso, un giogo posto sulle spalle di due povere creature.

    Il matrimonio invece è un “passo a tre”, in cui la presenza di Cristo tra gli sposi rende possibile il cammino, e il giogo si trasforma in un gioco di sguardi: sguardo tra i due sposi, sguardo tra gli sposi e Cristo.

    È una partita che dura tutta la vita, in cui si vince insieme se ci si prende cura della propria relazione, se la si custodisce come un tesoro prezioso, aiutandosi a vicenda ad attraversare ogni giorno, anche nella vita coniugale, quella porta di accesso che è Cristo.

    L’ha detto Lui: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato» (Gv 10,9).

    E parlando di sguardi, una volta, in un’Udienza generale, c’era una coppia, sposati da 60 anni, lei ne aveva 18 quando si era sposata e lui 21.

    Avevano quindi 78 e 81 anni.

    E io ho domandato: “E adesso, continuate ad amarvi?”.

    E loro si sono guardati e poi sono venuti da me, con le lacrime negli occhi: “Ancora ci amiamo!”.

    Bello!

    Per questo, vorrei lasciarvi due brevi riflessioni: la prima riguarda le coppie appena sposate.

    Abbiate cura di loro! È importante che i neo-sposi possano sperimentare una mistagogia nuziale, che li aiuti a vivere la bellezza del loro Sacramento e una spiritualità di coppia.

    Nei primi anni di matrimonio, è necessario soprattutto scoprire la fede all’interno della coppia, assaporarla, gustarla imparando a pregare insieme.

    Tanti oggi si sposano senza capire cosa c’entri la fede con la loro vita coniugale, forse perché nessuno glielo ha testimoniato prima del matrimonio.

    Vi invito ad aiutarli con un percorso “catecumenale” – diciamo così – di riscoperta della fede, sia personale che di coppia, perché fin da subito imparino a fare spazio a Gesù e, con Lui, riescano a prendersi cura del loro matrimonio.

    Il vostro lavoro accanto ai sacerdoti, in questo senso, è prezioso; potete fare molto nelle parrocchie e nelle comunità, aprendovi ad accogliere le famiglie più giovani.

    Dobbiamo ripartire dalle nuove generazioni per fecondare la Chiesa: generare tante piccole Chiese domestiche in cui si vive uno stile di vita cristiano, dove ci si sente familiari con Gesù, dove si impara ad ascoltare chi ci sta accanto come ci ascolta Gesù.

    Voi potete essere come fiammelle che accendono alla fede altre fiammelle, soprattutto tra le coppie più giovani: non lasciate che accumulino sofferenze e ferite nella solitudine delle loro case.

    Aiutatele a scoprire l’ossigeno della fede con delicatezza, con pazienza e fiducia nell’azione dello Spirito Santo.

    La seconda riflessione è sull’importanza della corresponsabilità tra sposi e sacerdoti all’interno del vostro movimento.

    Avete compreso e vivete concretamente la complementarità delle due vocazioni: vi incoraggio a portarla nelle parrocchie, così che laici e sacerdoti ne scoprano la ricchezza e la necessità.

    Questo aiuta a superare quel clericalismo che rende poco feconda la Chiesa – state attenti con il clericalismo! –; e questo aiuterà anche gli sposi a scoprire che, con il matrimonio, sono chiamati a una missione.

    Anch’essi, infatti, hanno il dono e la responsabilità di costruire, insieme ai ministri ordinati, la comunità ecclesiale.

    Senza comunità cristiane, le famiglie si sentono sole e la solitudine fa tanto male! Con il vostro carisma, potete farvi soccorritori attenti nei confronti di chi ha bisogno, di chi è solo, di chi ha problemi in famiglia e non sa con chi parlarne perché si vergogna o ha perso la speranza.

    Nelle vostre diocesi, potete far comprendere alle famiglie l’importanza di aiutarsi a vicenda e di fare rete; costruire comunità dove Cristo possa “abitare” nelle case e nelle relazioni familiari.

    Cari fratelli e sorelle, a luglio prossimo avrete il vostro Raduno internazionale a Torino.

    Nel mezzo del cammino sinodale che stiamo vivendo, sia anche per voi un tempo di ascolto dello Spirito e di progettazione feconda per il Regno di Dio.

    Affidiamo la vostra missione e tutte le vostre famiglie alla Vergine Maria, perché vi protegga, vi custodisca saldi in Cristo e vi renda sempre testimoni del suo amore.

    In quest’anno dedicato alla preghiera, possiate far scoprire e riscoprire il gusto di pregare, pregare insieme a casa, con semplicità e nella vita quotidiana.

    Questa volta non dirò niente sulle suocere, perché ce ne sono qui! Vi benedico di cuore.

    E vi chiedo per favore di pregare per me.

    Grazie!

    Ai membri della Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale (CONFAP) (3 Mag 2024)
    Visita il link

    Signor Ministro dell’Istruzione, Signor Valditara,
    cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Do il benvenuto a tutti e saluto in particolare il Presidente della CONFAP, i formatori, gli educatori e i giovani presenti, tutti voi che siete parte attiva degli Enti di formazione professionale.

    La vostra Confederazione compie 50 anni, mentre ricordiamo anche il 25° dell’Associazione Forma FP.

    E vorrei dirvi subito “grazie”, grazie perché il vostro servizio, ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, è un contributo di vitale importanza per la società in cui viviamo.

    Col vostro impegno quotidiano, voi siete espressione della ricca e variegata spiritualità di diversi Istituti Religiosi, che hanno nel loro carisma il servizio ai giovani attraverso la formazione professionale.

    Si tratta di percorsi formativi all’avanguardia, che vantano un’alta qualità di metodologie, esperienze di laboratorio e possibilità didattiche, tanto da costituire un fiore all’occhiello nel panorama della formazione al lavoro.

    E, cosa ancora più importante, la vostra proposta formativa è integrale, perché oltre alla qualità degli strumenti e della didattica, riservate una cura e un’attenzione speciali soprattutto verso i giovani che si trovano ai margini della vita sociale ed ecclesiale.

    Grazie per quello che fate; grazie ai formatori che si dedicano con passione ai giovani.

    E con questo spirito di gratitudine, vorrei offrirvi alcune riflessioni intorno alle tre parole che caratterizzano il vostro impegno: giovani, formazione, professione.

    Innanzitutto, giovani – siete tanti qui! –.

    Sono una delle categorie più fragili del nostro tempo.

    I giovani, sempre colmi di talenti e di potenzialità, sono anche particolarmente vulnerabili, sia per alcune condizioni antropologiche che per diversi aspetti culturali del tempo in cui viviamo.

    Alludo non solo ai NEET che non sono né in formazione né in attività, ma ad alcune scelte sociali che li espongono ai venti della dispersione e del degrado.

    Molti giovani, infatti, abbandonano i loro territori di origine per cercare occupazione altrove, spesso non trovando opportunità all’altezza dei loro sogni; alcuni, poi, intendono lavorare ma si devono accontentare di contratti precari e sottopagati; altri ancora, in questo contesto di fragilità sociale e di sfruttamento, vivono nell’insoddisfazione e si dimettono dal lavoro.

    Dinanzi a queste e ad altre situazioni simili, tutti noi dobbiamo prendere consapevolezza di una cosa: l’abbandono educativo e formativo è una tragedia! Sentite bene, è una tragedia.

    E, se occorre promuovere una legislazione che favorisca il riconoscimento sociale dei giovani, ancora più importante è costruire un ricambio generazionale dove le competenze di chi è in uscita siano al servizio di chi entra nel mercato del lavoro.

    In altre parole, gli adulti condividano i sogni e i desideri dei giovani, li introducano, li sostengano, li incoraggino senza giudicarli.

    A questo proposito, vorrei dire a voi, che con creatività spendete in questo campo il vostro essere cristiani: non perdete di vista nessuno, siate attenti ai giovani, abbiate cura di quelli che non hanno avuto opportunità o che provengono da situazioni sociali svantaggiate.

    Non tutti hanno ricevuto il supporto indispensabile della famiglia e della comunità cristiana e noi siamo chiamati a farcene carico, perché nessuno di loro può essere messo alla porta, soprattutto i più poveri ed emarginati, che rischiano gravi forme di esclusione, compresi i migranti.

    Chi si sente scartato può finire in forme di disagio sociale umanamente degradanti, e questo non dobbiamo accettarlo!

    La seconda parola è formazione, che indica un impegno indispensabile per generare futuro.

    Le trasformazioni del lavoro sono sempre più complesse, anche a motivo delle nuove tecnologie e degli sviluppi dell’intelligenza artificiale.

    E qui siamo chiamati a respingere due tentazioni: da un lato la tecnofobia, cioè la paura della tecnologia che porta a rifiutarla; dall’altro lato la tecnocrazia, cioè l’illusione che la tecnologia possa risolvere tutti i problemi.

    Si tratta invece di investire risorse ed energie, perché la trasformazione del lavoro esige una formazione continua, creativa e sempre aggiornata.

    E nello stesso tempo occorre anche impegnarsi a ridare dignità ad alcuni lavori, soprattutto manuali, che sono ancora oggi socialmente poco riconosciuti.

    Una valida formazione professionale è un antidoto alla dispersione scolastica e una risposta alla domanda di lavoro in diversi settori dell’economia.

    Ma – voi me lo insegnate – una buona formazione professionale non si improvvisa.

    Serve un legame con le famiglie, come in ogni tipo di esperienza educativa; e serve un sano ed efficace rapporto con le imprese, disposte a inserire giovani al proprio interno.

    Questi per voi sono i due poli di riferimento, perché insieme alle competenze tecniche sono importanti le virtù umane: una tecnica senza umanità diventa ambigua, rischiosa e non è veramente umana, non è veramente formativa.

    La formazione deve offrire ai giovani strumenti per discernere tra le offerte di lavoro e le forme di sfruttamento.

    La prima parola “giovani”.

    La seconda parola “formazione”.

    La terza parola professione.

    Giovani, formazione e professione.

    La professione ci definisce.

    “Che lavoro fai?”, si chiede a una persona per conoscerla.

    “Come ti chiami? Che lavoro fai?”: presentiamo gli altri attraverso il loro lavoro.

    È stato così anche per Gesù, riconosciuto come il «figlio del falegname» (Mt 13,55) o semplicemente come «il falegname» (Mc 6,3).

    Il lavoro è un aspetto fondamentale della nostra vita e della nostra vocazione.

    Eppure, oggi assistiamo a un degrado del senso del lavoro, che viene sempre più interpretato in relazione al guadagno piuttosto che come espressione della propria dignità e apporto al bene comune.

    Pertanto, è importante che i percorsi di formazione siano al servizio della crescita globale della persona, nelle sue dimensioni spirituale, culturale, lavorativa.

    «Quando uno scopre che Dio lo chiama a qualcosa, che è fatto per questo – può essere l’infermieristica, la falegnameria, la comunicazione, l’ingegneria, l’insegnamento, l’arte o qualsiasi altro lavoro – allora sarà capace di far sbocciare le sue migliori capacità di sacrificio, generosità e dedizione.

    Sapere che non si fanno le cose tanto per farle, ma con un significato, […] fa sì che queste attività offrano al proprio cuore un’esperienza speciale di pienezza» (Esort.

    ap.

    postsin.

    Christus vivit, 273).

    Tre parole: giovani, formazione, professione.

    Non dimenticatele! Vi incoraggio a continuare ad avere a cuore i giovani, la formazione e la professione.

    E vi ringrazio, perché attraverso la vostra creatività dimostrate che è possibile coniugare il lavoro e la vocazione della persona.

    Perché una buona formazione professionale abilita a compiere un lavoro e, nel contempo, a scoprire il senso del proprio essere al mondo e nella società.

    Vi accompagno con la preghiera.

    Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie.

    E vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Ai Membri della Fondazione Blanquerna, dell’Arcidiocesi Metropolitana di Barcelona (Spagna) (3 Mag 2024)
    Visita il link

    Caro fratello,
    cari amici
    ,

    Sono contento di salutarvi di nuovo, alcuni di voi sono già stati qui per l’incontro con la Federazione delle Università Cattoliche, conoscono già la strada, sono quasi di casa.  Ha richiamato molto la mia attenzione il nome: Blanquerna, l’illustre personaggio letterario di cui si serve il beato Ramón Llull per fare una precisa descrizione della società del suo tempo.

    Al tempo stesso il filosofo cerca di dare, in forma pedagogica, alcuni modelli di vita cristiana che possano servire a qualsiasi persona per seguire Cristo, ovunque Egli la chiami.

    E tutto questo è come una lezione di una attualità sorprendente, perché ci parla di un linguaggio nuovo e accessibile, di un modo di comunicare forse inusuale per l’epoca, ma gradevole e chiaro per i suoi contemporanei.

    Una pedagogia che si allontana dagli eroi fantastici che cercano di farci evadere dalla nostra realtà, come erano allora i personaggi cavallereschi, e, al contrario, ci propone modelli di vita semplici, e modelli di vita naturali, nei quali poter servire il Signore ed essere felici.

    Quanto dolore e frustrazione provocano oggi, persino più che ai tempi del beato, gli stereotipi irraggiungibili che i mercati e i gruppi di pressione pretendono di imporci.

    Che grande compito far scoprire ai giovani il progetto di Dio per ognuno di loro.

    La vostra fondazione, e l’intera Università Ramón Llull, assumendo questo nome, ha accettato questo entusiasmante compito.

    In primo luogo, lavorando per ridare alla famiglia la sua vocazione primigenia nella società, sull’esempio dei genitori del nostro protagonista.

    Poi offrendo ai giovani diversi cammini di vita, che, come le tappe che il nostro personaggio completa, li aiutino a superare le sfide che la vita presenta loro.

    Anche creando la certezza che i passi dell’eroe cristiano non sono segnati dall’ansia di carrierismo, ma sono una risposta a una chiamata.

    Il carrierismo reca tanto danno, tanto danno, perché non è comunitario, è individualista, e questo reca danno.

    Presentando con coraggio che l’essere richiesti per incarichi di sempre maggiore responsabilità deve essere il risultato di un’eccellenza nel servizio finora svolto.

    E, soprattutto, insegnando loro che, una volta portato a termine il proprio compito, come il nostro protagonista, anche se si è giunti al Supremo Pontificato, il cristiano, deve tendere all’incontro con il Signore, alla dedizione piena al servizio divino.

    Ossia, alla base c’è sempre il battesimo che ti ha fatto cristiano e, ovunque tu sia, sei un battezzato, sei una battezzata che deve rispondere da lì e non dai gradini che uno può scalare nella vita.

    È questa l’idea che vorrei che portaste con voi al ritorno alla vostra Università e agli altri progetti educativi che promuovete.

    Formare, sì, con un linguaggio attuale, moderno, agile, pedagogico, con un’analisi accurata della realtà; ma — c’è sempre un “ma” nella vita — tenendo sempre conto che formiamo uomini e donne completi, non repliche illusorie di ideali impossibili.

    Mi permetto, per esempio, di menzionare alcune università che ho conosciuto in America troppo liberali, che cercano solo di formare tecnici e specialisti.

    Si dimenticano che devono formare uomini e donne, persone integre che cercano di dare il meglio di sé nel servizio a cui Dio le chiama, sapendo che sono pellegrini, che in realtà tutto è cammino verso una meta che supera questa realtà, l’incontro dell’amico con l’amato, in quell’amore che, riversato nei nostri cuori, ci dà la forza di andare avanti.

    Alla fine del libro, il beato Llull ci propone una meditazione quotidiana; ho scelto la numero 124 che, essendo bisestile, corrisponderebbe idealmente alla giornata odierna.

    Dice così: «Chiesero all’Amico quali fossero le tenebre più grandi.

    Rispose l’assenza del suo Amato; e alla domanda quale fosse lo splendore più grande, disse la presenza del suo Amato».

    È questo il mio auspicio per voi, che possiate illuminare le vite dei vostri studenti con la presenza di Gesù, che questa certezza li renda consapevoli della loro dignità di amici, di Dio e degli uomini, e che siano capaci di dissipare le tenebre che ricoprono questo mondo che si è allontanato dalla sua vera essenza.

    Che Gesù vi benedica, che la Vergine santa  vi custodisca, e per favore non dimenticatevi di pregare per me, ma a favore, non contro.

    _________________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    100, venerdì 3 maggio 2024, p.

    o.

    Mandato del Santo Padre Francesco ai Parroci in occasione dell’Incontro Internazionale “I Parroci per il Sinodo” (2 Mag 2024)
    Visita il link

    Ho qualcosa da chiedere a voi che siete venuti qui in rappresentanza dei parroci di tutto il mondo: abbiamo bisogno del vostro aiuto per continuare ad ascoltare la voce dei parroci in vista della Seconda Sessione dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi.

    Questo incontro è stato molto importante, ma non basta: dobbiamo fare di più se vogliamo far entrare nel dinamismo sinodale un numero più grande di sacerdoti.

    E questo non lo possono fare soltanto la Segreteria Generale del Sinodo e i Dicasteri della Curia romana che hanno organizzato questo incontro.

    Per questo vi chiedo oggi di diventare missionari di sinodalità con i vostri fratelli parroci, una volta rientrati a casa: animando la riflessione sul rinnovamento del ministero di parroco in chiave sinodale e missionaria, promuovendo momenti di conversazione nello Spirito tra parroci, in presenza oppure online, sfruttando l’occasione di qualche incontro già organizzato, o organizzandone uno apposta.

    E poi vi chiedo di informare la Segreteria del Sinodo dei frutti di questi incontri, seguendo le indicazioni che vi saranno date.

    Rientrando a casa parlate di questa idea con i vostri vescovi e con le Conferenze episcopali, e dite pure loro che è un incarico che vi ha dato il Papa.

    Da parte mia, ho scritto una lettera a tutti i parroci del mondo per informarli di questa iniziativa e per presentarvi come missionari di sinodalità presso di loro.

    Ora la firmo e poi una copia sarà consegnata a ciascuno di voi, perché la diffondiate una volta rientrati a casa.

    Grazie per la vostra collaborazione.

    Vi accompagnerò con la mia preghiera e anche voi non dimenticatevi di pregare per me.                                                                              

    FRANCESCO

    Ai Partecipanti all'Assemblea dei Primati della Comunione Anglicana (2 Mag 2024)
    Visita il link

    Dear brothers and sisters, peace to you!

    Vi saluto con gioia, con le parole del Risorto: esse sono foriere di quella speranza che scaturisce dalla Risurrezione e che non delude.

    Così fu per i discepoli, mentre stavano chiusi e intimoriti nel Cenacolo: nel pieno dello smarrimento Gesù guarì la loro paure, mostrando le piaghe e il fianco ed effondendo su di loro il suo Spirito (cfr Gv 20,19-23).

    Anche oggi, quando i capi del popolo di Dio si riuniscono, potrebbero sentirsi impauriti come i discepoli: potrebbero lasciarsi tentare dallo sconforto, manifestando gli uni agli altri le delusioni e le aspettative non soddisfatte, facendosi dominare dalle preoccupazioni, senza riuscire a impedire che le rispettive divergenze si inaspriscano.

    Ma pure oggi, se volgiamo lo sguardo a Cristo anziché a noi stessi, ci accorgeremo che il Risorto sta in mezzo a noi e desidera donarci la sua pace e il suo Spirito.

    Sono riconoscente a Sua Grazia Justin Welby per le parole fraterne che mi ha rivolto: ha iniziato il suo servizio come Arcivescovo di Canterbury nello stesso periodo in cui cominciavo il mio come Vescovo di Roma.

    Da allora abbiamo avuto molte occasioni per incontrarci, per pregare insieme, per testimoniare la fede nel Signore.

    Quest’anno, durante la celebrazione dei Vespri nella Solennità della Conversione di San Paolo, abbiamo conferito il mandato ad alcune coppie di vescovi cattolici e anglicani perché svolgano insieme il loro ministero, in modo da «essere per il mondo un’anticipazione della riconciliazione di tutti i cristiani nell’unità dell’unica e sola Chiesa di Cristo» [1].

    Caro Fratello Justin, grazie per questa collaborazione fraterna a favore del Vangelo! E non dimentico il Sud Sudan: è stato meraviglioso; con tua moglie, che lavora lì.

    Molto bello.

    Il Signore chiama ciascuno di noi ad essere costruttore di unità e, anche se non siamo ancora una cosa sola, la nostra comunione imperfetta non deve impedirci di camminare insieme.

    Infatti «le relazioni tra i cristiani […] prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo» [2].

    Le divergenze non diminuiscono la portata di ciò che ci accomuna: esse «non possono impedirci di riconoscerci reciprocamente fratelli e sorelle in Cristo in ragione del nostro comune Battesimo» [3].

    Sono grato in questo senso per il lavoro svolto negli ultimi cinquant’anni dalla Commissione internazionale anglicano-cattolica, che si è impegnata con dedizione nel superamento di diversi ostacoli che si frappongono sul camminodell’unità, riconoscendo anzitutto come «la comunione che ci unisce si fonda sulla fede in Dio nostro Padre, in nostro Signore Gesù Cristo e nello Spirito Santo; sul nostro comune battesimo in Cristo; sulla condivisione delle Sacre Scritture, del Credo degli Apostoli e del Credo Niceno-Costantinopolitano; sulla formula calcedoniana e sull’insegnamento dei Padri; sulla nostra comune eredità cristiana di molti secoli» [4].

    Fratelli e sorelle, il tempo pasquale ci fa tornare alle origini attraverso la lettura degli Atti degli Apostoli.

    Tra tante pagine gloriose di fede e fraternità, coraggio dinanzi alla persecuzione, diffusione gioiosa del Vangelo e apertura ai pagani, l’autore sacro non nasconde momenti di tensione e di incomprensione, nati spesso dalle fragilità dei discepoli, oppure da differenti interpretazioni del rapporto con la tradizione passata.

    Ma in tutto il racconto emerge come il vero protagonista sia lo Spirito Santo: gli Apostoli giungono a conciliazioni e soluzioni lasciando il primato a Lui.

    Talora dimentichiamo che le discussioni hanno animato anche la prima comunità cristiana, quella di coloro che avevano conosciuto il Signore e lo avevano incontrato Risorto; non dobbiamo avere paura delle discussioni, ma viverle lasciando il primato al Paraclito.

    A me piace tanto quella formula degli Atti degli Apostoli: “È parso allo Spirito Santo e a noi”.

    È una cosa molto, molto bella.

    Pregare e ascoltarci, cercando di comprendere l’animo altrui e domandando a noi stessi – prima che chiederne conto agli altri – se siamo stati docili alle ispirazioni dello Spirito Santo o succubi delle nostre opinioni personali o di gruppo.

    Di certo, la prospettiva divina non sarà mai quella della divisione, mai, quella della separazione, dell’interruzione del dialogo, mai.

    La via di Dio ci porta invece a stringerci sempre più vitalmente al Signore Gesù, perché solo in comunione con Lui ritroveremo la piena comunione tra noi.

    Il mondo lacerato di oggi ha bisogno della manifestazione del Signore Gesù! Ha bisogno di conoscere Cristo! Alcuni di voi provengono da regioni in cui la guerra, la violenza e l’ingiustizia sono l’avariato pane quotidiano dei fedeli, ma anche nei Paesi ritenuti benestanti e pacifici non mancano sofferenze, come la povertà di tanti.

    Cosa possiamo proporre noi di fronte a tutto questo, se non Gesù, il Salvatore? Farlo conoscere è la nostra missione.

    Sulla scia di quanto disse Pietro allo storpio presso la porta del tempio, ciò che dobbiamo offrire al nostro tempo fragile e bisognoso non sono argento e oro, ma Cristo e il sorprendente annuncio del suo Regno (cfr At 3,6).

    Cari Primati della Comunione anglicana, grazie per aver scelto di incontrarvi quest’anno nella città degli Apostoli Pietro e Paolo.

    È un dono per me sentirmi vicino alle comunità che rappresentate.

    So che il ruolo del Vescovo di Roma rappresenta tra i cristiani una questione ancora controversa e divisiva.

    Ma secondo la bella espressione di Papa Gregorio Magno, che inviò Sant’Agostino come missionario in Inghilterra, il Vescovo di Roma è servus servorum Dei – servo dei servi di Dio.

    Come ha scritto Giovanni Paolo II, «tale definizione salvaguarda nel modo migliore dal rischio di separare la potestà (ed in particolare il primato) dal ministero, ciò che sarebbe in contraddizione con il significato di potestà secondo il Vangelo: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve”( Lc 22,27)» [5].

    Occorre dunque impegnarsi in «un dialogo fraterno, paziente […] lasciando alle spalle inutili controversie» [6], al fine di comprendere come il ministero petrino possa svolgersi quale servizio d’amore per tutti.

    Grazie a Dio, nei vari dialoghi ecumenici sono stati conseguiti risultati positivi sulla questione del primato come «dono da condividere» [7].

    Come sapete, la Chiesa cattolica è impegnata in un percorso sinodale.

    Mi rallegro che tanti delegati fraterni, tra cui un vescovo della Comunione anglicana, abbiano preso parte alla prima sessione dell’Assemblea generale tenutasi lo scorso anno e attendo con gioia un’ulteriore partecipazione ecumenica nella sessione di quest’autunno.

    Prego affinché una migliore comprensione del ruolo del Vescovo di Roma sia tra i frutti del Sinodo.

    La Relazione di sintesi al termine della prima sessione ha chiesto di studiare più a fondo il legame tra sinodalità e primato ai vari livelli (locale, regionale, universale) [8].

    Il più recente lavoro della Commissione internazionale anglicano-cattolica può essere un’utile risorsa in questo senso [9].

    Perciò preghiamo, preghiamo, camminiamo e lavoriamo insieme, con fiducia e speranza.

    Nella Dichiarazione comune del 2016 abbiamo affermato: «Mentre, come i nostri predecessori, anche noi non vediamo ancora soluzioni agli ostacoli dinanzi a noi, non siamo scoraggiati.

    Con fiducia e gioia nello Spirito Santo confidiamo che il dialogo e il mutuo impegno renderanno più profonda la nostra comprensione e ci aiuteranno a discernere la volontà di Cristo per la sua Chiesa.

    Siamo fiduciosi nella grazia di Dio e nella Provvidenza, sapendo che lo Spirito Santo aprirà nuove porte e ci guiderà a tutta la verità» [10].

    Sarebbe uno scandalo se, a causa delle divisioni, non realizzassimo la nostra comune vocazione di far conoscere Cristo.

    Invece, se al di là delle rispettive visioni saremo in grado di testimoniare Cristo con umiltà e amore, sarà Lui ad avvicinarci gli uni agli altri; perché, lo ribadisco, «solo questo amore, che non torna sul passato per prendere le distanze o puntare il dito, solo questo amore che in nome di Dio antepone il fratello alla ferrea difesa del proprio sistema religioso, solo questo amore ci unirà.

    Prima il fratello, dopo il sistema» [11].

    Prima il fratello e dopo il sistema.

    Fratelli e sorelle, grazie ancora per questa visita, che ci permette di crescere nella comunione.

    Sono felice ora di ascoltare ciò che volete dirmi e di pregare con voi. 

     

     __________________________________________

    [1] Conferimento del mandato ai Vescovi della Commissione internazionale anglicano-cattolica per l’unità e la missione, 25 gennaio 2024 (cfr  Unitatis redintegratio 24).

    [2] S.

    Giovanni Paolo II, Lett.

    enc.  Ut unum sint, 40.

    [3] Dichiarazione comune di Sua Santità Papa Francesco e di Sua Grazia Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury, 5 ottobre 2016.

    [4] ARCIC II, La Chiesa come comunione, 50.

    [5] Ut unum sint, 88.

    [6] Ibid., 96.

    [7] ARCIC II, The Gift of Authority, 60.

    [8] Cfr  XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Una Chiesa sinodale in missione: Relazione di sintesi, I.7.h.

    [9] Cfr ARCIC III, Walking Together on the Way.

    [10] Dichiarazione comunecit.

    [11] Omelia durante i Vespri nella Solennità della Conversione di San Paolo, 25 gennaio 2024.

    Lettera del Santo Padre ai Parroci in occasione dell'Incontro internazionale I Parroci per il Sinodo (2 Mag 2024)
    Visita il link

    Carissimi fratelli Parroci!

    L’Incontro internazionale “I Parroci per il Sinodo” e il dialogo con quanti vi hanno preso parte, sono l’occasione per ricordare nella mia preghiera tutti i Parroci del mondo, ai quali rivolgo con grande affetto queste parole.

    È talmente ovvio che dirlo suona quasi banale, ma questo non lo rende meno vero: la Chiesa non potrebbe andare avanti senza il vostro impegno e servizio.

    Per questo voglio anzitutto esprimere gratitudine e stima per il generoso lavoro che fate ogni giorno, seminando il Vangelo in ogni tipo di terreno (cfr Mc 4,1-25).

    Come state sperimentando in questi giorni di condivisione, le parrocchie in cui svolgete il vostro ministero si trovano in contesti molto differenti: da quelle delle periferie delle megalopoli – le ho conosciute direttamente a Buenos Aires – a quelle vaste come province nelle regioni meno densamente popolate; da quelle dei centri urbani di molti Paesi europei, in cui antiche basiliche ospitano comunità sempre più piccole e più anziane, a quelle in cui si celebra sotto un grande albero e il canto degli uccelli si mescola alla voce dei tanti bambini.

    I Parroci conoscono tutto questo molto bene, conoscono dal di dentro la vita del Popolo di Dio, le sue fatiche e le sue gioie, i suoi bisogni e le sue ricchezze.

    Per questo una Chiesa sinodale ha bisogno dei suoi Parroci: senza di loro non potremo mai imparare a camminare insieme, non potremo mai intraprendere quel cammino della sinodalità che «è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»  [1].

    Non diventeremo mai Chiesa sinodale missionaria se le comunità parrocchiali non faranno della partecipazione di tutti i battezzati all’unica missione di annunciare il Vangelo il tratto caratteristico della loro vita.

    Se non sono sinodali e missionarie le parrocchie, non lo sarà neanche la Chiesa.

    La Relazione di Sintesi della Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi è molto chiara a tale riguardo: le parrocchie, a partire dalle loro strutture e dall’organizzazione della loro vita, sono chiamate a concepirsi «principalmente a servizio della missione che i fedeli portano avanti all’interno della società, nella vita familiare e lavorativa, senza concentrarsi esclusivamente sulle attività che si svolgono al loro interno e sulle loro necessità organizzative» (8, l).

    Occorre perciò che le comunità parrocchiali diventino sempre più luoghi da cui i battezzati partono come discepoli missionari e a cui fanno ritorno, pieni di gioia, per condividere le meraviglie operate dal Signore attraverso la loro testimonianza (cfr Lc 10,17).

    Come pastori, siamo chiamati ad accompagnare in questo percorso le comunità che serviamo e, al tempo stesso, a impegnarci con la preghiera, il discernimento e lo zelo apostolico affinché il nostro ministero sia adeguato alle esigenze di una Chiesa sinodale missionaria.

    Questa sfida riguarda il Papa, i Vescovi e la Curia Romana, e riguarda anche voi Parroci.

    Colui che ci ha chiamati e consacrati ci invita oggi a metterci in ascolto della voce del suo Spirito e a muoverci nella direzione che ci indica.

    Di una cosa possiamo essere certi: non ci farà mancare la sua grazia.

    Lungo il cammino scopriremo anche il modo per liberare il nostro servizio da quegli aspetti che lo rendono più faticoso e riscoprire il suo nucleo più vero: annunciare la Parola e riunire la comunità spezzando il pane.

    Vi esorto quindi ad accogliere questa chiamata del Signore a essere, come Parroci, costruttori di una Chiesa sinodale missionaria e a impegnarvi con entusiasmo in questo cammino.

    A tale scopo, mi sento di formulare tre suggerimenti che potranno ispirare lo stile di vita e di azione dei pastori.

    1.

    Vi invito a vivere il vostro specifico carisma ministeriale sempre più al servizio dei multiformi doni disseminati dallo Spirito nel Popolo di Dio.

    Urge, infatti, scoprire, incoraggiare e valorizzare «con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici» (Conc.

    Ecum.

    Vat.

    II, Decr.

    Presbyterorum Ordinis, 9) e che sono indispensabili per poter evangelizzare le realtà umane.

    Sono convinto che in questo modo farete emergere tanti tesori nascosti e vi troverete meno soli nel grande compito di evangelizzare, sperimentando la gioia di una genuina paternità che non primeggia, bensì fa emergere negli altri, uomini e donne, tante potenzialità preziose.

    2.

    Con tutto il cuore vi suggerisco di apprendere e praticare l’arte del discernimento comunitario, avvalendovi per questo del metodo della “conversazione nello Spirito”, che ci ha tanto aiutato nel percorso sinodale e nello svolgimento della stessa Assemblea.

    Sono certo che ne potrete raccogliere numerosi frutti non solo nelle strutture di comunione, come il Consiglio pastorale parrocchiale, ma anche in molti altri campi.

    Come ricorda la Relazione di Sintesi, il discernimento è un elemento chiave dell’azione pastorale di una Chiesa sinodale: «È importante che la pratica del discernimento sia attuata anche nell’ambito pastorale, in modo adeguato ai contesti, per illuminare la concretezza della vita ecclesiale.

    Essa consentirà di riconoscere meglio i carismi presenti nella comunità, di affidare con saggezza compiti e ministeri, di progettare nella luce dello Spirito i cammini pastorali, andando oltre la semplice programmazione di attività» (2, l).

    3.

    Infine, vorrei raccomandarvi di porre alla base di tutto la condivisione e la fraternità fra voi e con i vostri Vescovi.

    Tale istanza è emersa con forza dal Convegno internazionale per la formazione permanente dei sacerdoti, sul tema «Ravviva il dono di Dio che è in te» (2 Tm 1,6), svoltosi nello scorso febbraio qui a Roma, con oltre ottocento Vescovi, sacerdoti, consacrati e laici, uomini e donne, impegnati in questo campo, in rappresentanza di ottanta Paesi.

    Non possiamo essere autentici padri se non siamo anzitutto figli e fratelli.

    E non siamo in grado di suscitare comunione e partecipazione nelle comunità a noi affidate se prima di tutto non le viviamo tra noi.

    So bene che, nel susseguirsi delle incombenze pastorali, tale impegno potrebbe sembrare un sovrappiù o persino tempo perso, ma in realtà è vero il contrario: infatti, solo così siamo credibili e la nostra azione non disperde ciò che altri hanno già costruito.

    Non è solo la Chiesa sinodale missionaria ad aver bisogno dei Parroci, ma anche il cammino specifico del Sinodo 2021-2024, “Per una Chiesa sinodale.

    Comunione, partecipazione, missione”, in vista della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà nel prossimo mese di ottobre.

    Per prepararla abbiamo bisogno di ascoltare la vostra voce.

    Per questo, invito coloro che hanno preso parte all’Incontro internazionale “I Parroci per il Sinodo” ad essere missionari di sinodalità anche con voi, loro fratelli Parroci, una volta rientrati a casa, animando la riflessione sul rinnovamento del ministero di parroco in chiave sinodale e missionaria, e al tempo stesso permettendo alla Segreteria Generale del Sinodo di raccogliere il vostro contributo insostituibile in vista della redazione dell’Instrumentum laboris.

    Ascoltare i Parroci era lo scopo di questo Incontro internazionale, ma ciò non può finire oggi: abbiamo bisogno di continuare ad ascoltarvi.

    Carissimi fratelli, sono al vostro fianco in questo cammino che anch’io cerco di percorrere.

    Vi benedico tutti di cuore e a mia volta ho bisogno di sentire la vostra vicinanza e il sostegno della vostra preghiera.

    Affidiamoci alla Beata Vergine Maria Odighitria: colei che indica la strada, colei che conduce alla Via, alla Verità e alla Vita.

    Roma, San Giovanni in Laterano, 2 maggio 2024

    FRANCESCO

     __________________________________________________

    [1]  Discorso per la Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015.

    Udienza Generale del 1° Mag 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 17. La fede
    Visita il link

    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    17.

    La fede

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi vorrei parlare della virtù della fede.

    Insieme con la carità e la speranza, questa virtù è detta “teologale”.

    Le virtù teologali sono tre: fede, speranza e carità.

    Perché sono teologali? Perché le si può vivere solo grazie al dono di Dio.

    Le tre virtù teologali sono i grandi doni che Dio fa alla nostra capacità morale.

    Senza di esse noi potremmo essere prudenti, giusti, forti e temperanti, ma non avremmo occhi che vedono anche nel buio, non avremmo un cuore che ama anche quando non è amato, non avremmo una speranza che osa contro ogni speranza.

    Che cos’è la fede? Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci spiega che la fede è l’atto con cui l’essere umano si abbandona liberamente a Dio (n.

    1814).

    In questa fede, Abramo è stato il grande padre.

    Quando accettò di lasciare la terra dei suoi antenati per dirigersi verso la terra che Dio gli avrebbe indicato, probabilmente sarà stato giudicato folle: perché lasciare il noto per l’ignoto, il certo per l’incerto? Ma perché fare quello? È pazzo? Ma Abramo parte, come se vedesse l’invisibile.

    Questo dice la Bibbia di Abramo: “Andò come se vedesse l’invisibile”.

    È bello questo.

    E sarà ancora questo invisibile a farlo salire sul monte con il figlio Isacco, l’unico figlio della promessa, che solo all’ultimo momento sarà risparmiato dal sacrificio.

    In questa fede, Abramo diventa padre di una lunga schiera di figli.

    La fede lo ha reso fecondo.

    Uomo di fede sarà Mosè, il quale, accogliendo la voce di Dio anche quando più di un dubbio poteva scuoterlo, continuò a restare saldo e a fidarsi del Signore, e persino a difendere il popolo che invece tante volte mancava di fede.

    Donna di fede sarà la Vergine Maria, la quale, ricevendo l’annuncio dell’Angelo, che molti avrebbero liquidato perché troppo impegnativo e rischioso, risponde: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

    E con il cuore pieno di fede, con il cuore pieno di fiducia in Dio, Maria parte per una strada di cui non conosce né il tracciato né i pericoli.

    La fede è la virtù che fa il cristiano.

    Perché essere cristiani non è anzitutto accettare una cultura, con i valori che l’accompagnano, ma essere cristiano è accogliere e custodire un legame, un legame con Dio: io e Dio; la mia persona e il volto amabile di Gesù.

    Questo legame è quello che ci fa cristiani.

    A proposito della fede, viene in mente un episodio del Vangelo.

    I discepoli di Gesù stanno attraversando il lago e vengono sorpresi dalla tempesta.

    Pensano di cavarsela con la forza delle loro braccia, con le risorse dell’esperienza, ma la barca comincia a riempirsi d’acqua e vengono presi dal panico (cfr Mc 4,35-41).

    Non si rendono conto di avere la soluzione sotto gli occhi: Gesù è lì con loro sulla barca, in mezzo alla tempesta, e Gesù dorme, dice il Vangelo.

    Quando finalmente lo svegliano, impauriti e anche arrabbiati perché Lui li lascia morire, Gesù li rimprovera: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (Mc 4,40).

    Ecco, dunque, la grande nemica della fede: non è l’intelligenza, non è la ragione, come, ahimè, qualcuno continua ossessivamente a ripetere, ma la grande nemica della fede è la paura.

    Per questo motivo la fede è il primo dono da accogliere nella vita cristiana: un dono che va accolto e chiesto quotidianamente, perché si rinnovi in noi.

    Apparentemente è un dono da poco, eppure è quello essenziale.

    Quando ci hanno portato al fonte battesimale, i nostri genitori, dopo aver annunciato il nome che avevano scelto per noi, si sono sentiti interrogare dal sacerdote – questo è successo nel nostro Battesimo –: «Che cosa chiedete alla Chiesa di Dio?».

    E i genitori hanno risposto: «La fede, il battesimo!».

    Per un genitore cristiano, consapevole della grazia che gli è stata regalata, quello è il dono da chiedere anche per suo figlio: la fede.

    Con essa un genitore sa che, pur in mezzo alle prove della vita, suo figlio non annegherà nella paura.

    Ecco, il nemico è la paura.

    Sa anche che, quando cesserà di avere un genitore su questa terra, continuerà ad avere un Dio Padre nei cieli, che non lo abbandonerà mai.

    Il nostro amore è così fragile, e solo l’amore di Dio vince la morte.

    Certo, come dice l’Apostolo, la fede non è di tutti (cfr 2 Ts 3,2), e anche noi, che siamo credenti, spesso ci accorgiamo di averne solo una piccola scorta.

    Spesso Gesù ci può rimproverare, come fece coi suoi discepoli, di essere “uomini di poca fede”.

    Però è il dono più felice, l’unica virtù che ci è concesso di invidiare.

    Perché chi ha fede è abitato da una forza che non è solo umana; infatti, la fede “innesca” la grazia in noi e dischiude la mente al mistero di Dio.

    Come disse una volta Gesù: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sradicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe» (Lc 17,6).

    Perciò anche noi, come i discepoli, gli ripetiamo: Signore, aumenta la nostra fede! (cfr Lc 17,5) È una bella preghiera! La diciamo tutti insieme? “Signore, aumenta la nostra fede”.

    La diciamo insieme: [tutti] “Signore, aumenta la nostra fede”.

    Troppo debole, un po’ più forte: [tutti] “Signore, aumenta la nostra fede!”.

    Grazie.

    _________________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins francophones, en particulier les paroisses et les jeunes venus de France.

    Alors que nous sommes encore, en ce temps de Pâques, dans la mémoire et la joie de la résurrection du Seigneur, demandons-lui la grâce d’adhérer toujours plus à ce mystère et de nous attacher avec tendresse à sa personne pour le suivre là où il nous conduit.

    Que Dieu vous bénisse !

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare le parrocchie e i giovani venuti dalla Francia.

    Mentre siamo ancora, in questo tempo pasquale, nel ricordo e nella gioia della risurrezione del Signore, chiediamogli la grazia di aderire sempre più strettamente a questo mistero e di aderire con tenerezza alla sua persona per seguirlo ovunque ci conduca.

    Dio vi benedica!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from Finland, Malta, the Netherlands, Norway, Uganda, India, Malaysia, Canada and the United States of America.

    I also wish to express to the people of Kenya my spiritual closeness at this time as severe flooding has tragically taken the lives of many of our brothers and sisters, injured others and caused widespread destruction.

    I invite you to pray for all those affected by this natural disaster.

    Even amidst adversity, we remember the joy of the risen Christ, and I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

    May the Lord bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Finlandia, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Uganda, India, Malesia, Canada e Stati Uniti d'America.

    Desidero inoltre trasmettere al popolo del Kenya la mia vicinanza spirituale in questo momento in cui una grave alluvione ha tragicamente tolto la vita a molti nostri fratelli e sorelle, ferendone altri e causando una diffusa distruzione.

    Vi invito a pregare per tutti coloro che stanno subendo gli effetti di questo disastro naturale.

    Anche in mezzo alle avversità, ricordiamo la gioia di Cristo risorto.

    Invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre.

    Il Signore vi benedica!]

    Liebe Gläubige deutscher Sprache, heute gedenken wir besonders des heiligen Josef, der in seinem Leben für die Pläne Gottes offen und bereit war.

    Sein Vorbild helfe auch uns, im Glauben festzustehen, der uns die Gewissheit gibt, dass der Herr uns immer begleitet.

    [Cari fedeli di lingua tedesca, oggi ricordiamo in modo particolare San Giuseppe, che ha accolto prontamente i piani di Dio nella sua vita.

    Il suo esempio ci aiuti ad essere saldi nella fede, che ci da la certezza che il Signore ci accompagna sempre.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a la FederaciónRegnum Christi, a los Legionarios de Cristo que han recibido en estos días la ordenación sacerdotal y a sus familiares, así como a los formadores y alumnos de los diferentes Centros de Estudios.Que el Señor, por intercesión de san José obrero, padre en la obediencia, nos aumente el don de la fe y nos permita abrir la mente a su misterio divino.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Queridos peregrinos de língua portuguesa, sede bem-vindos.

    Que São José Operário vos inspire a ritmar cada dia com um trabalho especial: a oração.

    Nela, antes de mais, peçamos ao Senhor que renove e aumente em nós a fé, para que toda a nossa atividade por Ele comece e n’Ele acabe.

    Deus vos abençoe!

    [Cari pellegrini di lingua portoghese, benvenuti.

    San Giuseppe Lavoratore vi ispiri a cadenzare ogni giornata con uno speciale impegno: la preghiera.

    In essa, chiediamo anzitutto al Signore che rinnovi e aumenti in noi la fede, affinché ogni nostro lavoro abbia in Lui il suo inizio e il suo compimento.

    Dio vi benedica!]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    المَسِيحِيُّ مَدعُوٌ إلى أنْ يَثِقَ باللهِ وأنْ يُسَلِّمَ نفسَهُ له بِحُرِّيَّة، لأنَّنا مَعَهُ نحن في سلامٍ وأمان.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Il cristiano è chiamato a fidarsi di Dio e ad abbandonarsi a Lui liberamente, perché con Lui siamo nella pace e nella sicurezza.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie Polaków.

    Podczas majowych nabożeństw zwierzajcie Matce Bożej sprawy osobiste, rodzinne, a także cierpienia ludzi, którzy są ofiarami wojen.

    Módlcie się za Kościół i Ojczyznę, o pokój na Ukrainie i na Bliskim Wschodzie.

    Niech Maryja, którą sto lat temu Pius XI ustanowił Królową dla całej Polski, wspiera was i prowadzi.

    Z serca wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i polacchi.

    Durante le preghiere del mese di maggio, confidate alla Madonna le vostre vicende personali e familiari, così come le sofferenze di quanti sono vittime delle guerre.

    Pregate per la Chiesa, per la Patria, per la pace in Ucraina e in Medio Oriente.

    Maria, che cento anni fa Pio XI istituì come Regina per tutta la Polonia, vi sostenga e vi guidi.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto le Suore Mercedarie che celebrano il Capitolo Generale, incoraggiandole a perseverare nel servizio al Vangelo e alla Chiesa, sulle orme della fondatrice la Serva di Dio Madre Teresa di Gesù.

    Saluto altresì i chierici dell’Istituto Teologico don Orione di Roma e li esorto a vivere con intensità questo tempo di formazione, rinnovando giorno per giorno la disponibilità a rispondere alla chiamata del Signore.

    Accolgo con affetto i fedeli di Frisa e di Panni, auspicando che la visita alla tomba degli Apostoli, rafforzi in essi la fede e la testimonianza cristiana.

    Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli.

    Oggi, primo maggio, con tutta la Chiesa facciamo memoria di san Giuseppe Lavoratore ed iniziamo il mese mariano.

    Pertanto, a ciascuno di voi vorrei riproporre la santa Famiglia di Nazaret come modello di comunità domestica: comunità di vita, di lavoro e di amore.

    E poi non dimentichiamo di pregare per la pace: preghiamo per i popoli che sono vittime della guerra.

    La guerra sempre è una sconfitta, sempre.

    Pensiamo alla martoriata Ucraina che soffre tanto.

    Pensiamo agli abitanti della Palestina e di Israele, che sono in guerra.

    Pensiamo ai Rohingya, al Myanmar, e chiediamo la pace.

    Chiediamo la vera pace per questi popoli e per tutto il mondo.

    Purtroppo oggi gli investimenti che danno più reddito sono le fabbriche delle armi.

    Terribile, guadagnare con la morte.

    Chiediamo la pace, che vada avanti la pace.

    A tutti la mia benedizione!

    Ai Partecipanti ai Capitoli Generali dei Figli della Carità "Canossiani" e dei Fratelli dell’Istruzione Cristiana di San Gabriele (29 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

    Saluto con gioia tutti voi, Figli della Carità “Canossiani” e Fratelli di San Gabriele, e in particolare i Superiori Generali.

    Mi fa piacere incontrarvi in occasione dei vostri Capitoli, che sono eventi sinodali fondamentali per ogni Congregazione religiosa.

    Soprattutto ad essi è affidata la tutela del patrimonio di intenzioni e di progetti che lo Spirito ha ispirato ai vostri Fondatori, e di tutto il bene che ne è scaturito (cfr CIC 578; 631).

    Si tratta dunque di momenti di grazia – un Capitolo è un momento di grazia –, da vivere prima di tutto nella docilità all’azione dello Spirito Santo, facendo memoria grata del passato, ponendo attenzione al presente – nell’ascolto reciproco e nella lettura dei segni dei tempi (cfr Gaudium et spes, 4) – e guardando con cuore aperto e fiducioso al futuro, per una verifica e un rinnovamento personale e comunitario.

    Passato, presente e futuro entrano in un Capitolo, per ricordare, per valutare e per andare avanti nello sviluppo della Congregazione.

    Cari amici Canossiani, è molto bello vedervi qui, uomini impegnati a seguire Cristo più da vicino (cfr Perfectae caritatis, 1; Catechismo della Chiesa Cattolica, 916) sulle orme di una donna, Maddalena di Canossa, di cui ricorrono i duecentocinquant’anni dalla nascita.

    Questa Santa coraggiosa, in un mondo non meno difficile del nostro, si propose di  “far conoscere e amare Gesù, che non è amato perché non è conosciuto”.

    E voi, che volete continuare la sua opera missionaria, avete scelto come tema per i vostri lavori questa frase: “Chi non arde non incendia”.

    A me dà tristezza quando vedo religiosi che sembrano più vigili del fuoco che uomini e donne con ardore per incendiare.

    Per favore, non vigili del fuoco! Ne abbiamo già tanti.

    Vi impegnate dunque ad ardere per incendiare, ravvivando e alimentando “il dono di Dio che è in voi” per “dare testimonianza al Signore” (cfr 2 Tm 1,6).

    E lo fate in una famiglia che, in oltre due secoli di storia, si è arricchita di tanti doni: presente in sette Paesi e composta da membri di dieci diverse nazionalità, sorretta dalla comunione e dalla collaborazione con le sorelle Canossiane e con una realtà laicale sempre più attiva e coinvolta.

    È importante questo, avere i laici coinvolti nella spiritualità di un istituto e che collaborano nel suo lavoro apostolico.

    Certo, si tratta di un’eredità che porta con sé anche delle sfide, ma Santa Maddalena vi ha mostrato come si superano le difficoltà: con gli occhi rivolti al Crocifisso e le braccia aperte verso gli ultimi, i piccoli, i poveri e gli ammalati, per curare, educare e servire i fratelli con gioia e semplicità.

    Quando il cammino si fa difficile, allora, fate come lei: guardate Gesù Crocifisso e guardate gli occhi e le piaghe dei poveri, e vedrete che lentamente le risposte si faranno strada nei vostri cuori con sempre maggiore chiarezza.

    Come ci hanno insegnato anche San Luigi Maria Grignion de Montfort e Padre Gabriele Deshayes, alla cui opera si deve la fondazione dei Fratelli di San Gabriele, voi pure, cari fratelli, siete impegnati in questi giorni a discernere la volontà di Dio per il vostro cammino, in prossimità di un importante anniversario: trecentocinquant’anni dalla nascita di San Luigi Maria.

    La vostra famiglia, nata da un piccolo gruppo di collaboratori laici del grande predicatore, oggi conta più di mille religiosi, impegnati nell’assistenza pastorale, nella promozione  umana e sociale e nell’educazione – specialmente in favore dei ciechi e dei sordomuti – in trentaquattro Paesi diversi.

    Per mantenere viva la vostra presenza, che è una presenza profetica, avete scelto di riflettere sul tema “Ascoltare e agire con coraggio”.

    “Coraggio”: quella parresia apostolica, il coraggio che noi leggiamo, per esempio, nel Libro degli Atti degli Apostoli.

    Quel coraggio.

    È lo Spirito a darci quel coraggio, e noi dobbiamo chiederlo.

    Sono due atteggiamenti – l’ascolto e il coraggio – che richiedono umiltà e fede, e che ben rispecchiano lo spirito e l’azione di San Luigi Maria e del padre Deshayes, che pure vi hanno lasciato un trittico prezioso come bussola per le vostre decisioni: “Dio solo”, la “Croce” – scolpita nel cuore – e “Maria”.

    Anche a voi, poi, la Provvidenza ha donato la ricchezza di una variegata internazionalità: essa farà tanto bene alla vostra crescita e al vostro apostolato, se la saprete vivere accogliendo e condividendo costruttivamente, tra voi e con tutti, le diversità.

    Questo è un messaggio importante, specialmente nel nostro mondo, spesso diviso da egoismi e particolarismi: le diversità sono doni da condividere, le diversità sono doni preziosi! Siate profeti di questo, con la vostra vita.

    E Colui che fa l’armonia fra le diversità è lo Spirito Santo, che è il maestro dell’armonia.

    L’uniformità in un istituto religioso, in una diocesi, in un gruppo laicale, uccide! La diversità in armonia fa crescere.

    Non dimenticatevi di questo.

    Diversità in armonia.

    Cari amici, un Capitolo è un «avvenimento di famiglia, ma anche un evento di Chiesa e un avvenimento salvifico»  (Beato E.F.

    Pironio, Discorso al Capitolo Generale dei Salesiani, 14 gennaio 1984).

    Vi ringrazio per questo che state facendo, e per il lavoro che svolgete ogni giorno in tanti luoghi e condizioni diverse.

    Vi benedico e vi affido a Maria; e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.

    Grazie!

    Visita a Venezia: Regina Caeli - Piazza San Marco, 28 Apr 2024
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle!

    Prima di concludere la nostra celebrazione, desidero salutare tutti voi che avete partecipato.

    Ringrazio di cuore il Patriarca, Francesco Moraglia, e con lui i collaboratori e i volontari.

    Sono grato alle Autorità civili e alle Forze dell’ordine che hanno facilitato lo svolgimento di questa visita.

    Grazie a tutti!

    Anche da qui, come ogni domenica, vogliamo invocare l’intercessione della Vergine Maria per le tante situazioni di sofferenza nel mondo.

    Penso ad Haiti, dove è in vigore lo stato di emergenza e la popolazione è disperata per il collasso del sistema sanitario, la scarsità di cibo e le violenze che spingono alla fuga.

    Affidiamo al Signore i lavori e le decisioni del nuovo Consiglio Presidenziale di Transizione, insediatosi giovedì scorso a Port-au-Prince, affinché, con il rinnovato sostegno della Comunità internazionale, possa condurre il Paese a raggiungere la pace e la stabilità di cui tanto ha bisogno.

    Penso alla martoriata Ucraina, alla Palestina e a Israele, ai Rohingya e a tante popolazioni che soffrono a causa di guerre e violenze.

    Il Dio della pace illumini i cuori perché cresca in tutti la volontà di dialogo e di riconciliazione.

    Cari fratelli e sorelle, grazie ancora per la vostra accoglienza! Grazie al Patriarca.

    Vi porto con me nella preghiera; e anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me, perché questo lavoro non è facile!

    Visita a Venezia: Celebrazione della Santa Messa (Piazza San Marco, 28 Apr 2024)
    Visita il link

    Gesù è la vite, noi siamo i tralci.

    E Dio, il Padre misericordioso e buono, come un agricoltore paziente ci lavora con premura perché la nostra vita sia ricolma di frutti.

    Per questo, Gesù ci raccomanda di custodire il dono inestimabile che è il legame con Lui, da cui dipende la nostra vita e la nostra fecondità.

    Egli ripete con insistenza: «Rimanete in me e io in voi.

    […] Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto» (Gv 15,4).

    Solo chi rimane unito a Gesù porta frutto.

    Soffermiamoci su questo.

    Gesù sta per concludere la sua missione terrena.

    Nell’Ultima Cena con quelli che saranno i suoi apostoli, Egli consegna loro, insieme con l’Eucaristia, alcune parole-chiave.

    Una di esse è proprio questa: «rimanete», mantenete vivo il legame con me, restate uniti a me come i tralci alla vite.

    Usando questa immagine, Gesù riprende una metafora biblica che il popolo conosceva bene e che incontrava anche nella preghiera, come nel salmo che dice: «Dio degli eserciti, ritorna! / Guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna» (Sal 80,15).

    Israele è la vigna che il Signore ha piantato e di cui si è preso cura.

    E quando il popolo non porta i frutti d’amore che il Signore si attende, il profeta Isaia formula un atto di accusa utilizzando proprio la parabola di un agricoltore che ha dissodato la sua vigna, l’ha ripulita dai sassi, vi ha piantato viti pregiate aspettandosi che producesse vino buono, ma essa, invece, dà soltanto acini acerbi.

    E il profeta conclude: «Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti / è la casa d’Israele; / gli abitanti di Giuda / sono la sua piantagione preferita.

    / Egli si aspettava giustizia / ed ecco spargimento di sangue, / attendeva rettitudine / ed ecco grida di oppressi» (Is 5,7).

    Gesù stesso, riprendendo Isaia, racconta la drammatica parabola dei vignaioli omicidi, mettendo in risalto il contrasto tra il lavoro paziente di Dio e il rifiuto del suo popolo (cfr Mt 21,33-44).

    Dunque, la metafora della vite, mentre esprime la cura amorevole di Dio per noi, d’altra parte ci mette in guardia, perché, se spezziamo questo legame con il Signore, non possiamo generare frutti di vita buona e noi stessi rischiamo di diventare rami secchi.

    È brutto, questo, diventare rami secchi, quei rami che vengono gettati via.

    Fratelli e sorelle, sullo sfondo dell’immagine usata da Gesù, penso anche alla lunga storia che lega Venezia al lavoro delle vigne e alla produzione del vino, alla cura di tanti viticoltori e ai numerosi vigneti sorti nelle isole della Laguna e nei giardini tra le calli della città, e a quelli che impegnavano i monaci a produrre vino per le loro comunità.

    Dentro questa memoria, non è difficile cogliere il messaggio della parabola della vite e dei tralci: la fede in Gesù, il legame con Lui non imprigiona la nostra libertà ma, al contrario, ci apre ad accogliere la linfa dell’amore di Dio, il quale moltiplica la nostra gioia, si prende cura di noi con la premura di un bravo vignaiolo e fa nascere germogli anche quando il terreno della nostra vita diventa arido.

    E tante volte il nostro cuore diventa arido.

    Ma la metafora uscita dal cuore di Gesù può essere letta anche pensando a questa città costruita sulle acque, e riconosciuta per questa sua unicità come uno dei luoghi più suggestivi al mondo.

    Venezia è un tutt’uno con le acque su cui sorge, e senza la cura e la salvaguardia di questo scenario naturale potrebbe perfino cessare di esistere.

    Così è pure la nostra vita: anche noi, immersi da sempre nelle sorgenti dell’amore di Dio, siamo stati rigenerati nel Battesimo, siamo rinati a vita nuova dall’acqua e dallo Spirito Santo e inseriti in Cristo come i tralci nella vite.

    In noi scorre la linfa di questo amore, senza il quale diventiamo rami secchi, che non portano frutto.

    Il Beato Giovanni Paolo I, quando era Patriarca di questa città, disse una volta che Gesù «è venuto a portare agli uomini la vita eterna […]». E continuava: «Quella vita sta in lui e da lui passa ai suoi discepoli, come la linfa sale dal tronco ai tralci della vite.

    Essa è un’acqua fresca, che egli dà, una fonte sempre zampillante» (A.

    Luciani, Venezia 1975-1976.

    Opera Omnia.

    Discorsi, scritti, articoli, vol.

    VII, Padova 2011, 158).

    Fratelli e sorelle, questo è ciò che conta: rimanere nel Signore, dimorare in Lui.

    Pensiamo a questo, un minuto: rimanere nel Signore, dimorare in Lui.

    E questo verbo – rimanere – non va interpretato come qualcosa di statico, come se volesse dirci di stare fermi, parcheggiati nella passività; in realtà, ci invita a metterci in movimento, perché rimanere nel Signore significa crescere; sempre rimanere nel Signore significa crescere, crescere nella relazione con Lui, dialogare con Lui, accogliere la sua Parola, seguirlo sulla strada del Regno di Dio.

    Perciò si tratta di metterci in cammino dietro a Lui: rimanere nel Signore e camminare, metterci in cammino dietro a Lui, lasciarci provocare dal suo Vangelo e diventare testimoni del suo amore.

    Per questo Gesù dice che chi rimane in Lui porta frutto.

    E non si tratta di un frutto qualsiasi! Il frutto dei tralci in cui scorre la linfa è l’uva, e dall’uva proviene il vino, che è un segno messianico per eccellenza.

    Gesù, infatti, il Messia inviato dal Padre, porta il vino dell’amore di Dio nel cuore dell’uomo e lo riempie di gioia, lo riempie di speranza.

    Cari fratelli e sorelle, questo è il frutto che siamo chiamati a portare nella nostra vita, nelle nostre relazioni, nei luoghi che frequentiamo ogni giorno, nella nostra società, nel nostro lavoro.

    Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano: i cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine.

    E noi cristiani, che siamo tralci uniti alla vite, vigna del Dio che ha cura dell’umanità e ha creato il mondo come un giardino perché noi possiamo fiorirvi e farlo fiorire, noi cristiani, come rispondiamo? Restando uniti a Cristo potremo portare i frutti del Vangelo dentro la realtà che abitiamo: frutti di giustizia e di pace, frutti di solidarietà e di cura vicendevole; scelte di attenzione per la salvaguardia del patrimonio ambientale ma anche di quello umano: non dimentichiamo il patrimonio umano, la grande umanità nostra, quella che ha preso Dio per camminare con noi; abbiamo bisogno che le nostre comunità cristiane, i nostri quartieri, le città, diventino luoghi ospitali, accoglienti, inclusivi.

    E Venezia, che da sempre è luogo di incontro e di scambio culturale, è chiamata ad essere segno di bellezza accessibile a tutti, a partire dagli ultimi, segno di fraternità e di cura per la nostra casa comune.

    Venezia, terra che fa fratelli.

    Grazie.

    Visita a Venezia: Incontro con i giovani (Piazzale antistante la Basilica della Salute, 28 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Anche il sole sorride!

    È bello vedervi! Trovarci insieme ci permette di condividere, anche solo attraverso una preghiera, uno sguardo e un sorriso, la meraviglia che siamo.

    Infatti tutti noi abbiamo ricevuto un dono grande, quello di essere figli di Dio amati, e siamo chiamati a realizzare il sogno del Signore: testimoniare e vivere la sua gioia.

    Non c’è cosa più bella.

    Non so se vi è capitato di vivere alcune esperienze così belle da non riuscire a tenerle per voi, ma da sentire il bisogno di condividerle.

    Tutti noi abbiamo questa esperienza, una esperienza tanto bella che uno sente il bisogno di condividerla.

    Noi siamo qui oggi per questo: per riscoprire nel Signore la bellezza che siamo e rallegrarci nel nome di Gesù, Dio giovane che ama i giovani e che sempre sorprende.

    Il nostro Dio ci sorprende sempre.

    Avete capito questo? È molto importante, essere preparati alle sorprese di Dio!

    Amici, qui a Venezia, città della bellezza, viviamo insieme un bel momento di incontro, ma stasera, quando ciascuno sarà a casa, e poi domani e nei giorni a venire, da dove ripartire per accogliere la bellezza che siamo e alimentare, da dove ripartiamo per cogliere questa bellezza? Vi suggerisco due verbi, per ripartire, due verbi pratici perché materni: due verbi di movimento che animavano il cuore giovane di Maria, Madre di Dio e nostra.

    Lei, per diffondere la gioia del Signore e aiutare chi era nel bisogno, «si alzò e andò» (Lc 1,39).

    Alzarsi e andare.

    Non dimenticare questi due verbi che la Madonna ha vissuto prima di noi.

    Prima di tutto, alzarsi.

    Alzarsi da terra, perché siamo fatti per il Cielo.

    Alzarsi dalle tristezze per levare lo sguardo in alto.

    Alzarsi per stare in piedi di fronte alla vita, non seduti sul divano.

    Avete pensato, immaginato, cos’è un giovane per tutta la vita seduto sul divano? L’avete immaginato questo? Immaginate questo; e ci sono divani diversi che ci prendono e non ci lasciano alzare.

    Alzarsi per dire “eccomi!” al Signore, che crede in noi.

    Alzarsi per accogliere il dono che siamo, per riconoscere, prima di ogni altra cosa, che siamo preziosi e insostituibili.

    “Ma padre, Papa o signor Papa, no, non è vero, io sono brutto, io sono brutta…”.

    No, no, nessuno è brutto e ognuno di noi è bello, è bella e ha un tesoro dentro di sé, un bel tesoro da condividere e dare agli altri.

    Siete d’accordo su questo o no? Sì? E questo, sentite bene, non è autostima, no, è realtà! Riconoscere questo è il primo passo da fare al mattino quando ti svegli: scendi dal letto e ti accogli in dono.

    Ti alzi e, prima di tuffarti nelle cose da fare, riconosci chi sei ringraziando il Signore.

    Gli puoi dire: “Mio Dio, grazie per la vita.

    Mio Dio, fammi innamorare della mia vita”.

    Riconosci chi sei tu e ringrazi il Signore.

    Gli puoi dire: “Mio Dio, grazie per la vita.

    Mio Dio, fammi innamorare della vita, della mia vita.

    Mio Dio, Tu sei la mia vita.

    Mio Dio, aiutami oggi per questo, per quest’altro… Tu sai, mio Dio, sono innamorata, sono innamorato, aiutami, aiutami a far crescere questo amore e poi finire in una coppia felice”.

    Tante cose belle si possono dire sempre al Signore.

    Poi preghi il Padre Nostro, dove la prima parola è la chiave della gioia: dici “Padre” e ti riconosci figlio amato, figlia amata.

    Ti ricordi che per Dio non sei un profilo digitale, ma un figlio, che hai un Padre nei cieli e che dunque sei figlio del cielo.

    “Ma, padre, questo è troppo romantico!”.

    No, è la realtà, caro o cara, ma dobbiamo scoprirla nella nostra vita, non nei libri, nella vita, la vita nostra.

    Eppure spesso ci si trova a lottare contro una forza di gravità negativa che butta giù, un’inerzia opprimente che vuole farci vedere tutto grigio.

    A volte ci succede questo.

    Come fare? Per alzarci – non dimentichiamolo – anzitutto bisogna lasciarci rialzare: farci prendere per mano dal Signore, che non delude mai chi confida in Lui, che sempre risolleva e perdona.

    “Ma io – potresti dire – non sono all’altezza: mi percepisco fragile, debole, peccatore, cado spesso!”.

    Ma quando ti senti così, per favore, cambia “inquadratura”: non guardarti con i tuoi occhi, ma pensa allo sguardo con cui ti guarda Dio.

    Quando sbagli e cadi, Lui cosa fa? Sta lì, accanto a te e ti sorride, pronto a prenderti per mano e alzarti.

    Questa è una cosa molto bella: sempre sta lì per alzarti.

    Vi dirò una cosa che questo mi suggerisce.

    È bello guardare una persona dall’alto in basso? È bello o non è bello? No, non è bello.

    Ma quando si può guardare una persona dall’alto in basso, quando? Per aiutarla a sollevarsi.

    L’unica volta che noi possiamo guardare una persona dall’alto in basso con bellezza è quando la aiutiamo a sollevarsi.

    E così fa Gesù con noi, quando siamo caduti.

    Ci guarda dall’alto in basso.

    Questo è bello.

    Non ci credi? Apri il Vangelo e guarda cos’ha fatto con Pietro, con Maria Maddalena, con Zaccheo, con tanti altri: meraviglie con le loro fragilità.

    Il Signore con la nostra fragilità fa delle meraviglie.

    E un po’ en passant: voi leggete il Vangelo? Vi do un consiglio.

    Avete un piccolo Vangelo tascabile? Portatelo sempre con voi e, in qualsiasi momento, apritelo e leggete un piccolo brano.

    Sempre con voi il piccolo Vangelo tascabile.

    D’accordo? [rispondono: “Sì!”] Avanti, coraggio!

    Dio sa che, oltre a essere belli, siamo fragili, e le due cose vanno insieme: un po’ come Venezia, che è splendida e delicata al tempo stesso.

    È bella e delicata, ha qualche fragilità che dev’essere curata.

    Dio non si lega al dito i nostri errori: “Hai fatto così, hai fatto…”.

    Lui non si lega a questo ma ci tende la mano.

    “Ma, padre, io ne ho tanti, tante cose di cui mi vergogno”.

    Ma non guardare te, guarda la mano che Dio ti tende per alzarti! Non dimenticare questo: se tu ti senti con il peso della coscienza, guarda il Signore e lasciati prendere per mano da Lui.

    Quando siamo a terra, Lui vede figli da rialzare, non malfattori da punire.

    Per favore, fidiamoci del Signore! Sta diventando un po’ lungo questo, vi siete annoiati? [rispondono: “No!”] Siete educati, va bene!

    E, una volta rialzati, tocca a noi restare in piedi.

    Prima rialzarsi poi stare in piedi, “rimanere” quando viene voglia di sedersi, di lasciarsi andare, di lasciar perdere.

    Non è facile, ma è il segreto.

    Sì, il segreto di grandi conquiste è la costanza.

    È vero che a volte c’è questa fragilità che ti tira giù, ma la costanza è quello che ti porta avanti, è il segreto.

    Oggi si vive di emozioni veloci, di sensazioni momentanee, di istinti che durano istanti.

    Ma così non si va lontano.

    I campioni dello sport, come pure gli artisti, gli scienziati, mostrano che i grandi traguardi non si raggiungono in un attimo, tutto e subito.

    E se questo vale per lo sport, l’arte e la cultura, vale a maggior ragione per ciò che più conta nella vita.

    Che cosa conta nella vita? L’amore, la fede.

    E per crescere nella fede e nell’amore dobbiamo avere costanza e andare avanti sempre.

    Invece qui il rischio è lasciare tutto all’improvvisazione: prego se mi va, vado a Messa quando ho voglia, faccio del bene se me la sento… Questo non dà risultati: occorre perseverare, giorno dopo giorno.

    E farlo insieme, perché l’insieme ci aiuta sempre ad andare avanti.

    Insieme: il “fai da te” nelle grandi cose non funziona.

    Per questo vi dico: non isolatevi, cercate gli altri, fate esperienza di Dio assieme, seguite cammini di gruppo senza stancarvi.

    Tu potresti dire: “Ma attorno a me stanno tutti per conto loro con il cellulare, attaccati ai social e ai videogiochi”.

    E tu senza paura vai controcorrente: prendi la vita tra le mani, mettiti in gioco; spegni la tv e apri il Vangelo – è troppo questo? –, lascia il cellulare e incontra le persone! Il cellulare è molto utile, per comunicare, è utile, ma state attenti quando il cellulare ti impedisce di incontrare le persone.

    Usa il cellulare, va bene, ma incontra le persone! Sai cos’è un abbraccio, un bacio, una stretta di mano: le persone.

    Non dimenticare questo: usa il cellulare, ma incontra le persone.

    Mi sembra di sentire la vostra obiezione: “Non è facile, padre, sembra di andare controcorrente!”.

    Ma voi non potete dire questo qui a Venezia, perché Venezia ci dice che solo remando con costanza si va lontano.

    Se voi siete cittadini veneziani, imparate a remare con costanza per andare lontano! Certo, per remare occorre regolarità; ma la costanza premia, anche se costa fatica.

    Dunque, ragazzi e ragazze, questo è alzarsi: lasciarsi prendere per mano da Dio per camminare insieme!

    E dopo l’alzarsi, andare.

    Andare è farsi dono, donarsi agli altri, capacità di innamorarsi; e questa è una cosa bella: una giovane, un giovane che non sente la capacità di innamorarsi o di essere amorevole con gli altri, qualcosa gli manca.

    Andare incontro, camminare, andare avanti.

    Cari fratelli, care sorelle, sto finendo, state tranquilli!

    Pensiamo al nostro Padre, che ha creato tutto per noi, Dio ci ha dato tutto: e noi che siamo suoi figli, per chi creiamo qualcosa di bello? Viviamo immersi in prodotti fatti dall’uomo, che ci fanno perdere lo stupore per la bellezza che ci circonda, eppure il creato ci invita a essere a nostra volta creatori di bellezza.

    Per favore, non dimenticate questo: essere creatori di bellezza, e fare qualcosa che prima non c’era.

    Questo è bello! E quando voi sarete sposati e avrete un figlio, una figlia, avrete fatto una cosa che prima non c’era! E questa è la bellezza della gioventù, quando diventa maternità o paternità: fare una cosa che prima non c’era.

    È bello questo.

    Pensate dentro di voi ai figli che avrete, e questo deve spingerci in avanti, non siate professionisti del digitare compulsivo, ma creatori di novità! Una preghiera fatta col cuore, una pagina che scrivi, un sogno che realizzi, un gesto d’amore per qualcuno che non può ricambiare: questo è creare, imitare lo stile di Dio che crea.

    È lo stile della gratuità, che fa uscire dalla logica nichilista del “faccio per avere” e “lavoro per guadagnare”.

    Questo si deve fare – faccio per avere e lavoro per guadagnare –, ma non dev’essere il centro della tua vita.

    Il centro è la gratuità: date vita a una sinfonia di gratuità in un mondo che cerca l’utile! Allora sarete rivoluzionari.

    Andate, donatevi senza paura!

    Giovane che vuoi prendere in mano la tua vita, alzati! Apri il cuore a Dio, ringrazialo, abbraccia la bellezza che sei; innamorati della tua vita.

    E poi vai! Alzati, innamorati e vai! Esci, cammina con gli altri, cerca chi è solo, colora il mondo con la tua creatività, dipingi di Vangelo le strade della vita.

    Per favore, dipingi di Vangelo le strade della vita! Alzati e vai.

    Lo diciamo tutti insieme, gli uni per gli altri! [ripetono: “Alzati e vai!”] Non ho sentito… [ripetono forte: “Alzati e vai!”] Mi piace! Gesù ti rivolge quest’invito.

    Lui, a tante persone che aiutava e guariva, diceva: “Alzati e vai” (cfr Lc 17,19).

    Ascolta questa chiamata, ripetila dentro di te, custodiscila nel cuore.

    E com’era la cosa? [ripetono: “Alzati e vai!”] Grazie!

    ***

    Finito il discorso, alcuni giovani portano al Papa un dono.

    Sacerdote:

    La mia voce, Santo Padre, credo sia ben poca cosa confronto all’emozione di questi giovani…

    Papa Francesco

    Grazie! E, ho dimenticato: com’era la cosa?

    Giovani:

    Alzati e vai!

    Papa Francesco

    Bravi!

    Sacerdote

    Lei ci chiede sempre di pregare per Lei, Santo Padre.

    Questi giovani hanno chiesto di farlo per Lei anche quest’oggi, e quindi chiediamo quel tempo per chiedere a Dio Padre di benedire la Sua vita, il Suo ministero di padre e di lasciare che noi possiamo essere pecore docili alla Sua guida.

    Per l’intercessione della Vergine che custodisce questa nostra diocesi e che Lei ci insegna a pregare, questo minuto di silenzio.

    [Ave Maria]
    [Benedizione]

    Sacerdote

    Il gesto che Le viene porto è questa forcola, un elemento fondamentale per un’imbarcazione a remi: è la congiunzione tra la barca e il remo, vuole simboleggiare i nostri giovani, la dinamicità di guidare, di mettere la loro energia, la loro forza, ma anche di lasciarsi guidare da Lei.

    Sono una rappresentanza di tutte le diocesi.

    Visita a Venezia: Incontro con gli artisti nella Chiesa della Maddalena (Isola della Giudecca, 28 Apr 2024)
    Visita il link

    Signor Cardinale, Eccellenze,
    Signor Ministro,
    Signor Presidente,
    Illustri Curatori,
    Care Artiste e cari Artisti!

    Ho molto desiderato venire alla Biennale d’Arte di Venezia per contraccambiare una visita, com’è buona abitudine tra amici.

    Nel giugno scorso, infatti, ho avuto la gioia di accogliere un folto gruppo di artisti nella Cappella Sistina.

    Ora sono io a venire “a casa vostra” per incontrarvi personalmente, per sentirmi ancora più vicino a voi e, in questo modo, ringraziarvi di quello che siete e che fate.

    E nello stesso tempo da qui vorrei mandare a tutti questo messaggio: il mondo ha bisogno di artisti.

    Lo dimostra la moltitudine di persone di ogni età che frequentano luoghi ed eventi d’arte; mi piace ricordare tra questi le Vatican Chapels, primo Padiglione della Santa Sede realizzato sei anni fa sull’Isola di San Giorgio, in collaborazione con la Fondazione Cini, nell’ambito della Biennale di Architettura.

    Vi confesso che accanto a voi non mi sento un estraneo: mi sento a casa.

    E penso che in realtà questo valga per ogni essere umano, perché, a tutti gli effetti, l’arte riveste lo statuto di “città rifugio”, un’entità che disobbedisce al regime di violenza e discriminazione per creare forme di appartenenza umana capaci di riconoscere, includere, proteggere, abbracciare tutti.

    Tutti, a cominciare dagli ultimi.

    Le città rifugio sono un’istituzione biblica, menzionata già nel codice deuteronomico (cfr Dt 4,41), destinata a prevenire lo spargimento di sangue innocente e a moderare il cieco desiderio di vendetta, per garantire la tutela dei diritti umani e cercare forme di riconciliazione.

    Sarebbe importante se le varie pratiche artistiche potessero costituirsi ovunque come una sorta di rete di città rifugio, collaborando per liberare il mondo da antinomie insensate e ormai svuotate, ma che cercano di prendere il sopravvento nel razzismo, nella xenofobia, nella disuguaglianza, nello squilibrio ecologico e dell’aporofobia, questo terribile neologismo che significa “fobia dei poveri”.

    Dietro a queste antinomie c’è sempre il rifiuto dell’altro.

    C’è l’egoismo che ci fa funzionare come isole solitarie invece che come arcipelaghi collaborativi.

    Vi imploro, amici artisti, immaginate città che ancora non esistono sulla carta geografica: città in cui nessun essere umano è considerato un estraneo.

    È per questo che quando diciamo “stranieri ovunque”, stiamo proponendo “fratelli ovunque”.

    Il titolo del padiglione in cui ci troviamo è “Con i miei occhi”.

    Abbiamo tutti bisogno di essere guardati e di osare guardare noi stessi.

    In questo, Gesù è il Maestro perenne: Egli guarda tutti con l’intensità di un amore che non giudica, ma sa essere vicino e incoraggiare.

    E direi che l’arte ci educa a questo tipo di sguardo, non possessivo, non oggettivante, ma nemmeno indifferente, superficiale; ci educa a uno sguardo contemplativo.

    Gli artisti sono nel mondo, ma sono chiamati ad andare oltre.

    Ad esempio, oggi più che mai è urgente che sappiano distinguere chiaramente l’arte dal mercato.

    Certo, il mercato promuove e canonizza, ma c’è sempre il rischio che “vampirizzi” la creatività, rubi l’innocenza e, infine, istruisca freddamente sul da farsi.

    Oggi abbiamo scelto di ritrovarci tutti insieme qui, nel carcere femminile della Giudecca.

    È vero che nessuno ha il monopolio del dolore umano.

    Ma ci sono una gioia e una sofferenza che si uniscono nel femminile in una forma unica e di cui dobbiamo metterci in ascolto, perché hanno qualcosa di importante da insegnarci.

    Penso ad artiste come Frida Khalo, Corita Kent o Louise Bourgeois e tante altre.

    Mi auguro con tutto il cuore che l’arte contemporanea possa aprire il nostro sguardo, aiutandoci a valorizzare adeguatamente il contributo delle donne, come coprotagoniste dell’avventura umana.

    Care Artiste e cari Artisti, ricordo l’interrogativo indirizzato da Gesù alle folle, a proposito di Giovanni il Battista: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere?» (Mt 11,7-8).

    Conserviamo questa domanda nel cuore, nel nostro cuore.

    Essa ci spinge verso il futuro.

    Grazie! Vi porto nella preghiera.

    E per favore, pregate per me.

    Grazie.

    Visita a Venezia: Incontro con le detenute (Casa di Reclusione Donne Venezia all’Isola della Giudecca, 28 Apr 2024)
    Visita il link

    Care sorelle, cari fratelli! Tutti siamo fratelli, tutti, e nessuno può rinnegare l’altro, nessuno!

    Saluto con affetto tutti, e specialmente voi sorelle, detenute della Casa di Reclusione della Giudecca.

    Ho desiderato incontrarvi all’inizio della mia visita a Venezia per dirvi che avete un posto speciale nel mio cuore.

    Vorrei, perciò, che vivessimo questo momento non tanto come una “visita ufficiale”, quanto come un incontro in cui, per grazia di Dio, ci doniamo a vicenda tempo, preghiera, vicinanza e affetto fraterno.

    Oggi tutti usciremo più ricchi da questo cortile – forse chi uscirà più ricco sarò io –, e il bene che ci scambieremo sarà prezioso.

    È il Signore che ci vuole insieme in questo momento, arrivati per vie diverse, alcune molto dolorose, anche a causa di errori di cui, in vari modi, ogni persona porta ferite e cicatrici, ogni persona porta delle cicatrici.

    E Dio ci vuole insieme perché sa che ognuno di noi, qui, oggi, ha qualcosa di unico da dare e da ricevere, e che tutti ne abbiamo bisogno.

    Ognuno di noi ha la propria singolarità, ha un dono e questo è per offrirlo, per condividerlo.

    Il carcere è una realtà dura, e problemi come il sovraffollamento, la carenza di strutture e di risorse, gli episodi di violenza, vi generano tanta sofferenza.

    Però può anche diventare un luogo di rinascita, rinascita morale e materiale, in cui la dignità di donne e uomini non è “messa in isolamento”, ma promossa attraverso il rispetto reciproco e la cura di talenti e capacità, magari rimaste sopite o imprigionate dalle vicende della vita, ma che possono riemergere per il bene di tutti e che meritano attenzione e fiducia.

    Nessuno toglie la dignità di una persona, nessuno!

    Allora, paradossalmente, la permanenza in una casa di reclusione può segnare l’inizio di qualcosa di nuovo, attraverso la riscoperta di bellezze insospettate in noi e negli altri, come simboleggia l’evento artistico che state ospitando e al cui progetto contribuite attivamente; può diventare come un cantiere di ricostruzione, in cui guardare e valutare con coraggio la propria vita, rimuoverne ciò che non serve, che è di ingombro, dannoso o pericoloso, elaborare un progetto, e poi ripartire scavando fondamenta e tornando, alla luce delle esperienze fatte, a mettere mattone su mattone, insieme, con determinazione.  Per questo è fondamentale che anche il sistema carcerario offra ai detenuti e alle detenute strumenti e spazi di crescita umana, di crescita spirituale, culturale e professionale, creando le premesse per un loro sano reinserimento.

    Per favore, non “isolare la dignità”, non isolare la dignità ma dare nuove possibilità!

    Non dimentichiamo che tutti abbiamo errori di cui farci perdonare e ferite da curare, io anche, e che tutti possiamo diventare guariti che portano guarigione, perdonati che portano perdono, rinati che portano rinascita.

    Cari amici e amiche, rinnoviamo oggi, io e voi, insieme, la nostra fiducia nel futuro: non chiudere la finestra, per favore, sempre guardare l’orizzonte, sempre guardare il futuro, con la speranza.

    A me piace pensare la speranza come un’ancora, sai, che è ancorata nel futuro, e noi abbiamo nelle mani la corda e andiamo avanti con la corda ancorata nel futuro.

    Proponiamoci di cominciare ogni giornata dicendo: “oggi è il momento adatto”, oggi, “oggi è il giorno giusto”, oggi (cfr 2Cor 6,2), “oggi ricomincio”, sempre, per tutta la vita!

    Vi ringrazio di questo incontro e vi assicuro la mia preghiera per ognuna di voi.

    E voi, pregate per me, ma a favore non contro!

    E questo è il dono che vi lascio.

    Guardate, è un po’ la tenerezza della mamma, e questa tenerezza Maria l’ha con tutti noi, con tutti noi, è la madre della tenerezza.

    Grazie.

    [scambio doni e saluti detenute]

    E adesso mi cacciano via! Grazie, grazie tante, vi ricorderò! E avanti e coraggio, non mollare, coraggio e avanti!

    Visita del Santo Padre a Venezia (domenica, 28 Apr 2024)
    Visita il link

     

  • Multimedia
  • 6:30 Decollo dall’eliporto del Vaticano.
    8:00 Atterraggio nel Piazzale interno della Casa di Reclusione Donne Venezia, all’Isola della Giudecca.

    Il Santo Padre è accolto da:

    - S.E.

    Mons.

    Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia
    - Maria Milano Franco D’Aragona, Provveditore
    - Mariagrazia Felicita Bregoli, Direttore
    - Lara Boco, Comandante della Polizia Penitenziaria

    8:15 Cortile interno della Casa di Reclusione:
    INCONTRO CON LE DETENUTE
    Discorso del Santo Padre

    Sono presenti anche: Personale amministrativo, Agenti della Polizia Penitenziaria, Volontari.

    Il Santo Padre saluta personalmente le Detenute (80 circa).

    8:45 Terminato l’incontro nel Cortile, il Santo Padre raggiunge la chiesa della Maddalena (Cappella del Carcere), dove è accolto dall’Em.mo Card.

    José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, Curatore del Padiglione della Santa Sede alla Biennale d’Arte di Venezia.

    9:00 Chiesa della Maddalena:
    INCONTRO CON GLI ARTISTI

    Saluto del Cardinale José Tolentino de Mendonça

    Discorso del Santo Padre

    Il Santo Padre saluta le Autorità e gli Artisti che partecipano all’Esposizione.
    9:30 Il Santo Padre lascia l’Isola della Giudecca e raggiunge in motovedetta la Basilica di Santa Maria della Salute.
    10:00 Piazzale antistante la Basilica della Salute:
    INCONTRO CON I GIOVANI
    Discorso del Santo Padre

    Sono presenti giovani di Venezia e delle Diocesi del Veneto.

    10:30 Al termine del discorso, accompagnato da una delegazione di giovani, il Santo Padre attraversa il ponte di barche che collega con Piazza San Marco.

    All’imbocco di Piazza San Marco il Santo Padre è accolto da:

    -On.

    Luca Zaia, Presidente della Regione Veneto
    -Dott.

    Darco Pellos, Prefetto di Venezia
    -Dott.

    Luigi Brugnaro, Sindaco di Venezia

    11:00 Piazza San Marco:
    CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA
    Omelia del Santo Padre
     
    Regina caeli

    Al termine della Santa Messa, ringraziamento di S.E.

    Mons.

    Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia.

    12:30 Terminata la Celebrazione Eucaristica, il Santo Padre entra in forma privata nella Basilica di San Marco per venerare le Reliquie del Santo; quindi sale sulla motovedetta e raggiunge l’eliporto del Collegio Navale “F.

    Morosini” a Sant’Elena.

    Il Santo Padre si congeda dalle Autorità civili e religiose che Lo hanno accolto.

    13:00 Decollo da Venezia
    14:30 Atterraggio all’eliporto del Vaticano

     

    Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede,  25 marzo 2024

    "La carezza e il sorriso": Incontro con nonni, anziani e nipoti promosso dalla Fondazione Età Grande (27 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari nonni e cari nipoti, buongiorno e benvenuti!

    Saluto Mons.

    Vincenzo Paglia e tutti coloro che hanno collaborato per organizzare questo momento di festa.

    E un  particolare ringraziamento va ai numerosi personaggi dello spettacolo che hanno voluto partecipare.

    Grazie! Poi, tutti noi abbiamo un nonno o una nonna, due nonni due nonne.

    È un’esperienza bella avere un nonno.

    Ma anche l’Italia ha un “nonno”, e per questo voglio salutare “il nonno d’Italia” [Lino Banfi], che è qui presente.

    È bello accogliervi qui, nonni e nipoti, giovani e meno giovani.

    Oggi vediamo, come dice il Salmo, quanto è bello stare insieme (cfr Sal 133).

    Basta guardarvi per capirlo, perchè tra voi c’è amore.

    E proprio su questo vorrei che riflettessimo un momento: sul fatto che l’amore ci rende migliori, ci rende più ricchi e ci rende più saggi ad ogni età.

    Primo: l’amore ci rende migliori.

    Lo mostrate anche voi, che vi migliorate a vicenda volendovi bene.

    E ve lo dico da “nonno”, col desiderio di condividere la fede sempre giovane che unisce tutte le generazioni.

    Anch’io l’ho ricevuta da mia nonna, dalla quale per prima ho imparato a conoscere Gesù, che ci ama, che non ci lascia mai soli, e che ci sprona a farci anche noi vicini gli uni agli altri e a non escludere mai nessuno.

    Io ricordo ancora oggi le prime preghiere che mi ha insegnato la nonna.

    È da lei che ho sentito la storia di quella famiglia dove c’era il nonno che, siccome a tavola non mangiava più bene e si sporcava, era stato allontanato, messo a mangiare da solo.

    E non era una cosa bella – la nonna mi ha raccontato questa storia –, non era una cosa bella anzi, era molto brutta! Allora il nipotino – continua la storia che mi aveva raccontato la nonna – il nipotino si è messo a trafficare per qualche giorno con martello e chiodi e, quando il papà gli ha chiesto cosa stesse facendo, ha risposto: “Costruisco un tavolo per te, per farti mangiare da solo quando diventi vecchio!”.

    Questo mi ha insegnato la mia nonna, e io non ho dimenticato mai questa storia.

    Non dimenticatela neanche voi, perché è solo stando insieme con amore, non escludendo nessuno, che si diventa migliori, si diventa più umani!

    Non solo, ma si diventa anche più ricchi.

    Come mai? La nostra società è piena di persone specializzate in tante cose, ricca di conoscenze e di mezzi utili per tutti.

    Se però non c’è condivisione e ognuno pensa solo a sé, tutta la ricchezza va perduta, anzi si trasforma in un impoverimento di umanità.

    E questo è un grande rischio per il nostro tempo: la povertà della frammentazione e dell’egoismo.

    La persona egoista pensa di essere più importante se si mette al centro e se ha più cose, più cose… Ma la persona egoista è la più povera, perché l’egoismo impoverisce.

    Pensiamo, ad esempio, ad alcune espressioni che usiamo: quando parliamo di “mondo dei giovani”, di “mondo dei vecchi”, di “mondo di questo e di quello”...

    Ma il mondo è uno solo! Ed è composto di tante realtà che sono diverse proprio per potersi aiutare e completare a vicenda: le generazioni, i popoli, e tutte le differenze, se armonizzate, possono rivelare, come le facce di un grande diamante, lo splendore meraviglioso dell’uomo e del creato.

    Anche questo ci insegna il vostro stare insieme: a non lasciare che le diversità creino spaccature tra noi! A non polverizzare il diamante dell’amore, il tesoro più bello che Dio ci ha donato.

    A volte sentiamo frasi come “pensa a te stesso!”, “non aver bisogno di nessuno!”.

    Sono frasi false, che ingannano le persone, facendo credere che sia bello non dipendere dagli altri, fare da sé, vivere come isole, mentre questi sono atteggiamenti che creano solo tanta solitudine.

    Come ad esempio quando, per la cultura dello scarto, gli anziani vengono lasciati soli e devono trascorrere gli ultimi anni della vita lontano da casa e dai propri cari.

    Cosa ne pensate? È bello questo o non è bello? No! Gli anziani non devono essere lasciati soli, devono vivere in famiglia, in comunità, con l’affetto di tutti.

    E se non possono vivere in famiglia, noi dobbiamo andare a cercarli e stare loro vicino.

    Pensiamoci un momento: non è molto meglio un mondo in cui nessuno deve aver paura di finire i suoi giorni da solo? Chiaramente sì.

    E allora costruiamolo questo mondo, insieme, non solo elaborando programmi di assistenza, quanto coltivando progetti diversi di esistenza, in cui gli anni che passano non siano considerati una perdita che sminuisce qualcuno, ma un bene che cresce e arricchisce tutti: e come tali siano apprezzati e non temuti.

    E questo ci porta all’ultimo aspetto: l’amore che rende più saggi.

    È curioso: l’amore ci rende più saggi.

    Cari nipoti, i vostri nonni sono la memoria di un mondo senza memoria, e «quando una società perde la memoria, è finita» (Discorso alla Comunità di Sant’Egidio, 15 giugno 2014).

    Domando: com’è una società che perde la memoria? [rispondono in coro: “finita”] Finita.

    Non dobbiamo perdere la memoria.

    Ascoltate i nonni, specialmente quando vi insegnano col loro amore e con la loro testimonianza a coltivare gli affetti più importanti, che non si ottengono con la forza, non appaiono con il successo, ma riempiono la vita.

    Non è un caso che siano stati due anziani, mi piace pensare due nonni, Simeone e Anna, a riconoscere Gesù quando è stato portato al Tempio da Maria e Giuseppe (cfr Lc 2,22-38).

    Sono stati questi due nonni a riconoscere Gesù, prima di tutti.

    L’hanno accolto, preso tra le braccia e hanno compreso – solo loro l’hanno compreso – quello che stava succedendo: che cioè Dio era lì, presente, e che li guardava con gli occhi di un Bambino.

    Capite? Questi due anziani, solo loro si sono accorti, vedendo il piccolo Gesù, che era arrivato il Messia, il Salvatore che tutti aspettavano.

    Sono stati i vecchi a capire il Mistero.

    Gli anziani usano gli occhiali – quasi tutti – ma vedono lontano.

    Come mai? Vedono lontano perché hanno vissuto tanti anni, e hanno tante cose da insegnare: ad esempio quanto è brutta la guerra.

    Io, tanto tempo fa, l’ho imparato proprio da mio nonno, che aveva vissuto il ’14, al Piave, la prima guerra mondiale, e che con i suoi racconti mi ha fatto capire che la guerra è una cosa orribile, da non fare mai.

    Mi ha insegnato anche una bella canzone, che ancora ricordo.

    Volete che ve la dica? [rispondono: “Sì!”].

    Pensate bene, questo cantavano i soldati al Piave: “Il general Cadorna scrisse alla Regina: se vuol guardar Trieste, la guardi in cartolina!” È bello! Lo cantavano i soldati.

    Cercate i vostri nonni e non emarginateli, per il vostro bene: «L’emarginazione degli anziani […] corrompe tutte le stagioni della vita, non solo quella dell’anzianità» (Catechesi, 1° giugno 2022).

    Nell’altra diocesi io visitavo le case di riposo degli anziani, e sempre domandavo: “Quanti figli ha?” – “Tanti, tanti!” – “E vengono a trovarla?” – “Sì, sì, sempre – ricordo un caso – vengono sempre”.

    E quando uscivo, l’infermiera mi diceva: “Che buona quella donna, come copre i figli: vengono due volte all’anno, non di più”.

    I nonni sono generosi, sanno coprire le cose brutte.

    Per favore, cercate i vostri nonni, non emarginateli, è per il vostro bene.

    L’emarginazione degli anziani corrompe tutte le stagioni della vita, non solo quella dell’anzianità.

    Mi piace ripetere questo.

    Voi invece imparate la saggezza dal loro amore forte, e anche dalla loro fragilità, che è un “magistero” capace di insegnare senza bisogno di parole, un vero antidoto contro l’indurimento del cuore: vi aiuterà a non appiattirvi sul presente e a gustare la vita come relazione (cfr Benedetto XVI, Saluto nella casa-famiglia “Viva gli anziani”, 12 novembre 2012).

    Ma non solo: quando voi, nonni e nipoti, anziani e giovani, state insieme, quando vi vedete e vi sentite spesso, quando vi prendete cura gli uni degli altri, il vostro amore è un soffio di aria pulita che rinfresca il mondo e la società e ci rende tutti più forti, al di là dei legami di parentela.

    È il messaggio che ci ha dato anche Gesù sulla croce, quando «vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco tua madre! E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19,26-27).

    Con quelle parole ci ha affidato un miracolo da realizzare: quello di amarci tutti come una grande famiglia.

    Carissimi amici, grazie per essere qui, e grazie per quello che fate con la Fondazione “Età Grande”! Insieme, uniti, siete un esempio e un dono per tutti.

    Vi ricordo nella preghiera, vi benedico, e vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie, grazie tante!

    Alla Comunità del Seminario di Burgos (Spagna) (27 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli vescovi,
    cari sacerdoti e seminaristi
    ,

    Sono lieto di accogliervi oggi qui, nella casa di Pietro, e ringrazio in modo particolare Dio perché vedo in voi due cose.

    La prima, un mosaico di razze, culture, età che si sono incontrate per rispondere insieme alla chiamata di Gesù al sacerdozio ministeriale.

    La seconda, il fatto che vi state formando in un luogo del mondo che forse per molti era impensabile; una terra ricca di storia e tradizione, di gente vigorosa “per il clima e i costumi”, ma che ora voi definite come “la España vaciada”, la Spagna svuotata.

    Mi viene in mente il bel Cantar de mio Cid quando parla di Burgos: «Il Cid Ruy Díaz a Burgos entrava; al seguito aveva sessanta pennoni.

    Uscivano a vederlo, gli uomini e le donne: le genti di Burgos alle finestre stanno piangendo dagli occhi».

    Mi viene sempre in mente questo quando parlo di Burgos.

    Sono stato lì, nel Settanta in visita all’arcivescovo di allora, che era parente di un mio zio politico.

    Per questo mi ricordo di Burgos.

    Nel riflettere sul motivo per cui Dio ci ha portati nel luogo in cui siamo è bene ricordare il brano di san Luca in cui Gesù invia i suoi discepoli «dove [lui] stava per recarsi» (Lc 10, 1).

    È un buon criterio di discernimento e di esame, perché lo possiamo tradurre nella nostra realtà con poche semplici parole: “Gesù mi vuole in questa terra svuotata per riempirla di Dio”, ossia, perché lo renda presente tra i miei fratelli, affinché costruisca comunità, costruisca Chiesa, Popolo.

    Prima di tutto, questo proposito si realizza se si è un gruppo eterogeneo che conosce l’accoglienza e l’arricchimento reciproco.

    Senza carità verso Dio e i fratelli, senza camminare “a due a due” — come dice ancora l’evangelista —, non possiamo portare Dio.

    Poi, mostrare al Signore una disponibilità assoluta, “pregandolo” di mandare noi, anche se sembriamo poco rispetto a un lavoro — la messe — tanto grande.  E questo è molto importante.

    E dopo l’atteggiamento di abbandono e fiducia, che il vuoto si faccia solo nel nostro cuore per accogliere Dio e il fratello.

    Sarebbe questa la terza cosa.

    Liberandoci dalle false sicurezze umane.

    Avere Dio in noi ci riempie di pace, una pace che possiamo comunicare, che possiamo portare a tutti i popoli e città, desiderare per ogni luogo.

    In tal modo colmerete con la vostra luce i campi che ora sembrano sterili, fecondandoli di speranza.

    Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa vi custodisca.

    ___________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    96, sabato 27 aprile 2024, p.

    11.

    Ai Membri della Federazione Italiana Dama (26 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari amiche e amici, benvenuti!

    Sono contento di incontrarvi, a cento anni dalla nascita della vostra Federazione.

    Saluto il Presidente e tutti voi.

    Il gioco della dama ha due belle caratteristiche: stimola la mente ed è accessibile a tutti.

    Infatti richiede intelligenza, abilità e attenzione, ma non grandi mezzi e strutture.

    È uno di quei giochi con cui, ovunque ci si trovi, si può facilmente creare un momento di incontro e di divertimento: bastano una scacchiera e le pedine, due giocatori, ed è un modo simpatico di stare insieme.

    Questo fa sì che la dama sia un gioco per tutti, praticato in varie parti del mondo.

    Ad esempio, risulta che sia uno degli svaghi più comuni tra i migranti che approdano sulle nostre coste: tanti di questi fratelli e sorelle, in situazioni di grande incertezza e apprensione, trovano sollievo giocando a dama, a volte anche insieme alla gente che li accoglie, nella semplicità e nella condivisione.

    E inoltre è un gioco che fa esercitare la capacità logica, e ce n’è bisogno, perché l’abuso dei nuovi media invece la fa addormentare!

    Cari amici, è bello il vostro incontrarvi con gioia, per conoscervi e sfidarvi sportivamente: in un mondo caratterizzato dall’individualismo, che a volte rischia di diventare isolamento, questo fa circolare aria pulita , aria fresca, il vostro gioco.

    Perciò auguro ogni bene per la vostra attività; e vi incoraggio anche a tenere vivi i momenti di spiritualità che abitualmente associate agli eventi più importanti organizzati dalla Federazione.

    Vi ringrazio della vostra visita e vi benedico.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    E portate sempre i bambini, che sono una promessa! Grazie.

    IV Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani, 2024: “Nella vecchiaia non abbandonarmi” (cfr. Sal 71,9)
    Visita il link

    “Nella vecchiaia non abbandonarmi” (cfr. Sal 71,9)
     

    Cari fratelli e sorelle!

    Dio non abbandona i suoi figli, mai.

    Nemmeno quando l’età avanza e le forze declinano, quando i capelli imbiancano e il ruolo sociale viene meno, quando la vita diventa meno produttiva e rischia di sembrare inutile.

    Egli non guarda le apparenze (cfr 1 Sam 16,7) e non disdegna di scegliere coloro che a molti appaiono irrilevanti.

    Non scarta alcuna pietra, anzi, le più “vecchie” sono la base sicura sulla quale le pietre “nuove” possono appoggiarsi per costruire tutte insieme l’edificio spirituale (cfr 1 Pt 2,5).

    La Sacra Scrittura, tutta intera, è una narrazione dell’amore fedele del Signore, dalla quale emerge una consolante certezza: Dio continua a mostrarci la sua misericordia, sempre, in ogni fase della vita, e in qualsiasi condizione ci troviamo, anche nei nostri tradimenti.

    I salmi sono colmi della meraviglia del cuore umano di fronte a Dio che si prende cura di noi, nonostante la nostra pochezza (cfr Sal 144,3-4); ci assicurano che Dio ha tessuto ognuno di noi fin dal seno materno (cfr Sal 139,13) e che nemmeno negli inferi abbandonerà la nostra vita (cfr Sal 16,10).

    Dunque, possiamo essere certi che ci starà vicino anche nella vecchiaia, tanto più perché nella Bibbia invecchiare è segno di benedizione.

    Eppure, nei salmi troviamo anche quest’accorata invocazione al Signore: «Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia» (Sal 71,9).

    Un’espressione forte, molto cruda.

    Fa pensare alla sofferenza estrema di Gesù che sulla croce gridò: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46).

    Nella Bibbia, dunque, troviamo la certezza della vicinanza di Dio in ogni stagione della vita e, al tempo stesso, il timore dell’abbandono, particolarmente nella vecchiaia e nel momento del dolore.

    Non si tratta di una contraddizione.

    Guardandoci attorno, non facciamo fatica a verificare come tali espressioni rispecchino una realtà più che evidente.

    Troppo spesso la solitudine è l’amara compagna della vita di noi, anziani e nonni.

    Tante volte, da vescovo di Buenos Aires, mi è capitato di visitare case di riposo e di rendermi conto di quanto raramente quelle persone ricevessero visite: alcune non vedevano i loro cari da molti mesi.

    Sono tante le cause di questa solitudine: in molti Paesi, soprattutto i più poveri, gli anziani si ritrovano soli perché i figli sono costretti a emigrare.

    Oppure, penso alle numerose situazioni di conflitto: quanti anziani rimangono soli perché gli uomini – giovani e adulti – sono chiamati a combattere e le donne, soprattutto le mamme con bambini piccoli, lasciano il Paese per dare sicurezza ai figli.

    Nelle città e nei villaggi devastati dalla guerra rimangono tanti vecchi e anziani soli, unici segni di vita in zone dove sembrano regnare l’abbandono e la morte.

    In altre parti del mondo, poi, esiste una falsa convinzione, molto radicata in alcune culture locali, che genera ostilità nei confronti degli anziani, sospettati di fare ricorso alla stregoneria per togliere energie vitali ai giovani; così che, in caso di morte prematura o di malattia o di sorte avversa che colpiscono un giovane, la colpa viene fatta ricadere su qualche anziano.

    Questa mentalità va combattuta ed estirpata.

    È uno di quegli infondati pregiudizi, dai quali la fede cristiana ci ha liberato, che alimenta una persistente conflittualità generazionale fra giovani e anziani.

    Se ci pensiamo bene, quest’accusa rivolta ai vecchi di “rubare il futuro ai giovani” è molto presente oggi ovunque.

    Essa si riscontra, sotto altre forme, anche nelle società più avanzate e moderne.

    Ad esempio, si è ormai diffusa la convinzione che gli anziani fanno pesare sui giovani il costo dell’assistenza di cui hanno bisogno, e in questo modo sottraggono risorse allo sviluppo del Paese e dunque ai giovani.

    Si tratta di una percezione distorta della realtà.

    È come se la sopravvivenza degli anziani mettesse a rischio quella dei giovani.

    Come se per favorire i giovani fosse necessario trascurare gli anziani o addirittura sopprimerli.

    La contrapposizione tra le generazioni è un inganno ed è un frutto avvelenato della cultura dello scontro.

    Mettere i giovani contro gli anziani è una manipolazione inaccettabile: «È in gioco l’unità delle età della vita: ossia, il reale punto di riferimento per la comprensione e l’apprezzamento della vita umana nella sua interezza» (Catechesi 23 febbraio 2022).

    Il salmo citato in precedenza – dove si supplica di non essere abbandonati nella vecchiaia – parla di una congiura che si stringe attorno alla vita degli anziani.

    Sembrano parole eccessive, ma le si comprende se si considera che la solitudine e lo scarto degli anziani non sono casuali né ineluttabili, bensì frutto di scelte – politiche, economiche, sociali e personali – che non riconoscono la dignità infinita di ogni persona «al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi» (Dich.

    Dignitas infinita, 1).

    Ciò avviene quando si smarrisce il valore di ciascuno e le persone diventano solo un costo, in alcuni casi troppo elevato da pagare.

    Ciò che è peggio è che, spesso, gli anziani stessi finiscono per essere succubi di questa mentalità e giungono a considerarsi come un peso, desiderando essi stessi per primi di farsi da parte.

    D’altro canto, oggi sono molte le donne e gli uomini che cercano la propria realizzazione personale in un’esistenza il più possibile autonoma e slegata dagli altri.

    Le appartenenze comuni sono in crisi e si affermano le individualità; il passaggio dal “noi” all’“io” appare uno dei più evidenti segni dei nostri tempi.

    La famiglia, che è la prima e più radicale contestazione dell’idea che ci si possa salvare da soli, è una delle vittime di questa cultura individualista.

    Quando si invecchia, però, a mano a mano che le forze declinano, il miraggio dell’individualismo, l’illusione di non aver bisogno di nessuno e di poter vivere senza legami si rivela per quello che è; ci si trova invece ad aver bisogno di tutto, ma oramai soli, senza più aiuto, senza qualcuno su cui poter fare affidamento.

    È una triste scoperta che molti fanno quando è troppo tardi.

    La solitudine e lo scarto sono diventati elementi ricorrenti nel contesto in cui siamo immersi.

    Essi hanno radici molteplici: in alcuni casi sono il frutto di una esclusione programmata, una sorta di triste “congiura sociale”; in altri casi si tratta purtroppo di una decisione propria.

    Altre volte ancora si subiscono fingendo che si tratti di una scelta autonoma.

    Sempre di più «abbiamo perso il gusto della fraternità» (Lett.

    enc.

    Fratelli tutti, 33) e facciamo fatica anche solo a immaginare qualcosa di differente.

    Possiamo notare in molti anziani quel sentimento di rassegnazione di cui parla il libro di Rut quando narra della vecchia Noemi che, dopo la morte del marito e dei figli, invita le due nuore, Orpa e Rut, a far ritorno al loro paese di origine e alla loro casa (cfr Rut 1,8).

    Noemi – come tanti anziani di oggi – teme di rimanere da sola, eppure non riesce a immaginare qualcosa di diverso.

    Da vedova, è consapevole di valere poco agli occhi della società ed è convinta di essere un peso per quelle due giovani che, al contrario di lei, hanno tutta la vita davanti.

    Per questo pensa che sia meglio farsi da parte e lei stessa invita le giovani nuore a lasciarla e a costruire il loro futuro in altri luoghi (cfr Rut 1,11-13).

    Le sue parole sono un concentrato di convenzioni sociali e religiose che sembrano immutabili e che segnano il suo destino.

    Il racconto biblico ci presenta a questo punto due diverse opzioni di fronte all’invito di Noemi e dunque di fronte alla vecchiaia.

    Una delle due nuore, Orpa, che pure vuol bene a Noemi, con un gesto affettuoso la bacia, ma accetta quella che anche a lei sembra l’unica soluzione possibile e se ne va per la sua strada.

    Rut, invece, non si stacca da Noemi e le rivolge parole sorprendenti: «Non insistere con me che ti abbandoni» (Rut 1,16).

    Non ha paura di sfidare le consuetudini e il sentire comune, sente che quell’anziana donna ha bisogno di lei e, con coraggio, le rimane accanto in quello che sarà l’inizio di un nuovo viaggio per entrambe.

    A tutti noi – assuefatti all’idea che la solitudine sia un destino ineluttabile – Rut insegna che all’invocazione “non abbandonarmi!” è possibile rispondere “non ti abbandonerò!”.

    Non esita a sovvertire quella che sembra una realtà immutabile: vivere da soli non può essere l’unica alternativa! Non a caso Rut – colei che rimane vicina all’anziana Noemi – è un’antenata del Messia (cfr Mt 1,5), di Gesù, l’Emmanuele, Colui che è il “Dio con noi”, Colui che porta la vicinanza e la prossimità di Dio a tutti gli uomini, di tutte le condizioni, di tutte le età.

    La libertà e il coraggio di Rut ci invitano a percorrere una strada nuova: seguiamo i suoi passi, mettiamoci in viaggio con questa giovane donna straniera e con l’anziana Noemi, non abbiamo paura di cambiare le nostre abitudini e di immaginare un futuro diverso per i nostri anziani.

    La nostra gratitudine va a tutte quelle persone che, pur con tanti sacrifici, hanno seguito di fatto l’esempio di Rut e si stanno prendendo cura di un anziano o semplicemente mostrano quotidianamente la loro vicinanza a parenti o conoscenti che non hanno più nessuno.

    Rut ha scelto di stare vicina a Noemi ed è stata benedetta: con un matrimonio felice, una discendenza, una terra.

    Questo vale sempre e per tutti: stando vicino agli anziani, riconoscendo il ruolo insostituibile che essi hanno nella famiglia, nella società e nella Chiesa, riceveremo anche noi tanti doni, tante grazie, tante benedizioni!

    In questa IV Giornata Mondiale dedicata a loro, non facciamo mancare la nostra tenerezza ai nonni e agli anziani delle nostre famiglie, visitiamo coloro che sono sfiduciati e non sperano più che un futuro diverso sia possibile.

    All’atteggiamento egoistico che porta allo scarto e alla solitudine contrapponiamo il cuore aperto e il volto lieto di chi ha il coraggio di dire “non ti abbandonerò!” e di intraprendere un cammino differente.

    A tutti voi, carissimi nonni e anziani, e a quanti vi sono vicini giunga la mia benedizione accompagnata dalla preghiera.

    Anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Roma, San Giovanni in Laterano, 25 aprile 2024.
     

     FRANCESCO

    Ai Membri dell'Azione Cattolica Italiana (25 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari amiche e amici dell’Azione Cattolica, buongiorno e benvenuti!

    Grazie per la vostra presenza.

    Vi saluto con affetto, in particolare il Presidente nazionale e l’Assistente generale.

    Poco fa, passando in mezzo a voi, ho incrociato sguardi pieni di gioia , pieni di speranza.

    Grazie per questo abbraccio così intenso e bello, che da qui vuole allargarsi a tutta l’umanità, specialmente a chi soffre.

    Mai dobbiamo dimenticare le persone che soffrono.

    Il titolo che avete scelto per il vostro incontro è infatti “A braccia aperte”.

    L’abbraccio è una delle espressioni più spontanee dell’esperienza umana.

    La vita dell’uomo si apre con un abbraccio, quello dei genitori, primo gesto di accoglienza, a cui ne seguono tanti altri, che danno senso e valore ai giorni e agli anni, fino all’ultimo, quello del congedo dal cammino terreno.

    E soprattutto è avvolta dal grande abbraccio di Dio, che ci ama, ci ama per primo e non smette mai di stringerci a sé, specialmente quando ritorniamo dopo esserci perduti, come ci mostra la parabola del Padre misericordioso (cfr Lc 15,1-3.11-32).

    Cosa sarebbe la nostra vita, e come potrebbe realizzarsi la missione della Chiesa senza questi abbracci? Perciò vorrei proporvi, come spunti di riflessione, tre tipi di abbraccio: l’abbraccio che manca, l’abbraccio che salva e l’abbraccio che cambia la vita.

    Primo: l’abbraccio che manca.

    Lo slancio che oggi esprimete in modo così festoso non è sempre accolto con favore nel nostro mondo: a volte incontra chiusure , a volte incontra resistenze, per cui le braccia si irrigidiscono e le mani si serrano minacciose, divenendo non più veicoli di fraternità, ma di rifiuto, di contrapposizione, anche violenta a volte, un segno di diffidenza nei confronti degli altri, vicini e lontani, fino a portare al conflitto.

    Quando l’abbraccio si trasfroma in un pugno è molto pericoloso.

    All’origine delle guerre ci sono spesso abbracci mancati o abbracci rifiutati, a cui seguono pregiudizi, incomprensioni, sospetti, fino a vedere l’altro un nemico.

    E tutto ciò purtroppo, in questi giorni, è sotto i nostri occhi, in troppe parti del mondo! Con la vostra presenza e con il vostro lavoro, invece, voi potete testimoniare a tutti che la via dell’abbraccio è la via della vita.

    Il che ci porta al secondo passaggio.

    Il primo era l’abbraccio che manca, adesso vediamo l’abbraccio che salva.

    Già umanamente abbracciarsi significa esprimere valori positivi e fondamentali come l’affetto, la stima, la fiducia, l’incoraggiamento, la riconciliazione.

    Ma diventa ancora più  vitale quando lo si vive nella dimensione della fede.

    Al centro della nostra esistenza, infatti, c’è proprio l’abbraccio misericordioso di Dio che salva, l’abbraccio del Padre buono che si è rivelato in Cristo, e il cui volto è riflesso in ogni suo gesto – di perdono, di guarigione, di liberazione, di servizio (cfr Gv 13,1-15) – e il cui svelarsi raggiunge il suo culmine nell’Eucaristia e sulla Croce, quando Cristo offre la sua vita per la salvezza del mondo, per il bene di chiunque lo accolga con cuore sincero, perdonando anche ai suoi crocifissori (cfr Lc 23,34).

    E tutto questo ci è mostrato perché anche noi impariamo a fare lo stesso.

    Perciò, non perdiamo mai di vista l’abbraccio del Padre che salva, paradigma della vita e cuore del Vangelo, modello di radicalità dell’amore, che si nutre e si ispira al dono gratuito e sempre sovrabbondante di Dio (cfr Mt 5,44-48).

    Fratelli e sorelle, lasciamoci abbracciare da Lui, come bambini (cfr Mt 18,2-3; Mc 10,13-16), lasciamoci abbracciare da Lui come bambini.

    Ognuno di noi ha nel cuore qualcosa di bambino che ha bisogno di un abbraccio.

    Lasciamoci abbracciare dal Signore.

    Così, nell’abbraccio del Signore impariamo ad abbracciare gli altri.

    Andiamo al terzo passo.

    Primo, l’abbraccio che manca; secondo, l’abbraccio che salva; terzo, l’abbraccio che cambia la vita.Un abbraccio può cambiare la vita, mostrare strade nuove, strade di speranza.

    Sono molti i santi nella cui esistenza un abbraccio ha segnato una svolta decisiva, come San Francesco, che lasciò tutto per seguire il Signore dopo aver stretto a sé un lebbroso, come lui stesso ricorda nel suo testamento (cfr FF 110, 1407-1408).

    E se questo è stato valido per loro, lo è anche per noi.

    Ad esempio per la vostra vita associativa, che è multiforme e trova il denominatore comune proprio nell’abbraccio della carità (cfr Col 3,14; Rm 13,10), unico contrassegno essenziale dei discepoli di Cristo (cfr Lumen gentium, 42), regola, forma e fine di ogni mezzo di santificazione e di apostolato.

    Lasciate che sia essa a plasmare ogni vostro sforzo e servizio, perché possiate vivere fedeli alla vostra vocazione e alla vostra storia (cfr Discorso all’Azione Cattolica30 aprile 2017).

    Amici, voi sarete tanto più presenza di Cristo quanto più saprete stringere a voi e sorreggere ogni fratello bisognoso con braccia misericordiose e compassionevoli, da laici impegnati nelle vicende del mondo e della storia, ricchi di una grande tradizione, formati e competenti in ciò che riguarda le vostre responsabilità, e al tempo stesso umili e ferventi nella vita dello spirito.

    Così potrete porre segni concreti di cambiamento secondo il Vangelo a livello sociale, culturale, politico ed economico nei contesti in cui operate.

    Allora, fratelli e sorelle, la “cultura dell’abbraccio”, attraverso i vostri cammini personali e comunitari, crescerà nella Chiesa e nella società,  rinnovando le relazioni familiari ed educative, rinnovando i processi di riconciliazione e di giustizia, rinnovando gli sforzi di comunione e di corresponsabilità, costruendo legami per un futuro di pace (cfr Discorso al Consiglio Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, 30 aprile 2021).

    E in proposito vorrei aggiungere un ultimo pensiero.

    Vedervi qui tutti insieme – ragazzi, famiglie, uomini e donne, studenti, lavoratori, giovani, adulti e “adultissimi” (come chiamate quelli della mia generazione) – mi fa venire in mente il Sinodo.

    E penso al Sinodo in corso, che giunge alla sua terza tappa, la più impegnativa e importante, quella profetica.

    Ora si tratta di tradurre il lavoro delle fasi precedenti in scelte che diano slancio e vita nuova alla missione della Chiesa nel nostro tempo.

    Ma la cosa più improtante di questo Sinodo è la sinodalità.

    Gli argomenti, i temi, sono per portare avanti questa espressione della Chiesa, che è sinodalità.

    Per questo c’è bisogno di uomini e donne sinodali, che sappiano dialogare, interloquire, cercare insieme.

    C’è bisogno di gente forgiata dallo Spirito, di “pellegrini di speranza”, come dice il tema del Giubileo ormai vicino, uomini e donne capaci di tracciare e percorrere sentieri nuovi e impegnativi.

    Vi invito dunque ad essere “atleti e portabandiera di sinodalità” (cfr ibid.), nelle diocesi e nelle parrocchie di cui fate parte, per una piena attuazione del cammino fatto fino ad oggi.

    Nei mesi scorsi avete vissuto, nelle vostre comunità, momenti di intensa esperienza associativa, con il rinnovo dei responsabili a livello diocesano e parrocchiale, e questa sera inizierà la XVIII Assemblea nazionale.

    Vi auguro di vivere anche queste esperienze non come adempimenti formali, no, ma come  momenti di comunione , momenti di corresponsabilità, momenti ecclesiali, in cui contagiarsi a vicenda con abbracci di affetto e di stima fraterna (cfr Rm 12,10).

    Carissimi, grazie per quello che siete, grazie per quello che fate! La Madonna vi accompagni sempre.

    Prego per voi.

    E vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me, a favore, non contro! Grazie.

    Ai Pellegrini dall'Ungheria (25 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti! Isten hozott!

    Saluto tutti voi, che siete venuti a confermare il vostro legame con il Successore di Pietro e a fare la vostra professione di fede, in questo tempo pasquale nel quale il Signore Risorto ci illumina e ci dona la speranza che non delude.

    Saluto il Cardinale Péter Erdő, Primate d’Ungheria.

    Saluto il Presidente della Conferenza Episcopale Ungherese, Mons.

    András Veres, tutti i Vescovi presenti, i sacerdoti, i consacrati, i fedeli laici.

    Saluto le Autorità civili, in particolare sono lieto di dare il benvenuto al nuovo Presidente d’Ungheria, il Signor Tamás Sulyok.

    Il vostro pellegrinaggio avviene un anno dopo il mio Viaggio Apostolico in Ungheria, che porto nel cuore con tanta gratitudine.

    Per questo mi piace oggi farne memoria, ricordando che sono venuto in mezzo a voi come pellegrino, come fratello e come amico.

    A Budapest, bella città di ponti e di santi, sono stato pellegrino per pregare insieme con voi.

    Pregare per l’Europa, per «il desiderio di costruire la pace, di dare alle giovani generazioni un futuro di speranza, non di guerra; un avvenire pieno di culle, non di tombe; un mondo di fratelli, non di muri» (Regina Caeli, 30 aprile 2023).

    Ho pregato per la vostra cara Nazione, che da un millennio abita quella terra e la feconda col Vangelo di Cristo.

    Nella preghiera possiate sempre ritrovare la forza, la determinazione per seguire, anche nel contesto storico attuale, l’esempio dei Santi e dei Beati germogliati dal vostro popolo.

    Il Risorto, apparendo in mezzo ai suoi discepoli, ha donato loro la pace.

    Non dimentichiamo, fratelli e sorelle, che la realizzazione di questo grande dono inizia nel cuore di ognuno di noi; inizia davanti alla porta di casa mia quando, prima di uscire, decido se voglio vivere quel giorno come un uomo o una donna di pace, cioè di vivere in pace con gli altri.

    La pace nasce quando decido di perdonare, anche se è difficile, e questo riempie il cuore di gioia.

    Nuovamente affido la Chiesa nel vostro Paese all’intercessione della Magna Domina Hungarorum, di Santo Stefano, San Ladislao, Santa Elisabetta, Sant’Emerico e di tutti i Santi e Beati: che essa si fortifichi nell’ardore della testimonianza e nella gioia dell’annuncio.

    Oltre che come pellegrino, ho voluto venire tra voi da fratello.

    Specialmente nell’incontro con voi, cari Vescovi, cari sacerdoti, religiose e religiosi.

    Vi ho incoraggiato ad assumere come atteggiamento e stile di vita lo “stile di Dio”, che è fatto di tenerezza, vicinanza e compassione.

    Non dimenticare questo: lo stile di Dio è tenerezza, vicinanza e compassione.

    In questo vi aiutano gli esempi recenti del tempo della persecuzione, come quello del Beato Vilmos Apor, che per la sua vicinanza e la difesa delle donne rifugiate ha dovuto pagare con la vita.

    Oppure quello di Zoltán Meszlényi, che ha compiuto con tanta dedizione il suo servizio fino all’ultimo momento della vita.

    E come non ricordare il giovane sacerdote János Brenner? Spinto dalla tenerezza e dello zelo pastorale, andò a confortare un presunto malato portandogli la Comunione, senza sospettare che era una trappola e che sarebbe stato barbaramente ucciso.

    O anche Sára Salkaházi, che durante la deportazione nazista degli ebrei ebbe compassione delle vittime, tanto che subì il martirio sotto il Ponte della Libertà a Pest.

    Questi esempi vi spingano ad avere gli stessi atteggiamenti verso coloro che sono affidati alla vostre cure.

    E poi ho voluto stare insieme a voi come un amico.

    In particolare, ricordo con tanta gioia l’incontro con voi, cari giovani.

    Voglio ancora incoraggiarvi a camminare nel dialogo con le generazioni che vi hanno preceduto.

    A parlare con i nonni, con gli anziani del vostro popolo; a cercare le radici, perché così metterete basi solide per il futuro.

    Custodendo le radici potrete guardare avanti con fiducia, rafforzandovi nei valori che danno vita: la famiglia, l’unità, la pace.

    Mi piace quel vostro proverbio molto evangelico: “Meglio dare che ricevere” – Jobb adni mind kapni.

    È proprio così: donandosi uno si ritrova e la sua vita non rimane vuota.

    Come amico ho incontrato anche persone in condizioni di sofferenza: profughi, poveri, emarginati.

    Vi ringrazio perché avete il cuore aperto verso i profughi ucraini che hanno lasciato il loro Paese a causa della guerra.

    E apprezzo anche i vostri sforzi di integrare coloro che vivono nelle periferie della società.

    Cari fratelli e sorelle, grazie per la vostra vicinanza e il vostro affetto! Camminiamo insieme sulla via del Signore come uomini e donne “pasquali”, e riconosciamolo nello spezzare il pane, alla mensa eucaristica e a quella degli affamati; nella sua Parola e nell’incontro con gli altri.

    Grazie per la vostra fedeltà a Cristo, manifestata nella testimonianza della fede e nell’ecumenismo vissuto, nei rapporti con i vostri vicini, nella carità accogliente anche di chi è diverso, nel rispetto di ogni vita umana e nella cura responsabile per l’ambiente.

    Vi benedico di cuore, e la Madonna vi custodisca.

    Isten áld meg a magyart! – Dio benedica gli ungheresi! E per favore, continuate a pregare per me.

    Grazie!

    Udienza Generale del 24 Apr 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 16. La vita di grazia secondo lo Spirito
    Visita il link

    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    16. La vita di grazia secondo lo Spirito


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nelle scorse settimane abbiamo riflettuto sulle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.

    Sono le quattro virtù cardinali.

    Come abbiamo sottolineato più volte, queste quattro virtù appartengono a una sapienza molto antica, che precede anche il cristianesimo.

    Già prima di Cristo si predicava l’onestà come dovere civile, la sapienza come regola delle azioni, il coraggio come ingrediente fondamentale per una vita che tende verso il bene, la moderazione come misura necessaria per non essere travolti dagli eccessi.

    Questo patrimonio tanto antico, patrimonio dell’umanità, non è stato sostituito dal cristianesimo, ma messo bene a fuoco, valorizzato, purificato e integrato nella fede.

    C’è dunque nel cuore di ogni uomo e donna la capacità di ricercare il bene.

    Lo Spirito Santo è donato perché chi lo accoglie possa distinguere chiaramente il bene dal male, avere la forza per aderire al bene rifuggendo dal male e, così facendo, raggiungere la piena realizzazione di sé.

    Ma nel cammino che tutti stiamo facendo verso la pienezza della vita, che appartiene al destino di ogni persona – il destino di ogni persona è la pienezza, essere piena di vita –, il cristiano gode di una particolare assistenza dello Spirito Santo, lo Spirito di Gesù.

    Essa si attua con il dono di altre tre virtù, prettamente cristiane, che spesso vengono nominate insieme negli scritti del Nuovo Testamento.

    Questi atteggiamenti fondamentali, che caratterizzano la vita del cristiano, sono tre virtù che noi diremo adesso insieme: la fede, la speranza e la carità.

    Diciamolo insieme: [insieme] la fede, la speranza… non sento niente, più forte! [insieme] La fede, la speranza e la carità.

    Siete stati bravi! Gli scrittori cristiani le hanno ben presto chiamate virtù “teologali”, in quanto si ricevono e si vivono nella relazione con Dio, per differenziarle dalle altre quattro chiamate “cardinali”, in quanto costituiscono il “cardine” di una vita buona.

    Queste tre sono ricevute nel Battesimo e vengono dallo Spirito Santo.

    Le une e le altre, sia le teologali sia le cardinali, accostate in tante riflessioni sistematiche, hanno così composto un meraviglioso settenario, che spesso viene contrapposto all’elenco dei sette vizi capitali.

    Così il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce l’azione delle virtù teologali: «Fondano, animano e caratterizzano l’agire morale del cristiano.

    Esse informano e vivificano tutte le virtù morali.

    Sono infuse da Dio nell’anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna.

    Sono il pegno della presenza e dell’azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell’essere umano» (n.

    1813).

    Mentre il rischio delle virtù cardinali è quello di generare uomini e donne eroici nel compiere il bene, ma tutto sommato soli, isolati, il grande dono delle virtù teologali è l’esistenza vissuta nello Spirito Santo.

    Il cristiano non è mai solo.

    Compie il bene non per un titanico sforzo di impegno personale, ma perché, come umile discepolo, cammina dietro al Maestro Gesù.

    Lui va avanti nella via.

    Il cristiano ha le virtù teologali che sono il grande antidoto all’autosufficienza.

    Quante volte certi uomini e donne moralmente ineccepibili corrono il rischio di diventare, agli occhi di chi li conosce, presuntuosi e arroganti! È un pericolo davanti al quale il Vangelo ci mette bene in guardia, là dove Gesù raccomanda ai discepoli: «Anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili.

    Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,10).

    La superbia è un veleno, è un veleno potente: ne basta una goccia per guastare tutta una vita improntata al bene.

    Una persona può avere compiuto anche una montagna di opere benefiche, può aver mietuto riconoscimenti ed encomi, ma se tutto ciò l’ha fatto solo per sé stesso, per esaltare sé stessa, può dirsi ancora una persona virtuosa? No!

    Il bene non è solo un fine, ma anche un modo.

    Il bene ha bisogno di tanta discrezione, di molta gentilezza.

    Il bene ha bisogno soprattutto di spogliarsi di quella presenza a volte troppo ingombrante che è il nostro io.

    Quando il nostro “io” è al centro di tutto, si rovina tutto.

    Se ogni azione che compiamo nella vita la compiamo solo per noi stessi, è davvero così importante questa motivazione? Il povero “io” si impadronisce di tutto e così nasce la superbia.

    Per correggere tutte queste situazioni che a volte diventano penose, le virtù teologali sono di grande aiuto.

    Lo sono soprattutto nei momenti di caduta, perché anche coloro che hanno buoni propositi morali a volte cadono.

    Tutti cadiamo, nella vita, perché tutti siamo peccatori.

    Come anche chi si esercita quotidianamente nella virtù a volte sbaglia – tutti sbagliamo nella vita –: non sempre l’intelligenza è lucida, non sempre la volontà è ferma, non sempre le passioni sono governate, non sempre il coraggio sovrasta la paura.

    Ma se apriamo il cuore allo Spirito Santo – il Maestro interiore –, Egli ravviva in noi le virtù teologali: allora, se abbiamo perso la fiducia, Dio ci riapre alla fede – con la forza dello Spirito, se abbiamo perso la fiducia, Dio ci riapre alla fede –; se siamo scoraggiati, Dio risveglia in noi la speranza; e se il nostro cuore è indurito, Dio lo intenerisce col suo amore.

    Grazie.

    ____________________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier les diverses paroisses et écoles venues de France, et venues également de Côte d’Ivoire et de République démocratique du Congo.

    Implorons l’Esprit Saint de nous remplir de toujours plus de foi, d’espérance et de charité pour nous aider à marcher à la suite de Jésus en faisant le bien.

    Que Dieu vous bénisse.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare le diverse parrocchie e scuole venute dalla Francia, e venute anche dalla Costa d'Avorio e dalla Repubblica Democratica del Congo.

    Imploriamo lo Spirito Santo di colmarci di sempre più fede, speranza e carità per aiutarci a camminare nella sequela di Gesù facendo il bene.

    Dio vi benedica.]

    I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially those coming from England, Finland, India, Indonesia, Tanzania and the United States of America.

    In the joy of the Risen Christ, I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

    May the Lord bless you all!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Finlandia, India, Indonesia, Tanzania e Stati Uniti d’America.

    Nella gioia del Cristo Risorto, invoco su voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre! Il Signore vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, rufen wir oft den Heiligen Geist an: Er möge in uns den Glauben, die Hoffnung und die Liebe vermehren, damit wir den Vater im Himmel durch ein evangeliumsgemäßes Leben verherrlichen.

    [Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, invochiamo frequentemente lo Spirito Santo: Egli accresca in noi la fede, la speranza e la carità affinché possiamo glorificare il Padre che è nei cieli con una vita secondo lo stile del Vangelo.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Pidamos al Espíritu Santo que nos conceda la gracia de creer, esperar y amar a imitación del Corazón de Cristo, siendo sus testigos en toda circunstancia.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Saúdo cordialmente todos os fiéis de língua portuguesa, especialmente os grupos vindos de Belo Horizonte e de Braga.

    Abramos os nossos corações à ação do Espírito Santo, para que faça crescer em nós a fé, a esperança e o amor.

    Deus abençoe a todos!

    [Saluto cordialmente tutti i fedeli di lingua portoghese, specialmente i gruppi venuti da Belo Horizonte e da Braga.

    Apriamo i nostri cuori all’azione dello Spirito Santo, perché faccia crescere in noi la fede, la speranza e l’amore.

    Dio benedica tutti!]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    الفضائِلُ الإلهِيَّة، الإيمانُ والرَّجاءُ والمَحَبَّة، هي نِعَمٌ تَشفِينا وتَجعَلُنا نَشفي الآخرين، وهي نِعَمٌ تَفتَحُ أمامَنا آفاقًا جديدة، حتَّى عندما نُبحِرُ في مياهِ زَمَنِنا الصَّعبَة.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Le virtù teologali, fede, speranza e carità, sono doni che ci guariscono e che ci rendono guaritori, doni che ci aprono a orizzonti nuovi, anche mentre navighiamo nelle difficili acque del nostro tempo.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie Polaków.

    W przyszłą sobotę przypada 10.

    rocznica kanonizacji św.

    Jana Pawła II.

    Patrząc na jego życie widzimy, do czego może dojść człowiek, kiedy przyjmie i rozwinie w sobie Boże dary: wiary, nadziei i miłości.

    Pozostańcie wierni jego dziedzictwu.

    Promujcie życie i nie dajcie się zwieść kulturze śmierci.

    Za jego wstawiennictwem prośmy Boga o dar pokoju, o który on jako Papież tak bardzo zabiegał.

    Z serca wam błogosławię.]

    [Saluto cordialmente i polacchi.

    Sabato prossimo ricorre il decimo anniversario della canonizzazione di San Giovanni Paolo II.

    Guardando la sua vita, possiamo vedere che cosa può raggiungere l'uomo accettando e sviluppando in sé i doni di Dio: fede, speranza e carità.

    Rimanete fedeli alla sua eredità.

    Promuovete la vita e non lasciatevi ingannare dalla cultura della morte.

    Per sua intercessione, chiediamo a Dio il dono della pace per la quale egli, come Papa, si è tanto impegnato.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto le Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino, che celebrano il Capitolo Generale, e i Fratelli Maristi.

    Accolgo con affetto i fedeli di Borgo Faiti di Latina, Mondragone e Gragnano, affidando ciascuno alla materna protezione della Vergine Maria, protettrice delle rispettive comunità.

    Saluto, inoltre, la Rete dei Comitati di San Calogero provenienti dalla Sicilia, la Scuola Militare “Nunziatella” di Napoli e la Banda di Galati Mamertino.

    Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli.

    Domani celebreremo la festa liturgica di san Marco, l’Evangelista che ha descritto con vivacità e concretezza il mistero della persona di Gesù di Nazaret.

    Invito tutti voi a lasciarvi affascinare da Cristo, per collaborare con entusiasmo e fedeltà alla costruzione del Regno di Dio.

    E poi il pensiero va alla martoriata Ucraina, alla Palestina, a Israele, al Myanmar che sono in guerra, e a tanti altri Paesi.

    La guerra sempre è una sconfitta, e quelli che guadagnano di più sono i fabbricatori di armi.

    Per favore, preghiamo per la pace! Preghiamo per la martoriata Ucraina: soffre tanto, tanto.

    I soldati giovani vanno a morire.

    Preghiamo.

    E preghiamo anche per il Medio Oriente, per Gaza: si soffre tanto lì, nella guerra.

    Per la pace tra Palestina e Israele, che siano due Stati, liberi e con buoni rapporti.

    Preghiamo per la pace.

    A tutti la mia benedizione!

    Ai partecipanti al Capitolo Generale dei Fratelli dell'Istruzione Cristiana (22 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli,

    vi do il benvenuto in occasione del vostro Capitolo Generale.

    Saluto il Superiore e ognuno di voi ed esprimo la mia vicinanza a tutti i vostri fratelli sparsi nel mondo.Rendo grazie al Signore per l’opera del suo Spirito che si manifesta nel vostro carisma, cioè l’evangelizzazione dei bambini e dei giovani attraverso l’educazione.

    Questo vostro Capitolo si colloca nella scia delle celebrazioni del bicentenario dell’Istituto, e vi offre l’occasione per tornare alle intuizioni fondamentali che hanno guidato il Venerabile Jean-Marie de La Mennais e Padre Gabriel Dashayes.

    Oggi la loro opera è presente in diversi Paesi del mondo, perché hanno creduto che tutto è possibile a chi si affida totalmente al Signore e si mette al servizio dello sviluppo umano integrale di ogni persona.

    Non dobbiamo mai dimenticare da dove proveniamo e conservare sempre la memoria delle motivazioni del nostro agire.

    Cari fratelli, voi lavorate in regioni del mondo dove imperversano la povertà, la disoccupazione dei giovani, crisi sociali di ogni genere.

    Vi esorto pertanto a essere padri per coloro a cui siete inviati, padri che riflettono il volto amorevole e compassionevole di Dio.

    In un mondo in continuo cambiamento, vi ponete generosamente al servizio dei giovani, attenti alle loro aspirazioni e nello stesso tempo sempre rivolti a Cristo, regola suprema della vostra vita.

    La vostra vocazione vi spinge ad andare là dove altri non vanno, in periferia, verso le persone che formano la categoria dei rifiutati, dei feriti dalla vita e delle vittime.

    Che la vostra presenza sia sorgente di speranza per molti.

    Nel vostro spirito di fraternità e di accoglienza riconoscano un altro volto dell’umanità sfigurata dalle guerre, dall’indifferenza e dallo scarto dei più deboli.

    Quei bambini, quei giovani, quelle persone hanno anch’essi dei sogni, ma oggi, per tanti motivi, sono sogni frantumati.

    Possiate aiutarli a rivivere i loro sogni, a credere in essi e a realizzarli!

    I bambini giocano, anche sotto le bombe, nei Paesi in guerra.

    Quando vediamo le fotografie di questi Paesi, ci sono bambini che giocano.

    Ma una cosa che mi colpisce, quando vengono qui a Roma bambini dell’Ucraina che sono trasferiti qui e vivono qui, questi bambini non sorridono: hanno perso il sorriso.

    La guerra fa questo: fa perdere il sorriso dei bambini.

    Lavorate perché loro riprendano la capacità di sorridere!

    Cari fratelli, la Chiesa è una famiglia e tutti noi, nella varietà dei carismi e delle vocazioni, cooperiamo per la salvezza dell’uomo.

    In questo stupendo mistero di comunione, posso contare sulla vostra fiducia filiale e sul vostro attaccamento al ministero del Successore di Pietro.

    Vi incoraggio a lavorare in stretta collaborazione con le diocesi dove siete in missione e con il Popolo fedele di Dio; a tenere lontano dalla vostra vita ogni spirito di orgoglio, di chiusura, di divisione e di pettegolezzo.

    Il pettegolezzo fa tanto male alle comunità religiose.

    Un bel proposito per un religioso e una religiosa sarebbe mordersi la lingua ogni volta che viene voglia di sparlare dell’altro.

    Sarebbe un bel proposito, no? Infatti, «essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre.

    Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità» (Esort.

    ap.

    Evangelii gaudium, 114).

    Al termine del vostro Capitolo, rinnoverete la consacrazione dell’Istituto al Cuore Immacolato di Maria.

    La vostra pedagogia sia sempre ispirata a colei che, col suo “sì” totale, ha acconsentito che si compisse nella sua persona il progetto salvifico di Dio per l’umanità.

    Ella vi aiuti a coltivare lo zelo di mettervi in strada per servire, a coltivare l’umiltà, la fiducia in Dio e la gioia di essere servitori della sua tenerezza e della sua misericordia.

    Per favore, non perdere la gioia, per favore!

    Di cuore benedico voi e tutti i vostri confratelli in ogni parte del mondo, come pure i giovani che accompagnate.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Regina Caeli, 21 Apr 2024
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

    Questa domenica è dedicata a Gesù Buon Pastore.

    Nel Vangelo odierno (cfr Gv 10,11-18) Gesù dice: «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore» (v. 11) e insiste su questo aspetto, tanto da ripeterlo per ben tre volte (cfr vv. 11.15.17).

    Ma in che senso, mi domando, il pastore dà la vita per le pecore?

    Essere pastore, specialmente al tempo di Cristo, non era solo un mestiere, era tutta una vita: non si trattava di avere un’occupazione a tempo, ma di condividere le intere giornate, e pure le nottate, con le pecore, di vivere – vorrei dire –  in simbiosi con loro.

    Gesù infatti spiega di non essere un mercenario, a cui non importa delle pecore (cfr v.

    13), ma colui che le conosce (cfr v. 14): Lui conosce le pecore.

    È così, Lui, il Signore, pastore di tutti noi, ci conosce, ognuno di noi, ci chiama per nome e, quando ci smarriamo, ci cerca finché ci ritrova (cfr Lc 15,4-5).

    Di più: Gesù non è solo un bravo pastore che condivide la vita del gregge; Gesù è il Buon Pastore, che per noi ha sacrificato la vita e, risorto, ci ha dato il suo Spirito.

    Ecco cosa vuole dirci il Signore con l’immagine del Buon Pastore: non solo che Lui è la guida, il Capo del gregge, ma soprattutto che pensa a ciascuno di noi, e ci pensa come all’amore della sua vita.

    Pensiamo a questo: io per Cristo sono importante, Lui mi pensa, sono insostituibile, valgo il prezzo infinito della sua vita.

    E questo non è un modo di dire: Lui ha dato veramente la vita per me, è morto e risorto per me.

    Perché? Perché mi ama e trova in me una bellezza che io spesso non vedo.

    Fratelli e sorelle, quante persone oggi si ritengono inadeguate o persino sbagliate! Quante volte si pensa che il nostro valore dipenda dagli obiettivi che riusciamo a raggiungere, dal successo agli occhi del mondo, dai giudizi degli altri! E quante volte si finisce per buttarsi via per cose da poco! Oggi Gesù ci dice che noi per Lui valiamo tanto e sempre.

    E allora, per ritrovare noi stessi, la prima cosa da fare è metterci alla sua presenza, lasciarci accogliere e sollevare dalle braccia amorevoli del nostro Buon Pastore.

    Fratelli, sorelle, chiediamoci dunque: so trovare ogni giorno un momento per abbracciare la certezza che dà valore della mia vita? So trovare un momento di preghiera, di adorazione, di lode, per stare alla presenza di Cristo e lasciarmi accarezzare da Lui? Fratello, sorella, il Buon Pastore ci dice che se lo fai, riscoprirai il segreto della vita: ricorderai che Lui ha dato la vita per te, per me, per tutti noi.

    E che per Lui siamo tutti importanti, ognuno di noi e tutti.

    La Madonna ci aiuti a trovare in Gesù l’essenziale per vivere.

    ____________________________________

    Dopo il Regina Caeli

    Cari fratelli e sorelle!

    Si celebra oggi la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che ha per tema “Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace”.

    È una bella occasione per riscoprire la Chiesa quale comunità caratterizzata da una polifonia di carismi e di vocazioni al servizio del Vangelo.

    In tale contesto rivolgo di cuore il mio saluto ai nuovi presbiteri della diocesi di Roma, che sono stati ordinati ieri pomeriggio nella Basilica di San Pietro.

    Preghiamo per loro!

    Continuo a seguire con preoccupazione, e anche con dolore, la situazione in Medio Oriente.

    Rinnovo l’appello a non cedere alla logica della rivendicazione e della guerra; prevalgano invece le vie del dialogo e della diplomazia, che può fare tanto.

    Prego ogni giorno per la pace in Palestina e in Israele e spero che quei due popoli possano presto smettere di soffrire.

    E non dimentichiamo la martoriata Ucraina, la martoriata Ucraina che soffre tanto per la guerra.

    Con dolore ho appreso la notizia della morte, in un incidente, di padre Matteo Pettinari, giovane missionario della Consolata in Costa d’Avorio, conosciuto come il “missionario instancabile”, che ha lasciato una grande testimonianza di generoso servizio.

    Preghiamo per la sua anima.

    Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti voi, romani e pellegrini dell’Italia e di tanti Paesi.

    Accolgo con affetto le Suore Apostoline: grazie per il vostro gioioso servizio alla pastorale delle vocazioni! Saluto i fedeli di Viterbo, Brescia, Alba Adriatica e Arezzo; come pure il Rotary Club Galatina Maglie e Terre d’Otranto, i giovani di Capocroce, i ragazzi della Cresima di Azzano Mella e della parrocchia di Sant’Agnese in Roma.

    Auguro a tutti voi una buona domenica.

    E saluto i ragazzi dell’Immacolata, bravi! Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Ai Pellegrini delle Diocesi di Cesena-Sarsina, Tivoli, Savona-Noli e Imola, in occasione del bicentenario della morte del Papa Pio VII (20 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Saluto il Cardinale, i Vescovi presenti, gli Abati, i monaci e tutti voi, amici delle diocesi di Cesena-Sarsina, Savona, Imola e Tivoli.

    A Cesena sono stato.

    Papa Chiaramonti è stato ed è per tutti noi un grande esempio di buon pastore che dà la vita per il suo gregge (cfr Gv 10,11).

    Era un uomo di notevole cultura e pietà, era pio.

    Monaco, Abate, Vescovo e Papa, in tutti questi ruoli ha sempre mantenuto intatta, anche a costo di grandi sacrifici, la sua dedizione a Dio e alla Chiesa.

    Come nel drammatico momento del suo arresto quando, a chi gli offriva una via di fuga dalla prigionia in cambio di compromessi circa le sue responsabilità pastorali, rispondeva: «Non debemus, non possumus, non volumus» - «non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo», confermando, a prezzo della sua libertà personale, quanto aveva promesso di fare, con l’aiuto di Dio, il giorno della sua elezione (cfr Pio VII, Alloc.

    Ad supremum, 6).

    Vorrei sottolineare, pensando alla sua vita, tre valori-cardine di cui è stato testimone, essenziali anche per i nostri cammini personali e comunitari: la comunione, la testimonianza e la misericordia.

    Primo: la comunione.

    Papa Pio VII ne è stato un convinto sostenitore e difensore in tempi di lotte e divisioni feroci.

    I disordini causati dalla rivoluzione francese e dalle invasioni napoleoniche avevano prodotto e continuavano a fomentare spaccature dolorose, sia all’interno del popolo di Dio che nelle sue relazioni col mondo circostante: ferite sanguinanti sia morali che fisiche.

    Anche il Papa pareva dovesse esserne travolto.

    E invece, con la sua pacata e tenace perseveranza nel difendere l’unità, Pio VII seppe trasformare le prepotenze di chi voleva isolarlo e allontanarlo, spogliandolo pubblicamente di ogni dignità, in occasioni per rilanciare un messaggio di dedizione e di amore alla Chiesa, al quale il popolo di Dio rispose con entusiasmo.

    Ne emerse una comunità materialmente più povera, ma moralmente più coesa, forte e credibile.

    E il suo esempio sprona noi ad essere, nel nostro tempo, anche a costo di rinunce, costruttori di unità nella Chiesa universale, in quella locale, nelle parrocchie e nelle famiglie: a fare comunione, a favorire la riconciliazione, a promuovere la pace, fedeli alla verità nella carità!

    Una cosa che aiuta tanto la comunione è il saper parlare bene.

    Cosa vuol dire? Dico il contrario: parlare male, il chiacchiericcio, distrugge la comunione.

    Non so se nelle vostre diocesi c’è il chiacchiericcio, credo di no, perché tutti voi dalla faccia siete buonissimi… Ma nel caso che ci fosse qualche chiacchiericcio, c’è un rimedio molto buono: mordersi la lingua.

    Quando ti viene voglia di sparlare o “spellare” l’altro, morditi la lingua e farai un bel lavoro di comunità, di unità nella comunità.

    E tutto questo – la comunione, il cercare l’unità della Chiesa – ci porta al secondo punto: la testimonianza.

    Uomo di indole mite, Papa Chiaramonti è stato un annunciatore coraggioso del Vangelo, con la parola e con la vita.

    Diceva ai Cardinali elettori all’inizio del suo pontificato: «La Chiesa […] ha bisogno dei Nostri buoni esempi […]; così che tutti comprendano che non […] nel fasto […], ma piuttosto nel disprezzo delle ricchezze, nell’umiltà, nella modestia, nella pazienza, nella carità e infine in ogni dovere sacerdotale è raffigurata l’immagine del Nostro Creatore e si conserva l’autentica dimensione della Chiesa» (ivi, 8-9).

    È bello questo che diceva! E di fatto egli ha realizzato questo suo ideale di profezia cristiana (cfr San Leone Magno, Sermo 21,3), vivendolo e promuovendolo con dignità nella buona e nella cattiva sorte, sia a livello personale che ecclesiale, anche quando ciò lo ha portato a scontrarsi con i potenti del suo tempo.

    E veniamo infine all’ultimo aspetto: la misericordia.

    Nonostante i pesanti ostacoli posti alla sua opera dalle vicende napoleoniche, Papa Pio VII concretizzò la sua attenzione per i bisognosi distinguendosi per alcune riforme e iniziative sociali di ampia portata, innovative nel suo tempo, come la revisione dei rapporti di “vassallaggio”, con conseguente emancipazione dei contadini poveri, l’abolizione di molti privilegi nobiliari, delle “angherie”, delle regalie, dell’uso della tortura (cfr Pio VII, Motu proprio Quando per ammirabile disposizione, 6 luglio 1816) e l’istituzione di una cattedra di chirurgia presso l’Università La Sapienza per il miglioramento dell’assistenza medica e l’incremento della ricerca.

    Era un uomo molto intelligente, molto pio e furbo.

    Sapeva portare avanti anche la sua prigionia con furbizia.

    A volte mandava dei messaggi nascosti nella biancheria; e così riusciva a guidare la Chiesa, tramite la biancheria! Ed è una cosa bella: è un uomo intelligente, furbo e che vuole portare avanti il compito di governare che il Signore gli aveva dato, questo è bello.

    Era anche un uomo di carità, come dimostrò poi, in ambito diverso, nei confronti dei suoi persecutori: pur denunciandone senza mezzi termini gli errori e i soprusi, cercò di mantenere aperto con loro un canale di dialogo e soprattutto offrì sempre il suo perdono.

    Fino a concedere ospitalità negli stati della Chiesa, dopo la restaurazione, proprio ai familiari di quel Napoleone che pochi anni prima lo aveva fatto incarcerare e chiedendo per lui, ormai sconfitto, un trattamento mite nella prigionia.

    Grande!

    Cari fratelli e sorelle, sono molti i valori a cui ci richiama la memoria del Servo di Dio Pio VII: l’amore per la verità, l’unità, il dialogo, l’attenzione agli ultimi, il perdono, la ricerca tenace della pace, e quella furbizia evangelica che il Signore ci raccomanda.

    Ci farà bene meditarli, farli nostri e testimoniarli, perché in noi e nelle nostre comunità crescano lo stile di mansuetudine e la disponibilità al sacrificio.

    Ma questo non vuol dire che siamo stupidi, no, quella non è mansuetudine.

    Mansuetudine sì, ma furbi come il Signore ci raccomanda.

    Semplici come la colomba ma furbi come il serpente.

    Vi ringrazio di essere venuti e vi accompagno con la mia preghiera.

    Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie.

    E vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Alla Comunità del Seminario di Sevilla (Spagna) (20 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli,

    Sono lieto di accogliere, voi membri delle comunità del Seminario Metropolitano e del Seminario “Redemptoris Mater” di Sevilla che, insieme al vostro arcivescovo, mons.

    Josep Ángel Saiz Meneses, siete venuti in pellegrinaggio presso la tomba dell’apostolo Pietro.

    Vi ringrazio per questa visita e vi incoraggio a vivere questi giorni con stupore e gratitudine per il dono della fede che ci hanno trasmesso gli apostoli.

    Il nostro incontro si svolge alla vigilia di un giorno molto importante: la domenica del Buon Pastore, che celebriamo domani.

    Voi, seminaristi, avete ricevuto una chiamata dal Signore e, con l’aiuto dei vostri formatori, vi state preparando per essere pastori secondo il Cuore di Cristo.

    In altre occasioni ho detto ai seminaristi che questo cammino di configurazione con Gesù buon pastore va fatto curando quattro aspetti: la vita spirituale, lo studio, la vita comunitaria e l’attività ap ostolica.

    Questa integrazione è necessaria, direi che è urgente, per diventare sacerdoti completi e rispondere alla vocazione ricevuta, nel dono totale di sé a Dio e ai fratelli, specialmente a quelli più sofferenti.

    A tale proposito, vorrei sottolineare la figura di uno tra i tanti santi pastori che ha avuto la terra andalusa nel corso della storia, quella del beato cardinale Marcelo Spínola y Maestre, che voi conoscete bene.

    Questo beato, maestro di sacerdoti, diceva: «Virtù e scienza sono le due cose che si devono insegnare con preferenza agli aspiranti al sacerdozio, perché la scienza senza virtù gonfia e non edifica e la virtù senza scienza edifica ma non istruisce».

    Ciò significa, come dicevamo, che tutto nel sacerdote — preghiera, studio, fraternità, missione — va unito.

    Cari seminaristi, approfittate bene di questo intenso tempo di formazione, con il cuore rivolto a Dio, con le mani aperte e un grande sorriso per trasmettere la gioia del Vangelo a tutti quelli che incontrate.

    Che Gesù vi benedica e la Virgen de los Reyes vi accompagni.

    Grazie.

    ______________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    91, sabato 20 aprile 2024 p.

    12.

    Ai membri del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (20 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno, e benvenuti!

    Sono contento di darvi il benvenuto in occasione della vostra adunanza plenaria, nell’ambito della quale celebrate il 70° anniversario dell’istituzione del Pontificio Comitato.

    Saluto il Presidente, Padre Marek Inglot, e saluto ciascuno di voi, grato per il vostro incontro e per il vostro servizio.

    Provenite da diversi Paesi e da tre continenti, ognuno con le proprie, apprezzate competenze specialistiche.

    Così garantite la dimensione internazionale e il carattere pluridisciplinare del Comitato, la cui attività di ricerca, convegnistica ed editoriale si inscrive in una dinamica multiculturale feconda e propositiva.

    La bella Collana «Atti e Documenti», diretta dal Segretario del Pontificio Comitato, festeggia quest’anno anch’essa un settantesimo: il 70° volume edito.

    Ciò testimonia un impegno nella ricerca della verità storica su scala mondiale, in uno spirito di dialogo con differenti sensibilità storiografiche e con molteplici tradizioni di studi.

    È bene che collaboriate con altri, espandendo le vostre relazioni scientifiche e umane, ed evitando forme di chiusura mentale e istituzionale.

    Vi incoraggio a mantenere questo approccio arricchente, fatto di ascolto costante e attento, libero da ogni ideologia – le ideologie uccidono – e rispettoso della verità.

    Ribadisco quanto vi dissi in occasione del vostro 60° anniversario: «Nell’incontro e nella collaborazione con ricercatori di ogni cultura e religione, voi potete offrire un contributo specifico al dialogo tra la Chiesa e il mondo contemporaneo» (Discorso, 12 aprile 2014).

    Questo stile concorre a sviluppare quella che chiamerei “diplomazia della cultura”.

    È molto attuale, e oggi tanto più necessaria nel contesto del pericoloso conflitto globale a pezzi in atto, al quale non possiamo assistere inerti.

    Vi invito pertanto a proseguire nel lavoro di ricerca storica aprendo orizzonti di dialogo, dove portare la luce della speranza del Vangelo, quella speranza che non delude (cfr Rm 5,5).

    Mi piace pensare al rapporto tra la Chiesa e gli storici nei termini di prossimità.

    C’è infatti una relazione vitale tra la Chiesa e la storia.

    Su tale aspetto San Paolo VI ha sviluppato un’intensa riflessione, ravvisando il punto di incontro privilegiato tra la Chiesa e gli storici nella comune ricerca della verità e nel comune servizio alla verità.

    Ricerca e servizio.

    Ecco le parole che rivolse agli storici, nel 1967: «Può essere qui che si trovi il principale punto di incontro tra voi e noi […], tra la verità religiosa della quale la Chiesa è depositaria e la verità storica, della quale voi siete i buoni e devoti servitori: tutto l’edificio del cristianesimo, della sua dottrina, della sua morale e del suo culto, tutto riposa in definitiva sulla testimonianza.

    Gli Apostoli di Cristo hanno testimoniato ciò che hanno visto e ascoltato.

    […] Ciò lascia comprendere quanto un organismo di natura spirituale e religiosa come la Chiesa cattolica sia interessato alla ricerca e all’affermazione della verità storica […] Essa pure ha una storia, e il carattere storico delle sue origini ha in particolare per essa un’importanza decisiva» (Discorso ai partecipanti all’Assemblea generale del Comitato internazionale di scienze storiche, 3 giugno 1967).

    La Chiesa cammina nella storia, accanto alle donne e agli uomini di ogni tempo, e non appartiene a nessuna cultura particolare, ma desidera vivificare con la testimonianza mite e coraggiosa del Vangelo il cuore di ogni cultura, così da costruire insieme la civiltà dell’incontro.

    Invece, le tentazioni dell’autoreferenzialità individualistica e dell’affermazione ideologica del proprio punto di vista alimentano l’inciviltà dello scontro.

    La civiltà dell’incontro e l’inciviltà dello scontro.

    È bello che voi, a settant’anni dalla nascita, testimoniate di saper resistere a tali tentazioni, vivendo con passione, attraverso gli studi, l’esperienza rigenerante del servizio all’unità, a quell’unità composita e armonica che lo Spirito Santo ci mostra a Pentecoste.

    Sessant’anni fa, in quell’evento benedetto dallo Spirito che è stato il Concilio Vaticano II, San Paolo VI pronunciò parole che suonano come monito a ogni lusinga di compiaciuta autoreferenzialità ecclesiale, dalla quale occorre proteggere il vostro servizio: «Nessuno […] pensi che la Chiesa […] si soffermi su se stessa per compiacersene e dimentichi sia Cristo, dal quale tutto riceve, a cui tutto deve, sia il genere umano, per servire il quale è nata.

    La Chiesa sta nel mezzo tra Cristo e la comunità umana, non ripiegata su di sé, non come un velo opaco che impedisce la vista, non fine a se stessa, ma al contrario costantemente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo, per Cristo, di essere tutta degli uomini, tra gli uomini, per gli uomini, tramite veramente umile ed eccellente tra il Divin Salvatore e l’umanità» (Discorso per l’inaugurazione della III Sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 14 settembre 1964, 17).

    Per i vostri settant’anni, vi auguro di conformare il vostro operato a queste parole: gli studi storici vi rendano maestri in umanità e servitori dell’umanità.

    A voi e ai vostri cari imparto di cuore la mia benedizione, chiedendovi, per favore, di pregare per me.

    Grazie.

    Agli Studenti della Rete Nazionale delle Scuole di Pace (19 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari ragazzi, care ragazze, cari insegnanti, buongiorno a tutti!

    Sono contento di incontrare ancora una volta la rete nazionale delle “Scuole per la Pace”.

    Saluto il Dottor Lotti e do il benvenuto a tutti voi.

    Voglio prima di tutto ringraziarvi.

    Grazie per questo cammino ricco di idee, di iniziative, di percorsi formativi e di attività, che intendono promuovere una nuova visione del mondo.

    Grazie per essere pieni di entusiasmo nell’inseguire obiettivi di bellezza e di bontà, in mezzo a situazioni drammatiche, ingiustizie e violenze che sfigurano la dignità umana.

    Grazie perché con passione e generosità vi impegnate a lavorare nel “cantiere del futuro”, vincendo la tentazione di una vita appiattita soltanto sull’oggi, che rischia di perdere la capacità di sognare in grande.

    Oggi più che mai, invece, c’è bisogno di vivere con responsabilità, allargando gli orizzonti, guardando avanti e seminando giorno per giorno quei semi di pace che domani potranno germogliare e portare frutto.

    Grazie ragazzi e ragazze!

    Nel prossimo mese di settembre si svolgerà a New York il Summit del Futuro, convocato dall’ONU per affrontare le grandi sfide globali di questo momento storico e firmare un “Patto per il Futuro” e una “Dichiarazione sulle generazioni future”.

    Si tratta di un evento importante, e c’è bisogno anche del vostro contributo perché non rimanga soltanto “sulla carta”, ma diventi concreto e si realizzi attraverso percorsi e azioni di cambiamento.

    Voi portate nel cuore questo grande sogno: “Trasformiamo il futuro.

    Per la pace, con la cura”.

    E proprio su questo vorrei brevemente soffermarmi per dirvi una cosa in cui credo molto: che voi siete chiamati – ascoltate bene – voi siete chiamati ad essere protagonisti e non spettatori del futuro.

    Vi domando: a che cosa voi siete chiamati? Ad essere che? [rispondono i ragazzi] Non ho sentito bene!... [rispondono a gran voce i ragazzi] Coraggio! Avanti! La convocazione di questo Summit mondiale, infatti, ci ricorda che tutti siamo interpellati dalla costruzione di un avvenire migliore e, soprattutto, che dobbiamo costruirlo insieme! Vi domando: il futuro si può costruire da soli? [I ragazzi rispondono “no”].

    Non sento… [un “no” a gran voce].

    Dobbiamo costruirlo? [“Sì!”] Bravi! Non possiamo solo delegare le preoccupazioni per il “mondo che verrà” e per la risoluzione dei suoi problemi alle istituzioni deputate e a coloro che hanno particolari responsabilità sociali e politiche.

    È vero che queste sfide richiedono competenze specifiche, ma è altrettanto vero che esse ci riguardano da vicino, toccano la vita di tutti e chiedono a ciascuno di noi partecipazione attiva e impegno personale.

    In un mondo globalizzato, come questo, dove siamo tutti interdipendenti, non è possibile procedere come singoli individui che si prendono cura soltanto del proprio “orto”, per coltivare i propri interessi: occorre invece mettersi in rete e fare rete.

    Cosa occorre? Mettersi in rete e fare rete.

    Cosa occorre? Mettersi in rete e fare rete.

    Tutti insieme! [i ragazzi rispondono] Ecco, sì bravi, e questo è importante, bisogna entrare in connessione, lavorare in sinergia e in armonia.

    Questo significa passare dall’io al noi: non “io lavoro per il mio bene”, ma “noi lavoriamo per il bene comune, per il bene di tutti”.

    Noi lavoriamo per il bene di tutti.

    Insieme! [i ragazzi ripetono] Bravi!

    In effetti, le sfide odierne, e soprattutto i rischi che, come nubi oscure, si addensano su di noi minacciando il nostro futuro, sono anch’essi diventati globali.

    Ci riguardano tutti, interrogano l’intera comunità umana, richiedono il coraggio e la creatività di un sogno collettivo che animi un impegno costante, per affrontare insieme le crisi ambientali, le crisi economiche, le crisi politiche e sociali che il nostro pianeta sta attraversando.

    Cari ragazzi, care ragazze, cari insegnanti, si tratta di un sogno che richiede di essere svegli e non addormentati! Sì, perché lo si porta avanti lavorando, non dormendo; camminando per le strade, non sdraiati sul divano; usando bene i mezzi informatici, non perdendo tempo sui social; e poi – ascoltate bene – questo tipo di sogno si realizza anche con la preghiera, cioè insieme con Dio, e non con le nostre sole forze.

    Cari studenti, cari insegnanti, voi avete messo al cuore del vostro impegno due parole-chiave: la pace e la cura.

    Sono due realtà legate tra loro: la pace, infatti, non è soltanto silenzio delle armi e assenza di guerra; è un clima di benevolenza, di fiducia e di amore che può maturare in una società fondata su relazioni di cura, in cui l’individualismo, la distrazione e l’indifferenza cedono il passo alla capacità di prestare attenzione all’altro, di ascoltarlo nei suoi bisogni fondamentali, di curare le sue ferite, di essere per lui o lei strumenti di compassione e di guarigione.

    Questa è la cura che Gesù ha verso l’umanità, in particolare verso i più fragili, e di cui il Vangelo ci parla spesso.

    Dal “prendersi cura” reciproco nasce una società inclusiva, fondata sulla pace e sul dialogo.

    In questo tempo ancora segnato dalla guerra, vi chiedo di essere artigiani della pace; in una società ancora prigioniera della cultura dello scarto, vi chiedo di essere protagonisti di inclusione; in un mondo attraversato da crisi globali, vi chiedo di essere costruttori di futuro, perché la nostra casa comune diventi luogo di fraternità.

    Vorrei parlarvi due minuti sulla guerra.

    Pensate ai bambini che sono in guerra, pensate ai bambini ucraini che hanno dimenticato di sorridere.

    Pregate per questi bambini, metteteli nel cuore i bambini che sono in guerra.

    Pensate ai bambini di Gaza, mitragliati, che hanno fame.

    Pensate ai bambini.

    Adesso un piccolo silenzio, e ognuno di noi pensi ai bambini ucraini e ai bambini di Gaza.

    Vi auguro di essere sempre appassionati del sogno della pace.

    Lo dico con il motto di Don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, che al “non mi importa”, tipico dell’indifferenza menefreghista, opponeva l’“I care”, cioè il “mi sta a cuore”, “mi interessa”.

    Che tutto questo stia a cuore a voi.

    Che vi stia sempre a cuore la sorte del nostro pianeta e dei vostri simili; vi stia a cuore il futuro che si apre davanti a noi, perché possa essere davvero come Dio lo sogna per tutti: un futuro di pace e di bellezza per l’umanità intera.

    E vi siano a cuore i bambini ucraini, che dimenticano di sorridere; i bambini di Gaza, che soffrono sotto le mitraglie.

    Vi benedico di cuore.

    Buona scuola e buon cammino! E, per favore, ricordatevi di pregare per me.

    Grazie tante!

    Messaggio del Santo Padre per il IV Raduno Mondiale organizzato dal Global Christian Forum (18 Apr 2024)
    Visita il link

    Porgo i miei cordiali saluti a tutti i presenti al IV Raduno Mondiale del Global Christian Forum.

    La vostra assemblea vede partecipanti da tutto il mondo, il che rispecchia un bel mosaico del cristianesimo contemporaneo con la sua ricca diversità, pur rimanendo fondato sulla nostra comune identità di seguaci di Gesù Cristo.

    Il tema di quest’anno, «perché il mondo sappia» (cfr.

    Giovanni 17, 23b) esorta i cristiani a incarnare l’unità e l’amore del Dio Uno e Trino nella loro vita personale ed ecclesiale, così da dare testimonianza a un mondo ferito da divisione e rivalità.

    L’unità è un elemento indispensabile per abbracciare la visione del Regno di Dio.

    Pertanto, c’è un legame intrinseco tra ecumenismo e missione cristiana.

    Durante tutta la sua storia, il Global Christian Forum ha contribuito in modo significativo alla promozione di tale legame, offrendo uno spazio in cui i membri, specialmente quelli provenienti da espressioni storiche differenti della fede cristiana, crescono nel rispetto reciproco e nella fratellanza incontrandosi gli uni gli altri in Cristo.

    Possa questo raduno, nell’anniversario d’argento del forum, rendere più profonda la vostra fede e ravvivare il vostro amore fraterno mentre pregate insieme, vi raccontate le vostre storie personali e affrontate le sfide che si pongono alla comunità cristiana globale.

    Su tutti voi invoco le benedizioni di Dio Onnipotente e prego perché il raduno accresca l’unità visibile tra tutti i cristiani.

    FRANCESCO

    __________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    90, venerdì 19 aprile 2024, p.

    7.

    A Superiore e Delegate delle Carmelitane Scalze (18 Apr 2024)
    Visita il link

    Buongiorno, benvenute!

    Parlerò in castigliano.

    Sono contento di incontrarvi mentre siete riunite per riflettere insieme e lavorare alla revisione delle vostre Costituzioni, quelle del ’90, o quelle precedenti, non so, lavorate tra voi.

    È un appuntamento importante, perché non risponde soltanto a una necessità umana, alle contingenze della vita comunitaria: si tratta invece di un “tempo dello Spirito”, che siete chiamate a vivere come occasione di preghiera e di discernimento.

    Restando interiormente aperte a ciò che lo Spirito Santo vuole suggerirvi, avete il compito di trovare nuovi linguaggi, nuove vie e nuovi strumenti per dare ancora maggiore slancio alla vita contemplativa che il Signore vi ha chiamato ad abbracciare, perché il carisma si conservi – il carisma è lo stesso – e che possa essere compreso e attirare tanti cuori, per la gloria di Dio e per il bene della Chiesa.

    Quando un Carmelo funziona bene attira, attira, non è vero? È come la luce con le mosche, attira, attira.

    Rivedere le Costituzioni significa proprio questo: raccogliere la memoria del passato – non bisogna rinnegarlo – per guardare al futuro.

    In effetti, voi mi insegnate che la vocazione contemplativa non porta a custodire delle ceneri, ma ad alimentare un fuoco che arda in maniera sempre nuova e riscaldi la Chiesa e il mondo.

    Perciò, la memoria della vostra storia e di quanto negli anni è maturato nelle Costituzioni è una ricchezza che deve restare aperta alle suggestioni dello Spirito Santo, alla perenne novità del Vangelo, ai segni che il Signore ci dona attraverso la vita e le sfide umane.

    Così si conserva un carisma.

    Non cambia, ascolta e si apre a ciò che il Signore vuole in ogni momento.

    Questo vale in generale per tutti gli istituti di vita consacrata, ma voi claustrali lo sperimentate in modo particolare, perché vivete in pieno la tensione tra la separazione dal mondo e l’immersione in esso.

    Voi infatti non vi rifugiate in una consolazione spirituale intimistica o in una preghiera avulsa dalla realtà; al contrario, il vostro è un cammino in cui ci si lascia coinvolgere dall’amore di Cristo fino ad unirsi a Lui, perché questo amore pervada tutta l’esistenza e si esprima in ogni gesto e in ogni azione quotidiana.

    Il dinamismo della contemplazione è sempre un dinamismo d’amore, è sempre una scala che ci eleva a Dio non per staccarci dalla terra, ma per farcela abitare in profondità, come testimoni dell’amore ricevuto.

    Con la sua sapienza e la sua fede ardente, la santa madre ve lo insegna.

    Ella è convinta che l’unione mistica e interiore con la quale Dio lega l’anima a sé, quasi “sigillandola” col suo amore, pervade e trasforma tutta la vita, senza staccare dalle occupazioni quotidiane o suggerire una fuga nelle cose dello spirito.

    Teresa afferma che è necessario un tempo consacrato al silenzio e all’orazione, ma bisogna intenderlo come la sorgente dell’apostolato e di tutte quelle mansioni quotidiane che il Signore ci chiede per servire la Chiesa.

    Ella infatti afferma: «Marta e Maria devono offrire insieme ospitalità al Signore, trattenerlo sempre presso di loro, e non fargli cattiva accoglienza non dandogli da mangiare.

    Come lo nutrirebbe Maria, sempre seduta ai suoi piedi, se la sorella non la aiutasse? Il suo nutrimento è lo sforzo che facciamo di avvicinare le anime a Lui in tutti i modi possibili, perché esse si salvino e non cessino di lodarlo» (S.

    Teresa d’Avila, Mansioni, VII, IV, 14).

    Fin qui la citazione, che conoscete meglio di me.

    In questo modo, la vita contemplativa non rischia di ridursi a un’inerzia spirituale, che distoglie dalle incombenze della vita quotidiana.

    Un prete che non conosceva questo tipo di mistica le chiamava “le monache sonnolente”, che vivono dormendo.

    Ma la vita contemplativa continua a fornire la luce interiore per il discernimento.

    E di quale luce avete bisogno per rivedere le Costituzioni, affrontando i tanti problemi concreti dei monasteri e della vita comunitaria? La luce è questa: la speranza nel Vangelo.

     Ma sempre radicato nei padri fondatori, nella madre fondatrice e in san Giovanni.

    La speranza del Vangelo è diversa dalle illusioni fondate sui calcoli umani.

    Significa abbandonarsi a Dio, imparare a leggere i segni che ci dona per discernere il futuro, saper fare qualche scelta audace e rischiosa anche se sul momento rimane ignota la meta verso cui ci condurrà.

    Significa non affidarci soltanto alle strategie umane, alle strategie difensive quando si tratta di riflettere su un monastero da salvare o da lasciare, sulle forme della vita comunitaria, sulle vocazioni.

    Le strategie difensive sono frutto di un nostalgico ritorno al passato; questo non funziona, la nostalgia non funziona, la speranza evangelica va in un’altra direzione: ci dona la gioia della storia vissuta fino ad oggi ma ci rende capaci di guardare avanti, con quelle radici che abbiamo ricevuto.

    Questo si chiama conservare il carisma, la voglia di andare avanti, e questo sì che funziona.

    Guardate avanti.

    Questo voglio augurarvi.

    Guardate avanti con la speranza evangelica e con i piedi scalzi, cioè con la libertà dell’abbandono in Dio.

    Guardate al futuro con le radici nel passato.

    E questo essere totalmente immerse nella presenza del Signore vi dia sempre anche la gioia della fraternità e dell’amore vicendevole.

    La Madonna vi accompagni.

    Di cuore benedico tutte voi, benedico il vostro lavoro di questi giorni, benedico le vostre comunità, benedico le monache del monastero.

    E vi chiedo di continuare a pregare per me.

    A favore, non contro! Grazie.

    Udienza Generale del 17 Apr 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza
    Visita il link

    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    15. La temperanza

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza.

    Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani.

    Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità.

    Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere.

    Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda.

    Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza.

    Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”.

    La temperanza è un potere su sé stessi.

    Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

    Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati».

    «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà.

    La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n.

    1809).

    Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura.

    In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili.

    Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili.

    In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice.

    Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire.

    Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

    Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio.

    Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia.

    Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato.

    Tutti sappiamo questo.

    La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole.

    Pensa a quello che dice.

    Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite.

    Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature.

    C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura.

    E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

    Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente.

    Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera.

    Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera.

    Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso.

    Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male.

    In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse.

    Dimostra empatia.

    Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara.

    Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso.

    Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza.

    Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola.

    È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso.

    Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre.

    Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

    Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie.

    Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato.

    La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita.

    Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale.

    Il dono della temperanza.

    _________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les personnes de langue française, particulièrement les pèlerins provenant des paroisses et des établissements scolaires de France.

    Apprenons à cultiver la vertu de la tempérance pour savoir contrôler nos paroles et nos actes, afin d’éviter des situations de conflits inutiles, et promouvoir la paix dans notre société.

    Que Dieu vous bénisse !

    [Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua francese, in particolare ai pellegrini provenienti dalle parrocchie e dagli Istituti scolastici di Francia.

    Impariamo a coltivare la virtù della temperanza, in modo da poter controllare le nostre parole e le nostre azioni per evitare conflitti inutili e promuovere la pace nella nostra società.

    Dio vi benedica!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Ireland, Finland, Indonesia, Malaysia, the Philippines, Korea and the United States of America.

    In the joy of the Risen Christ, I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

    May the Lord bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Irlanda, Finlandia, Indonesia, Malaysia, Filippine, Corea e Stati Uniti d’America.

    Nella gioia del Cristo Risorto, invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre.

    Il Signore vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, indem wir versuchen, die Tugenden zu leben, legen wir die Gewohnheiten des alten Menschen ab, um den neuen Menschen anzuziehen, der nach dem Bild Gottes geschaffen ist (vgl.

    Eph 4,22-24).

    Auf diese Weise dürfen wir schon jetzt von dem neuen Leben kosten, an dem der Auferstandene uns Anteil gibt.

    [Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, cercando di vivere le virtù, abbandoniamo le abitudini dell’uomo vecchio per rivestirci dell’uomo nuovo, creato secondo Dio (cfr.

    Ef 4,22-24).

    In questo modo, possiamo già pregustare la nuova vita di cui il Risorto ci rende partecipi.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Pidamos a Cristo resucitado que nos enseñe a vivir con sobriedad y en acción de gracias por tantos dones que recibimos de su generosidad.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Dirijo uma cordial saudação aos peregrinos de língua portuguesa, especialmente a quantos vieram do Brasil, convidando todos a permanecer fiéis a Cristo Jesus.

    Vele sobre o vosso caminho a Virgem Maria e vos ajude a ser sinal de confiança e esperança no meio dos outros.

    Sobre vós e vossas famílias desça a Bênção de Deus.

    [Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare a quanti sono venuti dal Brasile, invitando tutti a rimanere fedeli a Cristo Gesù.

    Vegli sul vostro cammino la Vergine Maria e vi aiuti ad essere segno di fiducia e di speranza in mezzo agli altri.

    Su di voi e sulle vostre famiglie scenda la Benedizione di Dio.]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    السَّعادَةُ معَ القناعَةِ هي فَرَحٌ يُزهِرُ في قلبِ الَّذين يَعرِفونَ ويُقَدِّرونَ ما هو الأهَمُّ في الحياة، حتَّى يَستَمتِعُوا بها بشكلٍ أفضل.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita, affinché possa gustarla meglio.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Serdecznie pozdrawiam pielgrzymów polskich.

    Bóg obdarował Wasz naród bogatą historią i kulturą, wielkimi Świętymi oraz piękną ziemią ojczystą.

    Dziękując za te dary, pielęgnujcie wewnętrzną wolność ducha, która potrafi z umiarkowaniem korzystać z dóbr duchowych i materialnych, z kultury i sztuki, oraz rezygnować z tego, co niszczy życie i godność osoby ludzkiej.

    Z serca Wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i pellegrini polacchi.

    Dio ha regalato alla vostra nazione una ricca storia e cultura, grandi Santi e una bellissima terra natia.

    Ringraziando per questi doni, coltivate una libertà interiore di spirito che sappia usare con temperanza i beni spirituali e materiali, la cultura e l’arte, e rinunciando a tutto ciò che distrugge la vita e la dignità della persona umana.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto i Religiosi Giuseppini del Murialdo e i Sacerdoti delle Diocesi di Milano e di Andria che celebrano significativi anniversari di Ordinazione sacerdotale, incoraggiandoli nella loro adesione a Cristo e nel servizio ai fratelli.

    Accolgo con affetto i fedeli di Trevinano, Agerola, Triggiano e le Confraternite di Taranto, come pure il gruppo ANSPI di Avellino e l’Associazione Paesaggi rurali di interesse storico di Arezzo.

    Tutti esorto ad essere generosi protagonisti di bontà e di accoglienza evangelica.

    Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente ai tanti studenti che ci rallegrano con la loro presenza.

    A ciascuno il mio augurio perché, partendo dalla Città Eterna e tornando nei rispettivi ambienti di vita, portiate la testimonianza di un impegno rinnovato di fede operosa, contribuendo così a far risplendere nel mondo la luce di Cristo risorto.

    E anche il nostro pensiero, di tutti noi, in questo momento va alle popolazioni in guerra.

    Pensiamo alla Terra Santa, alla Palestina, a Israele.

    Pensiamo all’Ucraina, la martoriata Ucraina.

    Pensiamo ai prigionieri di guerra: che il Signore muova la volontà per liberarli tutti.

    E parlando dei prigionieri, mi vengono in mente coloro che sono torturati.

    La tortura dei prigionieri è una cosa bruttissima, non è umana.

    Pensiamo a tante torture che feriscono la dignità della persona, e a tanti torturati.

    Il Signore aiuti tutti e benedica tutti.

    E a tutti voi la mia benedizione!

    Regina Caeli, 14 Apr 2024
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno, buona domenica!

    Oggi il Vangelo ci riporta alla sera di Pasqua.

    Gli apostoli sono riuniti nel cenacolo, quando da Emmaus tornano i due discepoli e raccontano il loro incontro con Gesù.

    E mentre esprimono la gioia della loro esperienza, il Risorto appare a tutta la comunità.

    Gesù arriva proprio mentre stanno condividendo il racconto dell’incontro con Lui.

    Questo mi fa pensare che è bello condividere, è importante condividere la fede.

    Questo racconto ci fa pensare all’importanza di condividere la fede in Gesù risorto.

    Ogni giorno siamo bombardati da mille messaggi.

    Parecchi sono superficiali e inutili, altri rivelano una curiosità indiscreta o, peggio ancora, nascono da pettegolezzi e malignità.

    Sono notizie che non servono a nulla, anzi fanno male.

    Ma ci sono anche notizie belle, positive e costruttive, e tutti sappiamo quanto fa bene sentirsi dire cose buone, e come stiamo meglio quando ciò accade.

    Ed è bello pure condividere le realtà che, nel bene e nel male, hanno toccato la nostra vita, così da aiutare gli altri.

    Eppure c’è una cosa di cui spesso facciamo fatica a parlare.

    Facciamo fatica a parlare di che? Della più bella che abbiamo da raccontare: il nostro incontro con Gesù.

    Ognuno di noi ha incontrato il Signore e facciamo fatica a parlarne.

    Ciascuno di noi potrebbe dire tanto in proposito: vedere come il Signore ci ha toccato, e questo condividerlo, non facendo da maestro agli altri, ma condividendo i momenti unici in cui ha percepito il Signore vivo, vicino, che accendeva nel cuore la gioia o asciugava le lacrime, che trasmetteva fiducia e consolazione, forza ed entusiasmo, oppure perdono, tenerezza.

    Questi incontri, che ognuno di noi ha avuto con Gesù, condividerli e trasmetterli.

    È importante fare questo in famiglia, nella comunità, con gli amici.

    Così come fa bene parlare delle ispirazioni buone che ci hanno orientato nella vita, dei pensieri e dei sentimenti buoni che ci aiutano tanto ad andare avanti, anche degli sforzi e delle fatiche che facciamo per capire e per progredire nella vita di fede, magari pure per pentirci e tornare sui nostri passi.

    Se lo facciamo, Gesù, proprio come è successo ai discepoli di Emmaus la sera di Pasqua, ci sorprenderà e renderà ancora più belli i nostri incontri e i nostri ambienti.

    Proviamo allora a ricordare, adesso, un momento forte della nostra vita, un incontro decisivo con Gesù.

    Ognuno lo ha avuto, ognuno di noi ha avuto un incontro con il Signore.

    Facciamo un piccolo silenzio e pensiamo: quando io ho trovato il Signore? Quando il Signore si è fatto vicino a me? Pensiamo in silenzio.

    E questo incontro con il Signore, l’ho condiviso per dare gloria proprio al Signore? E anche, ho ascoltato gli altri, quando mi dicono di questo incontro con Gesù?

    La Madonna ci aiuti a condividere la fede per rendere le nostre comunità sempre di più luoghi di incontro con il Signore.

    _______________________

    Dopo il Regina Caeli

    Cari fratelli e sorelle!

    Seguo nella preghiera e con preoccupazione, anche dolore, le notizie giunte nelle ultime ore sull’aggravamento della situazione in Israele a causa dell’intervento da parte dell’Iran.

    Faccio un accorato appello affinché si fermi ogni azione che possa alimentare una spirale di violenza col rischio di trascinare il Medio oriente in un conflitto bellico ancora più grande.

    Nessuno deve minacciare l’esistenza altrui.

    Tutte le nazioni si schierino invece da parte della pace, e aiutino gli israeliani e i palestinesi a vivere in due Stati, fianco a fianco, in sicurezza.

    È un loro profondo e lecito desiderio, ed è un loro diritto! Due Stati vicini.

    Si giunga presto ad un cessate il fuoco a Gaza e si percorrano le vie del negoziato, con determinazione.

    Si aiuti quella popolazione, precipitata in una catastrofe umanitaria, si liberino subito gli ostaggi rapiti mesi fa! Quanta sofferenza! Preghiamo per la pace.

    Basta con la guerra, basta con gli attacchi, basta con la violenza! Sì al dialogo e sì alla pace!

    Oggi in Italia si celebra la centesima Giornata nazionale per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul tema «Domanda di futuro.

    I giovani tra disincanto e desiderio».

    Incoraggio questo grande Ateneo a proseguire il suo importante servizio formativo, nella fedeltà alla sua missione e attento alle odierne istanze giovanili e sociali.

    Di cuore rivolgo il mio benvenuto a tutti voi, romani e pellegrini venuti dall’Italia e da tanti Paesi.

    Saluto in particolare i fedeli di Los Angeles, Houston, Nutley e Riverside negli Stati Uniti d’America; come pure i polacchi, specialmente - quante bandiere polacche! - quelli di Bodzanów e i giovani volontari dell’Equipe di Aiuto alla Chiesa dell’Est.

    Accolgo e incoraggio i responsabili delle Comunità di Sant’Egidio di alcuni Paesi latinoamericani.

    Saluto i volontari delle ACLI impegnati nei patronati in tutta Italia; i gruppi di Trani, Arzachena, Montelibretti; i ragazzi della professione di fede della parrocchia Santi Silvestro e Martino in Milano; i cresimandi di Pannarano; e il gruppo giovani “Arte e Fede” delle Suore Dorotee.

    Saluto con affetto i bambini di varie parti del mondo, venuti a ricordare che il 25-26 maggio la Chiesa vivrà la prima Giornata Mondiale dei Bambini.

    Grazie! Invito tutti ad accompagnare con la preghiera il cammino verso questo evento – la Prima Giornata dei Bambini – e ringrazio quanti stanno lavorando per prepararlo.

    E a voi, bambine e bambini, dico: vi aspetto! Tutti voi! Abbiamo bisogno della vostra gioia e del vostro desiderio di un mondo migliore, un mondo in pace.

    Preghiamo, fratelli e sorelle, per i bambini che soffrono per le guerre – sono tanti! – in Ucraina, in Palestina, in Israele, in altre parti del mondo, nel Myanmar.

    Preghiamo per loro e per la pace.

    Auguro a tutti una buona domenica.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Saluto i ragazzi dell’Immacolata.

    Buon pranzo e arrivederci!

    La consultazione e' anonima, senza analitiche sugli utenti, embed di terzi e senza cookies. E' comunque disponibile l'informativa di IusOnDemand srl in v. Privacy policies.

    I messaggi da Medjugorje

    Seguici sulla App o su sendTelegram

    per la pace